GIOVINE ALFREDO

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GIOVINE ALFREDO

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Il cantore di Bari, storico e poeta; straordinariamente ricco di cultura e storia della sua gente, per mezzo secolo ha cantato di Bari, delle sue usanze, costumi, tradizioni, cucina e dialetto tanto da “arricchire due generazioni di suoi concittadini; dal 1979 il suo contributo alla Gazzetta del Mezzogiorno sulla storia della città, s’intensifica; Il 3 marzo 1990 Alfredo Giovine riceve il Premio Letterario Internazionale di Cultura Popolare e, nello stesso anno inizia con la Gazzetta un nuovo rapporto di collaborazione.

Alfredo Giovine era una persona semplice come tante, appartenente al ‘popolo minuto’, avrebbe detto il poeta Armando Perotti, ma così straordinariamente ricco di cultura e storia della sua gente, che per quasi mezzo secolo ‘canterà’ di Bari, delle sue usanze, costumi, tradizioni, cucina e dialetto tanto da ‘arricchire’ due generazioni di suoi concittadini.

Ricercatore scrupoloso, impareggiabile, con un rispetto assoluto della verità, attento osservatore anche d’inflessioni linguistiche fra gli abitanti della vecchia e della nuova città, don Alfredo, ha cominciato a divulgare le sue conoscenze negli aspetti poco noti di Bari su quotidiani locali fin dagli anni Cinquanta. Nel 1960 fonda l’Archivio delle Tradizioni Popolari Baresi con una speciale sezione dedicata alla Civiltà Musicale Pugliese ed inizia un proficuo rapporto di collaborazione su quotidiani nazionali, su periodici e riviste specializzate, perfino su enciclopedie nazionali e internazionali.

Eppure, don Alfredo, come lo chiamavano tutti, non era né un letterato, né un erudito, semplicemente scriveva sotto dettatura di una ‘voce narrante’ che veniva direttamente dal cuore, noto rifugio di ogni passione.

E Giovine, come vedremo, di passioni, ne aveva diverse.

Nasce a Bari in via Cairoli, nel cuore del centro muratiano, il 2 aprile 1907 da una famiglia di artigiani. Suo padre, Beniamino, era uno spedizioniere, che si affaccendava fra la dogana e il porto di Bari per il carico e scarico delle merci in partenza e in arrivo da ogni parte del mondo che trasportava su un carro a pedana piatta, su ruote di gomma, trainato da due cavalli e che consegnava alle numerose botteghe cittadine e a quelle all’ingrosso, oltre la barriera ferroviaria all’extramurale Capruzzi.

Alfredo ha la fortuna di crescere in un ambiente senza eccessive privazioni, in una famiglia della media borghesia ‘allargata’ e unita, com’era d’uso all’inizio del secolo scorso. I ragazzi andavano a scuola, ma il punto d’arrivo non era l’istruzione, bensì il lavoro: appena sapevano leggere e scrivere, venivano avviati al lavoro.

Nel 1920, i genitori di Alfredo, probabilmente influenzati dal nonno Paolo, iscrivono il ragazzo alla scuola serale di canto del Maestro Cesare Franco, un sacerdote compositore di musica sacra di Acquaviva delle Fonti, terra di musicisti e bandisti.

Sicuramente qualcosa di quella esperienza dev’essergli rimasta considerato l’amore strabocchevole e appassionato per la musica lirica e classica che il Giovine sviluppa e conserva. Il profitto che Alfredo trae da quella prova segna la sua vita.

Ma, com’era costume nelle famiglie dell’epoca, il lavoro aveva la precedenza su tutto, solo dopo venivano gli amici, le ragazze, il cinema e gli spettacoli di varietà, con le agognate e immancabili ballerine per sognare… innominabili follie!

Con l’avvento del Fascismo Bari acquisisce una nuova rinomanza fra le città pugliesi grazie alle grandi opere pubbliche messe in cantiere dal Regime. E l’enorme espansione della rete idrica da parte dell’Acquedotto Pugliese, poi l’Università, l’ampliamento del porto mercantile, le strade, le ferrovie, il magnifico lungomare in città, la Fiera del Levante ed i grandi palazzi delle istituzioni che trascinano l’economia privata, specie l’edilizia, procurando lavoro a migliaia di braccia conserte, molti provenienti dai piccoli centri vicino alla città che, a loro volta con le loro esigenze, accrescono e alimentano il commercio, il movimento delle merci e la piccola impresa di Beniamino Giovine che si è trasferito in via San Giorgio Martire, dove può custodire carri e animali. In seguito, quando dal carro passa al furgone, trasloca di nuovo, in via Martiri d’Otranto angolo Corso Italia.

Insomma, la piccola azienda familiare di Beniamino Giovine, prospera, ma Alfredo ha ben altro in testa. È curioso, vuole vedere, conoscere, capire e, verso la fine del 1925, si arruola volontario nei Bersaglieri del 4° Reggimento di stanza a Torino.

Finito il periodo di ferma volontaria torna a Bari e trova la città completamente trasformata, più bella di quando l’aveva lasciata. Comincia così a tesaurizzare, a tendere l’orecchio alle cose, alla vita d’un tempo, ricordato da papà Beniamino, alle storie che mamma Angelina racconta ai ragazzi del vicinato attorno al braciere, assorbendo, lui pure, poco a poco, quasi senza che se ne accorga, quelle conoscenze che ‘deposita’ in un angolo della sua mente creando, inconsapevolmente, una specie di scrigno che di giorno in giorno arricchisce con una infinità di documenti fino a mettere insieme un archivio immenso che un giorno comincerà a divulgare.

Poi Alfredo, che s’innamora spesso, s’accende d’amore vero per la signorina Antonietta Macchia, ‘Angelina’, e nel 1936, la sposa. Angelina, com’è chiamata in famiglia, gli darà cinque figli: Olga, Cecilia, Beniamino, Felice e Maria. Nel frattempo, Mussolini, già afflitto da manie di grandezza per conto proprio, si lascia irretire dal Fuhrer tedesco e trascina l’Italia nel secondo conflitto mondiale. Come finisce si sa!

La guerra, in Puglia, termina nel settembre del 1943 con l’arrivo a Bari di truppe britanniche con a seguito un diluvio di alleati di tutte le razze, in maggioranza americani, i quali avevano bisogno di ogni genere di servizi sul territorio e, per l’azienda di autotrasporti della famiglia Giovine, inizia un nuovo periodo d’oro.

Alfredo ama il mondo dello spettacolo, la rivista, Totò, Wanda Osiris. Amava la sceneggiata napoletana, soprattutto non avrebbe mai perso la prima di un’opera lirica al teatro San Carlo di Napoli e già dalla fine degli anni Quaranta aveva iniziato ad acquistare, collezionare, leggere, consultare e approfondire centinaia di testi riferiti alla storia, cultura, usi e costumi di Bari, qualunque cosa potesse soddisfare la sua vorace curiosità di sapere sulla sua città natale, anche in vernacolo, a cui aggiungeva ricerche sul melodramma e sul teatro lirico parlandone e scrivendone come se quei templi della musica lirica, sparsi per il mondo, fossero abitazioni proprie. Dei maggiori, conosce vita, morte e miracoli.

All’inizio degli anni Cinquanta Alfredo comincia a prendere confidenza con la penna inviando lettere con note di cronaca e di colore alla Gazzetta del Mezzogiorno che non sempre le pubblicava. Nel 1953 comincia ad accusare i primi acciacchi per una vita trascorsa sempre all’aperto, alla mercé di qualunque intemperia. Niente di debilitante all’epoca, ma era l’occasione per chiudere baracca e burattini e dedicarsi a quelle cose che si ostinava a chiamare hobby.

E torna a scrivere ai quotidiani.

Il primo giornale che gli offre spazio e visibilità è, paradossalmente, un quotidiano di Roma, Il Tempo, che non faceva mistero delle sue simpatie in politica. All’epoca il giornale romano aveva a Bari una redazione che curava un’edizione barese ed era molto diffuso in città a causa di un elettorato di destra altrettanto numeroso. Ma l’obiettivo di don Alfredo era la Gazzetta.

Quel foglio, quella testata che aveva visto nascere e morire tre generazioni di baresi… era il ‘suo’ giornale, era l’unico, vero quotidiano della sua terra, della sua generazione. Lì, su quel giornale c’era la vita di suo padre, la sua vita, il giorno del suo matrimonio, la pubblicità della sua attività, le sue prime note di cronaca sia pure nella rubrica delle lettere. Insomma, era lì, alla Gazzetta che voleva arrivare. E ci arriva nel 1979: il giornale comincia ad ospitare, con buona frequenza, le sue lettere, le sue note storiche cittadine.

Nel 1962 don Alfredo raccoglie e pubblica in un saggio una collezione di proverbi cittadini dal titolo La Bibbia barese edito dall’Archivio delle Tradizioni popolari baresi, da lui stesso fondato due anni prima. È il suo primo libro e lo pubblica a sue spese.

Nel 1963 pubblica un nuovo saggio: Canti popolari religiosi baresi con una lunga e ammirata prefazione di Francesco Babudri, un professore istriano che capitato a Bari per caso nel 1930 vi è rimasto fino alla sua morte. Era inevitabile che don Alfredo e il Professore istriano si conoscessero. Babudri era ammirato dalla straordinaria ricchezza illustrativa e dalla incredibile mole di ricerche bibliografiche di don Alfredo. La stima reciproca era tale che Giovine gli affida la prefazione ai Canti popolari, alle poesie contenute nel saggio Pulpe Rizze e ai Sessantotto indovinelli baresi, tutti pubblicati nello stesso 1963.

Diciamolo pure, magari le sue poesie non saranno versi immortali come quelli di Giacomo Leopardi, ma non hanno nulla da invidiare alle poesie dialettali dei napoletani Ferdinando Russo e Salvatore Di Giacomo. È voce di popolo… sono sentimenti che esprimono gli abitanti dei vicoli, delle periferie, dei luoghi rivieraschi. La poesia di don Alfredo è del genere che lui stesso definisce ‘popolarissima’… deve avere, oltre ad espressioni di immediatezza, anche un vocabolario semi gergale, piegare a connessioni e adattamenti che raggiungano il livello posseduto dall’ambiente destinatario, nel quale prevalgono determinati gusti e semplicità di sentire, manifestando i sentimenti, la più suadente comunicatività.

E tuttavia, le poesie sono soltanto una centesima parte dell’immensa produzione e contributo culturale che Giovine ha lasciato ai posteri in quarantacinque anni di appassionata dedizione alla conoscenza della cultura popolare e della musica, del teatro lirico in particolare, tanto che ad un certo punto della sua vita questa sua incommensurata passione, smette, di essere un hobby e diventa un impegno pressante e costante.

Lo cercavano e lo chiamavano da ogni dove, da ogni parte della Puglia, da Roma, Parma, Firenze, Milano, Torino e tante altre città italiane oltre che dall’Inghilterra, dalla Germania e dall’Argentina. Lui rispondeva a tutti, sempre: ai direttori dei periodici specializzati in musica classica e lirica; ai direttori dei quotidiani nazionali e locali; ai capi cronista, ai responsabili delle pagine culturali, ai critici di musica lirica, ai redattori, alle segreterie di redazione, ai semplici estimatori, ai curiosi e giù, giù fino all’ultimo melomane e cultore di dialetto e storia locale. Non si faceva negare mai, neppure quando stava veramente male. Don Alfredo aveva una parola per tutti, era sempre disponibile.

Le sue pubblicazioni, più di novanta fra libri e opuscoli, sono patrimonio pubblico. Molte arricchiscono diverse biblioteche e conservatori musicali in Italia e all’estero.

Il diluvio della produzione di don Alfredo, malgrado le sue condizioni di salute, inizia negli anni Ottanta. Nonostante l’assiduità con cui scrive sulla Gazzetta, continua a collaborare con Il Tempo di Roma, la Voce della Regione e il Corriere della Puglia. Sono anni fecondi per Giovine che gode di ampio credito e spazio da parte della Gazzetta del Mezzogiorno e dai direttori che man mano si avvicendavano.

Ma è il teatro lirico, il melodramma la sua inesausta curiosità e passione. Dopo anni di ricerche nel 1971 Giovine stampa, fra tanti lavori, il capolavoro: ‘Il teatro Petruzzelli di Bari’, l’opera che gli farà dire… quando si parla di musica lirica, quando si rivolge il pensiero all’ineguagliabile mondo della cultura musicale italiana, bisogna moderare le parole, il tono, mantenendo un atteggiamento di deferenza verso coloro ai quali è dovuto il massimo rispetto e immutata eterna gratitudine.

Il libro, edito dai F.lli Giuseppe e Stefano Laterza è un volume unico, un lavoro inestimabile e per la serietà e il rigore della ricerca. E racconta la nascita, anzi il concepimento del Petruzzelli, ideato, costruito, allestito, arredato, stuccato, affrescato e reso fastoso tanto da essere considerato, all’epoca, il quarto tempio lirico d’Europa.

Non basta. Arricchito da poche ma significative immagini d’epoca, dai protagonisti ad alcune fasi della costruzione, il libro contiene le rappresentazioni di tutte le opere proposte sul palcoscenico del Petruzzelli a partire dalla serata inaugurale, il 14 febbraio 1903 fino al 2 aprile 1982.

Difficile sostenere quali fra le due grandi passioni di don Alfredo fosse preminente: l’amore per Bari o quella per il mondo del melodramma tante e tali sono le notizie e le curiosità in entrambe le materie.

Se nelle amorevoli ricerche di storia cittadina ci sono molti personaggi del popolo e della borghesia, nel mondo artistico, nella musica lirica, non mancano pregevoli biografie di ‘prime donne’, con una quantità incredibile di particolari, a cominciare dalla più grande e longeva soprano di tutti i tempi, Licia Albanese, barese purosangue, prediletta dal grande maestro Arturo Toscanini che con lei ha vissuto in America negli anni del secondo dopoguerra, entrambi beniamini del pubblico del teatro Metropolitan di New York.

Dal 1979 la collaborazione, il contributo di Alfredo Giovine alla Gazzetta del Mezzogiorno sulla storia della città, s’intensifica. L’impegno divenne più pressante. Don Alfredo interveniva su tutto, dalle tradizioni civili e quelle religiose, ai vecchi proverbi dialettali, alle specialità culinarie tipiche del popolo, alle credenze, pregiudizi, agli scherzi e a tanti, tantissimi avvenimenti ed episodi che colpivano l’immaginazione. Una miriade di pillole di saggezza d’altri tempi inseriti nella Bari delle carrozze, dei fanali a gas, dei venditori ambulanti di acqua potabile, dei fornitori di acqua di mare con la quale si cucinava e si faceva il pane, dei tempi in cui giravano per strada artigiani che riparavano i piatti di creta con il fil di ferro, dei chioschetti e bancarelle improvvisate di venditori di ‘grattamarianne’, degli ombrellari, calzolari, materassai e tanti altri mestieranti.

Il 3 marzo 1990 Alfredo Giovine riceve il Premio Letterario Internazionale di Cultura Popolare e, nello stesso anno inizia con la Gazzetta un nuovo rapporto di collaborazione.

Gli aveva telefonato il direttore, Giuseppe Gorjux, per chiedergli se era disposto a curare una rubrica settimanale in alternativa ad interventi sparsi e occasionali, con uno spazio tutto suo. Una rubrica dal titolo ‘L’angolo di Alfredo Giovine’… instaurando così, con i suoi lettori, un rapporto fisso e continuativo con le sue pregevoli note storiche su Bari in piena autonomia. Per don Alfredo era un invito a nozze.

Il primo ‘Angolo di Alfredo Giovine’ appare sulla Gazzetta il 17 luglio 1990. È dedicato al condottiero Argiro da Bari, figlio di Melo da Bari vissuto oltre un millennio prima. Il 2 gennaio dell’anno successivo don Alfredo perde la compagna della sua vita, muore la moglie Antonietta, aveva 83 anni e lui, che ne compiva 84 esattamente tre mesi dopo, comincia a tirare i remi in barca.

Poi, la notte del 27 ottobre 1991, due balordi del sottobosco cittadino, gli infliggono un duro colpo, una fitta al cuore, appiccando il fuoco e devastando il Teatro Petruzzelli, il tempio lirico barese, vanto dei pugliesi e particolarmente amato da don Alfredo che nella rubrica della domenica successiva commenta con amarezza il grave fatto vandalico… Bari non ha ancora assorbito il colpo infertogli con la perdita del suo splendido gioiello voluto dai fratelli Onofrio e Antonio Petruzzelli… figli della febbre di fine Ottocento, rappresentanti di quelle peculiari caratteristiche dei baresi migliori: lavoro, volontà audacia!

Egli non era diverso poiché pur assolvendo puntualmente l’impegno con la Gazzetta, nel 1993 accetta di rivedere e pubblicare, per La Stampa di Torino, diversi inserti con la raccolta di ‘Proverbi Pugliesi’.

Alfredo Giovine si spegne il 25 agosto 1995. L’ultimo suo ‘Angolo’ viene pubblicato il 20 agosto… con lui se ne va un pezzo di Bari, una memoria storica e popolare ineguagliabile – scrive il 26 agosto, il direttore della Gazzetta Giuseppe Gorjux – in vita mia ho incontrato don Alfredo, come lo chiamavamo tutti, solo due volte. Molto più spesso gli ho parlato per telefono e ho sempre avuto la sensazione di conoscerne a fondo l’animo sensibilissimo e di essere a mia volta da lui compreso con straordinaria, limpida immediatezza, come avviene fra amici che hanno quotidianità di frequenza.

Avevano entrambi una passione, un ‘amore’ comune: quando cominciavano a ricordare, a parlare della Bari di un tempo, diventavano fluviali. Gorjux era, come Giovine, barese purosangue, nato al quarto piano del cosiddetto ‘Palazzo del Giornale’ fatto edificare dal padre Raffaele, nella vecchia Piazza Roma, odierna Piazza Moro, dall’architetto Saverio Dioguardi demolito nel 1982 senza che nessuna Istituzione per la Salvaguardia dei Beni Architettonici, intervenisse.

Nicola Mascellaro

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