MANTOVANO ALFREDO

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MANTOVANO ALFREDO

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Magistrato, scrittore, deputato, Il 23 ottobre 2022, nel primo Consiglio dei Ministri presieduto da Giorgia Meloni, viene nominato Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Sposato, ha tre figli. Laureato in Giurisprudenza all’Università La Sapienza di Roma nel 1981 con una tesi sui Problemi di legittimità costituzionale della legge 22 maggio 1978 n. 194 (la legge italiana sull’aborto), relatore il Prof. Manlio Mazziotti di Celso.

Nel 1983 entra in magistratura. Dal 1985 al 1987 svolge le funzioni di pretore presso il Tribunale di Ginosa; dal 1988 al 1996 è giudice penale al Tribunale di Lecce; nel 1995 diventa Capo dell’Ufficio legislativo del Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali.

Dal maggio 2013 è consigliere alla IV sezione penale della Corte di appello di Roma, dove si occupa – fra l’altro – di misure di prevenzione e di diritto penale europeo e internazionale e coordina l’ufficio delle rogatorie internazionali. Da ottobre 2018 è consigliere di sezione penale alla Corte di Cassazione.

Giornalista pubblicista dal 1984, collabora col settimanale Tempi e con svariati quotidiani, della carta stampata e on line.

Tra i diversi incarichi va segnalata la Presidenza dal 2015 della sezione italiana della fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre, che si occupa di persecuzioni religiose. Dal 2015 è vicepresidente del Centro studi Rosario Livatino, che fu ucciso, in un agguato mafioso, la mattina del 21 settembre ’90 sul viadotto Gasena.Il Centro Studi, costituito da magistrati, avvocati, notai e docenti di materie giuridiche, ha come missione l’approfondimento delle tematiche che fanno riferimento alla vita, alla famiglia, alla libertà religiosa e al ruolo della giurisdizione. Dal 2018 è direttore responsabile di L-Jus, la rivista semestrale online del Centro studi Livatino. www.centrostudilivantino.it

 

Attività politica

Nel 1996, Mantovano fa il suo ingresso in politica, candidandosi nel Collegio Puglia n. 8 in occasione delle elezioni politiche, e ottiene la sua prima elezione alla Camera dei deputati della XIII legislatura della Repubblica Italiana, con 37.056 voti, pari al 50.8%. Ha fatto parte delle commissioni parlamentari di Giustizia e Antimafia. Nel 1997 si iscrive al partito Alleanza Nazionale. Come componente della Commissione antimafia, ha coordinato, dal 1997 al 1999, il 1° comitato, che si occupava delle misure di contrasto del racket, dell’usura, del riciclaggio, nonché delle connessioni tra criminalità organizzata e appalti. Dal giugno 2000 alla fine della Legislatura ha coordinato il Comitato sul contrabbando, e in tale veste su questo tema ha condotto una terza indagine, conclusa con una relazione approvata dalla Commissione.

Nelle elezioni politiche del 2001, si candida per la Casa delle Libertà al collegio di Gallipoli, ma non viene rieletto. Nella XIV legislatura (2001-2006), ricopre l’incarico di sottosegretario al Ministero dell’Interno nel Governo Berlusconi II, con delega alla pubblica sicurezza, alla presidenza della Commissione sui programmi di protezione per collaboratori e testimoni di giustizia, al commissario antiracket e antiusura, al commissario sulle vittime della mafia.

Nelle elezioni politiche del 2006, si candida al Senato per AN nella circoscrizione “Puglia”, e viene eletto. All’opposizione nella XV legislatura, ha fatto parte della commissione Affari Costituzionali e del Comitato parlamentare di controllo sui servizi di informazione e di sicurezza. Primo firmatario di mozioni, interpellanze e interrogazioni, ha fatto sette proposte di legge, tra cui quelle sull’istituzione di una procura antiterrorismo e del riordino delle forze di polizia italiane.

Rieletto deputato nel 2008 per il Popolo delle Libertà, nella Circoscrizione Puglia, durante la XVI legislatura, è nuovamente sottosegretario all’Interno nel Governo Berlusconi IV dal 12 maggio 2008 al 12 novembre 2011 con delega alla pubblica sicurezza, alla presidenza della Commissione sui programmi di protezione per collaboratori e testimoni di giustizia, al Commissario antiracket e antiusura, al Commissario sulle vittime della mafia e al Commissario sulle persone scomparse. Dalla cessazione dell’incarico di governo è entrato a far parte della Commissione Bilancio della Camera dei Deputati.

Alla scadenza della Legislatura, decide di non candidarsi alle elezioni politiche del 2013 e rientra in ruolo nella Magistratura; da ottobre 2018 a ottobre 2022 è stato Consigliere alla Corte di Cassazione 2° sezione penale)

Il 23 ottobre 2022, nel primo Consiglio dei Ministri presieduto da Giorgia Meloni, viene nominato Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega al Consiglio dei Ministri; è autorità delegata ai Servizi di informazione e sicurezza. Nella delega rientra anche il Dipartimento antidroga della Presidenza del Consiglio.

 

Pubblicazioni

  • La giustizia negata. L’esplosione della criminalità fra crisi dei valori ed emergenza istituzionale(Piacenza, 1992);
  • Giustizia a una svolta. Verso il tramonto o verso il ricupero della legalità?(Piacenza, 1993)
  • La riforma della custodia cautelare. Una prima lettura in base ai lavori preparatori, saggio pubblicato in due parti sulla rivista La Giustizia penale, novembre 1995 e dicembre 1995
  • Testimoni a perdere(Lecce, 2000)
  • Miliardi in fumo(Lecce, 2001)
  • Ritorno all’Occidente. Bloc-notes di un conservatore(Milano, 2004)
  • Verso una nuova amministrazione: un passaggio complesso (Roma 2004)
  • Prima del kamikaze. Giudici e legge di fronte al terrorismo islamico(Soveria Mannelli, 2005)
  • Il dovere dell’identità(Soveria Mannelli 2006)
  • La Guerra Dei Dico(Soveria Mannelli, 2007)
  • Immigrazione senza regole(Fondazione Magna Carta, 2007)
  • Libertà dalla droga. Diritto, scienza, sociologia(con Massimo Introvigne e Giovanni Serpelloni) (Milano, 2015)
  • Omofobi per legge? Colpevoli per non aver commesso il fatto(Cantagalli Siena, 2020)
  • In vece del popolo italiano. Percorsi per affrontare la crisi della magistratura(Cantagalli, Siena 2020)
  • Legge omofobia perché non va. La proposta Zan esaminata articolo per articolo(Cantagalli, Siena 2021)
  • Un Giudice come Dio comanda. Rosario Livatino, La toga e il martirio (il Timone, Milano 2021).

https://lanuovabq.it/it/rosario-livatino-un-giudice-come-dio-comanda

IL LIBRO

Rosario Livatino, un giudice come Dio comanda

Domani, domenica 9 maggio, è in programma la cerimonia di beatificazione del giudice Rosario Livatino, ucciso in odium fidei il 21 settembre 1990 da quattro uomini della Stidda. Una figura straordinaria, che alla professionalità unì una grande fede, come spiega il libro “Un giudice come Dio comanda” (Il Timone), a firma di Alfredo Mantovano, Domenico Airoma e Mauro Ronco.

È il primo magistrato in epoca moderna a essere beatificato, con la cerimonia che si terrà domani, domenica 9 maggio 2021, nella cattedrale di Agrigento e che sarà presieduta dal cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle cause dei santi: parliamo del “giudice giusto”, del “giudice giovane” Rosario Livatino. Ucciso in odium fidei il 21 settembre 1990, mentre dalla sua residenza a Canicattì si recava al lavoro ad Agrigento percorrendo la strada statale n. 640, aveva solo 38 anni, eppure – come si legge nel Decreto sul suo martirio autorizzato da papa Francesco il 21 dicembre 2020 – era già finito sotto l’occhio dei gruppi mafiosi “emergenti” del suo territorio a causa della «sua nota dirittura morale per quanto riguarda l’esercizio della giustizia, radicata nella fede.

Dai persecutori, il Servo di Dio era ritenuto inavvicinabile, irriducibile a tentativi di corruzione proprio a causa del suo essere cattolico praticante».

Di questa straordinaria figura, ancora poco nota e in parte incompresa, tratta il libro Un giudice come Dio comanda – Rosario Livatino, la toga e il martirio a firma di Alfredo Mantovano, Domenico Airoma e Mauro Ronco (Il Timone, 14 euro), rispettivamente vicepresidenti e presidente del Centro Studi Livatino.

Chi era l’uomo e il magistrato Livatino? In quale contesto storico, sociale e legislativo si trovò a operare? In cosa si distingue da figure maggiormente note quando si parla di contrasto alla mafia, come i magistrati palermitani Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, entrambi a loro volta uccisi nel 1992? Ancora: come traduceva la fede nell’ordinarietà della sua vita lavorativa e privata? E cosa può insegnarci oggi questo magistrato fuori dal “sistema”? Sono questi solo alcuni degli interrogativi che i tre autori vanno a sciogliere in Un giudice come Dio comanda, peraltro facendo largo riferimento alle sentenze di merito, divenute definitive, pronunciate nei tre tronconi processuali relativi al suo omicidio.

Livatino era una persona riservata ma nel contempo disponibile, era un lavoratore instancabile, preciso e attento fin nei minimi dettagli, che non ha mai fatto un “copia e incolla”, ed era un fine conoscitore della legge, che applicava con rigore, pur nel rispetto delle persone che era chiamato a giudicare. Un uomo che poneva la propria coscienza Sub tutela Dei, come ben si comprende dalla frase che annotò sulla propria agenda il 18 luglio 1978, a soli 26 anni, giorno del suo ingresso in magistratura: «Che Iddio mi accompagni e mi aiuti a rispettare il giuramento e a comportarmi nel modo che l’educazione, che i miei genitori mi hanno impartito, esige». E questo mettersi al servizio di Dio, tramite la giustizia, lo portò già in vita a sacrificarsi in prima persona: su tutto, nella scelta di non mettere su famiglia, ma anche nel non volere la scorta, decisioni entrambe fondamentalmente prese per non mettere in pericolo altre vite umane, assieme alla propria.

Ed è stata proprio la sua coerenza nel giudicare, il suo porsi sotto il Padre anziché sotto un padrino, il suo essere fuori dal “sistema”, così come la scelta di non tutelarsi a livello personale, pur in un contesto che vedeva il quadro normativo di contrasto alla mafia ancora agli albori (per esempio con l’assenza dei cosiddetti “pentiti” o del “carcere duro”, 41 bis, per i mafiosi) e in un clima geografico e sociale che lo vedeva esprimere sentenze anche nei confronti dei mafiosi suoi compaesani, a determinare la scelta degli “emergenti” della “Stidda” di Canicattì di commissionare alla “Stidda” di Palma di Montechiaro la sua uccisione. Un delitto che va ben oltre la vendetta per una sentenza pronunciata da Livatino; un delitto compiuto con efferatezza da ben quattro killer, che è stato sfruttato dalla “Stidda” anche per dare un segnale della propria potenza da un lato allo Stato e dall’altra alla contrapposta organizzazione mafiosa “Cosa nostra”; e un delitto compiuto, come si diceva, in odium fidei, che in occasione della beatificazione ci porta a guardare a una figura che al giorno d’oggi ha molto da insegnare, a magistrati e non.

Giulia Tanel

Un giudice come Dio comanda

 

Un giudice come Dio comanda

Che profilo deve avere un giudice come Dio comanda? Un tecnico raffinato? Un creatore della norma?
La risposta si chiama Rosario Livatino. Il 21 settembre 1990, quando è stato assassinato aveva 38 anni, lavorava come magistrato ad Agrigento.
Il suo profilo è antitetico a quello di un magistrato di “sistema. Si è sempre mostrato convinto che compito del giudice non sia inventare la norma, bensì applicarla, secondo competenza e coscienza.
Coscienza che ha posto S.T.D., Sub tutela Dei: è il primo magistrato in epoca moderna a essere beatificato (pag. 128)

 

Gli autori:
Alfredo Mantovano
Consigliere della Suprema Corte di Cassazione,
vicepresidente del Centro studi Rosario Livatino

Domenico Airoma
Procuratore della Repubblica di Avellino,
vicepresidente del Centro studi Rosario Livatino Mauro Ronco
Professore emerito di diritto penale,
presidente del Centro studi Rosario Livatino

Mantovano propone un restyling nella PA: “Via i reati che paralizzano, come l’abuso d’ufficio” (rainews.it)

Mantovano propone un restyling nella PA: “Via i reati che paralizzano, come l’abuso d’ufficio”

La ratio, spiega il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, sta nel fatto che spesso queste fattispecie non portano a condanne. Sul Codice degli appalti: “Quello integrato fa risparmiare tempo; ma questo non significa saltare le regole”

16/12/2022

Un restyling dei reati contro la Pubblica amministrazione ci vuole. Significa togliere di mezzo fattispecie di reato come l’abuso d’ufficio, che non portano quasi mai a condanne definitive, però hanno un effetto paralizzante nel momento in cui inizia l’indagine”: l’idea la lancia il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano (magistrato), intervenendo nel pomeriggio a un dibattito sulla giustizia.

“Sulle stazioni appaltanti, l’ipotesi di partenza riguarda ciò che è consegnato dal testo del Consiglio di Stato, cioè il limite dei 500 mila euro come qualificazione della stazione appaltante: è un’ipotesi che è molto sostenuta dai comuni, con delle ragioni tutt’altro che infondate; ma è un’ipotesi aperta che viene lasciata all’approfondimento, nell’interlocuzione sia con l’Unione europea che con il Parlamento”.

In riferimento al Codice degli appalti, approvato in Cdm, Mantovano ha detto che “l’intento complessivo del governo, che si manifesta con una ragionevole ed equilibrata riforma dei reati contro la Pubblica amministrazione, con la riforma degli appalti e altre misure, si riassume con la formula che il presidente del Consiglio ha indicato fin dal suo insediamento con il discorso alle Camere. E cioè di non ostacolare coloro che hanno voglia di fare”.

Alfredo Mantovano ha poi aggiunto che “l’appalto integrato permette risparmio di tempo e forse, eliminando alcuni passaggi, elimina anche alcune occasioni, ma questo non significa saltare le regole. Dal punto di vista dell’abbattimento dei tempi, porre i pareri non uno dietro l’altro ma uno a fianco all’altro; poi, operare una sintesi permette di guadagnare tempo. Vale in assoluto ma in un momento in cui l’inflazione ha ripreso a galoppare, è una scelta di buon senso” ha aggiunto ancora il sottosegretario alla presidenza del Consiglio.

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