BUQUICCHIO FAMIGLIA

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BUQUICCHIO FAMIGLIA

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Bitonto

(estratto dal libro di Giovanni Buquicchio “ Storia di una famiglia bitontina legata al territorio: i Buquicchio – Le mie radici”, Cacucci Editore, Bari, 2021, per gentile concessione dell’Autore).

Premessa

Giunto all’età in cui si ha tempo e voglia di rivedere le sequenze del film della propria vita, ho avvertito l’esigenza di riscoprire la mia famiglia, nella sua più ampia dimensione, intesa come comunità di appartenenza, in cui poter innescare un rapporto col passato, che fosse non solo conoscitivo, ma anche emotivo.
Il senso della conoscenza storica delle proprie origini, infatti, non è solo erudizione, perché scoprire il passato della famiglia non rappresenta esclusivamente un percorso di cognizione dell’ uomo contemporaneo, ma pure un cammino obbligato per conoscere se stesso (nell’intimo, oltre che nelle
relazioni sociali), la propria cultura ed il proprio ruolo nella società moderna.
Invero, la riscoperta delle origini aiuta l’uomo d’oggi ad acquisire conoscenza delle sue radici personali e sociali, e gli rende il grande servizio di poter cogliere, con occhi vigili e attenti, la propria natura e dimensione, e comprendere così compiutamente gli avvenimenti del passato.
In mancanza di un archivio familiare, ho inteso stimolare l’interessamento personale dei più
giovani Buquicchio a memoria storica familiare, con l’ambizione di trasmettere ad essi le migliori
tradizioni e soprattutto i valori della nostra gente: gente per bene, non di rango aristocratico, ma della più sana borghesia, con tradizioni di signorilità e di sana intraprendenza. I fatti, i valori espressi dalla famiglia nella comunità locale e nella realtà economico-sociale parlano nel tempo di proprietari terrieri e piccoli industriali di prodotti agricoli, spesso pure di professionisti onesti e stimati, che soprattutto con le loro iniziative aziendali hanno segnato una svolta rispetto al vecchio latifondismo, e dato il loro contributo innovativo a quell’attività agricola e piccola industria connessa su cui poggia, ancora ora, molta economia del nostro territorio.

Giuseppe Buquicchio e la sua famiglia patriarcale.

Il 24 novembre 1823 nacque in Bitonto il mio bisnonno Giuseppe Buquicchio e vi morì il 23 aprile 1886. Fu uomo di grande operosità, che incrementò il patrimonio agricolo familiare e alla coltura dei terreni aggiunse la cura dell’allevamento del bestiame. Dall’ Annuario storico-statistico-commerciale di Bari e Provincia, 1882/1883, emerge come Giuseppe Buquicchio, residente in via Amodeo 67 a Bitonto, fosse anche commerciante di prodotti propri, consistenti in “ olio, vino, mandorle, semi diversi”.
Egli sposò l’ 8 febbraio 1846 Maria Giuseppa Casalini ( 1830/1895) ed ebbe un’ampia famiglia, che condusse con stile patriarcale, testimoniato da una larga figliolanza: dodici figli, sei maschi e sei femmine, tutti sposati con esponenti di ottime famiglie, soprattutto del territorio.
I figli maschi furono Vincenzo (1852/1926),sposato con Angelica La Monica; Pasquale (1857/1920),sposato con Giuseppina Ferrara; Francesco (1859/1924), sposato con Rosa Mastromatteo; Ignazio (1860/1936), sposato con Maria Abruzzese; Giulio (1865/1932), sposato con Elena Marchetti; e mio nonno Giovanni ( 1869/1942), sposato con la nonna Angela Lamberti.
Le figlie femmine furono Anna, sposata con Giulio Ferrara; Vincenza, sposata con Ignazio Servedio; Antonia, sposata con Pasquale Donadio; Maddalena, sposata con Giovanni Traversa; Angela, sposata con Michele Santoro; e Luisa, sposata con Giovanni Trerotoli.
Le notizie più numerose si evincono su Pasquale Buquicchio e suo figlio Francesco dal volume Puglia d’oro (a cura di Renato Angiolillo, Edizioni di Puglia d’ oro, Laterza e Polo, 1936,– Anno XIV, vol. I, pag.192) e dalla pubblicazione del Comune di Bitonto “ I Sindaci di Bitonto dall’Unità d’Italia a oggi”, curato da Antonio Castellano e Michele Muschitiello.
Nei libri si legge, in particolare, che Pasquale Buquicchio nacque a Bitonto nel 1857 da famiglia originaria della Spagna, fu esperto agricoltore ed ottimo amministratore della sua proprietà, che trasformò da pascolo e seminativo in vigneto e oliveto. È descritto come buon Sindaco di Bitonto in tempi difficili e turbolenti, dal 1909 al 1911, e si ricorda che diede alla città un’ampia e ridente Villa comunale.
Suo figlio Francesco viene descritto come successore nell’ amministrazione dei beni, cui aggiunse l’ esercizio di una vasta masseria in agro di Spinazzola, ereditata da uno zio materno, cav. Luigi Ferrara.
Nel 1926, a seguito del suo matrimonio con una Lacava di Lucania, portò l’asse patrimoniale a circa duemila ettari di coltura, operandosi anche per trasformare le proprietà della moglie.

Le masserie rurali.

Molti altri componenti della famiglia Buquicchio furono interessati all’ acquisto di terreni agricoli, agevolati dallo smembramento dei secolari corpi feudali ed ecclesiastici, operato con le leggi liberalizzatrici dei Re francesi dell’ inizio del XIX secolo.
Acclimatatisi nelle nuove terre, i Buquicchio divennero buoni amministratori ed esperti agricoltori, ingrandendo sempre di più il patrimonio fondiario, trasformando i terreni da pascolo e seminativo in rigogliosi e fruttiferi vigneti, oliveti e mandorleti, e nelle colture più varie; rendendo più fertili e produttivi i predi con le trasformazioni apportate mediante spietramento dei terreni e opere d’irrigazione, costruendo stabilimenti per piccole industrie finalizzate alla produzione del vino e dell’olio, e depositi per le derrate alimentari.
In tale contesto, vennero realizzate “ ex novo” o riutilizzate congruamente antiche masserie rurali, nelle quali fu privilegiato il settore vitivinicolo: in quanto nel territorio mariottano era stata soprattutto la viticoltura a diffondersi, tanto da divenire l’ attività agricola principale della zona.
Le masserie comprendevano normalmente casa, palmento, pescara, frutteto e piccolo giardino; e costituivano espressione della tradizione pietrosa delle costruzioni nell’“ager botontinus”, legate all’ umanesimo della pietra e del duro calcare locale.
A fine ‘800- inizio ‘900 la nostra famiglia possedeva almeno sei masserie alle Matine:
• masseria nota con l’appellativo di don Pasquale, oggi contrassegnata dal cartello storico-turistico “ Masseria Grande di Buquicchio”;
• masseria detta di don Vincenzo, oggi segnata dal cartello “Masseria di Buquicchio”;
• masseria di don Ignazio, detta masseria piccola, appartenente al ramo familiare del cav. Ignazio Buquicchio;
• taverna della Lacerta ( o Lucertola), detta di don Giulio;
• masseria di don Giovanni, realizzata da mio nonno tra il 1898 ed il 1905;
• masseria detta di Domenico Lucia, come da cartello storico-turistico ora esistente.

Il mio ramo familiare.

Come già accennato, il minore dei figli maschi di Giuseppe Buquicchio, nonno Giovanni, sposò nel 1896 mia nonna Angela Lamberti, nata il 7 settembre 1865 e morta prematuramente il 25 febbraio 1914.
Da L’ Araldo- Almanacco nobiliare napoletano-1910, si evince come quella dei Lamberti fosse una famiglia Patrizia della città di Bari, e che Angela discendeva dai nonni Cesare e Anna Caracciolo (dei Principi di Forino), e dai genitori Nicola Lamberti e Maria Teresa Tamburini.
Nicola (1820- 1867) sposò la Tamburini in data 30 aprile 1859 e ne ebbe quattro figli: Cesare (del 1860), Francesco Paolo (del 1862), Ferdinando (del 1863) e Angela (del 1865); e quest’ultima sposò Giovanni Buquicchio di Bitonto.
Molto interessanti sono le notizie sulle nozze dei miei nonni, svoltesi a Bari il 16 maggio 1896, con ricevimento in casa Lamberti alla via Marchese di Montrone, laddove poi vi fu pure la nascita di mio padre Nicola. Tanti curiosi particolari di costume su quel giorno di maggio (a cominciare dalla poetica definizione del mese delle nozze come ”mese dei fiori e degli amori”) si possono evincere dalle pagine della rivista d’epoca “Il Salotto”, anno II, numero 7, del 24 maggio 1896, pp.16/20.
Mio nonno Gianni lasciò sei figli: Maria Giuseppina, Giuseppe, Teresa, Anna, Nicola e Cesare.
1)Maria Giuseppina (1897/1969) sposò Paolo Annese ed ebbe cinque figli: Agnesina, Gaetanina, Ginotta, Maria Teresa e Tommaso.
2) Giuseppe (1898/1971) sposò Anna Giannone De Maioribus, ed ebbe quattro figli: Angelina, Giovanni, Elisa e Nicola. Angelina, sposata con Giuseppe L’Abbate di Fasano, ha avuto a sua volta cinque figli: Vito, Mariella, Claudio, Giovanni e Marcello. Elisa, sposata con il barese Michele Savino, ha avuto tre figli: Franca, Anna e Giovanni. Nicola, sposato con la bitontina Emanuelita Giordano, ha avuto quattro figli: Giuseppe, Giovanni, Gaetano e Anna Paola.
3) Teresa (1899/1999), sposata Cioffrese in prime nozze, ebbe una sola figlia, Giovanna Cioffrese, la quale, maritata con Vincenzo D’Amely Melodia, generò tre figli maschi: Giovanni (detto Ninì), Luigi e Massimo.
4) Anna (1902/2002), sposò Nicola Ferri (di Irsina) e ne ebbe Giulio Cesare Ferri.
5) Nicola (1903/1993), mio padre, sposò mamma Grazia Pignatelli (1915/2006) e ne ebbe due figli: me e mio fratello Michele.
6) Cesare (1908/1971), sposò in prime nozze Laura Croce e, dopo la prematura morte di questa, Lucrezia Scelsi, dalla quale ebbe tre figli: Giovanni, Angela e Nicola. Giovanni ha sposato l’olandese Maud e ne ha avuti due figli, Oliver e Roberto, e altrettanti ne ha avuto Nicola dalla moglie Isabella Losito, Cesare e Maurizio. Angela ha sposato il notaio Giovanni Pezzuto.

La masseria del nonno.

Mio padre Nicola ereditò la metà della masseria di nonno Gianni alle Matine e dei terreni adiacenti. L’altra metà andò in successione a suo fratello Peppino, mentre allo zio Cesare toccarono la Taverna della Lacerta e altri terreni.
La masseria era stata costruita dal nonno tra il 1898 e il 1905, con paramento murario caratterizzato da conci calcarei sbozzati a martelletto, e con disposizione, lungo le mura del piano terra, a intervalli regolari, di caratteristici anelli metallici per l’attracco degli animali da soma adibiti a uso lavorativo, con mansioni di trasporto di materiali, o di animali da traino per i caratteristici vecchi carretti (i “traini”). Essa era dotata di palmento-frantoio per la produzione del vino e dell’olio, oltre a stanze di abitazione.
Con mio padre ci andavo spesso, specie durante la buona stagione, per sorvegliare i lavori di coltivazione dei terreni e di raccolta dei prodotti. Le escursioni in loco s’intensificavano nei mesi di giugno, per la raccolta degli alberi di ciliege prima e poi dei fioroni (“ le ciliegie a Sant’Antonio e i fioroni a San Giovanni”, recitava un detto locale). Era a luglio, però, che c’era l’esplosione della frutta, giungendo a maturazione la maggior parte di essa: prima i gelsi, poi le albicocche, le pesche, le percoche, le pere e i primi fichi. Si giungeva successivamente ad agosto, provvido ancora di percoche, fichi bianchi e neri, fichidindia, nocelle, e prime uve da tavola, come l’ ottima “Cardinali”; e alla fine del mese si raccoglievano i mandorli. A settembre-ottobre si raccoglievano poi le uve da vino, mentre a novembre si finiva con la raccolta delle olive.
Toccava evidentemente a mio padre condurre tutte le operazioni agricole, e in particolare decidere momenti e modi delle raccolte. Egli adempiva questo compito con la stessa passione con la quale aveva in precedenza studiato le caratteristiche dei terreni al fine di scegliervi le coltivazioni più appropriate, meditato sulla tecnica dei lavori da effettuarsi, curato amorevolmente le vigne e gli alberi piantati, e con gioia seguito la loro crescita ed infine lo sviluppo dei frutti. Di guisa che a ragion veduta decideva quando e come cogliere il risultato del suo impegno (anche economico), determinando la parte del raccolto da vendere immediatamente e quella da trasformare direttamente in prodotto finito, da alienare poi a miglior prezzo per ripagarsi dei sacrifici economici sostenuti.
Tutte le stesse operazioni produttive, d’altro canto, erano svolte anche nelle altre vicine masserie dei cugini Buquicchio, i quali si trasferivano in campagna nelle rispettive casine nel periodo della vendemmia. Parimenti nello stesso periodo si ripetevano ogni anno i divertimenti e i giochi di noi ragazzi (ed eravamo tanti!), avendo la possibilità di scorazzare tutto il giorno nell’ambiente agreste, tra fondi coltivati e incolti, pescare, iazzi di fabbrica e trulletti, oltre che fra gli animali domestici allevati in loco.
Le domeniche settembrine e ottobrine di quegli anni di fine ’40- inizi ’50 del secolo scorso, poi, c’era l’abitudine di recarsi alla messa celebrata nella chiesetta vicina di Torrequadra, alla quale partecipavano i conti Rogadeo e tutti i nostri cugini e procugini che dimoravano come noi nelle masserie della zona, impegnati nella vendemmia. Finita la messa, accadeva nello spiazzo antistante un festoso incontro tra tutti i parenti, cui seguiva la consuetudine dell’invito generale da parte della altera contessa Rogadeo a prender un caffè a casa sua; ed io, con mio fratello e tutti gli altri ragazzi, ne approfittavamo per sgaiattolare nel grande giardino della villa, e scorazzare felici tra aiuole fiorite, montagnette artificiali e variegati laghetti, che si prestavano stupendamente ai nostri giochi di ragazzini.
La campagna delle Matine rappresenta, quindi, ancor oggi una sorgente inesauribile dei più felici ricordi giovanili; ed ecco perché quella masseria, ormai diventata mia, rappresenta per me una finestra sul tempo, un varco da cui continua ad entrare la bellezza della vita agreste, e “l’odore della terra cotta dal sole”, come scriveva Cesare Pavese.

Nicola e Graziella Buquicchio ed i loro discendenti

Si è raccontato di come la campagna sia stata molto vissuta da mio padre Nicola; ma egli era anche un giudice, che ha svolto le sue funzioni pubbliche sempre con grande dignità, umanità e apprezzamento generale, prima nella sede di Andria, e poi in quella di Bari. Nella prima città egli è stato Pretore per ben venticinque anni, e mi è rimasta nelle orecchie la filastrocca composta per lui negli anni ’50 del secolo scorso, per sottolineare beffardamente la sua indipendenza di giudice locale: “ don Nicola, u Pretore, fila come nu vapore, dice sine a tutti quanti, e pigghia per fesso didietro e davanti”.
È una rima che ben mostra come nella considerazione popolare mio padre, pur non vivendo isolato ma tra la gente, non si faceva condizionare nell’ esercizio delle sue delicate funzioni di giudice di un limitato territorio. …)
Mio padre si sposò con mamma, Grazia Pignatelli, in Avetrana il 5 febbraio 1942, ed ebbe due figli in Andria: me, l’8 gennaio 1943, e mio fratello Michele, il 14 agosto 1945.
L’apprezzamento dei valori tradizionali della famiglia portò i miei genitori a imporre a me i nomi di Giovanni, Michele, Giuseppe, seguendo rigorosamente la tradizione: Giovanni, in onore del nonno paterno; Michele, come il nonno materno; Giuseppe, come il fratello maggiore di mio padre. Similmente fu per mio fratello minore, appellato Michele, Lucio, Riccardo: Michele, in ricordo del nonno materno; Lucio, come la zia di nostra madre a nome Lucietta; Riccardo, in onore del Santo protettore di Andria, città natale.
La nostra famiglia all’epoca è ben raffigurata nell’allegato rilievo fotografico, che ritrae i quattro componenti in occasione della mia prima comunione nell’anno 1951.

Entrambi noi fratelli abbiamo seguito le tradizioni familiari, improntando le nostre esistenze al culto dei valori della famiglia e del lavoro, oltre che alla passione per la campagna.

Io sono stato un fedele servitore dello Stato, raggiungendo il ragguardevole traguardo di cinquantuno anni di lavoro continuato (prima come ricercatore universitario, poi per il periodo più lungo come magistrato ordinario, e infine come giudice tributario).

Ho sposato il 25 ottobre 1969 Antonietta De Ruvo, professoressa di lettere e filosofia, e ho avuto la fortuna di veder nascere due figli, entrambi in Bari: Nicola, il 13 ottobre 1971, che, divenuto avvocato civilista, si è unito a nozze con la sua collega Silvia Pagliazzo di Vercelli, e vive e lavora a Milano; e Arianna, la quale è nata il 27 settembre 1973 e fa l’architetto a Bari.

Mio fratello Michele alla professione di notaio ha aggiunto quella di professore universitario di  diritto pubblico (rivestendo anche la carica di Sindaco di Bari negli anni ‘93/94), ed ha sposato il 1°  aprile 1978 la romana Gioia Bertelli, docente universitaria di storia dell’arte medioevale, avendone  due figlie, entrambe nate a Roma: Grazia Loretta, del 2 ottobre 1978, che fa il medico nella Capitale  ed é sposata con il romano Lorenzo Bartoletti, e Gloria, nata il 27 marzo 1982 e notaio in Bari.  L’ultima generazione si è completata con Gianluigi Buquicchio, nato a Bari il 7 agosto 2012 da Arianna, e Bianca Buquicchio, nata a Milano il 28 febbraio 2015 da Nicola; e con Achille Benito  Marino, avuto da Gloria a Bari il 13 giugno 2017, e infine dai due gemelli romani Mattia e Gaia  Bartoletti, nati da Grazia Loretta nel febbraio 2018 a Roma.

 

L’eredità valoriale della famiglia Buquicchio.

Posso trarre così i tratti distintivi comuni dei Buquicchio nel loro complesso e in un tempo secolare: attaccamento alla famiglia e alle proprie origini; rispetto per le antiche tradizioni e per l’etica sociale del territorio di appartenenza; amore per la vita, testimoniato dalle famiglie patriarcali o con larga figliolanza; convinta fede nella religione cristiana, e profondità dei sentimenti religiosi; costante cura dello sviluppo economico e sociale del nucleo familiare; spirito d’intraprendenza, esercitato prevalentemente nel settore dell’attività primaria e della piccola industria connessa; decisa contribuzione allo sviluppo economico e sociale del prediletto territorio mariottano, con la sincera soddisfazione dell’offerta di opportunità di lavoro nelle tenute a tante persone svantaggiate.
Peraltro, si deve costatare come le ultime generazioni di una famiglia distintasi nella redenzione terriera e che ha avuto sempre nel sangue la passione per le attività fondiarie, si siano in parte allontanate da queste, integrando o sostituendo l’esercizio dell’imprenditoria agricola con attività professionali dei più vari settori, dalla giurisprudenza alla medicina, dalla ingegneria all’economia. Per limitarmi al campo dei figli del nonno Giovanni, lo zio Giuseppe fu medico, mio padre giudice, e lo zio Cesare veterinario; pur continuando essi a occuparsi ampiamente dei fondi. Tutti hanno peraltro continuato a perseguire i classici valori familiari, di attaccamento alle tradizioni e di esercizio di moralità, liberalità e rispetto per gli altri, dando il loro contributo allo sviluppo sociale e al progresso del territorio di appartenenza.
È questa la nostra identità di famiglia meridionale, di stampo borghese, che mi piace recuperare e difendere, coniugando insieme passato e presente; insieme all’orgoglio di esser parte di una comunità pugliese, e la fierezza di discendere da un’antica civiltà rurale la quale nel corso dei secoli è diventata anche imprenditoriale e professionale, e che oggi aspira a proiettarsi nell’era delle dimensioni digitali e robotiche, competendo con le nuove sfide del XXI secolo. Mantenere saldi questi antichi valori e incrementarli nell’ attualità, pur attraverso un doveroso adeguamento agli sviluppi dei tempi, è il miglior augurio che possiamo formulare alle nuove generazioni della nostra grande famiglia.

Alcune notazioni sulla mia famiglia materna: i Pignatelli.

Non mi par giusto terminare le ricerche sulla famiglia escludendo ogni indagine su quella di mia madre, Grazia Pignatelli, e quindi sul ramo materno familiare; di guisa che sembra opportuno richiamare brevemente le notizie storiche più significative di essa negli ultimi secoli, per ricercarne i più significativi estremi valoriali da tramandare alle nuove generazioni. Ciò nello spirito dell’insegnamento del grande Cicerone che “ la memoria è tesoro e custode di tutte le cose”.
Mia madre discendeva da una nobile famiglia di origine napoletana, che gli studiosi di araldica ritengono di schiatta longobarda, distintasi in diversi rami in varie regioni italiane, tra cui la Puglia.
In Terra di Bari nacque la gloria della famiglia, Antonio Pignatelli, che fu Papa con il nome di Innocenzo XII, essendo nato a Spinazzola il 13 marzo 1615 da Francesco, marchese di Spinazzola, e dalla nobildonna Porzia Carafa. Nell’anno 1652 prese gli ordini sacri, e fu fatto vescovo; e nel 1671 fu nominato Vescovo di Lecce, rimanendo tale sino al 1681, e lasciando traccia di sé in particolare per l’erezione del Palazzo al Seminario. Nel 1681 fu nominato Cardinale, e, dopo aver retto altre diocesi, fu designato per la carica di Arcivescovo di Napoli; poscia, morto il Papa Alessandro VIII, il 12 luglio 1691 fu eletto Papa, assumendo il nome di Innocenzo XII.
Fu il primo Pontefice pugliese della storia; il secondo, e ultimo sinora, fu Pierfrancesco Orsini, nato a Gravina il 2 febbraio 1649 (o 1650). Papa Pignatelli ebbe fama di uomo pio, dottissimo “in utroque iure”, clemente e di carità. Il suo pontificato fu caratterizzato dall’interesse per la moralizzazione del clero e della vita pubblica, e dal tentativo di eliminare la pratica del nepotismo, che vigeva tra i Cardinali. Morì a Roma il 27 settembre 1700, lasciando fama d’illustre personaggio in tutta Europa, ed è sepolto nella navata destra della Basilica di San Pietro in Vaticano.
Nella famiglia, peraltro, si distinsero anche altri illustri ecclesiastici, oltre a ferventi carbonari e liberali nel Risorgimento. Infatti, come accadde in molte altre famiglie nobili, i Pignatelli si divisero all’epoca della Rivoluzione napoletana; ma la maggior parte di essi si orientò in senso liberale, pagando un cospicuo prezzo in termini di vite umane.
Tra i patrioti garibaldini, successivamente, va ricordato come partirono in camicia rossa molti giovani dalla provincia di Lecce, per arruolarsi e ingrossare le fila dei Mille: da Nardò si arruolò Vincenzo Pignatelli fu Vito, mentre Salvatore Pignatelli fu Bonaventura fece parte delle formazioni garibaldine quale farmacista.
Mia madre fu poi figlia di Michele Pignatelli, il quale, dopo essersi laureato in medicina e chirurgia nell’Università di Napoli, nei primi anni del secolo scorso si trasferì dalla natia Nardò nella vicina Avetrana, per esercitarvi la professione di medico condotto. Ivi sposò Antonietta Marasco, di famiglia locale, e ne ebbe quattro figli: Carmelo, Temistocle, Grazia e Giuseppe. Abitò nel palazzo che costruì nella piazza paesana, e vi morì, lasciando unanimi rimpianti per il bene che aveva fatto come bravo medico. I miei tre zii materni furono rispettivamente agronomo, medico-chirurgo e professore di lettere. Temistocle (zio Nino) ebbe tre figli, Antonietta (ovviamente come la nonna), Anna, e Michele (in onore del nonno); Giuseppe (Zio Pino) altrettanti figli, Antonietta (ancora come la nonna), Giovanna e Michela.
Mia madre si è invece dedicata sempre alla famiglia, e al suo ruolo di regina della casa. È vissuta a lungo, fino a novanta anni, al pari del coniuge; e insieme hanno avuto la gioia di celebrare le loro nozze d’oro a febbraio 1992, circondati dall’affetto di uno stuolo di figli, nipoti, parenti e amici. La mamma era di ben tredici anni più giovane del marito, ma gli è stata per tutta la vita molto legata, così come a noi figli, che ha spronato sempre a tener saldi i nostri nuclei familiari e al miglioramento professionale e sociale.
Concludendo questo breve “excursus”, posso rilevare come pure la mia famiglia materna abbia privilegiato plurimi valori tradizionali, avendo avuto nel corso del tempo ecclesiastici e laici profondamente vincolati alla religione cattolica, liberali e patrioti legati alla patria nazionale, professionisti impegnati nelle professioni intellettuali; perseguendo complessivamente i valori del culto della religione, delle libertà e dell’ impegno professionale.
Nessun uomo decide da dove venire, ma può scegliere dove andare. L’approfondimento del nostro passato, però, aiuta a renderci conto da dove veniamo e chi siamo, e può condurre l’anima, che è la dimora della nostra sorte, verso la religione umana da prediligere, quella dell’“ homo faber fortunae suae”.

Giovanni Buquicchio.

Aggiornamento della scheda “BUQUICCHIO FRANCESCO” di “Puglia d’Oro” di Renato Angiolillo  Vol.  I 1°ed.  1936, Laterza & Polo pag. 192 e della ristampa dei tre volumi curata dalla Fondazione Carlo Valente onlus, edizione Giuseppe Laterza, Prima edizione Marzo 2008, Prima Ristampa Novembre 2018, pag. 147 (Vedi prima edizione)

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