MORAMARCO ANGELANTONIO

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MORAMARCO ANGELANTONIO

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Imprenditore, presidente nazionale del settore molini a grano duro in Confindustria per tre bienni (dal 1991 al 1996), Cavaliere del lavoro.

Inizia a lavorare, a dieci anni, come apprendista in un piccolo molino. Acquisisce, autodidatta, nozioni specifiche e si diploma a Torino come perito tecnico: titolo che gli permette di operare come progettista e collaudatore di impianti in vari paesi del mondo.
Nel 1962 avvia una piccola officina meccanica, che si specializza nella costruzione di impianti molitori. Nel 1970 acquista in società un molino in Andria e lo trasforma in un modernissimo stabilimento. Nel 1980 un altro impianto, il Semolificio A. Moramarco, del quale è diventato presidente e amministratore.
Questa attività imprenditoriale oggi conta sei industrie molitorie del grano duro e tenero con un pastificio. Tutte le società dirette e amministrate, in Italia e all’estero, hanno consolidato nel 2001 un fatturato di circa 500 miliardi e danno lavoro a 300 dipendenti e a centinaia nell’indotto.
È impegnato non solo nell’attività imprenditoriale, ma anche nel campo della formazione. Nel 1994, in collaborazione con l’Ipsia di Altamura, ha istituito un corso professionale per l’industria molitoria e affini. È stato presidente nazionale del settore molini a grano duro in Confindustria per tre bienni (dal 1991 al 1996).

Inizia a lavorare, a dieci anni, come apprendista in un piccolo molino. Acquisisce, autodidatta, nozioni specifiche e si diploma a Torino come perito tecnico: titolo che gli permette di operare come progettista e collaudatore di impianti in vari paesi del mondo.

Nel 1962 avvia una piccola officina meccanica, che si specializza nella costruzione di impianti molitori. Nel 1970 acquista in società un molino in Andria e lo trasforma in un modernissimo stabilimento. Nel 1980 un altro impianto, il Semolificio A. Moramarco, del quale è diventato presidente e amministratore.

Questa attività imprenditoriale oggi conta sei industrie molitorie del grano duro e tenero con un pastificio. Tutte le società dirette e amministrate, in Italia e all’estero, hanno consolidato nel 2001 un fatturato di circa 500 miliardi e danno lavoro a 300 dipendenti e a centinaia nell’indotto.

È impegnato non solo nell’attività imprenditoriale, ma anche nel campo della formazione. Nel 1994, in collaborazione con l’Ipsia di Altamura, ha istituito un corso professionale per l’industria molitoria e affini. È stato presidente nazionale del settore molini a grano duro in Confindustria per tre bienni (dal 1991 al 1996).

Onorificenza

Nominato Cavaliere del Lavoro il 02 06 1996
Settore Industria Alimentare Puglia

L’azienda Moramarco rappresenta oggi UN PUNTO FERMO nel mercato molitorio Nazionale: la tappa centrale nel percorso che da sempre lega la Terra al cliente finale. Un percorso iniziato da tantissimi anni, oggi GARANZIA della GENUINITA‘ del progetto Moramarco.

Un’azienda fortemente legata ai suoi fondatori, ANTONIO MORAMARCO E VINCENZO CASILLO, uomini che hanno donato all’azienda l’impronta vincente grazie al lavoro e al notevole intuito imprenditoriale.
Tanta competenza, cura e passione perseguendo un obiettivo primario: privilegiare la qualità sin dall’origine del processo produttivo. Una regola che non conosce eccezioni, la cui professionalità nei particolari di un progetto fatto di prezzi competitivi, sicurezza e altissima qualità dei prodotti. I severi e continui controlli in osservanza delle normative europee ed italiane descrivono i contorni di un’azienda, la Moramarco nella quale l’attenzione per le esigenze del cliente è un PIACERE, prima ancora che un dovere.
I numeri di Moramarco sono quelli di una realtà senza bisogno di presentazioni:
20.000 MQ coperti su 7 PIANI, una capacità di stoccaggio superiore a 250.000 QUINTALI di grano duro e prodotto finito, un avveniristico LABORATORIO D’ANALISI composto da una equipe di tecnici altamente specializzati.
L’impianto, costituito in un primo momento nel 1979, è stato successivamente ampliato nel 1995. Moramarco è EFFICIENZA e VELOCITA
Lo stoccaggio del grano duro e dei prodotti finiti viene effettuato in appositi silos direttamente connessi al Semolificio. Inoltre Moramarco si avvale di più di 100 IMPRESE esterne di autotrasporto, in grado di evadere OLTRE 50 CONSEGNE GIORNALIERE IN TEMPI BREVISSIMI.

http://www.felicedesanctis.it/News-Dett.aspx?Id_News=202

Altamura, la leonessa fra pane, mulini e salotti

INCHIESTA/ Una capitale economica di Puglia. Nuova zona industriale: è guerra
07/03/2002 19:13:00
dal nostro inviato
ALTAMURA – La leonessa di Puglia ruggisce ancora, anzi il suo ruggito si è trasformato in urlo possente, quell’urlo dei dinosauri che hanno calpestato questa terra milioni di anni fa e che ora riemergono dal passato con le loro impronte maestose. Sembra quasi di sentirlo quell’urlo fermandosi per qualche minuto nel silenzio della Murgia, trasportato dal vento che arriva dalla preistoria e che aleggia qui dove dominano lo spazio e l’aria «che sa di sale ma non di mare» direbbe Raffaele Nigro, dove riscopri il piacere dei sensi ascoltando la voce della natura, i profumi della terra e l’immensità dell’orizzonte senza confini dai colori cangianti man mano che giri lo sguardo intorno, carezzando i campi di grano come i biondi capelli di una fanciulla, pregustando il caldo sapore di quel pane di Altamura, conosciuto ormai in tutto il mondo. Comincia da qui, dalla terra, dalla cultura contadina, da quel pane che recentemente ha incantato gli irlandesi, questo viaggio nell’economia di un paese di pastori che ha saputo crescere e prosperare trasformando una dannazione della terra arida e pietrosa in un’opportunità di sviluppo. «Mi chiederai come ha fatto questa gente a scavare ed allineare tanta pietra – scrive Tommaso Fiore -. Io penso che la cosa avrebbe spaventato un popolo di giganti. Questa è la Murgia più aspra e più sassosa, … non ci voleva meno della laboriosità di un popolo di formiche…». E il popolo di formiche, che in anni di paziente attesa e lavoro, ha accumulato esperienza e capacità professionali, oggi si ritrova catapultato nel villaggio globale, dove l’antico pastorello che ieri moriva di solitudine nella transumanza, oggi si muove con l’auto di grossa cilindrata, orgoglioso di un progresso e di un benessere conquistato e consolidato. Il pane simbolo di una città L’agricoltura qui convive con l’industria, ma il simbolo di una città amata da Federico II che volle costruire una sua stupenda cattedrale, resta quel pane fatto di semola di grano duro, unico al mondo e irripetibile, anche se nel mondo oggi, grazie alla tecnologia è possibile riprodurlo simile all’originale. Centomila ettari di superficie agricola misura il territorio dell’Alta Murgia, per questa posizione strategica, sia rispetto al mare che alle montagne, l’altipiano murgiano è interessato da un clima particolare: accentuata ventilazione, estati piuttosto secche e inverni moderatamente rigidi; condizioni che determinano l’alternarsi di due stagioni, primavera e autunno, particolarmente favorevoli alla coltivazione del frumento. A questo si aggiungono altre caratteristiche climatico-pedologiche, come la natura carsica e la presenza di una ricca e saporosa vegetazione spontanea, che conferiscono alle principali varietà di frumento duro che si coltivano su questo territorio (simeto, appulo, colosseo e arcangelo: le varietà previste dal discipilinare di produzione del pane di Altamura Dop) delle particolari caratteristiche chimico-fisiche che lo rendono unico. Un frumento di eccellenza, quindi, dal quale si ottiene la «semola rimacinata di grano duro», particolarmente indicata per la panificazione e la produzione di prodotti da forno e la «semola di estrazione» che rappresenta una materia prima di gran lunga superiore alle tradizionali semole di grano duro impiegate nella pastificazione industriale, come ci spiega il prof. Michele Saponaro, Coordinatore della Durum Italia, azienda impegnata in un programma di informazione-divulgazione (e successiva commercializzazione) della «semola rimacinata di grano duro» nei Paesi dell’Unione europea, nell’ambito di azioni mirate a coniugare insieme il meglio della tradizione agroalimentare murgiana della filiera del frumento e innovazione.
Altamura, oltre ad essere «Città del pane», è anche il secondo distretto industriale per la produzione delle semole di grano duro, in relazione alla quantità di grano molito e al fatturato. Il primo distretto nazionale per la produzione di frumento duro e i prodotti da esso derivati è il territorio di Foggia e del Tavoliere. Ma se si prende in considerazione la produzione delle sole «semole rimacinate», Altamura diventa il primo polo nazionale, con la presenza di 12 impianti industriali in grado di accogliere e trasformare quotidianamente circa 20.000 quintali di grano duro, cui si affianca la produzione di un pane che ha raggiunto nel tempo grande notorietà e notevole diffusione in diverse regioni italiane.
Attualmente, infatti, sono ben 39 le aziende dedite alla panificazione attive nella città (il 50% a conduzione familiare), con un numero di quasi 200 addetti, in grado tutte insieme di sfornare ogni giorno 600 quintali di un prodotto che solo nella misura del 20% è destinato al mercato interno, per un volume d’affari complessivo intorno ai 370 miliardi, a cui se ne aggiungono ulteriori 150 assicurati dagli altri prodotti da forno. La necessità di tutelare un bene così prezioso, dal punto di vista nutrizionale ed economico, ma anche culturale, ha portato i panificatori altamurani a costituirsi, sia pure parzialmente, in un «Consorzio per la tutela del pane di Altamura» (Cpa) il cui principale obiettivo, di fronte a tutti i problemi posti dalla commercializzazione a larga scala, è quello di ottenere la Dop, cioè la denominazione di origine protetta prevista dal Regolamento Cee 2081 del 1992.
«Questa vocazione produttiva nel settore della molitura del frumento duro – aggiunge Saponaro -, Altamura la presentava già nel ’600, quando erano attivi ben 26 impianti. Voglio ricordare, inoltre, che il primo impianto a vapore della Puglia è nato proprio ad Altamura nel 1877. Si tratta del Molino Mininni, che oggi è un impianto industriale di medio-grandi dimensioni e che, insieme al Molino Capriati & Loiudice, altra significativa realtà industriale del territorio, ha dato vita, nel settembre del 2000, alla Durum Italia».
Attualmente le semole rimacinate vengono commercializzate oltre che nel Mezzogiorno, anche nei grandi panifici del Nord Italia, negli ipermercati e nelle grandi catene di distribuzione, anche perché c’è una domanda crescente di pane di grano duro legata ad alcune peculiarità salutistiche del Pane di Altamura, come la conservazione più lunga, la presenza di fibre e proteine (è nutriente e non fa ingrassare). Già Orazio nelle «Satire» cantava le lodi di questo pane: «…l’acqua, la cosa più comune, qui la vendono; ma il pane è buono veramente, tanto che il passeggero scaltro suole farne provvista per il viaggio…».

I mulini ad alta tecnologia

Il pane, materia antica e nobile dell’antica civiltà contadina, sopravvissuta a tutte le mode e alle innovazioni alimentari, oggi si prende la rivincita e diventa l’oggetto del desiderio non solo di ogni regione italiana, ma anche di molti Paesi europei, dove la richiesta è crescente: oltre agli irlandesi, che cominceranno a produrre il loro pane tipo Altamura, ci sono i tedeschi, che hanno ospitato in un workshop una delegazione altamurana per imparare tecniche e segreti di questo prodotto, i giapponesi, pronti a copiare anche il pane, ma anche romeni, albanesi, cecoslovacchi e altri popoli dell’est europeo. Perfino dall’Egitto è arrivato un imprenditore interessato a conoscere le tecniche di realizzazione del pane per importarle nel suo Paese.
Nasce di qui un’altra fiorente attività economica di Altamura legata al pane: la produzione di mulini ad alta tecnologia, realizzati in pezzi separati che possono essere montati in loco. E’ questo un vero business che sta incontrando l’interesse di molti paesi che inviano delegazioni ad Altamura per apprendere la tecnica di realizzazione del prodotto. Certo, la realizzazione del pane di Altamura Dop (che sta per ottenere il suo riconoscimento definitivo da Bruxelles, come ci dice Giuseppe Barile, presidente del Consorzio di tutela) è irripetibile per il concorso di diversi elementi non esportabili quali le quattro varietà di frumento che vanno molite insieme, l’acqua (già a Matera, ad appena 19 km, è diversa), il lievito inacidito e la grande professionalità dei panificatori locali. Ma con la tecnologia si può realizzare un prodotto di semola rimacinata di grano duro di tutto rispetto. «C’è ancora molto da fare per far crescere questo settore – sostiene Saponaro – ad esempio potenziare le attività produttive della cerealicoltura attraverso la ricerca scientifica, che nel settore cerealicolo è la più antica, con miglioramenti genetici o varietali».
Anche il settore molitorio può svilupparsi ulteriormente guardando all’Europa, perché il mercato italiano è ormai saturo, come sostiene il cav. Antonio Moramarco, titolare del più grande impianto di molini della zona, che sta costruendo un impianto in Venezuela. L’Italmopa, associazione di molini e pastifici, in collaborazione con l’Ice, l’istituto per il commercio estero, con le associazioni di categoria potrebbe promuovere conferenze tecniche nei paesi europei per illustrare le caratteristiche di produzione e la possibilità di realizzare questo prodotto ovunque.
Perfino grandi aziende come la Barilla che fino a ieri ignoravano la semola di grano duro, oggi la utilizzano per fare i biscotti. Del resto la resa del rimacinato di grano duro è del 30-40% , maggiore del 15% di quello tenero, il che vuol dire che da ogni quintale 30-40 chili sono gratis: un vantaggio notevole sul piano della commercializzazione e dell’economia dei costi. Attraverso progetti di import-export è possibile abbattere i costi di trasporto ancora elevati, cercando soluzioni alternative al trasporto su gomma, come possono essere la ferrovia e il mare, soprattutto perché la materia prima ha tempi lunghi di conservazione, che possono arrivare anche a 160 giorni. Per il marketing un ruolo importante oltre all’Ice, potrebbero svolgere le Camere di commercio e soprattutto la Regione, con i nuovi compiti istituzionali che le sono stati affidati.

Manca la mentalità consortile

Ma, come in tanta altre aree della Puglia, manca una mentalità consortile, che sarebbe il volano di uno sviluppo rapido ed efficiente, «il Comune – propone Saponaro – potrebbe svolgere un ruolo di concertazione permanente fra i vari produttori». «Per il trasporto – ci dice Barile – siamo in trattativa con una compagnia aerea e forse fra un paio di mesi saremo in grado di far arrivare il nostro pane su tutti i mercati europei». Altamura, però, non è riuscita ancora a valorizzare fino in fondo il prodotto locale e gestire in loco tutta la filiera. «Come mai la capitale della pasta è Parma – dice Mino Casiello, altamurano doc e direttore dell’Inea, l’istituto di economia agraria di Bari – quando le capitali del grano sono Altamura e Foggia.
Perché non siamo riusciti a trasformare la semola prima che vada via? Ecco uno delle mancate occasioni di sviluppo del settore». L’industria delle carni L’agroalimentare di Altamura rappresenta un esempio di sviluppo compatibile con l’ambiente di cui oggi si parla tanto e accanto al pane cresce l’industria delle carni che ha la sua punta più elevata nell’agnello, un piatto forte della gastronomia altamurana, con i «gnumuridde» involtini di pecora alla brace e le salsicce a punta di coltello. La materia prima è quella degli allevamenti della Murgia (sono oltre 200). L’antica transumanza è ormai un ricordo dei musei della civiltà contadina, ma anche i pascoli vanno scomparendo: l’alimentazione del bestiame avviene direttamente nelle masserie. Ma il problema resta sempre quello dell’acqua: trivellare i pozzi costa e uno sfruttamento eccessivo della falda può accelerare il processo di desertificazione.
L’agricoltura altamurana resta povera (soprattutto se si confronta ad esempio con la produzione dell’uva), gli investimenti vengono fatti altrove (si acquistano ettari di terreno in tutta la Puglia, per trasformarli a grano) perché i costi sono rimasti costanti, mentre è diminuito il valore della produzione. In sostanza, la tendenza è quella di ridurre il valore della produzione e incrementare quella dell’aiuto comunitario. «Da un ettaro di terreno si possono produrre 20-20 quintali di grano al prezzo di 35-39mila lire a quintale e su un valore di produzione di un milione, si è arrivati oggi a un’integrazione europea di 700-800mila lire, mentre i tendoni di uva rendono 300-400mila lire ad ettaro e il prodotto viene venduto a 700-1.200 lire al chilo, con un ricavo anche di 400 milioni ad ettaro: ecco perché la nostra resta un’agricoltura povera, conclude Casiello». Altamura può vantare anche la produzione del fungo cardoncello, dei formaggi, dei dolci e del rinomato digestivo «Padre Peppe», infuso di noci, la cui ricetta è attribuita a un frate del ’600.
(omissis)

La Gazzetta del Mezzogiorno – inchiesta – 7.3.2002 Felice de Sanctis

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