BRUSCHI GORJUX WANDA

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BRUSCHI GORJUX WANDA

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La signora della stampa, giornalista, intellettuale, delegata regionale per l’Opera Maternità e Infanzia. Donna Wanda era nota sia tra le personalità politiche ed intellettuali del suo tempo sia tra il ceto popolare.

Donna Wanda e basta. Così era per tutti Wanda Gorjux Bruschi. Non era necessario aggiungere il suo cognome da nubile, Bruschi, e neppure quello del marito, Gorjux, fondatore e direttore della Gazzetta di Puglia. Lei era di più. Il suo nome andava oltre il pur ampio mondo del marito. Lei lo surclassava di qualche spanna per cultura, notorietà e impegno sociale. Donna Wanda era nota sia fra le più alte personalità politiche e intellettuali del suo tempo, sia fra il ceto popolare, le massaie della città vecchia e della provincia, gli operai nelle fabbriche, il grande pubblico che affollava i teatri per le sue lucide conferenze.
Il suo orizzonte culturale era talmente vasto e variegato da risultare perfino imbarazzante al ‘machismo’ fascista. Donna Wanda scriveva con lucidità e competenza di letteratura, filosofia, economia, arte, spettacolo e politica, nazionale ed estera, e dal 1939 al 1943 si dilettava anche in corrosivi elzeviri politici con lo pseudonimo l’Osservatore che paradossalmente avrebbero suscitato l’ammirazione dell’inimitabile corsivista Mario Melloni, il ‘fortebraccio’ dell’Unità negli anni Sessanta e Settanta.
Wanda Bruschi nasce a Bari il 16 novembre 1888. È figlia secondogenita di Ernesto, professore di storia e geografia, e di Elisabetta Cesari. Una famiglia borghese come poche nell’Ottocento. Genitori che crescono i propri figli con rigidi principi morali, come si addice ad un docente del Reale Liceo, e al tempo stesso aperti e attenti agli stimoli del nuovo secolo fino ad inviare la fanciulla a Roma per frequentare la facoltà di Magistero.
Conseguita la laurea con una tesi su Giambattista Vico, filosofo e storico napoletano che visse a cavallo fra il Seicento e il Settecento, donna Wanda torna a Bari e comincia ad insegnare. Ma non è abbastanza per la molteplicità dei suoi interessi. Vuole scrivere, sa scrivere, e comincia a pubblicare saggi e articoli su vari periodici femminili firmandosi con diversi pseudonimi: Medusa, Madam Récamier e Spettatore che utilizza secondo gli argomenti che tratta. Spazia dalla letteratura alla filosofia fino alle recensioni di libri e spettacoli teatrali.
Nel 1911 sposa Raffaele Gorjux. I ragazzi si conoscono da sempre. Le loro famiglie si frequentano da anni e quando lei ottiene il consenso dei genitori per recarsi a Roma, suo fratello Ernesto e Raffaele Gorjux tentano l’avventura nel nuovo mondo. Ma l’America è un paese che offre occasioni ai disperati, non ai figli della borghesia italiana e nel 1908 se ne tornano a casa dove Gorjux, ottiene un lavoro amministrativo al Corriere delle Puglie. Qualche mese dopo, anche Donna Wanda inizia la sua collaborazione giornalistica con il giornale di Martino Cassano.
Ma la ‘gavetta’ è uguale per tutti nei quotidiani. Anzi, per le donne è anche peggio che per gli uomini. All’inizio del secolo scorso il mondo era più che mai al maschile e la società considerava la donna una ‘fattrice di prole’, un’appendice sociale da segregare in casa. E dunque, la giovane Wanda, dopo aver esordito sul Corriere delle Puglie con piccoli, brevi articoli culturali nelle pagine interne dimostrando grande valore tanto che, il 25 aprile 1913, appena ventiquattrenne firma con lo pseudonimo di Medusa un lungo articolo per l’intera prima pagina e parte della seconda in cui rievoca la figura di Re Gioacchino Murat, ad un secolo dalla sua visita a Bari, insieme al significato storico e sociale di quel viaggio in Puglia con la cerimonia in cui decreta la nascita del ‘nuovo borgo’.
L’occasione rappresenta una svolta straordinaria nella storia del giornalismo pugliese al femminile. Uno smacco per storici noti della stessa epoca, quali Saverio La Sorsa e Armando Perotti, che dovettero accontentarsi delle pagine interne.
Tuttavia, firmare con uno pseudonimo era una prassi comune all’epoca specie se si trattava del gentil sesso: consentiva quell’anonimato che le proteggeva dalla diffidenza, dall’invidia se non addirittura dallo scherno, salvando al contempo l’ego maschile.
Dopo quella prima pagina l’impegno professionale della signora Gorjux con il Corriere è sempre più assiduo. Ormai tutti sanno chi è Medusa e dopo il primo conflitto mondiale il suo apporto al giornale è un affluente impetuoso. Non c’è manifestazione culturale o sociale che sfugga alla sua penna lucida ed elegante.
Partecipe dei grandi problemi regionali e nazionali – scrive Vito Maurogiovanni – è attenta ad aprire la pagine del giornale alla collaborazione femminile, sospesa fra attenzione al femminismo con la sensibilità, la cultura e il senso profondo della misura fondamentale nella comunicazione d’ogni tempo. Ebbe cordialità di rapporti con Ave Fornari, Ada Negri, Matilde Serao e Grazia Deledda contribuendo così ad arricchire il giornale. È con Donna Wanda che nascono le rubriche ‘cronache femminili’ e ‘cronache letterarie’ divenute, successivamente, pagine settimanali.

Nasce la Gazzetta di Puglia

Nel 1922 suo marito Raffaele Gorjux, dopo aver abbandonato il Corriere, fonda la Gazzetta di Puglia. Sono tempi di grandi mutamenti sociali e politici. L’Italia è sull’orlo di una guerra civile. Gorjux, che per formazione politica e culturale è un liberale, schiera il nuovo quotidiano barese con i moderati, né nasconde la speranza che la confusione politica del Paese si risolva a favore di un governo liberale piuttosto che di destra radicale.
Ma i fascisti con la ‘marcia su Roma’, risolvono la crisi politica a loro vantaggio instaurando la dittatura. Gorjux prima si adegua poi, poco a poco, comincia a prendere le distanze, si estranea e sarebbe stato estromesso da tutte le cariche se l’entusiastica adesione di Donna Wanda al fascismo non avesse garantito al Regime continuità nella linea politica del giornale.
La Signora era salita sul treno dei fascisti con quella convinzione, ardore e passione che solo le donne sono capaci di manifestare quando si gettano nella mischia. Donna Wanda riesce ad imporsi anche al ‘maschio’ fascista che ha, verso le donne, un comportamento di tale spocchiosa superiorità che risulta anche peggiore dell’atteggiamento di benevole ‘condiscendenza’ dei liberali. I fascisti, a cominciare dal Capo, tendono ad esaltare l’Italica ‘mascolinità’ e a considerare le donne una ‘disponibilità’ dell’uomo.
Eppure, nonostante l’epoca, le convenzioni sociali e il nuovo conformismo di destra, sarà proprio il fascismo a dare a Donna Wanda gli strumenti e perfino il ‘potere’ per contribuire al consolidamento del Regime, consentendole altresì ampi spazi critici per le sue battaglie civili e sociali.
Fin dal 1926, nella sua rubrica di cronaca cittadina ‘Considerazioni’, non lesina frecciate agli amministratori di turno, a cominciare dal Commissario straordinario Vincenzo Vella, spesso sollecitato a guardarsi intorno… possibile, Commissario, che non riesce a vedere in quali condizioni di abbandono e miseria versano gli abitanti delle periferie e del vecchio borgo?
Né risparmia quei gerarchi rimasti legati al nefasto uso liberale della ‘raccomandazione’… è ora di smetterla – scrive Donna Wanda – bisogna premiare il merito e le capacità! E ancora, quando le vengono recapitati volumi da recensire, raccomandati dal settimanale del partito Lavoro Fascista spesso perfino con allegata recensione, Donna Wanda se ne adonta. Protesta contro il malvezzo poi, sistematicamente, distrugge libro e autore se c’è un libro noioso è questo, se v’è un volume che non ha finalità né organicità, è questo.

Donna Wanda non si tocca!

Insomma, niente sconti per nessuno. E quando i malcapitati protestavano a loro volta per i modi bruschi di Donna Wanda, il Federale di turno alzava le spalle in segno d’impotenza. Era un esplicito: camerati, abbozzate e fate finta di niente! Donna Wanda non si tocca! Ella era così rispettata e temuta in tutte le sfere del Regime da non avere sudditanze.
Commentatrice politica eccellente, attivista instancabile, Donna Wanda era ovunque ci fosse bisogno di una parola sincera e onesta. La sua dedizione al Partito era così totale e convinta che riusciva ad essere di conforto anche a quanti cominciavano a nutrire dubbi, a notare crepe e lacune nella politica fascista.

Dotata di una cultura enciclopedica, i suoi articoli spaziavano dai programmi di sviluppo urbano ai problemi del commercio, dell’industria, della viabilità regionale – ferrovie, strade e porti – e dell’istruzione… vitale per il risveglio delle coscienze, diceva. Sollecitava soprattutto gli interventi mirati ad aiutare le famiglie attraverso opere assistenziali. Già nel 1931 il suo impegno quale delegata regionale nell’Opera Maternità e Infanzia, le valse una medaglia d’oro.

Ma è la misera condizione sociale della maggioranza delle donne il suo cruccio… bisogna educarle, avviarle ad una giusta evoluzione. Possiamo farlo – scrive Donna Wanda – siamo ancora in tempo a farlo ma non con i soliti luoghi comuni o con le vecchie frasi, ma con i fatti e le opere nuove, dando alla donna la coscienza dei suoi doveri, la capacità di discernimento. È colpa del padre – bisogna che gli uomini siano padri di famiglia più che facitori di figli – della sua mente gretta, della sua passività o del suo disinteresse… c’è tutta una mentalità mascolina da creare in proposito.

Bisogna cioè che gli uomini smettano di guardare le donne come rivali nel lavoro.
E ancora… la condizione della donna nel lavoro, nella società e nella famiglia è un problema universale dal lato morale, etico e psicologico. Le donne italiane non sentono la necessità di rivaleggiare con gli uomini… se possono fare a meno del lavoro fuori casa ne fanno a meno: se hanno una piccola dote, se trovano un po’ di marito – non si rida di quel po’ perché qualche volta è proprio tale – si accontenta della vita casalinga, della famigliola, della casetta anche povera, del pane scarso purché sicuro, ma ciò non significa che bisogna limitarne la sua educazione.
S’indigna, invece, con le ‘signore e signorine di buona famiglia’ che, nonostante l’immenso divario economico fra loro e le donne del popolo, non cercano di ritagliarsi un ruolo nella società… non s’impegnano, non s’informano… e promuove conferenze e dibattiti per l’elevazione della donna, cardine della famiglia, educatrice domestica e lavoratrice.

Bari, la città più prolifica (Leggi anche)

Nel 1933, Bari è indicata come la città più prolifica d’Italia. La notizia riempie d’orgoglio Donna Wanda che commenta: abbiamo il primato di natalità ma abbiamo ancora un elevato fattore di mortalità infantile; l’assistenza materna viene compiuta in primitive sale di maternità. Bisogna dunque costruire, edificare, senza ritardo il Centro di Assistenza Materna. Se proprio le finanze del Comune non possono sopportarne l’onere, chiami nella gloria di questo primato i costruttori, così noti per il loro appassionato fervore, chiami a contributo i più ricchi cittadini, chiami al contributo della lira o del soldino tutti i padri di famiglia che denunciano una nascita; il Centro sorgerà ben presto, sol che lo si voglia. Dal primato di Bari sorge l’obbligo; dal diritto di un riconoscimento sorge il dovere

Né mancano, allo stesso tempo, forme di pura esaltazione del fascismo e culto della personalità. 

Il 2 ottobre 1935 Mussolini si rivolge al Paese per giustificare l’occupazione militare dell’Etiopia. Il discorso, radiotrasmesso in tutte le piazze d’Italia, è ascoltato da venti milioni d’italiani – scrive la Gazzettae mai si vide nella storia del genere umano uno spettacolo più gigantesco

Quel pomeriggio Donna Wanda è lì, a Roma, in Piazza Venezia. La stessa sera scrive di getto un ispirato commento: nel vespro di Roma, io cronista, ho avuto la visione del millenario popolo d’Italia, dall’anima plasmata dai martiri e dagli eroi di tutti gli evi, fortificata dalle vittorie di tutti i secoli, da quelle dei legionari di Cesare a quelle dei reggimenti del Carso, non piegata né ad Adua né a Caporetto e temprata in acciajo dalla indomabile volontà fascista ho avuto, dico, la visione del popolo d’Italia, raccolto nella conca dei Fori Imperiali, inquadrato, silenzioso, lo sguardo di tutti diventato un solo sguardo fisso al balcone di Palazzo Venezia, nell’attesa del cenno e della direzione di marcia

Quattro giorni dopo la bandiera italiana sventola su Adua e la Società delle Nazioni c’infligge le note Sanzioni. Faremo da soli, dirà il Duce. È l’Autarchia! 

Per Donna Wanda è come andare in trincea. Si mette alla testa di 800 donne, le ‘visitatrici fasciste’, forma piccoli gruppi di due, tre signore e le manda nelle case delle famiglie più povere di tutta la provincia con il compito di addestrare le massaie a governare la casa, fare di cucito, rammendare, rivoltare cappotti, soprattutto risparmiare olio, legna e carbone, materie prime comprese nel paniere delle Sanzioni. Sul giornale, poi, inaugura una rubrica di economia domestica. 

È inesauribile. Promotrice instancabile di attività assistenziali, quale delegata regionale  dell’Opera Maternità e Infanzia si adopera far costruire e aprire, a Bari, la Casa della madre e del fanciullo e la palazzina Goccia di Latte nel giardino di piazza Umberto; promuove e diffonde le colonie estive per i figli dei lavoratori, né tralascia temi culturali, come la musica, per dare vita all’Associazione Amici per la Musica. 

Il 9 maggio 1936, quando la Società delle Nazioni abroga le Sanzioni, Mussolini proclama l’Impero. Donna Wanda si esalta: il Duce non è un Capo; è il Capo; è il Condottiero; è l’eroe. Il Duce è Cesare e più di Cesare, perché il dittatore romano non aveva una questione sociale in atto; è Augusto e più di Augusto perché fondare l’Impero è ben diverso dal farsene padrone; è Napoleone e più di Napoleone perché differente è terminare una rivoluzione già iniziata, differente è iniziarla, svolgerla, dominarla, compirla, esaltarla, renderla sempre più spirituale e perciò appunto universale. Benito Mussolini è la ‘confutazione vivente dell’impossibile’. Leggendario. Nostro. Italico. Mediterraneo. Romano. Egli è il Predestinato. E noi siamo i suoi devoti figli. Egli sa di poter contare su di noi ed a noi si volge ‘uomini e donne d’Italia’ e noi tutti uomini e donne d’Italia rispondiamo ‘presente’

Finite le Sanzioni, Donna Wanda redige un bilancio della sua esperienza con le ‘visitatrici fasciste’. È un bilancio amaro: quante capacità nascoste e mal dirette nelle nostre famiglie; quanti ricami complicati e orribili sulla biancheria, quanto lavoro inutile e brutto nella casa, quanti sistemi antiquati e riprovevoli entro le mura domestiche, e quante ragazze, peggio, quante donne costrette al lavoro a venti, trenta, quarant’anni senza alcuna capacità specifica, senza nessuna risorsa, senza la minima direttiva per risolvere il problema del pane quotidiano

Qualche mese dopo il Ministero della Pubblica Istruzione istituisce a Bari una scuola professionale femminile e il Magistero di economia domestica e lavori femminili. 

Ma Donna Wanda non si accontenta. Passa dai problemi della condizione femminile alle famiglie, alla disoccupazione, agli alloggi, alle case economiche per contadini e braccianti… che in molti centri della provincia vivono in uno stato d’indigenza estrema, e mentre lei è impegnata nelle sue battaglie civili il Regime, attraverso la stampa, ha fascistizzato il Paese. Esaltata dalla sua fede non si accorge che dai quotidiani è sparita ogni forma di dissenso, tutto è stato gradualmente livellato, modellato in funzione della politica del Regime. 

Perciò, si meraviglia quando nelle cronache giornalistiche trova… la stessa malinconia. Basta affiori un centenario, un anniversario e tutti si sentano in dovere di scrivere su quell’argomento come se la vita di un popolo si esaurisse su quel tema. Ci sono tanti problemi più scottanti e vivi, nei quali ognuno può portare la propria esperienza; perché andare a ripescare i soliti argomenti? Il nuovo, il nuovo! L’attuale, l’attuale! Se no, non facciamo giornalismo e nemmeno poesia e nemmeno arte e nemmeno letteratura; facciamo esercitazioni di letteratura, nature morte! 

Una strada senza ritorno
Ma veramente Donna Wanda non si è accorta che il fascismo si è incamminato su una strada senza ritorno? Sembra proprio di no, perché lei, ancora nel 1937, ricorda alle alte gerarchie e a quanti cominciano ad essere scettici nei programmi della Rivoluzione che… è necessario s’inizi e si intensifichi il movimento che dovrà dare al lavoratore italiano, secondo la promessa del Duce, l’abitazione pulita e igienica, dove sarà dolce sostare e riposare con la moglie e i figlioli: casa pulita al contadino, che non si dovrà confondere con le sue bestie, le quali hanno anch’esse diritto ad una stalla, ad uno stabbio, ad una stia… igienici.

Un altro grave problema esposto dal ministro Giuseppe Bottai, è l’analfabetismo… una vera e propria piaga sociale – scrive Donna Wanda – ma il problema è anche edile, specie nelle scuole elementari. Quale educazione volete si compia quando negli edifici scolastici si effettuano due o perfino tre turni di lezioni con classi di 60 alunni in locali senza refettorio, senza cucine, senza palestre senza cortili o giardini? Si insegna a leggere, scrivere e far di conto, poi basta.

Sono problemi reali che Donna Wanda non si astiene dal denunciare, ma con l’incrollabile ‘fede’ al fascismo, nulla è impossibile: in Regime fascista enunciare è definire un problema; definirlo è risolverlo.

Poi ancora, in tema di edilizia cittadina, condanna sia imprenditori privati sia amministratori pubblici quando segnala lo stato in cui è ridotto il centro murattiano: molti edifici sono fatiscenti e poi internamente, le case! Sono case? Sono case perché vi abitano gli uomini. Ma l’aria, la luce, i servizi igienici, le cucine, sono quali debbono essere, quali richiede la nostra civiltà e la nostra premura per la salute pubblica? Il ‘centro’ della città risponde più a questa prerogativa, oppure, ormai la ricchezza, la bellezza, la grazia, l’intelligenza cercano le loro abitazioni lontani dal centro che non offre più alcuna comodità né interiore né esteriore?

Ma si è ormai alla vigilia di grandi avvenimenti storici e la politica del Regime cambia radicalmente.

Verso la fine di febbraio del 1938, Donna Wanda apprende, apparentemente sorpresa, che anche i fascisti come i nazisti intendono introdurre in Italia le leggi razziali. Ma vuole credere che non saranno mai applicate le teorie del razzismo tedesco: il governo fascista non ha mai pensato, né pensa, di adottare misure politiche, economiche, morali, contrarie agli ebrei in quanto tali, eccettuato, ben inteso, nel caso in cui si tratti di elementi ostili al Regime.

Ben presto sarà smentita.

La seconda guerra mondiale
Il 3 settembre successivo il Gran Consiglio approva il primo decreto legge contro gli ebrei: sono espulsi dall’insegnamento e dalla scuola italiana. Donna Wanda scrive: per meglio chiarire le posizioni del problema che il Fascismo ha posto dinanzi alla coscienza dell’Italiano in tutta la sua dura realtà – ed è inutile fare lo struzzo e nascondere la testa per non vedere – torniamo sull’argomento per dare le richieste spiegazioni, in quanto e fin quando ne siamo capaci. Per la prima volta nella sua carriera giornalistica Donna Wanda non riesce ad essere convincente. Lei stessa è incredula.

Intanto il Regime la chiama a Roma per affidarle l’incarico di Fiduciaria Femminile delle Fasciste romane. Non riuscirà ad inserirsi. Il suo cuore, i suoi affetti, i figli sono a Bari e quando Mussolini chiama gli italiani alla guerra, Donna Wanda torna a casa.

Appena un anno dopo l’inizio del secondo conflitto mondiale e l’arrivo in Puglia delle prime vittime di guerra, inizia la fronda.

Si cominciano a sussurrare i primi se e i primi ma… non eravamo preparati… non abbiamo sufficienti materie prime… non siamo forti abbastanza! Donna Wanda è la prima a cogliere le voci di dissenso fra i fascisti, ed è talmente indignata che si lascia andare in un linguaggio insolito: vi è qualcuno che di fronte a parole e parolette, a sorrisetti e sottintesi, fa decorosamente finta di non sentire e, scrollando sdegnosamente le spalle, fila per più liete o più limpide onde. Male. Oggi questi tali stringono le labbra con molta significativa prudenza; accennano, oh! appena appena a quel che ‘avevano detto un tempo’ e a quel che ‘sarebbe stato meglio!’

Certo, si dice, gente più grande e più degna dei fascisti non c’è, ma… a questo ‘ma’ ai piccoli ed insulsi gesti, bisogna opporre la nostra avvedutezza e la nostra scaltrezza di italiani e fascisti. Non lasciarsi prendere dalla pania viscosa del sofisma e del ‘si dice’ e del ‘si sarebbe potuto’ e del ‘sarebbe meglio’. Un ceffone a tempo e luogo fa bene. I fascisti han fama di essere svelti di mano: è il momento di dimostrarlo. E qualche bravo patriota, anche se non ha voluto la tessera, potrebbe nell’occasione dimostrare di essere degno d’averla.

Ma alla sua stessa retorica spesso contrappone articoli di dura realtà con la solita schiettezza e sincerità. Sicuro – scrive verso la fine del 1941 – vi sono ancora in Italia case non risanate; bimbi senza scarpe; vecchi senza riposo; donne senza focolare. E questo solo perché siamo ancora troppo poveri, pur essendo talmente ricchi da aver inflitto al mondo la grande sconfitta dell’oro, una battaglia vinta dall’energia vitale del lavoro. A volte sale la domanda: perché sempre uomini contro uomini e non uomini tra uomini?.

Poi di nuovo torna a blandire il Regime. Scrive un numero incredibile di editoriali, commenti vari, elzeviri. Né si sottrae ad una serie di conferenze nei teatri, nelle fabbriche, in circoli culturali, operai e braccianti. Donna Wanda è di una tale duttilità oratoria che riesce ad appassionare sia il colto pubblico del Grand Hotel di Roma che le operaie della manifattura tabacchi o dello stabilimento La Rocca di Bari. La sua cultura classica, l’enorme esperienza acquisita nel frequentare gente di ogni ceto sociale, la rende capace di dialogare di qualunque argomento.

Quando scrive, più ancora quando parla, si pone un unico obiettivo: arrivare direttamente al cuore della gente; con semplicità con gli umili, con l’arguzia, l’intelligenza e la conoscenza, con gli altri… noi serviamo il Duce ed il Regime e sempre abbiamo voluto levarci sopra ogni questione trita e meschina, sopra l’evento della cronaca spicciola, per cercare di formare nelle masse la profonda coscienza nazionale e fascista, compito ultimo e primo della cultura popolare.

Le sorti della guerra però volgono al peggio. La vita si fa dura, le donne in gramaglia aumentano, cominciano le restrizioni. Donna Wanda raccomanda sobrietà, moderazione alle signore della borghesia che frequentano la sala da the del Grand Hotel d’Oriente. Ma non serve. C’è chi le scrive per sapere perché il giornale ha abolito la rubrica delle novità discografiche o perché, da tempo, manca la cronaca femminile. Altre lamentano di avere difficoltà a trovare le ‘serve’, perché la mobilitazione civile ha portato le donne nelle fabbriche, e chiedono consigli su come rammendare un abito o cucinare un arrosto.

A quella genia di fannulloni
Donna Wanda risponde a tutti: a quella genia di fannulloni che non hanno sangue nelle vene, esenti da tutto anche dall’onore… e alle signore della borghesia scrive… non è tempo di cronache femminile né tanto meno di novità discografiche. quando qualche volta, a voce o per iscritto, ho trattato l’argomento per affermare alcune verità in proposito, mi sono sentita rispondere che tutto serve, tutto è propaganda ed ho sentito crearsi nei miei rispetti il giudizio di scettica e quasi quasi di disfattista… è necessario scuotere le donne della nostra borghesia, bisogna mettere un po’ di vita in questa femminilità per tradizione torpida e indolente. Volete imparare? Andate nelle case dove ci sembrerebbe impossibile vivere e dove invece vi è tanta onestà, probità, rassegnazione, nobiltà. Chi entra nelle case a portare una notizia di un combattente può dirlo; chi ha visto le donne più povere scucire la federa per togliere tra la molta paglia la poca lana da offrire alla Patria, può dire se, entrando in quelle case, si insegna o si impara.

Impariamo ‘Signore’, impariamo.

Già a novembre del 1942 gli anglo americani cominciano a bombardare i centri urbani: Milano, Torino, Savona, Genova, Bologna vengono martellate ogni giorno e quando la popolazione civile si vede crollare addosso case e palazzi, quando ai figli perduti in guerra si aggiungono le morti atroci dei bambini e degli anziani, gli italiani si scuotono. È come svegliarsi da un sogno orribile per constatare che la realtà è peggiore del sogno stesso. A nulla servono gli appelli alla calma.

Donna Wanda non nasconde che il momento è difficile… non è la prima volta in questa guerra in cui sono in lotta il vecchio e il nuovo, il passato e l’avvenire, la libertà e la schiavitù. Ma la gente non ascolta più. Troppe promesse non mantenute, troppe illusioni, troppi sogni utopistici per un Paese in cui non tutti potevano permettersi due pasti al giorno.

Donna Wanda lo sapeva, ma non si arrende, non vuole arrendersi. Ci fu il momento – scrive il 25 novembre 1942 – dell’entusiasmo facile e allora tutti furono fascisti. E ostentavano il distintivo. Ci fu il momento difficile e molti distintivi scomparvero, inavvertitamente dimenticati, perduti, lasciati sull’altra giacca. Ci fu il momento nel quale si aveva la tessera nel cuore e, al tempo sereno, tutti i distintivi fiorivano all’occhiello. Oggi, i tempi sono quelli che sono. Oggi occorre farci vedere, non nasconderci. Dimenticare a casa il distintivo oggi, quando ogni nostro pensiero deve essere rivolto al combattimento e alla resistenza, vuol dire perlomeno essere distratti dallo scopo della nostra giornata. E certe distrazioni in certi momenti sono significative, vanno accuratamente registrate. E rapidamente eliminati devono essere gli smemorati e i dimentichi i quali poi, generalmente, sono quelli stessi che dal Fascismo hanno avuto salva la pelle, i beni, le idee, gli affetti.

Cinque mesi dopo, il 6 giugno 1943 un infarto fulminante stronca la vita di Raffaele Gorjux. Il 25 luglio cade il fascismo. Donna Wanda firma il suo ultimo editoriale il 3 luglio. Non scriverà mai più: la parola ‘trasformismo’ non faceva parte del suo vocabolario. Nel 1945 processata dalla Commissione di epurazione, è condannata a due anni di confino da scontarsi ad Agropoli, un paese della Campania. Sconterà solo otto mesi.

Donna Wanda si spegne a Bari il 29 giugno 1976 scegliendo di eclissarsi in un anonimo appartamento di via Crisanzio in quella che è stata la sua abitazione per 33 anni.

Nicola Mascellaro

Tratto da “Bari Dal Borgo alla Città – I protagonisti” Di Marsico Libri, luglio 2018

https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2004/01/08/una-via-per-wanda-gorjux-la-medusa.html

Una via per Wanda Gorjux la Medusa del giornalismo

Una strada per la Medusa del giornalismo pugliese.

 

A Bari-Palese, la Traversa 25 di via Caputo verrà intitolata a “Wanda Bruschi-Gorjux (Giornalista)”. Allieva di Croce, Wanda Bruschi (1888-1976) è stata una delle prime e più significative figure del giornalismo pugliese.

 

Editorialista e firma ricorrente sulla terza pagina del “Corriere delle Puglie”, quindi della “Gazzetta del Mezzogiorno” – dietro lo pseudonimo di Medusa – fu anche una vivace operatrice culturale.

 

Ricordata anche da Gian Carlo Fusco, nel libro “Le rose del ventennio” (Sellerio), è stata la moglie di Raffaele Gorjux, storico fondatore della Gazzetta. Militante di spicco dell’ala femminile del Partito fascista, con la caduta del regime scelse di ritirarsi a vita privata. (adg).

 

8 gennaio 2004

1° novembre 1887 -1° novembre 2022 135 La Gazzetta del Mezzogiorno Una FIRMA di nome WANDA

Elegante, austera, ma con quel ricciolo di capelli che cadeva un po’ ribelle sulla fronte: ecco a voi Medusa, la prima giornalista la cui firma apparve sulle pagine della “Gazzetta di Puglia”.

 

Wanda Gorjux Bruschi, editorialista battagliera, era una donna del suo tempo, fascista quindi, ma femminista come si poteva essere all’epoca. Una mente aperta, una professionista attenta alla cultura, al costume e soprattutto interessata all’attualità: pensate che in uno dei suoi editoriali incitava i giornalisti e non ridursi al ruolo di “scribacchini” (parole testuali e attuali!), pronti a celebrare “un anniversario come se la vita di un popolo si esaurisse su quel tema. Il nuovo! Il nuovo! L’attuale!”, scriveva.

 

Questa affermazione in realtà ci intimidisce un pò rispetto alla celebrazione dell’anniversario della lunga storia della Gazzetta, tanto che faremo di tutto per raccontare il suo e gli altri personaggi

in modo poco celebrativo, come sarebbe piaciuto a Donna Wanda, che si firmava Medusa ed era sì la moglie del fondatore e direttore del giornale, Raffaele Gorjux (sposato nel 1911), ma era anche una scrittrice coltissima, nata a Bari nel 1888, laureata in Magistero a Roma con un relatore eccezionale come Benedetto Croce.

 

Nota insegnante alla scuola “Gimma”, con lo pseudonimo di Medusa ha lasciato non poche tracce di sé. Nelle pagine d’archivio leggiamo stroncature di libri che fanno invidia agli scribacchini di oggi – appunto – nonché articoli sulla carenza di infrastrutture al Sud, sulle strade mai nate, sui collegamenti necessari come la Ferrovia Foggia-Roma. Oggi come ieri, stesse battaglie. E ancora: Medusa interviene sul tema delle donne lontane dall’informazione e dalla cultura o sul centenario della posa della prima pietra del borgo murattiano e sul volto che Murat aveva dato a Bari.

 

Lei, la Medusa dal ricciolo sulla fronte, provò anche a creare eventi culturali. Aveva avuto anche la lungimiranza di ideare una selezionatissima Fiera del Libro: si fece nel foyer del Teatro

Margherita, tra mare e cielo. Da donna della sua era, racconta il 2 ottobre del 1935 di essersi emozionata a Roma, in piazza Venezia, dove Mussolini davanti a migliaia di persone annunciava l’occupazione militare dell’Etiopia: “Io, cronista, ho avuto la visione del millenario popolo d’Italia”, aggiunge nel suo articolo da inviata.

 

In un tempo in cui anche le immagini di donne erano rare sul giornale, soprattutto in prima pagina (solo le regine, ogni tanto!), la sua penna e la sua firma sono un ricordo indelebile. Un ricordo

finito nell’esilio, quello che scelse dopo la morte improvvisa di suo marito Raffaele Gorjux, il 6 giugno del 1943, per un malore. Poi arrivò il confino vero, da parte della Commissione di epurazione, nel 1945: due anni ad Agropoli, dei quali sconta solo otto mesi, ritirandosi infine nella sua casa di via Crisanzio, dove muore il 29 giugno del 1976. Per avere una strada a lei intitolata (si trova a Bari Palese) è passato un secolo: chissà cosa avrebbe scritto Medusa sul “maschile” della toponomastica!

ENRICA SIMONETTI

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