SPIZZICO FRANCESCO E RAFFAELE

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SPIZZICO FRANCESCO E RAFFAELE

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Spizzico Francesco: Bari, 20 luglio 1910 – 10 ottobre 1981

Spizzico Raffaele: Bari, 25 novembre 1912 – 5 giugno 2003

Pittori, ceramisti, decoratori, scultori, mosaicisti, docenti all’Istituto d’Arte e all’Accademia. Dall’apertura della loro bottega in piazza del Ferrarese a Bari, nel 1939, hanno attraversato per oltre sessannt’anni la scena culturale, non solo in Puglia, ma in tutta Italia con le loro presenze alla Biennale di Venezia, alla Quadriennale di Roma e con numerose mostre collettive e personali.

Provenienti da una famiglia di artigiani di antica tradizione, Francesco e Raffaele Spizzico sono introdotti giovanissimi nel mondo dell’arte dal Maestro Nicola Regail loro nonno materno, abile decoratore sacro. Infatti muovono i primi passi nella bottega che Nicola gestisce con il fratello Francesco, molto nota a Bari: i due seguono le orme del padre Vito, realizzatore di stucchi. Già nel 1928 i fratelli Spizzico aprono in via Melo 39 un primo laboratorio specializzato nella decorazione e nell’allestimento di negozi, oltre che di stand commerciali come quelli per la Fiera del Levante.

Entrambi non seguono studi accademici, anche se Raffaele, che inizialmente sembra più portato per la pittura, partecipa a diversi corsi dell’Ente Pugliese di Cultura, con i maestri Srefano Billà per il Disegno geometrico, Guido Corazzieri per il Disegno ornato, e Gaetano Stella per la Plastica ornamentale, oltre a frequentare saltuariamente l’atelier del pittore veneto Ugo Chiurlia.

In questi anni di formazione, entrambi i fratelli subiscono l’influenza dei fermenti artistici in corso a Napoli, e in particolare di una figura come il pittore salentino Vincenzo Ciardo, docente presso l’Accademia di Belle Arti del capoluogo campano.

Nel 1939 i fratelli Spizzico trasferiscono la loro bottega nel cuore di Bari Vecchia, in piazza del Ferrarese al civico 18, creando da quel momento uno stretto legame con l’anima più verace e colorata della città. Tra quelle mura i due daranno sfogo alla loro creatività per decenni, dipingendo, realizzando dei mosaici e infine anche quelle ceramiche con cui creeranno un nuovo codice stilistico della tradizione pugliese in quest’arte.

La bottega degli Spizzico nei primi anni di vita è anche un importante punto di scambio culturale e d’incontro tra artisti, intellettuali e giovani esponenti del mondo politico locale, tanto da ospitare perfino delle piccole esposizioni. Nel 1943 è fondata al suo interno la “Libera Associazione fra artisti pugliesi”, che coinvolge numerosi esponenti di una scuola locale che cerca di trovare una propria identità, come Roberto De Robertis, Pasquale Morino, Giovanni Conte, Nicola Ficarra e Luigi Russo. Tuttavia, come ha spiegato anni dopo lo stesso Raffaele, questo è stato «impropriamente un gruppo perché non è venuto fuori niente», ma è servito a condividere stimoli e sensazioni. Infatti, per il pittore, «è sbagliato pensare che fosse simile alle Giubbe Rosse o al Caffè Greco. Non è affatto così. Dalle Giubbe Rosse sono usciti i manifesti, le correnti, i premi Nobel. Eravamo un gruppo di amici che invece di vedersi in piazza si vedevano in una pasticceria».

Il ruolo di catalizzatori della scena culturale barese degli Spizzico ha quindi il suo momento più felice negli anni del conflitto mondiale e in quelli immediatamente successivi, in cui la scena artistica nazionale appare allo sbando. In particolare quando – verso la fine della guerra – l’Italia è divisa in due, molti intellettuali, che scappano dalla miseria e dalle violenze, giungono a Bari. In diversi decidono di «fuggire da Spizzico»: infatti le abitazioni dei fratelli e perfino la loro bottega ospitano in quel periodo diversi personaggi di un certo rilievo. Dunque, la contingenza degli avvenimenti porta a formare un cenacolo che riunisce personalità provenienti da tutto il Paese: è in quel contesto che si pongono le basi del “Maggio di Bari”, un’importante mostra di pittura nazionale che vede gli Spizzico tra i promotori. La rassegna parte nel 1951, per poi concludersi – dopo alterne vicende – nel 1968.

L’attività di aggregazione culturale dei fratelli Spizzico, iniziata nella bottega di piazza del Ferrarese, culmina nel 1949 con la fondazione a Bari del SIABA (Sindacato italiano artisti belle arti). Si tratta di una vera e propria associazione di categoria, che ha sede nel castello normanno-svevo, perché tra gli iscritti il sindacato annovera anche lo stesso Soprintendente alle Antichità e Belle Arti di Puglia, Franco Schettini, che sostiene con convinzione l’iniziativa. Supportano la nascita del sindacato molti tra i più affermati pittori di quel periodo, come Roberto De Robertis, Vito Stifano e i Colonna.

Il fermento culturale di quegli anni trova spazio anche in un altro punto d’incontro, frequentato attivamente dagli Spizzico insieme ai più grandi intellettuali dell’epoca: si tratta del “Sottano”, un insolito caffè in via Putignani 90, con due salette retrostanti che diventano il ritrovo di artisti, giornalisti, uomini di cultura, confluiti a Bari negli anni della guerra e poi in quelli della ricostruzione, fino al boom economico. Sorge nel 1937 per mano del pasticcere napoletano Aramando Scaturchio e di sua moglie Rosa Di Napoli, amanti del teatro e promotori di iniziative culturali. I due accolgono nei loro locali personaggi autorevoli, a partire dai meridionalisti baresi Tommaso e Vittore Fiore, che ne rappresentano il cuore intellettuale attento all’identità locale, anche se aperto ai numerosi artisti del Nord. Infatti nel retrobottega del caffè si svolgono discussioni, si inaugurano mostre in quella che, nonostante gli spazi limitati, diventerà una sorta di galleria d’arte ante litteram, che accoglierà anche le opere degli Spizzico.

Ad animare i dibattiti del Sottano sono intellettuali e scrittori come Oronzo Valentini, in seguito direttore de “La Gazzetta del Mezzogiorno”, l’antropologo Ernesto De Martino, gli scrittori Carlo Bernari e Rocco Scotellaro, i poeti Alfonso Gatto e Vittorio Bodini. Frequenta il Sottano anche Carlo Levi, che con i suoi scritti riporta all’attenzione l’antica questione meridionale, dopo il dramma del conflitto mondiale. Per quanto riguarda la pittura, sono frequenti le discussioni sulle nuove tendenze artistiche e sul loro rapporto con la tradizione locale al Sud, che portano anche allo scontro tra le esperienze degli astrattisti come Baldassarre o Saverio Dodaro e i difensori della tradizionale raffigurazione del paesaggio d’impronta napoletana, come Michele De Giosa. Ci si interroga sull’identità di una pittura pugliese nella quale continua a prevalere il vedutismo di molti suoi rappresentanti come Franco Colella, Vito Stifano e Roberto De Robertis, quest’ultimo fortemente influenzato dall’espressionismo della scuola romana.

Quindi la Puglia, attraverso i cenacoli del Sottano, assume per la prima volta un certo peso nel dibattito nazionale di più vasta portata sul ruolo dell’intellettuale, ossia quello che Vittore Fiore definisce il destino sociale degli artisti meridionali: questa corrente di pensiero contribuirà in quegli anni anche al successo del Neorealismo. Dopo aver ospitato le personali di importanti artisti, come lo scultore magiaro Amerigo Tot, Afro, Pericle Fazzini, Corrado Cagli, Domenico Purificato, Luigi Guerricchio, Antonio Bibbò, il caffè chiude alla fine degli anni ‘50, lasciando il ricordo di un’esperienza fondamentale per la cultura pugliese.

La carenza di spazi espositivi in città porta in seguito i fratelli Spizzico a proporre ai colleghi l’apertura di una gallera, dove esporre le proprie opere a rotazione e ospitare altri artisti di fama. Nasce così negli anni ‘70 “La Vernice” in via Putignani, destinata a diventare per molti anni uno dei luoghi d’arte più significativi e un nuovo punto di riferimento a Bari. Quindi, con questa loro inedita esperienza, Francesco e Raffaele riescono anche a fare impresa e a diffondere commercialmente il lavoro di tanti pittori, ceramisti e scultori, oltre al loro.

Infine, in questa panoramica sull’importanza del ruolo culturale ricoperto nel tempo dagli Spizzico in Puglia, non va dimenticata la loro lunga attività di insegnamento, che ha coinvolto intere generazioni di futuri artisti. Francesco è docente presso la Scuola d’Arte Ceramica di Bari, dal 1953 fino al 1975. Invece Raffaele nel 1960 diventa direttore dell’Accademia di Belle Arti di Lecce; successivamente presta la sua opera presso l’Accademia di Bari, dove apre un suo studio d’arte in via Argiro 116, dedicandosi alla didattica fino al 1981.

Relativamente alla sua attività di pittore, Raffaele Spizzico rappresenta una novità assoluta nel panorama pugliese per la raffigurazione del paesaggio, cui dedica gran parte dei suoi studi. Ponendosi in netto contrasto con gli altri vedutisti, inaugura un percorso inedito incentrato su una visione paesaggistica carica di impressioni soggettive, interiori e psicologiche. Nella sua ricerca, a differenza dei colleghi pugliesi e in parte anche del fratello Francesco, si nota un respiro più ampio, d’impostazione europea: partendo dalle correnti postimpressioniste come il divisionismo, il simbolismo e i fauves, sviluppa un proprio linguaggio moderno e alternativo a quello più radicale degli astrattisti.

Nella sua opera si rileva anche l’influenza delle correnti letterarie dell’epoca che lo portano a ideare un linguaggio pittorico intimo e allo stesso tempo cosmopolita. Bisogna ricordare come in quegli anni del ‘900 non esistesse una tradizione pittorica marcatamente pugliese: per questo Raffaele sente la necessità di legarsi a un altro contesto, ripartendo da una visione per nulla oleografica e folkloristica del paesaggio, anche se impregnata di storia, e seguendo le narrazioni del meridionalista Vittore Fiore, che indubbiamente hanno lasciato traccia nei suoi lavori. In questo suo percorso l’artista reinterpreta con personalità la lezione di movimenti come la Scuola Romana, i Sei di Torino e quello legato alla rivista “Corrente”, che a partire dagli anni ’30 tentano di svincolarsi dallo stile figurativo classicheggiante degli anni precedenti, ormai in crisi.

Per Raffaele, e anche per Francesco, sono un ulteriore punto di riferimento le originali evoluzioni della scuola napoletana di quegli anni, e in particolare le ricerche sul paesaggio di Vincenzo Ciardo, con le sue suggestioni sulla visione dello spazio di Cezanne e sul lirismo di Bonnard, ma anche l’esperienza del Gruppo Sud, capace di riunire dal 1947 astrattisti e naturalisti, sotto l’ala di un marcato espressionismo.

La pittura di Raffaele si caratterizza per un uso quasi selvaggio dei colori, che reinterpretano il paesaggio pugliese, suggerendo umori fantastici e sguardi esotici: non è un caso che il grande pittore austriaco Oskar Kokoschka lo definisce «un colorista d’istinto». Le sue opere sono esposte a partire dal 1935 nelle Mostre sindacali di Bari, in cui emergono tutte le figure più importanti per lo sviluppo culturale cittadino di quegli anni, come Onofro Martinelli, Pasquale Morino e Roberto De Robertis. Nel 1945 organizza una sua prima personale con 27 dipinti, che alternano paesaggi e nature morte:

Pasquale Morino commenta queste tele sottolineando il peso e l’originalità del collega e notando come la «campagna pugliese abbia in lui un interprete attento», dove «gli alberi, le rocce, la terra, le nuvole, il cielo sono resi con una pittura grave ed estatica».

L’arte di Raffaele Spizzico supera presto i confini regionali: già nel 1946 è presente in una collettiva alla Galleria S. Bernardo di Roma, dove con Bruno Canella e Antonio Di Pillo espone anche il fratello Francesco. Il critico d’arte Michele Biancale, nel commentare la mostra, nota come lo stato d’animo del pittore si rifletta in modo intenso sulla rappresentazione del paesaggio, trasfigurando una sottile carica spirituale che dona originalità al suo lavoro. Il successo della rassegna romana permette all’artista di essere invitato a Berna, per una nuova collettiva, insieme a Maestri come Carrà, De Pisis, Mafai, Morandi, Fazzini, Omiccioli, Pirandello e Turcato. Ormai pittore affermato, espone in Germania, Svizzera, a New York e in Albania, dove aveva combattuto durante la guerra come aviere scelto, non avendo «mai sparato un colpo, anche quando potevo», come racconta ad Antonella Gaeta.

La grande consacrazione del ruolo della pittura di Raffaele Spizzico per l’arte pugliese avviene con le tre opere esposte nella collettiva del 1954 al “Sottano” di Bari, cui partecipano anche De Robertis, Martinelli, Morino, Russo e il fratello Francesco. Infatti, nel libretto di presentazione Vincenzo Ciardo esalta questi artisti, rilevando come «il fervore delle idee e delle ricerche, impegnando i migliori, ha dato vita a un nucleo di forze attive, alle quali vanno schiudendosi le porte delle massime competizioni artistiche»; in questi anni arrivano numerosi riconoscimenti, come quelli al Maggio di Bari, il Premio Michetti e il Premio Taranto.

Molte delle sue opere sono dedicate alla Murgia, quasi vivisezionata nei suoi colori estivi mediante impasti audaci di materia densa, attraversata da colate incandescenti. Negli anni dell’insegnamento a Lecce, quando inizia a cimentarsi con il paesaggio del Salento, la pittura diviene meno tesa e con maggiori aperture al divisionismo, tanto da frantumarsi in segni vibranti che assumono tonalità quasi simboliste. Tuttavia, nel corso del tempo, Raffaele Spizzico si mette più volte in discussione, dimostrando una grande forza creativa, che lo accompagna fino all’ultima personale a Monopoli, due anni prima di morire, nella quale riesce ancora una volta a sorprendere tutti per la volontà di continuare nel tempo la sua ricerca.

Non meno rilevante per la pittura pugliese è stato l’apporto di Francesco Spizzico: a differenza del fratello minore, la sua arte si sofferma soprattutto sugli oggetti di vita quotidiana. Elementi come orecchiette, taralli, fave, granchi sono reinterpretati in un suo personalissimo stile, sospeso tra il realismo e la modernità, all’insegna dell’invenzione in un contesto di tradizione. Forse la sua marcata preferenza verso il dialogo col popolo, rispetto alle classi dirigenti, ha favorito un certo oblio con il passare del tempo per quello che rimane uno degli artisti più importanti del ‘900 in Puglia. Il “pittore del pianerottolo”, per usare il titolo di un suo autoritratto, paga forse l’essere stato antiaccademico e fuori degli schemi, l’essersi smarcato dalle etichette di scuola con la sua arte che, come per il fratello, supera il vedutismo oleografico da cartolina tipico dei più tradizionali esponenti della scuola napoletana, per offrire una resa drammatica del paesaggio.

Pietro Marino, autore dell’unica monografia esistente sull’artista, ha sottolineato il “realismo intensivo” delle sue opere, sospese tra favola popolare e solide citazioni culturali, ma caratterizzate da un uso dirompente del colore, una “rivoluzione” cromatica che segue la lezione degli espressionisti, con pennellate di grande intensità, spesso in tonalità calde, quasi a riprendere l’esperienza dei fauves.

Molto attivo nel dibattito del dopoguerra, Francesco Spizzico si distingue per alcune posizioni personali, come quelle decisamente contrarie all’arte astratta e informale, ma anche per la feroce critica a Picasso, da lui definito «il Cagliostro della pittura». A differenza del fratello, che ne rivendica l’amicizia e il valore delle opere degli anni ’40, Francesco attacca anche Renato Guttuso, a suo dire incapace anche di dipingere una mano. Questo suo essere allo stesso tempo rivoluzionario e amante della tradizione fa del maggiore degli Spizzico un personaggio davvero unico nel ‘900 barese, un pittore della porta accanto che, attraverso la sua poetica delle piccole cose, riesce a essere anche un interprete moderno della pugliesità.

Nel laboratorio dei fratelli Spizzico, tra i quali secondo Pietro Marino corre «una sotterranea competizione», la lavorazione della ceramica ha assunto un ruolo centrale nel corso degli anni, creando uno stile che ha aperto ai fratelli le porte della Biennale di Venezia nel 1955 e della Quadriennale d’Arte di Roma nel 1965.

Inoltre vanno ricordate le loro partecipazioni dal 1962 al Concorso di Ceramica organizzato dal Museo di Faenza, dove nel 1965 vincono il primo premio offerto dal Ministero dell’Industria. Tante le mostre dedicate alle ceramiche degli Spizzico tra le quali va ricordata l’esposizione prodotta e voluta dalla Galleria Goethe di Bolzano alla prima “ExpoArte” presso la Fiera di Bari e riproposta qualche anno dopo a Modugno.

Secondo il racconto di Raffaele Spizzico a Raffaele Nigro, tutto nasce dal terreno in periferia ereditato – tramite la sorella – da Roberto De Robertis. Il pittore propone ai colleghi di creare un forno in quel suolo, anche sulla spinta delle nozioni apprese dagli insegnanti di ceramica giunti a Bari dopo la creazione dell’Istituto d’Arte. Tuttavia l’idea del laboratorio in società tra diversi artisti naufraga presto a causa di una serie di diatribe e litigi, tanto che gli Spizzico scelgono di proseguire da soli.

Inizialmente è Francesco ad appassionarsi a questa attività, che vive in una dimensione artigianale. Infatti, come ricorda il figlio Gianvito, più volte afferma di sentirsi un semplice artigiano quando si ritrova a manipolare la creta. Così cerca di convincere il fratello a installare un forno nella bottega di Piazza del Ferrarese; tuttavia Raffaele è inizialmente contrario perché ritiene il fondaco poco adatto, per motivi di sicurezza. Così i fratelli aprono un forno sempre nella città vecchia, nei pressi di Santa Teresa dei Maschi e solo in un secondo momento lo trasferiscono nel loro storico laboratorio, fondato nel 1939. Le prime opere, legate alla tradizione modernista, sono firmate dal solo Francesco come “M. Ciccio”, ovvero “Mest Cicce”. Già nel 1946 i suoi lavori, sono esposti con successo a Roma e permettono all’artista di recarsi a Milano alla ricerca di un’apparecchiatura più adatta alle sue esigenze. Col passare degli anni la firma sui pezzi realizzati dalla bottega cambia in “F. S.”, per poi passare a “Fratelli Spizzico” infine “Ceramica Spizzico”, quando nel 1950 anche Raffaele si convince a utilizzare questa forma espressiva.

I fratelli Spizzico nella loro bottega rielaborano un nuovo codice stilistico per rinnovare la tradizionale ceramica pugliese. Così per anni sono plasmati e cotti in piazza del Ferrarese vasi, bambole, palme, totem imbevuti di un immaginario mediterraneo, che risente della cultura popolare e dell’esuberanza barocca, rivisitate mediante un filtro fantastico.

Per Raffaele Nigro si tratta di «creature che (ci) fanno compagnia, che hanno tutto delle bellezze longilinee del nostro novecento africano e conservano la primordialità e l’arcaicità delle Pomone e delle Madri Matute, la bellezza semplificata della figurazione minoica e cretese». I due creano quindi un forte legame con la Puglia più arcaica e lo stile arabesco, che risente delle esperienze della tradizione più antica, tra Peucezia e Magna Grecia, utilizzando anche simboli astrologici e apotropaici della cultura contadina, rielaborati in soluzioni originali. Poi, verso la metà degli anni ’70 (segnati da una grande mostra a Bolzano nel 1977), inizia una nuova stagione per la “Ceramica Spizzico”, con i motivi tipici della cultura popolare reinventati in forme e modelli originali, che risentono delle suggestioni della tradizione medioevale insieme a un rinnovamento contemporaneo.

Chiamato da Raffaele Nigro a rispondere dei riferimenti culturali presenti nelle sue opere in ceramica, Raffaele Spizzico evoca l’importanza dell’atto creativo in sé: «No, io non guardo. Quando manipolo la creta, ci gioco e ciò che viene fuori è a mia insaputa. C’è un punto di partenza storico, ma poi l’ho fatta mia. Forse inconsciamente avrò guardato. Ma quando lavoro, il mio cavalletto è un’isola», tanto che per lui l’arte finisce col diventare «un mezzo per staccarmi dal mondo, dalle cose terrene. È una dimenticanza». Per l’artista l’astrazione mentale ed estetica alimenta il riferimento all’antica tradizione della civiltà rurale e matriarcale.

Nel catalogo per la mostra tenuta alla Fiera del Levante nel 2012 su questa forma di “arte minore” abbracciata con passione dagli Spizzico, che ha consentito ai fratelli di stringere uno stretto legame con un pubblico più vasto, il curatore Roberto Lacarbonara mette a confronto due opere create a distanza di circa quarant’anni, per evidenziarne l’evoluzione a livello formale e compositivo. Il “Gruppo di famiglia” realizzato dalla “Ceramica Spizzico” nel 1956-1957 è una «scultura acuminata e austera, greve e priva di eccessi nella modellazione, uniforme nella tinteggiatura ed essenziale nella giustapposizione degli elementi materici». Inoltre, per quanto riguarda i riferimenti simbolici, quest’opera, «attingendo a un immaginario impressionato dalla sconvolgente scoperta del profondo Mediterraneo, reca in sé tutti i segni di un’adesione a un modello ancestrale e remoto, a un’iconografia certamente dismessa seppur vivace nella dicitura storica da poco tempo revisionata nel corso del neoimperialismo fascista».

Questo linguaggio deriva dalla necessità di riorganizzare il sistema di produzione culturale negli anni ’50, ancora sconvolti dalle profonde lacerazioni nel tessuto sociale. Il lavoro dei fratelli Spizzico nel “Gruppo di famiglia” risente di questo clima: si fa viva in loro la profonda esigenza di un ritorno alla terra, alla natura selvaggia e incontaminata, attraverso la manipolazione diretta degli impasti e dei colori. Inoltre gli artisti scelgono di raffigurare Grandi Madri e Pomone, simboli di fertilità, di rigenerazione, di nascita e rinascita, utilizzando riferimenti formali estremi, che prendono spunto dall’archeologia, dall’esoterismo e dalla tradizione degli avi, rivisitata in uno stile originale.

La seconda opera esaminata da Roberto Lacarbonara è il “Presepe arcaico”, realizzato nel 1999 da un anziano Raffaele Spizzico, ormai rimasto solo in bottega con i suoi fidi aiutanti. Il curatore nota il passaggio a «una produzione lineare, lieve, dolcissima, fragile nei cromatismi e giudiziosa, assolutamente composta e controllata nelle sue parzialità (unità formali quali piccole sfere, spirali, cilindri, striature)»; quindi «la mutazione sembra suggerire una acquisita armoniosità monumentale del soggetto totemico». Inoltre appare profondamente mutata l’iconografia, tanto che «il tema squisitamente cristiano e la prossimità familistica dell’opera sembrano favorire una lettura meno
arcaicizzante, più matura, più adiacente a un soggetto domestico». Raffaele Spizzico, profondamente cattolico, intuisce di doversi affidare a una nuova raffigurazione del sacro, per rappresentare il tema religioso in modo adeguato ai tempi di Giovanni Paolo II:

si svincola dal simbolismo precedente per affrontare un’immagine nuova, più rassicurante o quanto meno più accessibile per il fruitore.

Il “Presepe arcaico” è stato acquisito dal Comune di Bari nel 2001: come spiega Raffaele Nigro nel catalogo di presentazione dell’opera, è definito “arcaico” perché nasce da una materia povera e dalla lunga tradizione, come l’argilla, per raggiungere risultati di grande vivacità espressiva che rimandano alla tradizione mediterranea, citando «le figure vascolari post-appule» e in particolare «quei pittori greci e japigi che hanno prosciugato la figura in poche linee essenziali e tuttavia dense di espressività», tornando quindi alla «figurazione delle origini, affidata a un connubio emozionante di semplicità, di impulso creativo e di sintesi razionale».

Quasi tutte le 48 statue del presepe sono monocromatiche, ricche di particolari che le impreziosiscono: lo spettatore nota i drappeggi, la postura delle mani, le diverse acconciature, i volti estatici e sorpresi dal fenomeno della stella cometa. Mentre gli angeli assistono felici alla scena dal loro posto privilegiato a ridosso della grotta, piccole greggi di pecorelle, raffigurate con particolare cura ai dettagli, arricchiscono la rappresentazione. Presenti anche i Magi, subito riconoscibili per le loro corone d’argento.

Le uniche ceramiche per le quali Spizzico utilizza il colore sono i pezzi della Natività: San Giuseppe, raffigurato senza barba e con dei pantaloni larghi, la Madonna avvolta in uno scialle e il Bambinello, colto in un atteggiamento sereno e allo stesso tempo già turbato dal suo destino di Salvatore del mondo.

Negli anni ‘70 Raffaele Spizzico decide di cimentarsi anche con la scultura, adottando un linguaggio espressivo quasi astratto, con blocchi di materia aspra che si ripetono: si tratta di una serie di impronte, inizialmente incise e scavate nella creta e poi fuse in bronzo, che racchiudono un’energia che riesce a coniugare tratti informali a una consistenza materica dalla chiara matrice meridionale. Per il critico d’arte Vanni Scheiwiller, autore di una monografia sull’opera di ceramista e scultore di Raffaele, con questa nuova attività l’artista porta a compimento la sua visione astratta della natura.

Come un artista del Rinascimento, Raffaele Spizzico riesce a essere a suo agio con ogni tipo di materia, con ogni strumento di lavoro, dalla matita allo scalpello. Del resto è lui stesso a spiegare ad Antonella Gaeta la sua longevità creativa, sempre tesa a nuovi traguardi espressivi, dicendo di non essere mai soddisfatto del risultato del suo lavoro, perché «c’è sempre qualcosa che non mi convince. Ma ho sperimentato tutto, tecniche e forme. Come accadeva nelle botteghe rinascimentali. Ai miei studenti dell’Accademia di Lecce ripetevo che un artista è come un musicista, deve saper sfiorare tutti i tasti». La grande versatilità di questo artista, fondamentale insieme al fratello per il ‘900 pugliese, è stata celebrata nella mostra antologica con centocinquanta opere al Castello Svevo di Bari, realizzata nel 1997 a cura di Giuseppe Appella.

Lo stretto legame degli Spizzico con la città di Bari è testimoniato anche dal grande numero di opere che i due hanno lasciato in spazi pubblici ed edifici privati. Questo tour tra le vie cittadine parte a pochi passi dal luogo in cui sorgeva la bottega “Spizzico Ceramica”, in vico de’ Gironda, nei pressi di piazza Mercantile. In questo angolo nascosto della città vecchia, sotto un arco, si trova un crocifisso in ceramica, opera di entrambi i fratelli e donata alla città nel 1995 da Raffaele. È conservato in un’edicola votiva di colore azzurro, con un vetro a proteggerlo dalle intemperie: la figura di Gesù è circondata dalle anime del purgatorio in attesa di procedere verso la Dimora eterna. Accanto alla raffigurazione sacra è posta la “preghiera del viandante”, nella quale si invita chiunque capiti lì davanti a un momento di meditazione.

Poco distante, nel tratto iniziale della Muraglia, si trova Palazzo Andidero, un tempo sede dell’Assessorato regionale alla Cultura. Si tratta di una costruzione dalle linee contemporanee, progettata da Marcello Petrignani, Marina Ruggiero e Mauro Buffi.

Completata alla fine degli anni ‘70, è da allora al centro di vivaci polemiche tra i detrattori, che ne criticano l’inserimento in un contesto antico, e i sostenitori – primo fra tutti il critico Bruno Zevi – che invece ne esaltano il sensibile linguaggio architettonico, che cita il vicino Fortino di Sant’Antonio. Nel 1991 Raffaele Spizzico, fin da subito tra i difensori dell’opera, realizza la cancellata in bronzo che chiude l’atrio dell’edificio.

Quest’opera, realizzata a dieci anni dalla scomparsa del fratello Francesco, propone una rivisitazione dello stile e dei temi medioevali non solo nelle immagini utilizzate, ma anche nella struttura, con le formelle inserite in una griglia geometrica, proprio come facevano Barisano da Trani e gli altri autori delle grandi porte in bronzo delle cattedrali pugliesi. Tuttavia queste placche sono alternate in un gioco di spazi e di pieni che rende l’aspetto della cancellata molto dinamico nel contrasto tra luci e ombre che si viene a creare.

Tra gli elementi presenti nella cancellata non manca una figura tipica come quella della Pomona, dea romana dei frutti, simbolo di abbondanza e prosperità. Il volto raggiante della dea riprende il tema del sole, raffigurato anche in altre formelle più piccole e simbolizzato anche dalle numerose spirali presenti nell’opera. Altre placche citano alcuni emblemi baresi come la bottiglia della manna di san Nicola, la facciata della basilica del santo o la colonna della giustizia con il suo leone.

In tutta la città sono diversi gli edifici privati, costruiti negli anni del boom edilizio, che conservano nei loro spazi pubblici creazioni degli Spizzico: si contraddistingue per originalità l’atrio all’ingresso di palazzo Borea in corso Vittorio Emanuele II, che ospita una curiosa fontana a parete in ceramica.

Per quest’opera, inserita nel palazzo progettato da Vittorio Chiaia e Massimo Napolitano nel 1961, i fratelli Spizzico utilizzano figure selvagge e primitive, lance e strumenti a percussione, raffigurati con colori molto intensi.

Negli anni ’70 Raffaele Spizzico è chiamato con altri sei illustri artisti – Giuseppe Capogrossi, Alfio Castelli, Umberto Mastroianni, Giò Pomodoro, Mirko Basaldella e Michele Gregorio – a decorare con delle sculture il vasto atrio che collega i dipartimenti della nuova Facoltà di Ingegneria, presso il Campus in via Re David. Con una scelta felice i vertici accademici, utilizzando anche il contributo di sponsor privati, decidono di ravvivare con queste opere il freddo razionalismo degli edifici, volendo anche simboleggiare l’importanza dell’arte nella formazione scientifica dei futuri professionisti. Spizzico realizza due sculture: “Forme”, dove la materia bronzea fuoriesce da una cornice in acciaio inox, come in un quadro, e “Forma nello spazio”, nella quale i grumi di bronzo acquistano una tridimensionalità quasi cilindrica, andando a formare una colonna fuida che sembra scorrere alla vista.

Anche il quartiere della Fiera del Levante ospita diverse opere degli Spizzico: la sala del Consiglio Generale custodisce “L’industrializzazione del Mezzogiorno”, un monumentale olio su tela dipinto da entrambi i fratelli nel 1956 per decorare il Padiglione del Mezzogiorno.

Allo stesso edificio erano destinati anche tre pannelli di graffiti dal tema simile, realizzati nella stessa epoca, ora esposti negli spazi del Museo del Cinema.

Poco distante dalla Fiera, tra corso Vittorio Veneto e viale Vittorio Emanuele Orlando, il palazzo degli uffici dell’Acquedotto Pugliese presenta sul frontone della pensilina d’ingresso una serie di formelle in terracotta della “Ceramica Spizzico”, dai raffinati intagli. Inoltre per l’androne nel 1991 Raffaele crea, utilizzando la tecnica della cera persa, una collezione di bassorilievi in bronzo patinati: si può notare, analogamente alla coeva cancellata per Palazzo Andidero, come l’artista strutturi la sua opera in una griglia, alternando liberamente spazi pieni e spazi vuoti in modo da generare un effetto dinamico di luci e di ombre. Entrambi i lavori presenti nell’edificio sono stati sottoposti a un delicato restauro conservativo, conclusosi nel 2020.

A pochi passi si trova un’altra opera di Raffaele Spizzico: infatti per i Giochi del Mediterraneo nel 1997 sono state realizzate sei “sculture d’acqua”, disposte nella Piazza del Mediterraneo, davanti all’Arena della Vittoria. La scultura di Spizzico, “La Vela”, si confronta con quelle di colleghi più giovani, come Pantaleo Avellis, Nicola Carrino, Fernando de Filippi, Antonio Paradiso, Cosimo Giuliano, tutti nati in Puglia. Si tratta di una forma sinuosa, monocolore e destinata a subire la patina del tempo, che richiama il mare e le navigazioni dei tanti popoli giunti in Puglia nel corso dei secoli. Per plasmarla l’artista utilizza la vetroresina, con un procedimento di fusione simile a quello del bronzo; dovendo lavorare su questa vela alta più di quattro metri, si fa costruire un ponteggio sul quale si arrampica senza timore, nonostante la veneranda età.

Nel 2019 il patrimonio artistico cittadino si è arricchito di altre due opere dei fratelli Spizzico: infatti gli eredi hanno donato alla presidenza della Regione Puglia i bozzetti del concorso per la selezione dei fregi destinati all’aula magna della Corte di Appello e di Assise nel palazzo di giustizia di Bari, in piazza De Nicolò. Si tratta di due pannelli, che misurano 80 x 240 centimetri, creati all’inizio degli anni ’70 come progetti dei mosaici: realizzati con acquerelli e pastelli su carta, applicata su tavole in faggio, sono stati sottoposti a un lungo restauro che ne ha restituito i colori originali e preservato il supporto di legno.

Le due tavole, presentate con il motto “Venerdì” e arrivate seconde al concorso pubblico indetto per decorare l’aula del tribunale, sono rimaste per decenni in un deposito nei pressi della bottega dei maestri, a Bari Vecchia. Dopo anni di oblio, ora abbelliscono una delle sale nel Palazzo della Presidenza della Regione, sul lungomare Nazario Sauro.

Nella prima tavola sono ritratte le personificazioni femminili dei sette diversi rami del diritto: tutte le figure dal collo lungo e dal corpo slanciato sono sedute all’interno di una nicchia. Hanno in mano un codice e un oggetto che ne definiscono l’identità, come delle manette, un sacchetto di monete o un martello. Si nota una chiara ispirazione alla pittura bizantineggiante del XIII secolo, in particolare nel dettaglio delle vesti colorate, caratterizzate da larghi panneggi e pieghe aguzze sulle quali si riflette la luce. Nel secondo pannello invece spicca la Giustizia, rappresentata come una maestosa figura regale che domina la composizione, con abiti sfarzosi. La raffigurazione con enormi ali, una corona in capo e una statuetta nella mano destra rispecchia un’iconografia assolutamente originale per questo tema.

Una strada nel nuovo quartiere Sant’Anna, dedicata ai “Fratelli Spizzico, Maestri d’Arte” rappresenta l’unico vero atto celebrativo di Bari, nei confronti di due artisti che hanno dato così tanto al ‘900 pugliese. La bottega di piazza del Ferrarese, che – dopo 64 anni di attività – aveva ricevuto lo sfratto per far posto a più redditizie attività commerciali quando Raffaele era ancora in vita, è ormai scomparsa. Tra i tanti allievi nessuno ha avuto un’importanza e uno spirito innovativo tale da potersi definire come “erede” della tradizione degli Spizzico.

«Puglia e arte non sono mai andati a braccetto», spiegava Raffaele ad Antonella Gaeta, per poi criticare la scelta di realizzare ben tre Accademie di Belle Arti, che non garantiscono uno sbocco lavorativo per i loro studenti. Del resto anche la storia del “Presepe arcaico” è indicativa della scarsa attenzione del pubblico verso l’arte degli Spizzico: acquisito dal Comune di Bari nel 2001, dopo essere stato esposto per un anno in un fondaco in piazza del Ferrarese, nelle vicinanze della storica bottega d’arte, è finito nei magazzini, per poi essere mostrato al pubblico alla Fiera del Levante nel 2012 e alcuni mesi dopo a Noci. Gianvito Spizzico ne aveva suggerito collocazioni più consone, come ad esempio all’interno dell’ex mercato del pesce o presso il Fortino di sant’Antonio sulla Muraglia, ma non se n’è fatto nulla: ora le 48 statuette fanno parte del patrimonio del Museo Civico barese.

Inoltre pare che nel tempo sia andato perduto l’ingranaggio originale che permetteva alla base rotonda del presepe di ruotare, mostrando allo spettatore tutti i particolari dei singoli pezzi.

Sembra essere caduta nel vuoto anche la proposta, lanciata nel 2016 da Gianvito Spizzico, di intitolare ai due fratelli il nuovo Polo delle Arti Contemporanee di Bari. Eppure Raffaele Spizzico, nel suo dialogo con Raffaele Nigro sul suo “Presepe arcaico”, racconta il sogno di una creare fondazione sul modello di quella intitolata ad Alberto Burri a Città di Castello, donando a Bari una sessantina di opere: «Questo è il programma, ma se dovesse venire meno ho tre eredi, i miei nipoti. Mi hanno voluto molto bene. Ecco, a loro andrebbe ciò che resta». Tuttavia le istituzioni sembrano mostrare scarso interesse per questo lascito morale e materiale. Per Giuseppe Appella, curatore della grande personale di Raffaele al Castello Svevo del 1997, «noi meridionali facciamo sempre di tutto per dimenticare la nostra storia e occultando Spizzico cancelliamo la memoria storica. Non c’è bisogno di nuovi musei di arti e tradizioni popolari. Ma serve che le istituzioni diano spazio alle opere di un artista che ha fatto il Novecento di questa regione. Serve per chi non c’era il secolo scorso».

Vincenzo Camaggio

FAMOSI PER

 

Considerati tra i fondatori della pittura pugliese del ‘900, che dalla metà del secolo si emancipa dalla scuola napoletana, e animatori della vita culturale barese, con la loro bottega “Ceramica Spizzico” creano un punto d’incontro per artisti, intellettuali e politici in quegli anni di fervore culturale. Pittori, decoratori, scultori, ceramisti, attraverso la loro attività accademica hanno formato generazioni di artisti pugliesi.

 

Il tempo della memoria, di Ganvito Spizzico (figlio di Francesco), dal catalogo della mostra delle terrecotte di Francesco e Raffaele Spizzico a cura di Roberto Lacarbonara, tenutasi presso la Fiera del Levante di Bari nel settembre 2012.

 

Ho vissuto da bambino i momenti in cui papà cercava di convincere il fratello ad installare un forno nella loro “bottega” di piazza Ferrarese 18. Raffaele era inizialmente contrario per motivi di sicurezza. Non si fidava della tecnologia in un locale che riteneva poco adatto e fu così che in un locale della città vecchia, nelle vicinanze di Santa Teresa dei Maschi aprirono un laboratorio. Meglio lo racconta Raffaele. Le prime ceramiche, prove di forno, di colore, di cottura, forme, disegni e decori legate al modernismo che si affacciava nelle Arti e nel Design sono firmate da papà, “Mest Ciccio” poi maliziosamente cambiato in F. S. e definitivamente diventato “Fratelli Spizzico” e poi “Ceramica Spizzico” quando Raffaele si convinse a diventare anche “artigiano” come sosteneva Francesco («quando manipolo la creta in questa bottega, sono un semplice artigiano» usava dire). A mio modestissimo avviso (lo affermo da architetto) poderosi e spettacolari nella finezza della decorazione e dello smalto sono alcuni pezzi di quegli anni con segni e decorazioni tipici degli “anni ‘60”. Erano gli anni in cui frequentavano la bottega giovani amanti delle Arti. Allievi prediletti erano Ignazio Lopez e “Vitino” Romita, coloro che ancora oggi mantengono i segreti di una perfetta smaltatura e di miscellanee di terre che una volta cotte ottengono gli effetti che fanno di queste ceramiche dei pezzi strabilianti. Io giocavo con la creta e con Ignazio ce la tiravamo dietro. Vitino Romita era più serioso. Poi negli anni successivi si aggiunse Michele Schino. Altro discepolo prediletto di papà.
Il forno fu poi trasferito in bottega e lì riprese vigore quel cenacolo di ritrovo di intellettuali e artisti che costituì, negli anni dello sviluppo economico e fino al 2003, alla scomparsa di Raffaele rimasto solo dagli anni ’80, un luogo ove incontrarsi, discutere, confrontarsi. A confermarsi quella “Bottega delle Storie” con il suo bagaglio di uomini e idee che sono stati protagonisti di una stagione che ha segnato la storia culturale del Novecento pugliese. Un luogo – ahimè – non più proponibile.

Fra i ricordi, alcuni diventati dei veri e propri aneddoti su Francesco Spizzico vi è quello che narra del suo rapporto con il mitico “Colino patana”. Allora i fratelli avevano anche una ditta di allestimenti e scenografie. Nicola era l’uomo di fatica della bottega. Era soprannominato “patana” perché vendeva patate al mercato di Bari vecchia. Papà aveva grande considerazione del suo gusto umile e popolare.

Quando finiva di plasmare un pezzo lo chiamava e gli chiedeva se gli piacesse. Se “Colino” annuiva lo passava alla cottura, se “Colino” a bocca semichiusa pronunciava un “tz” … lo buttava giù e ricominciava.

V.C.

FAMOSI PER

 

Considerati tra i fondatori della pittura pugliese del ‘900, che dalla metà del secolo si emancipa dalla scuola napoletana, e animatori della vita culturale barese, con la loro bottega “Ceramica Spizzico” creano un punto d’incontro per artisti, intellettuali e politici in quegli anni di fervore culturale. Pittori, decoratori, scultori, ceramisti, attraverso la loro attività accademica hanno formato generazioni di artisti pugliesi.

 

Il tempo della memoria, di Ganvito Spizzico (figlio di Francesco), dal catalogo della mostra delle terrecotte di Francesco e Raffaele Spizzico a cura di Roberto Lacarbonara, tenutasi presso la Fiera del Levante di Bari nel settembre 2012.

 

Ho vissuto da bambino i momenti in cui papà cercava di convincere il fratello ad installare un forno nella loro “bottega” di piazza Ferrarese 18. Raffaele era inizialmente contrario per motivi di sicurezza. Non si fidava della tecnologia in un locale che riteneva poco adatto e fu così che in un locale della città vecchia, nelle vicinanze di Santa Teresa dei Maschi aprirono un laboratorio. Meglio lo racconta Raffaele. Le prime ceramiche, prove di forno, di colore, di cottura, forme, disegni e decori legate al modernismo che si affacciava nelle Arti e nel Design sono firmate da papà, “Mest Ciccio” poi maliziosamente cambiato in F. S. e definitivamente diventato “Fratelli Spizzico” e poi “Ceramica Spizzico” quando Raffaele si convinse a diventare anche “artigiano” come sosteneva Francesco («quando manipolo la creta in questa bottega, sono un semplice artigiano» usava dire). A mio modestissimo avviso (lo affermo da architetto) poderosi e spettacolari nella finezza della decorazione e dello smalto sono alcuni pezzi di quegli anni con segni e decorazioni tipici degli “anni ‘60”. Erano gli anni in cui frequentavano la bottega giovani amanti delle Arti. Allievi prediletti erano Ignazio Lopez e “Vitino” Romita, coloro che ancora oggi mantengono i segreti di una perfetta smaltatura e di miscellanee di terre che una volta cotte ottengono gli effetti che fanno di queste ceramiche dei pezzi strabilianti. Io giocavo con la creta e con Ignazio ce la tiravamo dietro. Vitino Romita era più serioso. Poi negli anni successivi si aggiunse Michele Schino. Altro discepolo prediletto di papà.
Il forno fu poi trasferito in bottega e lì riprese vigore quel cenacolo di ritrovo di intellettuali e artisti che costituì, negli anni dello sviluppo economico e fino al 2003, alla scomparsa di Raffaele rimasto solo dagli anni ’80, un luogo ove incontrarsi, discutere, confrontarsi. A confermarsi quella “Bottega delle Storie” con il suo bagaglio di uomini e idee che sono stati protagonisti di una stagione che ha segnato la storia culturale del Novecento pugliese. Un luogo – ahimè – non più proponibile.

Fra i ricordi, alcuni diventati dei veri e propri aneddoti su Francesco Spizzico vi è quello che narra del suo rapporto con il mitico “Colino patana”. Allora i fratelli avevano anche una ditta di allestimenti e scenografie. Nicola era l’uomo di fatica della bottega. Era soprannominato “patana” perché vendeva patate al mercato di Bari vecchia. Papà aveva grande considerazione del suo gusto umile e popolare.

Quando finiva di plasmare un pezzo lo chiamava e gli chiedeva se gli piacesse. Se “Colino” annuiva lo passava alla cottura, se “Colino” a bocca semichiusa pronunciava un “tz” … lo buttava giù e ricominciava.

V.C.

DICONO DI LORO

«Nel panorama della cultura artistica del Novecento pugliese, i fratelli Spizzico hanno rappresentato un raro fenomeno di armoniosa coesistenza di tre livelli di attività: la creazione, la promozione, la trasmissione dell’arte, intesa in un’accezione ampia e significativa. È interessante soprattutto il terzo aspetto, quello di cercare di non disperdere un mestiere antico e di insegnarlo ai giovani di talento».

 

Clara Gelao, ex direttrice della Pinacoteca metropolitana “Corrado Giaquinto” di Bari.

FONTI BIOGRAFICHE, SITI WEB E VIDEO

Cancellate e ringhiere: anche Bari ha i suoi «ferri» d’arte, Gazzetta del Mezzogiorno, 29 maggio 2020. Centenario della nascita di Francesco Spizzico, protagonista della pittura pugliese del ’900. Oggi conferenza stampa, Ionotizie.it, 20 luglio 2010. Crocifissi, cancellate e fontane: tra le strade di Bari si nasconde l’arte dei fratelli Spizzico, Giulia Mele, BarInedita, giovedì 5 marzo 2020. Dioguardi: «I fratelli Spizzico? Un simbolo di Bari», EPolis Bari, 13 ottobre 2016. Donati alla Regione due pannelli artistici dei fratelli Spizzico, Puglia Positiva, 11 settembre 2019.
E Bari ricorda i cento anni di Spizzico, Salvatore F. Lattarulo, Corriere del Mezzogiorno, 21 luglio 2010. Fondazione Spizzico promessa dimenticata, Carlo Alberto Bucci, La Repubblica, 07 marzo 2004. Francesco e Raffaele Spizzico, le opere donate alla Regione, Affaritaliani.it, 11 settembre 2019. Francesco Spizzico, P. Marino, Agenzia d’Arte Moderna, 1983. Il presepe arcaico cerca casa, dimenticata l’arte di Spizzico, Annadelia Turi, La Gazzetta del Mezzogiorno, 15 maggio 2013. Il Presepe Arcaico di Raffele Spizzico, Raffaele Nigro, Comune di Bari, 2001. Il presepe di Spizzico un capolavoro arcaico, Antonio Rossano, La Repubblica, 29 dicembre 2002.

Il Sottano, Maria Catalano Fiore, La Voce News, 9 aprile 2020. In ricordo di Raffaele Spizzico la tradizione della modernità, Antonella Marino, La Repubblica, 08 giugno 2003. La bottega delle storie: Francesco e Raffaele Spizzico, Maria Catalano Fiore, La voce News, 21 aprile 2020.

La bottega delle storie, un omaggio ai Maestri dell’Arte, Catalogo della mostra delle terrecotte di Francesco e Raffaele Spizzico a cura di Roberto Lacarbonara tenutasi presso la Fiera del Levante di Bari nel settembre 2012.

Le ceramiche di Francesco e Raffaele Spizzico, Pina Belli d’Elia, Galleria Le Volte, 1982.

Le sculture d’acqua, Aurelio Valente, in Bari svelata. Bellezze nascoste o poco conosciute, a cura di Michele Buquicchio, Adda Editore, Bari, 2020.

Le sculture del Politecnico di Bari, Nicola Costantino, in Bari svelata. Bellezze nascoste o poco conosciute, a cura di Michele Buquicchio, Adda Editore, Bari, 2020.

L’omaggio a Spizzico, Anna Puricella, La Repubblica, 21 luglio 2010.

Puglia, alla Regione arrivano le opere dei Fratelli Spizzico dedicate alla giustizia, La Gazzetta del Mezzogiorno, 10 settembre 2019.

Raffaele Spizzico, AA. VV., Edizioni Dedalo, Bari, 1993.

Raffaele Spizzico: scultore e ceramista, testi di Vanni Scheiwiller e Pina Belli D’Elia, collana Arte Moderna italiana n.105, Vanni Scheiwiller Editore – All’Insegna del Pesce d’Oro, Milano, 1993. Sculture d’acqua, Giusy Petruzzelli, Comune di Bari, settembre 1997.

Spizzico, una vita dai colori forti, “Ma questa Bari non la riconosco”, Antonella Gaeta, La Repubblica, 24 novembre 2002.

Verso il Museo: per una collezione di arte contemporanea dell’Accademia di Belle Arti di Bari, a cura di Maria Vinella con Giancarlo Chielli e Giustina Coda, (scheda “Raffaele Spizzico” di Isabella Di Liddo), Gangemi Editore, Roma, 2015. Catalogo mostra ceramiche dei fratelli Spizzico alla Fiera del Levante (2012): www.gruppopopolarebari.it/content/dam/bpb/PDF/News—Eventi/Catalogo%20Spizzico%20ok_low.pdf

Bari, in Presidenza della Regione un’opera inedita dei fratelli Spizzico (servizio di tmrh24, del 2019): https://www.youtube.com/watch?v=UpuVM8VAzRI

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