CASTELLANO MIMMO

nuova puglia d'oro_total white

CASTELLANO MIMMO

nuova puglia d'oro_total white

Gioia del Colle, 24 settembre 1932 – Milano, 29 luglio 2015

Designer e fotografo, uno dei principali grafici negli anni ’60 e ’70; Nel biennio 72-73 ha ricevuto la medaglia d’oro della Presidenza della Repubblica, ed il Premio Bodoni Città di Parma Concorso nazionale di grafica editoriale; da segnalare nel 2005 la Mostra ” Mimmo Castellano Cinquant’anni di grafica ed altri giochi “, promossa dalla Fidanzia Sistemi con la Sovrintendenza per i Beni architettonici di Bari e Foggia, nelle sale del Castello Svevo di Bari.

Mimmo Castellano aveva iniziato l’attività di grafico e fotografo nel 1951, curando l’immagine della casa editrice Laterza e realizzando la “Maschera di Farinella” Quindi si è trasferito nel 1951 a Milano, collaborando nell’editoria con Carlo Ludovico Ragghianti, Umberto Eco e Leonardo Sinisgalli. Nel 1964 ha realizzato per l’Eni una inchiesta foto/etnologica sul paesaggio, le abitazioni e i riti popolari della Lucania.

È stato per anni consulente di Rai, Italsider, INA Assicurazioni, Cee, Montedison, Coni, Alitalia e le case editrici Vallecchi, Feltrinelli ed Einaudi. Ha insegnato “progettazione grafica” nei primi anni Settanta all’Accademia di Belle Arti di Bari. Nel 1981 è stato docente di “immagine coordinata e segnaletica” all’ISIA di Urbino e, dal 1985 al 1994, all’Istituto Europeo di Design di Milano, Torino e Cagliari.

Castellano è stato autore di diversi libri fotografici, tra cui si segnalano La valle dei trulli, con testi di Leonardo Sinisgalli e Giuseppe Cocchiara (Bari, Leonardo da Vinci, 1959), e Noi vivi, con presentazione di Umberto Eco (Bari, Dedalo 1967).

Opere

  • Padiglione Rai alla Fiera del Levante, con Achille Castiglioni, 1956
  • Immagine grafica per il CONI, 1970
  • Immagine grafica per le Isole Eolie, 1976
  • Immagine grafica per la Datamount, 1984
  • Padiglione IBM allo Smau di Milano, 1986
  • Tourist Book per l’Azienda di soggiorno e turismo di Bari, 1988

Note

  • Castellano nel sito dell’AIAP, su aiap.it.
  • Mimmo Castellano, su it.
  • Intervista a Mimmo Castellano, il disegnatore della Maschera di Farinella, su it.
  • Mimmo Castellano, su it.
  • Addio a Mimmo Castellano, su it.
  • Antonella Marino, Mimmo Castellano, il ritorno ‘I miei primi cinquant’ anni’, su repubblica.it, La Repubblica – archivio, 9 dicembre 2005 giugno 2008.

http://sitographics.it/imagini_castellano.html

Mimmo Castellano è nato a Gioia del Colle il 24 settembre 1932 ed è morto a Milano il 29 luglio 2015
è stato un designer grafico e un fotografo
Mimmo Castellano dopo aver completato gli studi liceali si è approcciato alla comunicazione visiva da autodidatta.
Da designer grafico, Mimmo Castellano, si è occupato di editoria, immagine coordinata, lavorando per gli editori Laterza, Vallecchi, Einaudi e Feltrinelli.
Nel campo dell’editoria ha collaborato con nomi illustri come Carlo Ludovico Ragghianti, Umberto Eco e soprattutto Leonardo Sinisgalli, il poeta-ingegnere con il quale Castellano ha avuto grande affinità.
La sua attività professionale è stata apprezzata, prima ancora che in Italia, in Inghilterra, Stati Uniti e Giappone. Il suo lavoro ha ricevuto molti riconoscimenti, premi e pubblicazioni ed è stato esposto in Europa e nel mondo.

Una delle più recenti mostre a lui dedicate è, nel 2005, una retrospettiva nel Castello Svevo di Bari, dal titolo “Mimmo Castellano. Cinquant’anni di grafica ed altri giochi”

LE SUE OPERE
Nel 1951 ha iniziato la professione a Bari come grafico e fotografo da autodidatta
dal 1950 al 1964 collaborazione con l’editore Laterza e riguarda la cura dell’immagine e la grafica editoriale di tutti i libri e dura fino a quando il rapporto si interrompe per “differenze ideologiche, per un dissidio intellettuale con Vito Laterza”
Nel 1952 Vincitore  con la maschera “Farinella” del  pubblico concorso del Comitato del Carnevale di Putignano per il 599 anno dalla fondazione per  la realizzazione, attraverso un manifesto dell’immagine di una maschera che si riferisse al folklore tipico locale o pugliese più in generale
Dal 1957 al 1965 copertine per l’ editore Laterza.
Nel 1954 collabora come scenografo nella Compagnia Stabile di Prosa di Bari con il regista Anton Giulio Bragaglia e con l’attrice Paola Borboni, direttrice artistica, curando la messa in scena dell’opera Zoo di vetro, di Tennesee Williams
Nel 1959 Padiglione della Rai alla Fiera del Levante con l’ architetto Achille Castiglioni
Dal 1960 al 2012 Narchi per azidende ed enti pubblici
Nel 1960 pubblica il suo primo libro “La valle dei trulli” per la Leonardo da Vinci Editrice di  Bari con la  prefazione del poeta-ingegnere Leonardo Sinisgalli,
Nel 1960 pubblica il fotolibro”Moods,”
Nel 1965 Mimmo Castellano ottiene il Premio “Centro per la Cultura  per la Fotografia” per il volume “London” e  per il volume “Noi vivi”
Nel 1966 pubblica “Terra di Bari”per conto dell’ACI  e nel 1967 Noi vivi. Con quest’ultimo libro, che si avvale della presentazione di Umberto Eco, vince il premio Centro della cultura nella fotografia.
Nel 1964 Mimmo Castellano per l’ENI ha realizzato una grande inchiesta fotografica/etnologica sul paesaggio e sui riti popolari della Basilicata, per la pubblicazione del volume “Paese lucano”
Nel 1966 Padiglione della Rai alla Fiera del Levante con l’ architetto Achille Castiglioni
Nel 1967 si trasferisce definitivamente a Milano
Nel 1970 Immagine grafica per il CONI
Nel 1971 copertina per la mostra “Aspetti dell’Informale”
Dal 1972 al 1978 copertine per l’ editore Valsecchi
Nel 1973- l’architetto Carlo Mollino lo chiama a collaborare nella realizzazione del soffitto del Nuovo Teatro Regio di Torino e lo realizerà nel 1980.
Dal 1971 al 1972 Ha insegnato “progettazione grafica” all’Accademia di Belle Arti di Bari
Nel 1974 Ha ottenuto una medaglia d’oro della Presidenza della Repubblica e il “Premio Bodoni Parma”.
Nel 1976 Immagine grafica per l’ Ufficio Turistico delle Isole Eolie
Dal 1976 al 1985 rfalizzza i manifesti per le Esposizioni Internazionali per il Commercio e il Turismo per la Fiera di Milano
Nel 1984 Immagine grafica per la Datamount
Dal 1981 fu menbro dell’ AGI Alliance Graphique International
Dal 1981 ha insegnando progettazione grafica all’ISIA di Urbino
Dagli inizi degli anni ottanta ha abbandonato Milano per risiedere in una villa a Trezzano sul Naviglio dove ha il suo studio.
Dal 1985 al 1994 Ha insegnato progettazione grafica all’Istituto Europeo di Design di Milano, Torino e Cagliari, dove è stato docente di immagine coordinata e segnaletica.
Nel 1986 Padiglione IBM allo Smau di Milano
Nel 1987 espone “Graphisme “ al Centro George Pompidu a Parigi.
Nel 1988 realizza il Tourist Book per l’Azienda di soggiorno e turismo di Bari
Nel 2002  il Museo di Arte Contemporanea di Teheran ha organizzato una mostra su Mimmo Castellano nell’ambito di una collettiva di giovani grafici iraniani.
Nel 2005 la Mostra ” Mimmo Castellano Cinquant’anni di grafica ed altri giochi “, promossa dalla Fidanzia Sistemi con la Sovrintendenza per i Beni architettonici di Bari e Foggia, nelle sale del Castello Svevo di Bari


Mimmo Castellano

**Mimo castellano fu Socio Onorario Aiap

 

La sua attività professionale non si è limitata all’Italia, ma ha spaziato per l’Europa, l’Asia e l’Usa. Infatti le sue prime opere fotografiche, rivoluzionarie per quel tempo,  furono apprezzate  prima negli Stati Uniti, in Giappone, in Inghilterra e solo più tardi anche in Italia.

Da  segnalare  l’invito rivoltogli dalla Jagda ( Japan Graphic Designer Association Kanagawa Sectio ), al Tokyo International Forum, quello dal governo di Cuba, per una mostra di grafica europea e l’incarico di decorare la facciata del padiglione della Montecatini, che occupa una superficie molto estesa,  alla Fiera di Milano.

Numerose riviste di grafica e di costume gli hanno dedicato monografie e servizi: Graphis, Graphis Annual, International Poster Annual, The Architectural Rewiew, terre d’Images, Modern Publicity, Gebrauchsgraphik, Idea, Linea Grafica, Arte Oggi, Pubblicità in Italia, Architettura, Il Gatto Selvatico, Domus, Le ore, Fotografia, Ferrania, Selearte, L’Ufficio Moderno, Prospettive Meridionali, Epoca.

 

INTERVISTA A MIMMO CASTELLANO DEL 2010
Cosa rappresenta l’oggetto libro per lei e per la sua storia?
L’etichetta di grafico editoriale ha rappresentato spesso un macigno nella mia esperienza professionale.
In realtà il libro è diventato solo per caso un elemento fondante del mio vissuto.
Fare libri, infatti, è stata un’esperienza assolutamente occasionale dovuta al fatto che, nel deserto civil-culturale della Bari di allora, esisteva una casa editrice di un certo rilievo, la Laterza, che presentava, al tempo, copertine assolutamente neutre.
Laterza, per l’appunto.
Cosa ha significato per lei lavorare per ventiquattro anni in tale realtà editoriale?
Mi chiamarono, dopo aver percepito la necessità di cambiamento, e cominciai a lavorare per loro; tuttavia, con un approccio piuttosto provinciale e privo di ogni consapevolezza del mestiere.
Solo in seguito la collaborazione con Laterza è diventata un lavoro importante, continuativo, durato ventiquattro anni.
Giuseppe Laterza era un ingegnere e mi garantiva carta bianca nella progettazione delle copertine.
In seguito, subentrato il figlio Vito nella direzione della casa editrice, la mia situazione prese a mutare, soprattutto a causa della strana concezione che Vito Laterza possedeva del lavoro del grafico.
Vito concepiva il grafico come un prolungamento della sua mente. Da qui ovviamente ebbe inizio l’attrito. In questo contesto risultava considerevole la componente politica nelle scelte della casa editrice.
In quegli anni Laterza aveva feeling con i socialisti; cominciò a pubblicare una collana affidata all’architetto Portoghesi (che la impaginava anche) e stampata presso la tipografia barese della casa editrice, la quale tuttavia non era assolutamente adeguata alla stampa di libri illustrati.
Il risultato fu assolutamente deplorevole: frutto, per altro, del lavoro di architetti che avevano (e hanno tuttora) la debolezza di fare il mestiere dei grafici.
Questi album, che erano dei revival degli anni ’40-’50, risultarono davvero orrendi.
Proposi allora a Vito Laterza di riflettere sul dovere di un’impresa editoriale di tenere conto della qualità del prodotto e, ovviamente, della sua estetica.
Alla vigilia delle vacanze estive, gli chiesi di dare un’occhiata alla manciata di libri stampati, con risultati eccellenti, in una tipografia esterna alla Laterza, nel periodo in cui il papà Giuseppe era a capo dell’azienda. Gli proposi anche di sfogliare il mio libro fotografico ”Paese lucano”, prodotto dalla Eni, al fine di ripensare la produzione di libri illustrati o fotografici in casa Laterza.
Al rientro dalle vacanze, Vito, sogghignando, decretò che ”Paese lucano”, non era un reportage sulla Lucania, ma lo specchio di Castellano.
Chiaramente non aveva capito nulla.
Per Vito la fotografia si riduceva ad un atto depersonalizzato, il cui soggetto riproduceva sciattamente la realtà senza la mediazione dell’autore.
Nel frattempo io mi ero trasferito a Milano e mi recavo ogni mese a Bari a produrre le schede dei libri che dovevano essere stampati nei tre mesi successivi.
Le schede contenevano informazioni relative a formato e colori.
Allora si lavorava in economia e, privi anche dei mezzi attuali, le copertine erano stampate a due o tre colori al massimo.
Nonostante le schede fossero preparate in collaborazione, non erano rare le sorprese in stampa.
Quando i libri comparivano sul mercato, ritrovavo copertine cromaticamente differenti rispetto a quelle pianificate.
Quando chiedevo conto a Vito della variazione di colore imprevista, mi veniva chiesto, di rimando, se il colore scelto a mia insaputa fosse poi così male.
Era chiara la frattura e il rispetto flebile del mio operato.
Diventava impossibile andare avanti.
Tornato a Milano, scrissi una lettera di dimissioni, accolta poi favorevolmente.
Successivamente, consegnai a un libraio la quasi totalità dei libri Laterza che possedevo, in cambio di altri libri.

In cosa consisteva il suo ruolo e con chi lavorava o collaborava nel quotidiano?
Era lei che si occupava del disegno delle illustrazioni?
Naturalmente lavoravo da solo in casa Laterza.
Con Vallecchi mi servii con successo della collaborazione di un illustratore pugliese: Mario Lovergine.
Per Laterza, fatta salva qualche incursione sporadica nell’impaginazione interna, non mi occupavo che delle copertine.
Sceglievo tuttavia le carte con cui differenziare anche al tatto le varie collane.
Laterza mi ha permesso di farmi conoscere grazie a un rapporto duraturo e mi ha cucito addosso un’etichetta notevole; tuttavia, sono state altre le esperienze nelle quali la mia attitudine da fotografo mi ha permesso di intervenire considerevolmente nella progettazione grafica.
Se è vero che i libri prodotti con Laterza durano nel tempo, d’altra parte li percepisco come poco connotati e ambigui esteticamente.
Quanto alle immagini di copertina: accadeva che nei momenti di vuoto creativo, per far fronte ad una produzione di copertine davvero notevole, ci si industriasse in modi singolari.
A volte bastava strappare fogli di carta in piccoli pezzi da disporre a caso, cercando di trovare il senso alla composizione generata.
Molto spesso funzionava.

Cosa significava concretamente lavorare presso la Vallecchi, la quale, negli anni precedenti al suo arrivo, si era avvalsa del lavoro di Bob Noorda e dello studio Unimark?
A dire il vero, il lavoro di Noorda è stato completamente ignorato a partire dalla scomparsa del marchio da lui disegnato (che non mi convinceva e che costituiva un’anomalia all’interno del suo percorso di designer).
Quanto a Noorda sono occorse vicende personali che vanno al di là dell’esperienza in Vallecchi e che mi portano ad essere scettico riguardo ad una parte del suo operato.
Nel 2005 il Politecnico di Milano ha consegnato una laurea ad honorem a Noorda.
Lo conoscevo da una vita , fin da quando lavorava con Vignelli allo studio Unimark.

Noorda ha fatto bene molte cose, ma non è mai uscito dalle due dimensioni.
Alla notizia della laurea ad honorem ho pensato all’opportunità di avere più oculatezza e meno opportunismo politico nella distribuzione di riconoscimenti.
Ho ruminato questo pensiero a lungo.
Non è un mistero che Noorda fosse ben introdotto negli ambienti che a Milano contavano; la scelta, fatta con leggerezza e piaggeria, dispiacque a molti che avrebbero probabilmente meritato più di lui un riconoscimento ufficiale.
Credo che oggi, nella situazione in cui ci troviamo, con questi falchi della Padania che vogliono mettere proprio le distanze tra nord e sud, vanno assolutamente ripensate operazioni che valorizzino e riscattino il sud.
È triste che tra i grafici sia diffuso un modo di essere che li spinge a tenersi lontano dalla politica.
Noi siamo completamente implicati in queste cose tutti i giorni, e paghiamo le conseguenze di questo disastro nazionale che si perpetra almeno dall’apertura di Fanfani ai socialisti nel ‘62.
Tale apertura ha comportato l’inserimento, nei settori pubblici relativi alla cultura, di personaggi spesso incompetenti, strettamente legati alla politica nazionale. I democristiani allora affidavano le consulenze per la scelta dell’immagine di queste aziende a laici esterni, con criteri meritocratici.
È stato il degrado seguito al ‘62, penetrato in maniera così capillare nel sistema clientelare, a spingermi ad abbandonare Bari nel ‘67, per mancanza di lavoro.

Ci sono esperienze editoriali, che non hanno avuto la visibilità delle pluriennali esperienze presso Laterza e Vallecchi, a cui comunque si sente legato?
Mi parla delle esperienze precedenti o contemporanee all’arrivo in Laterza?
L’editore Leonardo da Vinci o Dedalo o la Eni, per esempio.

Ho ritenuto sempre tanto positiva la collaborazione con Leonardo da Vinci, contemporanea alla mia produzione in casa Laterza.
La statura culturale di un Diego De Donato (direttore della Leonardo da Vinci) non era minimamente paragonabile alla chiusura mentale di Vito Laterza.
Per Leonardo da Vinci ho progettato collane, copertine e gabbie interne, che avverto estremamente più vicine alla mia sensibilità di quanto non lo fossero le pubblicazioni con Laterza.
In principio la casa editrice Leonardo da Vinci pubblicava manualistica relativa ai millesimi condominiali; con l’arrivo di Diego De Donato la casa editrice cominciò a fare esplorazioni diverse nel campo dell’editoria, introducendo una collana relativa ai grandi viaggiatori.
Conobbi Diego a Bari.
Mi condusse nel deposito della casa editrice, zeppo di scaffali pieni di libri non venduti.
Gli garantii che saremmo riusciti a venderli tutti, facendo delle nuove sovraccoperte, un nuovo vestito, ma in economia.
La collaborazione è durata a lungo, fino al momento in cui Diego De Donato non ha scelto di vendere la casa editrice.
Anche con Dedalo di Raimondo Coga, seppur in maniera meno consistente, ho seguito la progettazione di collane e il disegno di singole copertine.
Il dato interessante è che, mentre nei ventiquattro anni di attività presso Laterza non ho ricevuto neppure un riconoscimento ufficiale, contemporaneamente, a Bari, con la Leonardo da Vinci, ho vinto un premio di notevole importanza, il Bancarella, per la copertina di “Ore giapponesi” di Fosco Maraini (copertina per altro progettata in modo rocambolesco senza il consenso dell’autore).
Eccezionalmente quell’anno il Premio Bancarella premiava la migliore copertina del biennio ‘58-‘59.
Per Dedalo, invece, sempre nel periodo “laterziano” ho ricevuto un premio Art Director Club Milano e un premio Centro per la Cultura nella Fotografia.

Una collaborazione di cui sono particolarmente contento è quella con Biblos Edizioni con la quale ho pubblicato solo due libri: un’autobiografia relativa alla mia produzione artistica negli anni ’90 e un libro realizzato per conto della provincia di Bari nel 1991: ”Viaggio in provincia”.
In quest’ultima pubblicazione (per altro l’ultima pubblicazione che mi abbia visto al lavoro come designer editoriale) sussiste una progettazione sistematica, guidata per esempio dal colore che individua la sezione, che risponde a leggi di gerarchia delle informazioni ben scandite.
C’è una differenza ottica di corpo e di giustezza per cui il lettore è automaticamente guidato nella lettura secondo una priorità di informazioni.
Ho inoltre collaborato con Feltrinelli per locandine e materiale promozionale e con Einaudi per la riedizione di un libro edito precedentemente da Leonardo da Vinci.

Mi parla invece del giallo relativo alla copertina di 1984 di Orwell, progettata da Germano Facetti per la Penguin?
Facetti ha commesso un reato denunciato dalle leggi sul diritto d’autore, condivise, immagino, da ogni Paese.
Nella copertina progettata per la Penguin, appare evidente un dettaglio di una mia foto pubblicata nel ’60 sul volume ”Moods”, edito da Leonardo da Vinci.
Facetti ha tagliato indiscriminatamente un dettaglio della mia foto, senza citarne in alcun modo la fonte, e (dettaglio ben più grave) manomettendola con l’inserimento di un occhio non presente nella mia composizione.

Come si approcciava alla sistematicità delle griglie nella progettazione di una nuova collana?
Quali erano i parametri che si dava nella progettazione delle sue collane?
Innanzitutto sono molto volubile, per cui un lavoro fatto viene ben presto accantonato.
La creazione delle griglie era fatta sempre in base ad un singolo progetto.
Inoltre credo di aver raggiunto il perfezionamento nell’ultimo libro che ho progettato, ”Viaggio in provincia”, per Biblos Edizioni.

Lì sussiste un equilibrio di gabbia perfetto, che d’altra parte non avrebbe funzionato in altri contesti. Bisogna affrontare il problema da capo ogni volta.
Fondamentale per un autodidatta è adoperarsi per non avere nulla da meno rispetto a coloro che si sono formati in modo “accademico” (e che rischiano, a loro volta, di standardizzare il loro operato).
Il caso esemplare è Max Huber che impaginava i libri di fotografia macellando le immagini sotto i colpi del proprio metodo ortodosso.
A Huber non importava niente delle fotografie, a lui interessava l’architettura della pagina.
Era in quel caso una grafica in funzione di se stessa e non della comunicazione.

Nelle realtà editoriali a cui ha accennato come si relazionava all’idea di longevità quando si trovava a progettare una nuova collana?
Quale è a parer suo la collana da lei progettata che meno ha avvertito il passare del tempo?
Certamente la collana dei Saggi Vallecchi.
Per altro il successo della stessa nel tempo è stato decretato dall’abbondante plagio compiuto negli anni dall’ineffabile collega Michele Spera.

Ha influito in qualche maniera, nella progettazione delle collane, l’esperienza delle correnti d’avanguardia dei ’60 e su tutte quella vissuta dall’arte programmata in Italia?
Ho prodotto lavori che tendevano ad essere ibridi nelle loro influenze.
Dal momento che mi interessavo di tante cose, cercavo di esplorare un po’ tutto, senza prendere direzioni determinate e senza scegliere una strada precisa piuttosto che un’altra.
Accadeva che mi impadronissi di qualcosa, che la mettessi da parte per farla poi riemergere altrove.
Avendo inoltre una preparazione che deriva dal latino, dal greco, dalla filosofia e dalla storia, è ovvio pure che l’approccio alla grafica sia stato molto differente rispetto alle speculazioni di molti dei miei colleghi.

Quanto è importante per lei la copertina di un libro nell’economia e nella vita del libro stesso?
La copertina fa vendere il libro.

 

Editoria fotografica: mi parla dei suoi tre libri fotografici di inizio ’60 (La valle dei trulli, ”Moods”, ”Paese lucano”)?
Che relazione intercorreva tra la fotografia e il libro?
Che ruolo attribuiva alla fotografia?
Quanto alla scoperta del ruolo delle immagini come mezzo narrativo autonomo, sono debitore di un personaggio che non conoscevo, dal quale ricevetti una lettera in cui mi veniva spiegato cosa avevo fatto inconsapevolmente con “Moods”.
Luigi Crocenzi, quindi non fece altro che raccontarmi il processo mentale che io ignoravo di aver eseguito.
Luigi ha cominciato la sua carriera come fotografo, collaborando anche con Elio Vittorini nel libro ”Conversazione in Sicilia”.
In seguito Crocenzi ha abbandonato la fotografia divenendo un filosofo, un filosofo dell’immagine.
Da lui ho imparato moltissimo, e l’uso che io ho fatto delle immagini come narrazione lo devo solamente a lui.

Ne ”La valle dei trulli”, non avendo ancora conosciuto la figura di Crocenzi, non è percepibile questa scansione e questo uso della fotografia; in seguito ho pubblicato ”Paese lucano” e “Noi vivi” (con la prefazione di Umberto Eco) che risentono della sua influenza.
Se Crocenzi non mi avesse spiegato che cos’è un romanzo visivo, io avrei continuato a fare fotografie e a impaginarle in maniera casuale.
Al contrario tutte le storie hanno avuto un loro svolgimento logico, impaginate con occhio grafico.
“Noi vivi” è soltanto frutto di una delle nostre chiacchierate.
In una di queste, Luigi mi propose di pensare ad uno ”Spoon River” fatto con le immagini.
Umberto Eco scrisse nella presentazione: “[Castellano] ha intitolato il libro a chi è rimasto in vita, alla ricerca di parallelismi, coincidenze visive, simmetrie tra il mondo detto dei morti e i presentimenti di morte in un mondo dei vivi. (…) La morte sta altrove, anche se i cimiteri tentano di farcelo dimenticare”.
Con Luigi avevo anche in progetto di produrre un libro che, come un makimono giapponese, si sarebbe dovuto srotolare, diviso in tre livelli (uno per la grafica, uno per la fotografia e uno per il testo) relativi a temi (quali ad esempio la burocrazia o l’immigrazione).

Quali sono i designer o gli intellettuali di cui maggiormente si è nutrito, che più stimava e che più l’hanno ispirata nel lavoro editoriale?
Indubbiamente Luigi Crocenzi, come già detto.
In secondo luogo Leonardo Sinisgalli.
Litigavamo pure.
Il frutto migliore della relazione che ho coltivato con figure del calibro di Crocenzi e Sinisgalli è stato ”Paese lucano” del 1964, commissionato dalla Eni con la presentazione dello stesso Sinisgalli.
Italo Zannier scrisse a proposito di “Paese lucano” parole lusinghiere, annoverandolo tra le opere più importanti prodotte da un fotografo in Italia nel dopoguerra.
Sinisgalli era nato a Montemurro, comune della Lucania, e nell’esperienza di produzione di “Paese lucano” mi consigliava di andare per i comuni con la Linhof.
Ma spesso in Lucania capitava di arrivare in un paesino e tutti correvano subito a farsi fotografare.
A dieci chilometri di distanza, in un altro paesino, accadeva che la popolazione si chiudesse ermeticamente in casa per paura della macchina fotografica.
Io quindi mi ero inventato uno strumento: una sorta di periscopio, caratterizzato da un tubo e uno specchio a 45°, che ponevo davanti all’obbiettivo in maniera tale da non far percepire ai soggetti di essere fotografati.
Era quindi impossibile usare macchine di grande formato; di qui una storica litigata che culminò con un grande abbraccio.

Quanto le sue sperimentazioni tipografiche in tre dimensioni sono andate a convergere nel lavoro di progettazione editoriale?
Il lavoro relativo alla ricerca della terza dimensione nelle lettere, compiuto senza l’ausilio del computer, è maturato fondamentalmente negli anni ‘80.
In quel periodo io ero già a Milano e avevo sostanzialmente concluso le esperienze editoriali sia presso Laterza che presso Vallecchi.

Quanto l’evoluzione tecnologica ha influenzato il suo modo di progettare le copertine?
Quando è arrivato il computer tutti i miei coetanei hanno cominciato a fare gli schifiltosi e gli scettici, salvo poi servirsi di ragazzi capaci di “smanettare” sui software, e utilizzarli come loro tramite.
Ma è chiaro che in tal modo il risultato risulta evidentemente diverso.
È come un marito che delega ad un giovane aitante le attività sessuali con sua moglie.
Oggi viviamo in un mondo che solo vent’anni fa non avremmo potuto immaginare.
Progetti che ai tempi della grafica tradizionale non avrei mai potuto fare e nemmeno immaginare.
La creatività dipende anche dalla conoscenza dei mezzi di cui si può disporre.

Cosa è cambiato secondo lei nel gusto estetico italiano negli anni che l’anno vista in prima linea come art director delle case editrici di cui sopra?
La società è cambiata nella misura in cui è mutata la televisione con la sua sciatteria commerciale che ha contagiato anche la Rai, la quale prima dell’avvento di Berlusconi era maestra nella promozione di scelte culturali e artistiche di prim’ordine.

Mi toglie una curiosità?
Perché Leonardo Sinisgalli la definiva un “entomologo”?
Ci tengo tanto a questa definizione.
Pensavo addirittura di usarla per i biglietti da visita come “graficoentomologo”.
L’entomologo studia al microscopio gli insetti, appunto.
Sinisgalli aveva colto il fatto che io tendo a vedere sempre i dettagli nelle cose, e spesso sono proprio gli stessi dettagli che propongo, anziché l’insieme.

Vallecchi, quindi… Cosa era cambiato rispetto a Laterza?
Che bagaglio si portava dietro e che realtà incontrava?
Nel ’72 la Montedison compra la Vallecchi: la casa editrice chiede la mia collaborazione ed io comincio a fare la spola Milano-Firenze.
Nel giro di due anni ho progettato una decina di collane in totale libertà.
In tale biennio ho ricevuto la medaglia d’oro della Presidenza della Repubblica, il Premio Bodoni Parma e un altro riconoscimento che ora non ricordo più…
Ad ogni modo, in due anni ricevere tre riconoscimenti ufficiali la dice lunga sul mio operato al di fuori della casa editrice Laterza.
Arrivavo a Vallecchi con una rabbia compressa, causata dagli eventi occorsi con Laterza, per la cattiva interpretazione di Vito della figura del grafico e di ciò che ne era derivato.
Caso esemplare: in casa Laterza, la scelta della copertina per il libro delle favole di Basile (a cui tenevano tanto) mobilitò per tre mesi intere riunioni di redattori, con risultati discutibili.
Ciascuno di loro si intrometteva nel mio lavoro, correndo così il rischio di un risultato “eclettico”, piuttosto lontano da un autentico progetto grafico.
A Vallecchi curai anche l’interno dei libri, garantendo maggior omogeneità al prodotto.
Compimmo un lavoro davvero notevole con una collana di libri di Pierre Renouvin, sulla storia del mondo.
In quel caso effettuammo un’operazione straordinaria inserendo, in ciascun volume, una selezione di immagini curata da esperti.
Lavorava in Vallecchi anche Carlo Ludovico Ragghianti, che avevo conosciuto a Firenze nel ‘72, ma che già dieci anni prima aveva espresso pareri lusinghieri relativi al mio libro fotografico” Moods” pubblicato per Leonardo da Vinci.
Ragghianti aveva intenzione di pubblicare una storia dell’arte italiana e studiammo così assieme come riuscire a progettare libri anticonvenzionali, nei quali testo e immagine potessero adeguarsi a una griglia elastica, lasciando la preminenza ai contenuti.
Proposi un progetto a lettura multipla, che evadesse dalla concezione dei testi rigidi impaginati a due colonne (si tenga presente la difficoltà di impaginare i testi in maniera libera, senza l’ausilio dei software attuali di impaginazione) e che rispondesse a criteri di lettura corrispondenti alla gerarchia delle informazioni.

https://www.super-from.com/2021/04/10/mimmo-castellano-grafico-sovversivo/

 

Mimmo Castellano, grafico sovversivo.

Home/Arte, Design, Fotografia/Mimmo Castellano, grafico sovversivo.

Mimmo Castellano, grafico sovversivo.

Di Omar Tonella|10 Aprile 2021

 

Mimmo Castellano, un segno nella storia della Comunicazione Visiva

Mimmo Castellano è stato uno dei più importanti esponenti della grafica italiana negli anni ’50-’60-’70, un pioniere che ha lasciato un’impronta importantissima nella comunicazione visiva del ‘900. Il suo stile si costruiva attorno ad un inconfondibile segno grafico lucido, asciutto e seriale. Un tratto che si susseguiva implacabile tra colori dal carattere netto ed equilibri formali asimmetrici in una severa ritmica degli spazi vuoti.

 

Il design delle origini di Mimmo Castellano

Originario di Gioia del Colle (BA) si trasferisce a Milano dal 1967; agli inizi degli anni ’50 grazie all’importazione svizzera cominciava a delinearsi la figura e il mestiere del Grafico nello Studio Boggeri proprio in ambito milanese. Nella Bari di Castellano – città con la quale il sovversivo e anticonformista designer aveva un rapporto di amore ed odio – non esisteva ancora la figura del progettista grafico. Proprio nella città pugliese Mimmo Castellano inizia nel 1951 la sua esperienza come grafico e fotografo autodidatta. Proprio qui cura l’identità visiva di Laterza, nota casa editrice per la quale disegnerà copertine dei libri. Questa fu una brillante collaborazione che purtroppo interromperà bruscamente 20 anni dopo.

Dapprima comincia lavorando alla Favia, la più grande storica tipografia di Bari. In passato Favia fu una stamperia specializzata nella produzione di calendari religiosi e santini. Qui progetta nel 1952 il manifesto per il carnevale di Putignano dove reinterpreta Favinella, una maschera tipica locale. Nello specifico l’identità visiva della maschera non era ancora ben chiara nemmeno agli organizzatori dell’evento; tuttavia, con grande abilità Mimmo Castellano le conferisce una forma che coniuga brillantemente un Jolly e la famosissima Arlecchino.

 

Rivisitare le tradizioni

L’atteggiamento della rivisitazione delle tradizioni è un argomento che si innesta nel contesto del regionalismo critico grafico. In particolare, un tema sul quale abbiamo visto interessanti approfondimenti nel lavoro di Mauro Bubbico e nell’evento Singolare Plurale messo in mostra durante di Graphic Days di Torino in collaborazione con Fedrigoni. Anche nel 1952 il manifesto su “Farinella” valorizza la cultura barese e diventa un simbolo del folklore tipico locale evidenziando una forte propensione alla valorizzazione delle site specific. Nonostante la sua burbera relazione con la sua terra, la conservazione dei rapporti con Bari fu decisiva per il formarsi della scuola di grafica e fotografica moderna.

Un simbolo della storia della fotografia del dopoguerra

Mimmo Castellano è stato anche un abilissimo fotografo capace di catturare le identità più autentiche di un luogo.
Dal 1960 in poi pubblica moltissimi libri di ricerca fotografica come “La Valle dei Trulli” – con prefazione di Sinisgalli – nel il quale affronta l’analisi dei loro segni iconici. Conseguentemente nel “Moods” sviluppa un progetto fotografico dove mette in atto dei tagli visivi su muri, finestre e trabiccoli. Nel 1965 realizza per ENI “Paese Lucano”, una pubblicazione contenente una ricerca fotografica, etneo-antropologica sulla Basilicata. Proprio in queste pagine Italo Zannier – fotografo e storico dell’arte – ritrova delle immagini di rifermento del dopoguerra storico-fotografico italiano.

Analogamente, nel 1967 realizza “Noi Vivi”, un volume sull’arte dei cimiteri pugliesi con testi di Umberto Eco. Risulta chiaro che punto di vista della ricerca fotografica di Mimmo Castellano è animato anch’esso da un intenso attaccamento al folklore. In breve, sembra non poter fare a meno di tutti quelle relazioni culturali che la realtà sociale ha costruito nel tempo.

Le contaminazioni

Specificatamente nei vari progetti di identità visiva di Mimmo Castellano vediamo un forte citazionismo a quelle che erano le correnti artistiche del tempo in particolare al M.A.C. Movimento Arte Concreta. Si tratta di un movimento artistico nato a Milano nel 1948 da artisti e designer visionari: Ettore Sottsass, Augusto Garau, Gillo Dorfles, Atanasio Soldati, Gianni Monnet e Bruno Munari. Uno stile che prende piede anche in Liguria, in particolare nella Genova di Rocco Borella e AG Fronzoni, rappresentato da gruppi autogestiti indipendenti d’avanguardia come il Gruppo R.E.C. (Ricerche estetico Concrete). Il R.E.C. venne fondato da Sergio Antola, Paolo Nutarelli, Sandro Cortesogno, Giovanni Di Nino, Bruzzo e Torri ed ebbe la galleria “Centro del Portello” come spazio di riferimento. Nella fine degli anni ’50 anche Tomás Maldonado – figura di riferimento per il mondo del design – porta in Sudamerica il manifesto dell’arte.

Specificatamente, è notevole è la sua produzione di Manifesti degli anni ’70 per l’Expo Arredo. Siamo davanti a progetti che si trovano d’accordo con l’estetica visiva delle serigrafie d’arte concreta. Nei poster propone delle forme severe con forti contrasti cromatici – talvolta solo bianco e nero con l’aggiunta di un colore primario – che mettono in evidenza la sua necessità di grafico di bucare la carta stampata.

 

Mimmo Castellano, le collaborazioni fino ad oggi

Castellano è stato per anni consulente di Rai, dove ha lavorato con Achille e Piergiacomo Castiglioni per gli allestimenti degli indimenticabili padiglioni del ’56 e del ’66. Inoltre, ha avuto molte altre celebri collaborazioni: negli anni del boom ricordiamo quella con Italsider, ENI, Alitalia, CONI, Borsa internazionale del turismo. Per non dimenticare la Banca Popolare Sud Puglia e le case editrici Enaudi, Feltrinelli e Vallecchi. Anche in questi casi di identità vediamo la sua intenzione di assecondare la cultura visiva del tempo.

In particolare, nei primi Ottanta progetta il sistema di comunicazione visiva per le Eolie e Lipari. Il progetto è un sistema di segni essenziale per carte stradali, cartelli, frecce comprendente tutte le declinazioni dell’identità visiva. Inoltre, Castellano nella sua opera parla di Archigrafica, con la quale sembra esprime il desiderio di mettere in forte evidenza la dimensione progettuale della Grafica. In altre parole, il termine ci suggerisce che non si tratta di un semplice modo di posizionare una scritta su un foglio.

Grazie alla figura di Castellano si formano nella stessa terra designer innovativi baresi come Geppi De Liso. Negli ultimi anni della sua vita sviluppa temi legati alla pittura digitale e alla fotomeccanica, una visione che lo accompagnerà fino alla fine del suo percorso terreno.

Dal 1980 è stato membro dell’AGI (Alliance Graphique Internationale) e socio onorario dell’AIAP (Associazione Italiana Design della Comunicazione Visiva). In conclusione, dagli anni ’80 in poi c’è una crisi dell’avanguardia razionalista. Dopo di questa sostiene che il design è morto.
Ma grazie al suo lavoro, in realtà, ha preso vita sotto tanti aspetti.

 

Scritto da: Omar Tonella

Omar Tonella è un designer, grafico e creativo italiano; Dal 2020 è Professore a Contratto presso la CFP Bauer di Milano. Collabora con la rivista Ville e Giardini ed ha fatto interventi seminari in ambito scolastico, universitario e didattico. Inoltre, ha tenuto workshop e corsi sul design ceramico e sulla stampa 3D per l’argilla. Dal 2016 è insegnate di grafica e fotografia presso un istituto industriale superiore. Si occupa di comunicazione visiva e product design con particolare attenzione alla valorizzazione dell’artigianato e del regionalismo critico.

New York Life Copertina flessibile – 1° gennaio 1997

di Michele Roberto e Liliana Chiari

 

Introduzione di Lanfranco Colombo. Testo e 54 fotografie in bianco e nero degli Autori.

Brossura (wrappers) Montaggio delle sequenze, grafica e copertina di Mimmo Castellano

Ricordo di Michele Roberto 31 maggio 2022 indirizzato a Aurelio Valente

Bellissimo profilo del personaggio. Hai scritto esattamente il suo pensiero che ho sentito tante volte ripetere a me quando andavo a trovarlo nella sua casa a Trezzano sul naviglio che era diventato il suo eremo quando, negli ultimi anni della sua feconda è splendida vita creativa, era stato messo un pò da parte “perché la cultura si era presa una pausa”.

Passavo con Liliana Chiari a vedere tutte le sue opere, i suoi ancora ambiziosi progetti futuri e i suoi sfoghi sempre dignitosi sullo stato dell’arte in Italia.

Voglio aggiungere che la grande mostra “cinquanta anni di grafica …” fu ideata dal sottoscritto in accordo con Mimmo proprio durante una serata a casa sua.  Avevo una associazione “la Corte, fotografia e ricerca” con Giacomo Adda, Marilena Bonomo, Il sovrintendente Iacobitti etc con sede nel Castello Svevo e convinsi, molto facilmente, l’amico Tommaso Fidanzia ad organizzare quella grandiosa mostra.  Nell’occasione feci fare a Mimmo una presentazione sotto forma di intervista, in una interclub di tutti i Rotary club di Bari… E fu un successone!

Ecco come conosco Castellano.

Sei stato bravissimo a centrare tutto e mi hai fatto fare un tuffo sentimentale nel passato.

 

Grazie! Michele

POTREBBE INTERESSARTI