CURATO ROBERTO

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CURATO ROBERTO

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L’ingegnere bonificatore che sognava di trasformare il Tavoliere

Roberto Curato, oltre alla professione di ingegnere, ricopri diversi ruoli, quali abile imprenditore, pubblicista autore di numerosi saggi ed articoli, fautore di un significativo lavoro editoriale “Nuovi orizzonti economici mondiali ” scritto nel 1933 per la Treccani.
Sindaco nel 1924 e podestà nel 1934 di Lucera, fu chiamato a rappresentare la Capitanata a Milano al convegno nazionale sull’irrigazione del 1925, accademico dei Georgofili, meridionalista attento, convinto della necessità che lo Stato investisse nel Sud d’Italia per creare infrastrutture ed innescare così un processo virtuoso di crescita.
Curato fu lungimirante e capace di intuire la validità di progetti innovativi, sviluppando i rapporti con altri esperti, tra i quali Alberto Pirelli, che nel 1917 entrò nel comitato per la costruzione della Ferrovia Transbalcanica Roma, Valona, Istanbul. Molto apprezzati furono i suoi embrionali esperimenti di genetica applicata all’agricoltura.
Il suo notevole impegno fu svolto come primo commissario straordinario del Consorzio Generale di Bonifica di Capitanata, incaricato dal sottosegretario Arrigo Serpieri, con il compito di applicare nel Tavoliere la bonifica integrale voluta dal regime fascista. In relazione a tale incarico Curato impostò il piano di trasformazione che prevedeva centinaia di km di strade, linee elettriche e telefoniche, acquedotti, ponti, cinque nuove città e novantotto borgate rurali. La sua progettualità ambiziosa, meticolosa e articolata sopravvisse alla sua stessa precoce morte, rimanendo come prezioso punto di riferimento per gli interventi realizzati nel secondo Dopoguerra.
Ad opera di Francesco Barbaro ed edito dalle Edizioni del Rosone nel 2019 il libro “Roberto Curato, l’ingegnere bonificatore che sognava di trasformare il Tavolieri” racconta, mediante le vicende di Roberto Curato, un periodo significativo della storia di Lucera nel primo quarantennio del ‘900 con tanti uomini – Mario Prignano, Francesco Piccolo, Riccardo Del Giudice, Alfonso De Giovine, Alfonso De Peppo, Roberto De Peppo, Giuseppe De Peppo, Alberto Mastrolilli, Francesco Lastaria, Giambattista Gifuni – che segnarono le vicende politiche, culturali economiche della città in quel periodo storico.
Il ruolo di commissario del Consorzio proiettò Curato sul panorama regionale e nazionale, portandolo anche a diretto contatto, nel gennaio del 1934, con Mussolini, al quale illustrò di persona a Palazzo Chigi, il piano di trasformazione di quello che era il più grande comprensorio di bonifica d’Italia.
Fra i protagonisti di quella pagina di storia, che fu la bonifica integrale, raccontata in questo libro: Gaetano Postiglione, Giuseppe Pavoncelli, Domenico Siniscalco Ceci, Gabriele Canelli, Giuseppe Caradonna, Celestino Trotta, con i quali Curato discusse, collaborò, dialogò, si scontrò, nel comune desiderio di cercare di modernizzare e far crescere il Tavoliere.
Il 7 settembre 2019 per la rassegna di incontri con l’autore, organizzata dall’associazione “Terre di mezzo”, presieduta da Giuseppe Lucera, con la collaborazione del Comune di Lucera il collaboratore della <<Gazzetta del Mezzogiorno>> Francesco Barbaro ha presentato il volume “Roberto Curato l’ingegnere bonificatore che sognava di trasformare il Tavoliere”, la biografia del primo presidente del Consorzio di Bonifica di Capitanata. A presentare il libro sarà Amalia Stingone docente di storia e filosofia del liceo classico “Bonghi” di Lucera.
“Curato agì su diversi livelli così come testimoniano l’incontro con Mussolini e la partecipazione al convegno di Firenze sulle bonifiche del maggio 1934 fu – sottolinea Barbaro – una personalità singolare che andava raccontata, mediante la sua biografia però ho cercato di raccontare un periodo significativo della storia della Capitanata con il suo sogno di modernizzare il Tavoliere che è ancora attuale se si pensa alla necessità di far crescere l’economia della provincia che purtroppo oggi è fanalino di coda in Italia e che invece ha delle potenzialità importanti”.

Quei borghi in Capitanata, figli della “retorica” fascista

Gli interventi del Consorzio di Bonifica con l’appoderamento e la deruralizzazione della città di Foggia, determinarono la nascita di operosi centri rurali nel Tavoliere
Di Domenico Fioriello
“Se il Signore avesse conosciuto questa piana di Puglia, luce dei miei occhi, si sarebbe fermato a vivere qui“, con queste parole il Puer Apuliae (il fanciullo di Puglia), Federico II, decantava la sua amata terra: la Capitanata. Non a caso elesse la città di Foggia come “regale inclita sede imperiale”.
La frase dello Stupor Mundi rivela la straordinarietà di quel paesaggio pianeggiante che poi prenderà il nome di Tavoliere di Puglia, dalle tavole censuarie, cioè i registri doganali – sui quali si annotavano le proprietà terriere destinate alla transumanza (leggi l’articolo qui) – che venivano gestiti dalla Regia Dogana della mena delle pecore: l’ordinamento aragonese, istituito da re Alfonso I, con sede per vent’anni a Lucera e, poi, per più di tre secoli a Foggia.
Palazzo del “Consorzio per la Bonifica della Capitanata”, progettato dall’architetto Concezio Petrucci come sede dell’Opera Nazionale Combattenti
Tutto ciò ci fa capire l’importanza notevole che ha ricoperto storicamente, nel tempo, la città di Foggia come centro del Tavoliere. Il nome della città sembra derivare dal latino “fovea”, cioè “fossa“, intesa però come “bacino imbrifero”. La “foggia”, infatti, indica la pozza, ossia una vasta area paludosa nella quale confluiscono numerosi corsi d’acqua provenienti dalle colline. La curiosa analogia fra “Foggia” e “fossa”, è descritta anche nelle prose daune di Giuseppe Ungaretti, nel capitolo “Il piano delle fosse” contenuto ne “Il deserto e dopo le Puglie”:un resoconto del viaggio compiuto, nel 1934, dal poeta nel Tavoliere, dove l’acqua ritorna sempre come tema dominante dei racconti, pubblicati in quello stesso anno pure sulla “Gazzetta del Popolo” di Torino.
Per questa sua natura, questo territorio, dunque, sarà al centro di grandi interventi di bonifica. Prima con i Borboni che, tra il XVIII e XIX secolo, col fine di ampliare le superfici da destinare a seminativo, solo attraverso lavori di bonifica idraulica, daranno vita alla creazione di nuove città, come Orta Nova, Ordona, Carapelle, Stornara e Stornarella: colonie agricole che fanno parte di un unico comprensorio, meglio conosciuto come Cinque Reali Siti. E poi con il fascismo, nel XX secolo, quando il Tavoliere sarà oggetto della seconda e più importante operazione di prosciugamento realizzata in Italia, dopo l’Agro Pontino, a cui si affiancherà, però, anche un’azione di appoderamento del territorio stesso.

IL CONSORZIO GENERALE DI BONIFICA DELLA CAPITANATA E IL PIANO PER LA BONIFICA

Nel 1923, durante il ventennio fascista, sotto un’evidente spinta propagandistica, viene avviata con la “legge Serpieri” la Bonifica Integrale, meglio puntualizzata nel 1928 con la “legge Mussolini”. Il tema dei due provvedimenti riguardava il risanamento di vaste aree improduttive e veniva promosso con azioni tali da recuperare i terreni paludosi per lo sfruttamento agricolo, rendendoli quindi coltivabili.
Sotto questo impulso, nel 1927, con l’intento di fronteggiare i mancanti interventi pubblici, nascono per iniziativa privata i primi consorzi di bonifica, che si sviluppano grazie soprattutto ad un gruppo di famiglie di latifondisti. Questi piccoli consorzi si riuniranno, nel 1928, in un unico Consorzio Generale di Bonifica della Capitanata, che verrà effettivamente istituito con Regio Decreto nel 1933. Questo ente, prima, e l’Opera Nazionale Combattenti (O.N.C.), dopo, svolgeranno un ruolo fondamentale per la trasformazione fondiaria del paesaggio rurale del Tavoliere.
Assieme all’esigenza di bonificare queste vaste aree paludose fu legata un’intensa attività di pianificazione urbanistica. Tanto è vero che nel 1928, in concomitanza con queste azioni sul territorio, fu bandito, dal comune di Foggia, un concorso di idee per il Nuovo Piano Regolatore Generale, che mirava a realizzare quella che veniva definita “la Grande Foggia“, bisognosa di acquisire un’immagine borghese, non più riconducibile alla tradizione contadina. Perciò fu messo in atto un vero e proprio processo di “urbanesimo agrario”, che avrebbe portato fuori della città gli addetti al settore primario o comunque tutti quelli che erano dediti all’attività agricola.
Anche il Consorzio Generale di Bonifica, elaborò nel 1933 un Piano per la bonifica della Capitanata, redatto da colui che sarà il primo commissario governativo dell’Ente, ossia “Roberto Curato, l’ingegnere bonificatore che sognava di trasformare il Tavoliere”: il titolo del libro biografico, scritto sull’illuminato imprenditore, pubblicista, nonché podestà e Sindaco di Lucera, dal giornalista e saggista Francesco Barbaro, evidenzia in modo efficace lo spirito che animava questa figura brillante, ambiziosa di modernizzare il Tavoliere e permettere all’agricoltura di compiere un grande salto di qualità.
Per consentire l’urbanizzazione delle campagne e uno sviluppo maggiore dell’attività agricola, il Piano del Consorzio, oltre a prevedere una consistente rete infrastrutturale ricca di strade, ponti, acquedotti e linee elettriche, doveva concretizzarsi con la creazione di nuove borgate rurali: centri comunali di grandi e piccole dimensioni, di tipo residenziale, i primi, e di servizio gli altri. Vere e proprie città-satellite del capoluogo, concepite per garantire i servizi minimi a coloro che erano andati a vivere nelle case rurali, che iniziavano a punteggiare il paesaggio agrario della Capitanata.
I simboli del grano scolpiti sulla porta d’ingresso della chiesa di Borgo Mezzanone
Per queste ragioni, questi centri, i cui modelli si ispiravano alle sperimentazioni attuate nell’Agro Pontino, dovevano riprodurre i caratteri essenziali della vita urbana, con la presenza di pochi edifici pubblici: il palazzo comunale, la chiesa, la Casa del Fascio, la caserma dei Carabinieri, la scuola, l’ufficio postale, il dopolavoro, il cinema, la locanda e qualche bottega, oltre alle residenze nei grandi centri comunali.
Gli interventi di bonifica integrale, unitamente all’azione di appoderamento e alla deruralizzazione della città di Foggia, hanno portato, quindi, nel ventennio fascista, alla nascita dei borghi rurali nel Tavoliere delle Puglie. A partire dal 1935, grazie all’attività del Consorzio Generale di Bonifica della Capitanata, furono realizzati: Borgo La Serpe, come centro comunale di tipo residenziale, la Borgata di Siponto e Borgo Tavernola, come centri comunali di servizio. Successivamente, fino al 1943, per iniziativa dell’Opera Nazionale Combattenti (O.N.C.), invece, vennero creati i nuovi centri comunali di Borgo Segezia e Borgo Incoronata, e quelli di servizio di Borgo Cervaro e Borgo Giardinetto (Stazione di Troia). A questi vanno aggiunti, anche, altri progetti che rimasero sulla carta come il grande centro di Daunilia e il Borgo Arpi, piccolo centro di servizio. Quest’ultimo, a dir il vero, fu costruito dal Consorzio Generale di Bonifica, solo dopo la guerra, e rinominato come Borgo Duanera – la Rocca.

I BORGHI DEL CONSORZIO GENERALE DI BONIFICA

Il primo centro realizzato dal Consorzio Generale di Bonifica è Borgo La Serpe che, sebbene dislocato in modo assai prossimo alla città di Foggia, è situato nel territorio del comune di Manfredonia. Esso, in sostanza, avvierà gli interventi di ruralizzazione attuati in Italia meridionale, nel periodo fascista. Difatti, non poteva che essere intitolato ad uno squadrista, un certo Raffaele La Serpa da Cerignola, il cui cognome in realtà sarà variato in La Serpe.
L’attuale denominazione Borgo Mezzanone, che subentrò dall’8 settembre 1943, giorno dell’armistizio, invece, prende il nome dal toponimo dalla località in cui si trova, termine che rimanda alla destinazione d’uso ed alle tipologie dei terreni agricoli della Regia Dogana della mena delle pecore. “Mezzana”, infatti, era chiamato l’appezzamento di terreno adibito anche a pascolo, che aveva un rapporto di estensione predeterminato rispetto alla superficie coltivata.
Borgo Mezzanone fu progettato e costruito in tempi brevissimi: iniziato nel luglio 1934, fu terminato nell’aprile 1935. Questa rapidità di realizzazione, insieme al basso finanziamento previsto per l’intervento, ne hanno in un certo qual modo compromesso sia l’esecuzione a regola d’arte, che la durabilità nel tempo.
Il borgo, che fu visitato dal Duce in persona, l’8 settembre 1934, in occasione della venuta a Foggia, non dovette fare una buona impressione neanche al dittatore, il quale, nel comizio di saluto dalla città, assicurò il suo personale impegno per il Tavoliere delle Puglie, non appena terminate le bonifiche pontine.
Il progetto urbanistico ed architettonico venne affidato a due professionisti romani: l’architetto Domenico Sandri e l’ingegnere Giovanbattista Canevari. Quest’ultimo, oltre che amico dell’ingegnere Roberto Curato, era anche titolare di un’impresa di costruzioni, incaricata di effettuare indagini idriche nella zona dove era previsto Borgo Mezzanone, motivo per cui ancor prima della costruzione del centro, ci furono tante polemiche.
Il progetto recepisce la preesistente strada Foggia – Trinitapoli, l’attuale SS 544, creando una separazione in due aree distinte del borgo. Da una parte si trovano concentrate le funzioni istituzionali, politiche-religiose e d’istruzione, dall’altra i servizi – quello commerciale, la posta, lo spaccio alimentare, l’edificio per il servizio sanitario e l’ambulatorio specialistico antimalarico della Croce Rossa Italiana – e un nucleo di residenze.
L’insediamento di Borgo Tavernola realizzato interamente sul sedime del tratturo n°15 Candelaro-Cervaro
La prima area è caratterizzata da una piazza-sagrato, di forma quadrata, aperta sulla strada e racchiusa da un peristilio, con pilastri in mattoni, la cui continuità è però interrotta dall’interposizione del battistero e della cappella della chiesa. Questi due volumi, anch’essi rivestiti in laterizio e sormontati da un tamburo con dei lanternini vitrei in sommità, definiscono, con dei pilastri intonacati, il pronao d’ingresso della chiesa. Su quest’ultimo si sovrappone una parete rivestita di mattoni, svuotata da un grande oculo, e un grande “lunettone” intonacato. La chiesa è intitolata alla Madonna del Grano, protettrice del Borgo. Il grano, infatti, è il motivo principale raffigurato nei simboli scolpiti sulle ante in legno all’ingresso della chiesa.
Nelle testate del peristilio, sull’estremità per chi arriva da Foggia, è collocata la torre Littoria con la Casa del Fascio, che comprende la sala riunioni del Partito Nazionale Fascista, la palestra, il cinematografo, la sede del Consorzio, mentre, all’estremo opposto, chiude il porticato, l’edificio della scuola.
La torre littoria, per la sua imponenza ed altezza, svetta su tutto il borgo. È visibile a distanza nel paesaggio e costituisce un punto di riferimento per il territorio circostante. Un segno manifesto del clima autoritario esercitato ai tempi della costruzione del borgo. Essa è molto più alta del campanile della chiesa che, nei fatti, non supera neanche il “lunettone” di facciata della chiesa stessa, facendo così emergere, simbolicamente, l’egemonia del potere politico.
Oltre la strada, nella seconda area, a contrappunto delle testate del peristilio, si trovano i servizi. In corrispondenza della piazza-sagrato, quindi nella zona centrale, vi è un grande giardino alberato di forma rettangolare, circondato tutto intorno dalle residenze, realizzate secondo la tipologia bifamiliare.
Al di là del carattere delle architetture, é rilevante evidenziare il disegno dell’impianto urbanistico, che sembra essere sotteso in filigrana da proporzioni geometriche ben precise: modulate sulla dimensione della piazza-sagrato che, con l’aggiunta dei portici in larghezza e l’addizione della chiesa in lunghezza, stabilisce il formato del giardino alberato e i corpi di fabbrica dei servizi.
L’area su cui si sviluppa l’impianto originario del borgo, oggigiorno, risulta più che raddoppiata, per via dell’espansione residenziale edificata nella zona retrostante la chiesa, peraltro secondo una logica insediativa che non ha tenuto minimamente conto del criteri compositi che hanno generato l’assetto planimetrico di base. Inoltre è stata demolita la torre piezometrica che si erigeva a poca distanza dalle residenze, in direzione Foggia.
Sempre nel territorio di Manfredonia, su un’area paludosa che il comune cedette al Consorzio, nella località di Siponto, venne realizzata nel 1936 una borgata di servizio. I lavori, infatti, si limitarono solo alla costruzione di edifici pubblici, capaci di ospitare i servizi essenziali per le esigenze della popolazione residente nelle campagne, quindi in funzione degli appoderamenti che si andavano a compiere nei terreni limitrofi.
Borgo Mezzanone e la vicina baraccopoli realizzata sulla “Ex pista”
Il piano del Borgo di Siponto fu disegnato dall’ingegnere A. Ferraris, mentre il progetto architettonico dei fabbricati rurali fu curato dall’ingegnere Mario Salvadori. Considerando l’affaccio dell’area sul mare, il Borgo di Siponto non ha mai avuto un carattere prettamente rurale, quanto piuttosto quello di una località balneare; infatti, oltre agli edifici di servizio, furono realizzate diverse case unifamiliari destinate alle vacanze.
Oggi la trama del reticolo viario originario del borgo, previsto dal piano, anche se facilmente riconoscibile, si è addensata di costruzioni, ed il centro, notevolmente esteso, è diventato un grande quartiere del Comune di Manfredonia, conosciuto come Lido di Siponto.
Nel 1937 fu costruito, dal Consorzio Generale di Bonifìca, Borgo Tavernola: un altro centro di servizio posizionato all’incrocio di due strade provinciali: la SP 76 e la SP 73, entrambe ricavate sulla rete dei tratturi. La prima, delle due strade, coincide con quello che, sulla mappa dei tratturi, è contrassegnato con il numero15, ed ha per estremi i due fiumi, il Candelaro e il Cervaro. L’altra, invece, è un braccio, ovvero un tratturello di collegamento, distinto nella medesima mappa, con il numero 44, denominato Foggia – Versentino.
Il progetto di massima dell’insediamento, edificato interamente sul sedime di una pista erbosa utilizzata per la transumanza,ovvero il tratturo, Candelaro-Cervaro, fu elaborato dall’ingegner Mario Quaglini, mentre quello definitivo fu redatto dall’ingegner Giuseppe Colacicco.
Della borgata oggi rimane poco o nulla. Degli edifici pubblici, chiesa, scuola, ufficio postale, ambulatorio, dopolavoro, non vi è più traccia. Sono rimasti in piedi soltanto il campanile della chiesa – ma solo perché rappresenta un caposaldo, cioè un vertice trigonometrico definito dall’Istituto Geografico Militare – il pennone portabandiera, la torre piezometrica e il rudere di quello che, molto presumibilmente, era il magazzino delle merci. Comunque pochi elementi che non ci danno affatto l’idea della conformazione originaria del borgo. Gli edifici demoliti sono stati soppiantati da edilizia di pessima qualità.
Oggi questi centri, soprattutto Borgo Mezzanone, sono diventati punti di riferimento e di raccolta per i tanti migranti che lavorano nelle campagne circostanti. Il borgo è spesso al centro dell’attenzione per fatti di cronaca, che si verificano oltre che nel borgo stesso, anche nel “ghetto”, noto come “ex pista”, oggi trasformato in una grande baraccopoli, dopo la chiusura del Cara: il Centro di accoglienza per richiedenti asilo, creato sull’ex aeroporto usato dagli americani nella Seconda guerra mondiale e come base logistica durante la guerra del Kosovo.
Anche a Borgo Tavernola, è facile trovare biciclette, legate a pali metallici, che aspettano silenti, sino alle tarde ore del pomeriggio, di essere prelevate dai loro stanchi proprietari che, dopo una giornata di duro lavoro, con addosso ancora le ultime energie necessarie, a ritmo di pedalate rientrano alle proprie dimore. Un’immagine che, per certi versi, ci riporta indietro nel tempo, proprio nel periodo in cui sono stati costruiti questi centri, quando i fruitori erano i contadini nativi del posto, che si muovevano con lo stesso spirito, tra i borghi e i poderi di proprietà.

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