VALENTINI ORONZO
VALENTINI ORONZO
Giornalista, nel 1944 fu cronista durante il congresso del Comitato di Liberazione Nazionale che si tenne a Bari al Teatro Piccinni il 28 e 29 gennaio, curando il resoconto stenografico con il giornalista Ciro Bonanno del Mattino; nel 1945 partecipò alla fondazione dell’Associazione della Stampa e dell’Ansa. Dal 1962 al 1979 fu direttore della Gazzetta del Mezzogiorno e dal 1965 al 1989 fu presidente interregionale dell’Ordine dei giornalisti.
Tratto da IL DIRETTORE Oronzo Valentini
Storia di un grande protagonista del giornalismo pugliese
A cento anni dalla nascita
di Nicola Mascellaro, Di Marsico Libri, aprile 2022
Prefazione di Gianni Spinelli
Il Direttore, Oronzo Valentini… Ero un giovane collaboratore, alle prime esperienze,
un “abusivo”. Mi era stato detto dai capi della redazione sportiva: «Non ti far
vedere… Ti ha notato in tipografia e ha chiesto: “Ma quello alto chi è?”. Per ora, è
meglio così… Tempo al tempo».
Oronzo Valentini, il Direttore, mi incuteva soggezione e le parole di Mario Gismondi
e di Andrea Castellaneta mi giungevano gradite. Un sollievo non trovarmi faccia a
faccia con questa persona distinta, con i baffi e gli occhiali, un’aria severissima… Il
Direttore… Mi sarei imbranato di brutto, magari non sapendo se rivolgergli un
“buonasera” a mezza voce con un inchino o girare lo sguardo dall’altra parte.
L’immaginario di un aspirante giornalista era (ora non lo è) pieno di speranze, di
sogni, di ansie e di paure, Paure sì, perché il giudizio di un caposervizio o di un
caporedattore, dopo aver scritto un articolo, poteva decretare una bocciatura,
peggio di quella all’esame di Stato del liceo.
Io, in verità, alla “Gazzetta del Mezzogiorno”, temevo solo il Direttore, condizionato
anche da una letteratura che girava attorno alla sua figura carismatica: gli
“anziani”, in redazione, avevano il… vezzo di paragonare Valentini a una specie di
“torturatore”. Lo facevano per spaventare noi novellini, in attesa di un’eventuale
assunzione.
Era una paura campata in aria. Simile a quella dei bambini che temono il lupo
cattivo. Sparì d’incanto appena fui… abile-arruolato ed entrai a far parte di quella
che una volta era la grande famiglia della “Gazzetta”. Fu empatia dai primi
incontri. Empatia professionale e umana: i servizi come inviato, la promozione al
seguito del Bari calcio, la capacità di capire i miei stati d’animo e di offrirmi sempre
massima disponibilità. Con lui, anni davvero belli.
E stima, affetto, anche quando andò via dal giornale, perché la Dc e il Psi imposero
Giuseppe Giacovazzo: ci vedevamo all’Ordine e si fermava a chiedermi di tutto. E
non mancava mai di farmi gli auguri per il mio onomastico o di inviarmi i saluti
tramite Antonello, uno dei suoi figli.
Ricordi, riaffiorati nella mia mente, quando Nicola Mascellaro mi ha inviato il libro
che gli ha dedicato, chiedendomi di scrivere la prefazione. Ho letto e riletto il volume
ed è stato un percorso coinvolgente, mi ha fatto conoscere anche il Valentini che non
conoscevo, quello che parte dai suoi inizi di cronista. Una scalata graduale, fatta di
impegno e di crescita.
Mascellaro, con già all’attivo opere su personaggi ed eventi baresi e pugliesi, ha il
pregio di aver scritto una biografia inserendola nella storia, nella politica e nella
cronaca di tutto il periodo “Valentini-Gazzetta”, culminato con gli anni della
direzione. Una rivisitazione attraverso editoriali e articoli. Niente ghirigori, ma
pagine di giornale che parlano da sole, facendo emergere la figura di un grande
giornalista, capace di commentare tempi difficili, con rigore, il più possibile al di
sopra delle parti. Fra l’altro, tempi in cui la “Gazzetta” era la “Gazzetta”, verbo
della Puglia e della Basilicata, ipse dixit ascoltato e temuto, perfino da politicipolitici.
Il libro di Mascellaro, ricco di foto e documenti, è un libro di storia che racconta più
dei classici libri di storia. Un “dono” per i giovani giornalisti e per gli studenti che
hanno voglia di leggere il passato.
Personalmente, da giornalista che insegue il giornalismo vero, mi piace riportare un
piccolo- immenso episodio, protagonisti il Direttore Valentini e un lettore.
Il lettore chiede: «Qual è la cosa più difficile per un giornalista?». Il Direttore
risponde: «La cosa più difficile per un giornalista è quella di non scrivere».
Una risposta d’amore per quello che una volta era il più bel lavoro del mondo.
Dal libro di Nicola Mascellaro si riporta la prima parte “Oronzo Valentini, lo
stenografo, il giornalista” che descrive come il giovane stenografo si introduce nel
mondo de “La Gazzetta del Mezzogiorno” con l’obiettivo di diventare giornalista.
Aveva 16 anni il giovane Oronzo Valentini quando varcava per la prima volta
l’ingresso del Palazzo del Giornale, al civico 48 di piazza Roma, odierna piazza
Moro, dov’era ubicata la sede de La Gazzetta del Mezzogiorno: aveva un
appuntamento con il prof. Pasquale Suppa, il suo insegnante di stenografia, che lo
aveva proposto come collaboratore nell’ufficio stenografico del giornale per il sabato
e la domenica dal pomeriggio fino a sera inoltrata.
Lavoro che, garante il prof. Suppa, Valentini aveva ottenuto facilmente: il giovanotto
era distinto, di buone maniere, di bella presenza e affatto intimidito dall’ambiente.
Nessuno sapeva – il padre Giovanni lo confidava spesso agli amici… che s’è messo
in testa di fare il giornalista.
Aveva di proposito frequentato un corso di stenografia ritenendo, a ragione, che quel
corso di formazione fosse la chiave che gli avrebbe consentito di avvicinarsi, e poi
praticare, quella professione cui aspirava da sempre.
Dopotutto, quel primo impiego part-time, era solo un passo. Era allo stesso tempo un
lavoro, a casa erano in tanti, ma per Valentini era molto di più, era il primo tratto di
una strada che l’avrebbe condotto a praticare il giornalismo.
Certo non immaginava quanto quella strada fosse impervia, ma lui era pronto a tutto,
avrebbe affrontato ogni difficoltà come faceva sempre, con determinazione… con il
coraggio che occorre ha scritto nel suo primo editoriale da direttore della Gazzetta.
Oronzo Valentini nasce a Bari il 25 maggio 1922. Nino è il primo di nove figli di
Giovanni, un tecnico del laboratorio di chimica dell’Istituto Giulio Cesare a Bari, la
madre, come tutte all’epoca, accudiva alla numerosa prole.
Il ragazzo frequenta la scuola primaria, secondaria e il Liceo con molta diligenza.
Anzi, proprio durante gli anni del Liceo, Nino disegna e matura il suo futuro conscio,
come dirà molti anni dopo, dei sacrifici che dovrà affrontare per raggiungere il suo
obiettivo. Così, mentre i suoi coetanei conducono una vita normale fra studio,
spensieratezza e qualche digressione: una serata al cinema, una passeggiata con gli
amici, un appuntamento galante, lui, Nino, frequenta un corso di stenodattilografia e
a 16/17 anni faceva già le sue prime esperienze di lavoro nello splendido Palazzo del
Giornale edificato nel 1926 in stile Liberty, dall’architetto di Rutigliano Saverio
Dioguardi.
Quattro piani sormontati da una cupola alla cui sommità faceva bella mostra di sé un
globo luminoso. Il Palazzo era un piccolo gioiello architettonico ma scomodo,
angusto. Gli ambienti erano striminziti, con tre scrivanie di normali dimensioni, le
stanze erano già affollate. Ogni piano aveva un lungo e stretto corridoio. In fondo al
corridoio del secondo piano, dove c’era la redazione del giornale, gli stenografi
occupavano un buco di stanza stretto e lungo contenete due cabine insonorizzate,
quattro, cinque minuti tavolini adatti solo per poggiarvi la macchina per scrivere, una
cassettiera per la carta carbone, la carta da bozze e una sedia. Nello spazio rimasto fra
le sedie e le cabine praticamente non c’era passaggio: gli stenografi dovevano alzarsi
per lasciare che un collega raggiungesse la propria postazione. In compenso la stretta
stanza aveva una finestra che dava in un giardino all’interno dell’Hotel Roma
adiacente all’ingresso principale della Gazzetta. D’inverno, con il riscaldamento
acceso, si lavorava bene, d’estate era un inferno!
Valentini era in quella stanza ogni sabato e domenica fin dalle prime ore del
pomeriggio per stenografare e dattilografare anticipazioni e resoconti sportivi o
servizi giornalistici vari dettati dai corrispondenti sparsi in tutta la Puglia, Basilicata e
in altre località nazionali.
Intanto il lavoro, la collaborazione alla Gazzetta, iniziato come part-time, diremmo
oggi, diventa stabile. Il giovanotto era affidabile, efficiente, preciso e, chiamato
sempre più spesso a ‘dare una mano’, anche come correttore di bozze, non ci mette
molto a farsi notare. Nel 1940, a soli 18 anni, inizia il suo praticantato nella cronaca
della città sotto la guida di Paolo Magrone decano e maestro di giornalismo. (…)
La guerra, che immiserisce tutto, pone drastici limiti alle capacità di Valentini, ci
sono ben poche occasioni per rendersi visibile, sul giornale non c’è altro spazio che
per il conflitto e i propositi, le ambizioni di Valentini dovranno attendere tempi
migliori. La Gazzetta, i giornali in genere, diventano bollettini al servizio del
Ministero della Guerra e di tutte le più piccole organizzazioni fasciste del Paese.
Ormai contano soltanto gli eventi bellici e le ‘veline’ dei vari uffici di propaganda.
Con il collega Arnaldo Di Nardi sotto le armi Pierino de Giosa e Oronzo Valentini
sono gli unici giovanissimi che passano gli anni del secondo conflitto mondiale nella
redazione della Gazzetta e de Giosa è il solo che firma i suoi articoli per esteso, tutto
maiuscolo. Valentini, invece, deve attenersi alla regola aurea del cronista: a quanti
prestano la loro opera nella cronaca della città, per consuetudine e tradizione, non era
consentito firmare i loro articoli. Normalmente veniva firmato soltanto il commento,
quando c’era, su un fatto di cronaca. Era raro, ma ovviamente era prerogativa del
capo servizio.
La firma per esteso ‘Oronzo Valentini’ appare per la prima volta il 31 dicembre 1941.
È un articolo di terza pagina: si tratta della recensione di un volume del prof. Alberto
Mori sull’importanza economica del mare, dedicato alla gioventù studiosa dell’Italia
Fascista che… va riaffermando con la forza e il valore delle armi il suo rango di
potenza mondiale e i suoi immancabili destini sul mare, legati indissolubilmente
l’una e gli altri alla sua forza economica oltre che a quella dello spirito.
Spirito che resta alto nel giovane Valentini, che esonerato dal servire la Patria,
quando toccò a lui il Paese era già nel caos. Ma lui non se n’era stato con le mani in
mano, ne aveva approfittato per gettarsi totalmente sui testi universitari con risultati
straordinari: il 29 ottobre 1942, presso l’Università di Urbino, il giovane Oronzo
Valentini si laurea in lettere: aveva compiuto vent’anni da cinque mesi.
Fin dall’ottobre del 1942 le sorti della guerra nazifascista sembravano ormai
compromesse e meno di un anno dopo, il 25 luglio 1943, con la caduta del fascismo e
l’arresto di Mussolini, la guerra, per gran parte dell’Italia meridionale, era finita! Il 3
maggio 1943 la Prima Armata italiana in Africa si era arresa alle truppe di sua Maestà
britannica Giorgio VI, il Re tartaglia. La disfatta in Africa rappresentava l’inizio della
conclusione tragica di un conflitto che si avviava verso la fine e che Raffaele Gorjux,
direttore e fondatore della Gazzetta, non vedrà. Don Raffaele muore, per problemi
cardiaci, il 6 giugno 1943.
Il 28 luglio (1943) il giornale è nelle edicole con un solo foglio, due pagine, fronte e
retro, firmato, per la prima volta, da Nicola Pascazio, Vice direttore e da Luigi de
Secly, redattore Capo. In prima pagina ci sono due articoli, uno di Alberto Bergamini
con il titolo Respiro, l’altro di de Secly, Viva la libertà! È un articolo che stacca
definitivamente la spina ideologica della Gazzetta dal fascismo, ed è anche la scintilla
che provoca il noto eccidio di via Nicolò Dell’Arca che porta, la sera del 29 luglio,
all’arresto di Luigi de Secly per sedizione.
La carcerazione di de Secly induce l’autorità giudiziaria a sospendere anche Nicola
Pascazio e il giornale del 30 luglio è firmato da Paolo Magrone, il capo cronista. Il 3
settembre a Cassibile, in provincia di Siracusa, il governo affidato al generale Pietro
Badoglio firma, con gli eserciti vittoriosi, l’Armistizio che entra in vigore l’8
settembre. Quattro giorni dopo, il 12 settembre, arrivano a Bari gli inglesi al comando
del colonnello Munroe il quale, come suo primo atto, requisisce la Gazzetta per farne
il più grande centro stampa dell’Italia libera mentre al giornale il corpo redazionale
resta, suo malgrado, un testimone impotente, inoperoso, escluso da quanto accadeva.
Per il giovane Oronzo Valentini, vedersi compiere sotto gli occhi, giorno dopo
giorno, fatti storici di eccezionale portata e drammaticità e non poterne scrivere,
raccontare o commentarli, deve essere stata un’esperienza frustrante, dolorosa: la
dimensione del giornale era tale che non consentiva interventi altri che non fossero
notizie dai teatri di guerra o comunicati ufficiali entrambi poi falcidiati da pesanti
interventi della censura delle prefetture o da quella dei nuovi alleati.
Come, dove raccontare l’orgia storica indimenticabile, il sollievo della popolazione,
l’esultanza per l’Armistizio e la doccia fredda, il gelo di quelle parole pronunciate dal
generale Badoglio qualche giorno dopo… la guerra continua! Come spiegare alla
maggioranza del popolo italiano contadino, agricoltore, allevatore, artigiano che
l’alleato, l’amico di ieri era diventato il nemico e che l’odiato plutocrate, il nemico di
questa sanguinosa guerra, era diventato il nostro nuovo alleato?
Come, dove raccontare il bombardamento tedesco sulla città il 2 dicembre 1943 che
causa l’esplosione della nave americana John Harvey, carica di micidiali bombe
all’iprite, provocando un migliaio di vittime fra marinai americani e personale civile
del porto di Bari; o ancora l’esplosione causata forse da un incidente di un’altra nave
americana, la Henderson, il 9 aprile 1945, carica di armi e munizioni che provoca 542
vittime.
Nel capitolo “I primi passi, le recensioni” viene ricordato che… il 28 gennaio 1944,
Oronzo Valentini avrà l’unica opportunità di partecipare ad un evento storico che si
svolge a Bari: dovendosi celebrare, al teatro Piccinni, il primo Congresso del
Comitato di Liberazione Nazionale, l’organizzatore, il magistrato repubblicano
Michele Cifarelli, assegna ad Oronzo Valentini e al giornalista del Mattino di Napoli,
Ciro Buonanno, il compito ufficiale di stenografare gli interventi e gli atti dello
storico Congresso che vedrà la partecipazione di Benedetto Croce, Adolfo Omodeo,
Carlo Sforza, Vincenzo Arangio Ruiz e i rappresentanti pugliesi di tutti i partiti
democratici ad iniziare da Tommaso Fiore, Fabrizio Canfora, Vincenzo Calace,
Michele Pellicani, Giuseppe Papalia, Natale Lojacono e diversi altri esponenti politici
locali.
I discorsi, l’intervento inaugurale è demandato a Benedetto Croce, il dibattito e il
resoconto completo sarà poi reso fruibile a tutti con un opuscolo curato dai due
stenografi ufficiali del Congresso: Ciro Buonanno e Oronzo Valentini.
Il 22 giugno 1944 capita, al giovane Valentini, un’altra di quelle occasioni
imperdibili: torna a Bari, per la prima volta dopo la guerra, Giuseppe Di Vittorio, il
maggior esponente del sindacalismo nazionale, l’ultimo Segretario della Camera del
Lavoro di Bari prima dell’avvento del fascismo, e concede a Valentini una intervista,
pubblicata il 23 giugno, che verte sulle trattative per un accordo politico-sindacale,
avvenuto durante l’occupazione tedesca, raggiunto con soddisfazione da parte di tutti.
Nel dopoguerra si avverte l’esigenza di rimettere in piedi il giornale, deturpato,
impoverito, devastato dagli Alleati, ed il giovane Valentini si impegna fattivamente
quale Segretario di redazione in stretto raccordo con il Direttore. Né bada alla
quantità di lavoro che gli viene affidato. Già dai primi mesi del 1945 Oronzo
Valentini aveva accettato di gestire e curare il nuovo ufficio di corrispondenza
dell’Agenzia Nazionale della Stampa Associata, l’ANSA per sostituire la famosa
agenzia Stefani che aveva fatto il suo tempo. Era un impegno non secondario e in
pochi anni Valentini metterà in piedi una vera e propria redazione con giornalisti e
personale tecnico.
Inoltre, nella primavera del 1946 Leonardo Azzarita, chiamato a ricostituire la
Federazione Nazionale della Stampa, viene a Bari in qualità di Amministratore
delegato della Federazione, per rinnovare la vecchia Associazione Interregionale
della Stampa di Puglia e Basilicata, al posto del cessato sindacato interprovinciale
fascista e, dopo il formale adempimento del passaggio, i colleghi eleggono Leonardo
Mastrandrea presidente dell’Associazione, Oronzo Valentini segretario.
Il 3 febbraio 1963 il Governo della Repubblica istituisce, per legge, un ‘nuovo’
Ordine dei giornalisti che trova applicazione nel marzo del 1965 con il ‘regolamento’
di esecuzione. Due mesi dopo, il 25 maggio 1965 nasce l’Ordine dei giornalisti di
Puglia e Basilicata e l’assemblea elegge Oronzo Valentini presidente. Carica che egli
conserva fino al 1989.
Nel frattempo, dall’inizio degli anni Cinquanta, la Gazzetta è in continua, costante
espansione. È aumentata la foliazione, è aumentata la pubblicità, sono aumentate le
vendite, ogni anno, invariabilmente. Si stampano, ormai regolarmente, 10, 12, 16 e
spesso 20 pagine che necessitano nuovi apporti professionali e tecnici, un nuovo e
continuo ammodernamento del parco tecnico-tipografico, nuovi collaboratori esterni
nazionali e internazionali, soprattutto nuovi corrispondenti dai tanti piccoli e grandi
comuni di Puglia e Basilicata. Un lavoro organizzativo immane demandato a
Valentini che dell’Azienda conosce ogni singolo aspetto, tecnico e professionale.
Da Valentini dunque, dipendeva tutto, era lui in quegli anni il perno su cui ‘girava’ il
giornale, ed è Valentini che fino alla fine degli anni Cinquanta ha avuto fra le mani il
‘governo’ dell’Azienda Gazzetta: a lui si rivolgevano tutti, il suo impegno per il
management dell’Azienda era così totale che diserta perfino le mostre d’arte, di cui
era un appassionato critico. È assente alla prima, vera campagna elettorale di Aldo
Moro in Puglia: 154.111 voti di preferenze divenendo di fatto l’uomo nuovo della DC
che l’anno dopo, il 17 marzo 1959, lo porteranno alla segreteria nazionale del partito.
Non c’era alcuna manifestazione che a Valentini importasse più del giornale.
La missione del giornalista, lo scopo della professione giornalistica che sotto i suoi
apparenti splendori e privilegi cela una ‘routine’ massacrante, consiste in una
continua sollecitazione di responsabilità, non tollera assuefazioni, è fatto di costanti
emozioni, tormenti e angosce, che accompagnano il giornalista fin tra le mura della
sua casa, anche nel sonno, dopo che è stata licenziata, irrimediabilmente, una
notizia, un articolo o soltanto un titolo, dirà Valentini il 20 aprile 1959
all’inaugurazione della sede dell’Associazione della Stampa a Foggia.
Ecco cos’era, quale somma di valori rappresentasse il giornale, la sua professione, la
Gazzetta per Oronzo Valentini: erano perciò legittime le sue aspettative alla direzione
politica del giornale. Il mondo ovattato di de Secly era diventato incompatibile con i
tanti giovani che frequentavano la redazione e il suo avvicendamento era ormai
improrogabile, il giornale aveva bisogno di armonizzarsi con l’evoluzione sociale del
Paese, aveva bisogno di una svolta: era il 1958, la città si apprestava ad
industrializzarsi, e la Gazzetta, con il ‘miracolo economico’, cominciava a Volare
come Domenico Modugno mentre Federico Fellini, a Roma, girava le prime scene de
La dolce vita.
Poi, Luigi de Secly lascia per raggiunti limiti di età e dal 1° gennaio 1961 si annuncia
l’arrivo di un nuovo Direttore. Una doccia fredda!
Era tutto preparato, programmato e concordato, ma le cose non andranno come
previste. L’uomo forte, il cavallo di razza della DC in quegli anni era Amintore
Fanfani, segretario della DC nonché capo della corrente di ‘iniziativa democratica’
cui apparteneva anche Moro. Era con Fanfani che bisognava fare i conti e Fanfani
impone il nome di Riccardo Forte un giornalista freelance, un nome noto alla
Gazzetta, collaboratore del giornale da anni. In compenso il Consiglio di
Amministrazione della proprietà ottiene la vice direzione per Oronzo Valentini e la
carica di redattore Capo per Giuseppe Gorjux.
Nessuno accettò quell’imposizione. La redazione accolse Forte con diffidenza e
ostilità, il nuovo Direttore era come un corpo estraneo in un organismo in
convalescenza, e ne aveva compromesso l’equilibrio. Forte, invece, nato a Napoli nel
1904 da padre pugliese e da madre napoletana, era sinceramente innamorato della
Puglia, era stanco di fare il giramondo e cercava un posto dove gettare l’ancora…
sono preso, arrivando in Puglia – scrive – da un calore che mi ristora, mi rassicura e
mi ravviva: sono nella terra di mio padre!
Tuttavia, non riesce ad integrarsi. Peggio, estraneo al territorio, gli viene meno anche
la simpatia dei lettori. Oronzo Valentini, invece, continua a disegnare il futuro
prossimo del giornale come se Forte fosse una parentesi nella storia della Gazzetta.
Continua a potenziare la redazione di politica interna, la cronaca della città, inizia ad
aprire le redazioni provinciali con l’intento di dedicare una pagina per ogni provincia
a cominciare da Taranto, dove il costruendo Italsider costituisce una grande
occasione per la città e per tutta la provincia; poi sarà la volta della redazione di
Foggia, ricca di aspettative per le trivellazioni metanifere; la piccola redazione di
Matera viene affidata a Mario Rivelli; quella di Potenza al già corrispondente Pino
Anzalone. Soltanto le città di Brindisi e Lecce continuano a restare ‘uffici di
corrispondenza’ sia pure potenziati da nuovi praticanti e futuri giornalisti.
Tutte le iniziative, la scelta dei redattori, i rapporti fra la sede centrale e le redazioni
periferiche, sono direttamente e personalmente gestite sempre e ancora da Oronzo
Valentini. Nessun giornalista delle redazioni distaccate conoscerà mai Riccardo Forte
così come mai sono entrati alla Gazzetta tanti collaboratori e futuri giornalisti quanti
ne entrano tra la fine del 1961 e l’inizio del 1962. Naturalmente non tutti, nel
prosieguo, faranno parte della ‘famiglia della Gazzetta’ poiché entrare, firmare ed
essere assunti erano tre cose diverse con tempi diversi, per alcuni più lunghi, per altri
meno, e non tutti avevano la costanza di attenersi a regole non scritte!
Così, praticamente estraneo alla vita del giornale il 31 dicembre 1961, Riccardo Forte
getta la spugna e si dimette… da oggi primo gennaio 1962, la responsabilità del
giornale viene temporaneamente assunta dal Vice direttore Oronzo Valentini. Il 16
aprile successivo una storica assemblea del Consiglio di Amministrazione
dell’Azienda – dove per la prima volta entra un uomo di sinistra, il socialdemocratico
Michele Pellicani – convalida l’incarico a Valentini e sancisce un passaggio
generazionale e politico ai vertici del giornale: il prof. Paolo De Palma da Consigliere
diventa Amministratore delegato e Leonardo Azzarita, già capo della redazione
romana, diventa presidente della Società.
Nella seconda parte del libro Nicola Mascellaro partendo dall’assunzione
dell’incarico di Direttore della Gazzetta del Mezzogiorno da parte di Oronzo
Valentini, ripercorre le fasi più significative della storia del Paese inquadrata
nell’ambito del periodo storico, ampiamente trattata da Nicola Mascellaro, con una
ricca documentazione sui fatti più significativi del nostro Paese e dei riflessi sul
territorio di riferimento della Gazzetta. Una serie di Editoriali che attraversano tutta la
storia dell’Italia repubblicana dalle prime iniziative politiche di Aldo Moro, con il suo
‘ardito esperimento’, al miracolo economico, ai primi insediamenti industriali nel
Mezzogiorno, al ‘sessantotto’, l’autunno caldo, la crisi petrolifera ed economica, gli
scandali politici, il terrorismo e il compromesso storico.
Valentini, dunque, era arrivato alla meta. Andava ad occupare quell’unica grande
stanza, al secondo piano del Palazzo del Giornale, che affacciava su piazza Roma.
Prendeva possesso di quella stanza che aveva visto il fondatore e direttore della
Gazzetta, Raffaele Gorjux e, dopo di lui, Luigi de Secly che l’aveva poi diretto per 16
anni con il supporto organizzativo continuo e costante di Oronzo Valentini.
Finalmente, dopo oltre vent’anni di professione, Oronzo Valentini aveva raggiunto la
vetta più ambita di ogni giornalista, un traguardo naturale per lui dopo anni di
sacrifici. Quella meta era un punto d’arrivo, una via obbligata che aveva, come
prospettiva, nuovi sacrifici, nuove privazioni e rinunce personali e famigliari, ma era
la sua strada era la vita che aveva scelto di fare fin dall’inizio. Ed era tutto nel conto.
Oronzo Valentini alla sua scrivania nella stanza del Direttore alla sede storica della Gazzetta.
Oronzo Valentini era l’autorevolezza fatta persona. Appariva severo, qualche volta
riusciva ad intimidire, ma era solo un fatto esteriore, al contrario, era cordiale,
affabile perfino disponibile, ma autorevole. Un’autorevolezza che gli riveniva dalla
consapevolezza di dirigere un quotidiano che i suoi predecessori avevano reso
autorevole prima e storico poi. La Gazzetta esprimeva ‘la voce’ della terra di Puglia e
Basilicata, era espressione dignitosa e fiera della gente delle due regioni e Valentini,
che lo dirigeva fin da prima che fosse chiamato alla direzione, con lo stesso credito e
uguale prestigio, ne sentiva il peso sociale, culturale e storico. Dove c’era la Gazzetta,
c’era Valentini: lui era il giornale e il giornale era Valentini, una simbiosi perfetta.
La Gazzetta è una delle più straordinarie opere imprenditoriale che i baresi abbiano
mai promosso dopo l’Acquedotto pugliese: l’uno dava da bere alla ‘sitibonda’ Puglia,
l’altra ‘nutriva’, contribuendo ad innalzare il livello sociale e culturale dei suoi lettori,
di quanti sapevano leggere cercando, altresì, di abbattere il diffuso analfabetismo del
primo Novecento di pugliesi e lucani. Il giornale è un’impresa che fornisce un bene
immateriale, informazioni, i primi fondamentali rudimenti di politica-sociale, di arte,
di cultura e di sport, il ‘sapere’ indispensabile ad un popolo civile.
La Gazzetta era di gran lunga più indispensabile della futura Fiera del Levante e
insieme alla libreria Laterza, il fiore all’occhiello dei pugliesi, rappresentavano
l’orgoglio dei baresi, un faro che allargava gli orizzonti di generazioni che, dopo il
secondo conflitto mondiale si apprestavano a passare dalla civiltà contadina al
proletariato.
Valentini era ‘Direttore’ della Gazzetta fin dai primi anni del secondo dopoguerra,
quando diventa il braccio guida, la mano destra di de Secly che nel 1943 assume la
direzione del giornale. Luigi de Secly aveva trascorso nel giornale l’intero Ventennio
fascista, ‘mimetizzato’, protetto dai colleghi di redazione e da Raffaele Gorjux,
direttore-proprietario, dalle ire delle camicie nere che ogni tanto gli avrebbero
volentieri fatto bere un bel bicchiere di olio di ricino per il suo ostinato dissenso al
fascismo. L’intellettuale leccese rifiutava di dare contributi culturali al Regime. Alla
Gazzetta, si occupava essenzialmente di recensire qualche libro e coltivare gli studi
filosofici di Benedetto Croce di cui era amico personale. Luigi de Secly era rimasto
avulso, estraneo alla vita del giornale, tuttavia, negli ultimi tempi, Raffaele Gorjux lo
aveva nominato redattore Capo.
Valentini, a differenza di de Secly, conosceva ogni singola rotella del complesso
ingranaggio aziendale e, chiamato dallo stesso de Secly nella propria segretaria di
redazione, il giovane ‘Ninu’ diventa, in tutto e per tutto, l’uomo guida, l’esperto
tecnico-professionale del quotidiano. Sistemato in Segreteria di Redazione, proprio
adiacente alla stanza del Direttore, dalla sua scrivania passava tutto quello che
arrivava al giornale o all’attenzione del Direttore consentendogli così di sapere vita,
morte e miracoli di chiunque entrasse nell’orbita del giornale e del Direttore. Era
Valentini che ogni giorno, ogni sera coordinava la complessa organizzazione per
confezionare il giornale che sarebbe stato nelle edicole il mattino successivo.
Dal 1962 dunque, il suo impegno professionale è raddoppiato, le sue responsabilità, i
tempi dedicati allo svolgimento del suo ruolo si sono dilatati, i suoi dubbi, le sue
ansie, il suo eccessivo perfezionismo lo inchiodano alla scrivania per 12/13 ore al
giorno, tutti i giorni compreso la domenica, a cui concede la Messa e, quando la
Società di calcio del Bari gioca in casa, una toccata e fuga allo stadio Delle Vittorie.
A meno di un anno dalla storica Assemblea che lo conferma alla direzione della
Gazzetta, la dirigenza politica ed amministrativa del giornale subisce una
trasformazione radicale: è tutta nelle mani salde di giovani che non superano neppure
i quarant’anni. De Palma ha 39 anni; Valentini 40; Giuseppe Gorjux, redattore Capo e
Vice direttore, 34anni; Italo Del Vecchio, 37 anni, è il nuovo capo cronista mentre il
vulcanico Mario Gismondi, 36 anni, è il nuovo capo della redazione sportiva.
Il primo pensiero di Valentini, però, è rivolto alla segreteria di redazione. Egli sa, per
esperienza personale, che una segreteria di redazione efficiente è utile ai colleghi di
redazione e soprattutto agevola il lavoro del Direttore, lo rendono più libero, lo
affrancano dalla miriade di postulanti perditempo.
Naturalmente il nuovo ruolo pone problemi nuovi: ora deve vedere il mondo a 360°,
il dialogo con i lettori diventa più ampio, deve avere una diversa connotazione: il
Valentini delle pagine precedenti è sempre lo stesso ma in qualche modo diverso dal
Valentini direttore, i suoi articoli hanno una visione politica e sociale più ampia, i
suoi editoriali sono pacati, è più misurato nei suoi giudizi, più sensibile alle ragioni
degli altri, è più concreto e meno entusiasta tranne che per il nuovo leader della DC,
Aldo Moro, per cui nutre un’ammirazione sconfinata. Moro era tutto quello che
Valentini apprezzava in un uomo politico, era il simbolo del suo concetto di
democrazia. Così motivati e pieni di entusiasmo per programmi e idee della nuova
dirigenza, tutti preparati e ben disposti verso un Direttore che conoscono da sempre,
la redazione è pronta ad affrontare sia le nuove sfide professionali sia la nuova
condizione sociale ed economica del Meridione che soltanto in questi primissimi anni
Sessanta comincia a sentire i benefici effetti di quel ‘miracolo economico’ che ha
investito il Centro e il Nord del Paese. In più, l’azienda è sorretta da una solida base
economica: dal 1946, la Gazzetta non ha mai smesso di produrre sostanziosi bilanci
attivi.
Valentini intanto, anzi, Il Direttore, continua a portare avanti programmi di
ampliamento e di espansione degli uffici di corrispondenza nella regione e del corpo
redazionale centrale. Il suo nuovo obiettivo è il consolidamento della diffusione della
Gazzetta e cercare di rendere il suo giornale ancora più ‘autorevole’, un quotidiano
del Mezzogiorno che ogni mattina fosse sulle scrivanie che contano a livello
regionale e nazionale. Dunque, attenzione e rispetto alla politica del Governo, in
particolare a quella linea di Aldo Moro, che vuole cercare punti d’incontro con i
socialisti di Pietro Nenni a cui, per altro, hanno aderito tutti i Consigli provinciali
della DC di Puglia.
Fin qui il percorso politico che Valentini assegna alla Gazzetta e che intende
perseguire senza deviazioni. Poi c’è tutta una nuova fase rivolta allo sviluppo e
consolidamento nelle regioni di diffusione del giornale attraverso un progetto di
acquisizione di nuove fasce di acquirenti sollecitando interessi e ampliando
informazioni e servizi. Il segreto del successo è l’impegno costante, entusiastico di
tutti, in parte derivante dai ritmi che impone la produzione di un giornale, in parte dal
trascinante esempio del Direttore che, nel suo impegno, non si pone limiti.
La sua giornata di lavoro inizia nella tarda mattinata, a casa, dove sfoglia i quotidiani
nazionali per un confronto veloce con la Gazzetta. Al giornale arriva verso le 11, si
porta nella sua stanza seguito dal segretario di redazione, con la posta già selezionata,
e dall’operatore di collegamento. Siede poi al centro di una scrivania enorme ed
ingombra di una inverosimile quantità di carte di ogni genere, un’alta catasta di
documenti e giornali più alta della sua stessa testa che di fatto dalla porta d’ingresso
della sua stanza, non si vede. Col tempo, ogni divano, ogni sedia, ogni tavolino della
sua stanza sarà letteralmente sommerso da cataste di documenti, giornali, carte.
Niente sedie vuote, era un modo per scoraggiare gli ospiti a trattenersi il meno
possibile!
Lo spazio di lavoro davanti a lui è appena sufficiente per aprire una cartella ma non
un giornale dell’epoca, era così grande che uno dei fogli deve essere poggiato alla
catasta di carte. Subito dopo inizia a lavorare. Prima di tutto scorre il menabò del
giornale da confezionare, una pagina grafica di piccolo formato con gli ingombri
pubblicitari che condiziona la foliazione; poi comincia a guardare e a smistare la
posta; dopo ancora guarda le bozze di articoli che non hanno trovato spazio nel
giornale del mattino per mandarli, se ancora utili, alle redazioni o ai colleghi di
competenza.
Infine, tocca al ‘materiale in scadenza’, cioè bozze di articoli che non hanno trovato
spazio la sera prima, varie da guardare ed eventualmente pubblicare, compiti da
assegnare, note, proposte per nuovi servizi. Tutte cose a cui seguono un fiume di
note, messaggi e messaggini indirizzati ai colleghi di redazione che avranno il loro da
fare per tradurli: abituato da sempre a stenografare i suoi articoli, da direttore gli
riusciva difficile scrivere in chiaro. Il problema non era semplice. Dovendo
necessariamente comunicare con i colleghi, scrivere in chiaro non solo gli veniva
ostico, ma perdeva tempo prezioso. Perciò, finisce per adottare un metodo di scrittura
particolare: alternava parole in stenografia con parole in chiaro. Il risultato era un
vero rompicapo per il destinatario che di solito andava in cerca di chi avesse trovato
la ‘chiave’ per tradurlo; altre volte, specie quando i messaggi erano lunghi, era un
castigo di Dio.
Intanto, la ‘vecchia’ bella sede della Gazzetta in piazza Roma, odierna piazza Moro, è
diventata inadeguata alle nuove esigenze del giornale, in crescita continua e, nel
maggio del 1972 si trasferisce in un nuovo mastodontico palazzo, in viale Scipione
l’Africano, costruito appositamente per ospitare un quotidiano in tutta la sua
complessità produttiva: otto piani, tre interrati, per ospitare l’enorme rotativa, cinque
in superficie. La costruzione rappresenta l’impegno tecnico e professionale di 5
ingegneri: Onofrio Mangini, Vito Quadrato, Mauro Sylos Labini, Vito Martinelli e
Carlo Bina per l’allestimento tecnico-grafico del giornale.
La nuova sede è il sogno, l’idea imprenditoriale, professionale e industriale di
centinaia di persone che, nel corso degli anni, hanno dato vita alla Gazzetta, alla loro
voglia di ‘misurarsi’, di elevarsi al pari dei grandi quotidiani del centro e del nord
Italia. E, anche questo secondo ‘palazzo’, come il primo, è il simbolo del successo, di
una volontà collettiva che vuole questa nostra terra sempre meno emarginata.
Era un sogno così ampio che andava oltre il ‘Palazzo’, aveva progetti di espansione
che guardavano oltre le regioni consuete di Puglia e Basilicata, si immaginava di fare
edizioni per la Calabria, l’Abruzzo, il Molise. Per questo era stato costruito
addirittura un eliporto sul tetto e acquistata una rotativa capace di sfornare fino a 120
mila copie l’ora, l’equivalente di quanto stampava normalmente con la vecchia
rotativa in 6 ore di lavoro.
Ma realizzato il sogno, presto ci si accorse che, forse, era troppo grande rispetto alle
reali esigenze, alle potenzialità offerte dai nuovi formidabili mezzi di produzione, a
quelle del territorio o anche a progetti di espansione. Non c’era il mercato. Peggio,
divenuta realtà proprio durante la più grave crisi economica del dopoguerra, non c’era
più alcuna possibilità di tornare indietro – del resto chi lo voleva? Non si parlava
d’altro da dieci anni – si cercò di accelerare, ognuno per la propria parte, sia il
potenziamento redazionale che l’inevitabile adeguamento del personale tecnico e
amministrativo… in piena inflazione ed il conseguente spropositato costo del lavoro.
Fin dai primi anni Settanta il Paese è in preda a dimostrazioni e proteste politiche e
sociali, non c’era molto da gioire, sono giorni e anni di lacrime e sangue che
funestano il Paese: episodi di terrorismo, violenza gratuita, delitti inutili e
agghiaccianti che turbano e oscurano l’Italia da Nord a Sud. Un anno drammatico,
doloroso, impietoso con disordini, lutti, tragedie.
L’Europa intera è afflitta da una grave crisi economica mentre il terrorismo,
nazionale e internazionale, fa dormire sonni inquieti a qualunque Governo
comunitario. Solo che mentre in Francia, Germania, Inghilterra i Governi ci sono e
sono anche solidi, in Italia, alla crisi economica, al dilagare dell’assenteismo, allo
spopolamento delle campagne, alla pressione sindacale e all’aumento costante
dell’inflazione, il peggiore dei flagelli, si aggiunge un’altra costante, la latitanza
dell’Esecutivo a causa delle frequenti crisi di Governo.
Tuttavia, Valentini non cessa di aver fede nelle istituzioni, nei loro principi
democratici, nella sincera volontà di mantenere il Paese libero da dittature di destra o
di sinistra, ma condividere lo sfascio politico, l’irresponsabilità di comportamenti in
un momento in cui la Nazione ha l’assoluta necessità di un Governo per gestire
quello che non è più… un momento contingente, si chiede: è chiedere un po’ troppo?
Noi apparteniamo a quella vasta schiera di italiani che non sono entusiasti della
formula di Governo, ma abbiamo il dovere di rifiutare ogni pregiudizio di
schieramento, di sollecitare l’attesa, vigile e critica, della prova dei fatti.
Gli italiani vivono in un mondo che sta cambiando rapidamente, anzi, in parte è già
cambiato, ed i nostri governanti continuano a vivere in un mondo fermo a vent’anni
addietro.
Dunque, c’è ‘insoddisfazione’. Anche la Gazzetta di Valentini esprime
‘insofferenza’, è in una posizione di attesa ‘vigile e critica’ verso i partiti della
maggioranza poiché nonostante tutti gli appelli all’unità, sia alla DC che al PSI,
nonostante l’ormai certa e grave crisi economica che, come sempre, colpisce in modo
irreversibile le regioni più deboli, la politica ed i politici appaiono sordi ad ogni
invocazione, indifferenti e al di sopra del bene comune.
Poi accade la tragedia di Aldo Moro e, nella furia demolitrice della Democrazia
Cristiana, nel liberarsi di tutto quanto girava intorno al pianeta Moro, cade anche
Oronzo Valentini strenuo difensore del dovere morale di salvare la vita dello statista
pugliese.
Il 24 febbraio la Società di gestione della Gazzetta annuncia ai suoi Lettori che… con
il numero di oggi il dr. Oronzo Valentini lascia l’incarico di Direttore responsabile.
Gli subentra il giornalista Giuseppe Giacovazzo che da domani firmerà il giornale.
Nel salutare il dr. Valentini, la Società gli esprime il suo vivo riconoscimento per
l’appassionato impegno professionale profuso in tanti anni di milizia giornalistica
nella Gazzetta.
Segue il comunicato del Comitato di redazione, in rappresentanze di tutti i giornalisti
della Gazzetta, contenente sei parole: l’assemblea ha salutato il Direttore uscente.
Non una di più. Eppure, la stragrande maggioranza di loro, a Valentini, deve tutto:
formazione, professione, carriere, prestigio personale.
A seguire, c’è una lunga lettera di Valentini ai Lettori: non è un congedo – gli è stata
offerta una consulenza editoriale – ma una spiegazione… dei motivi ‘almeno miei’, di
questa nuova situazione professionale che risale in gran parte, anzi essenzialmente, a
scelte che non potevano non condurre coerentemente a questa conclusione….
Continueremo a camminare insieme… ma non possono essere consentite retoriche di
occasione, non possono esservi indulgenze verso stralunati e inetti progettisti di
irrealistiche rivoluzioni.
Valentini ha 56 anni, l’età in cui, solitamente, giornalisti professionisti di un certo
valore arrivano a dirigere un quotidiano. Valentini, invece, è al capolinea.
Egli ha percorso una carriera professionale diversa, una carriera che è iniziata e finita
nella Gazzetta dove mai più scriverà un rigo. Dopo la sua estromissione si era
incupito, aveva perso quel largo sorriso che neppure i suoi curatissimi baffi riusciva a
nascondere.
Il Direttore, come lo hanno sempre chiamato quanti lo hanno conosciuto e
frequentato per diversi anni dopo il suo allontanamento dalla Gazzetta, si spegne il 13
agosto 2008, aveva 86 anni. A scrivere il necrologio sul suo giornale, il 14 agosto, è
Antonio Rossano, uno dei suoi colleghi maggiormente apprezzato per il tatto, il
gusto, la delicatezza della sua prosa… ecco cosa mi avrebbe detto: ‘mi raccomando,
con il nostro consueto equilibrio’. Ma questo non è un pezzo qualunque, si tratta del
ricordo commosso di un collega che ha segnato la vita professionale di tanti di noi,
di un Direttore di straordinarie capacità professionali, di un uomo del tutto
particolare… il suo spirito critico, la capacità di cogliere il senso del nuovo che
avanzava nella società, aprì spazi di crescente libertà anche all’interno.
Soffrì molto per il traumatico addio dalla Gazzetta… ne soffrì, non solo per i modi,
ma soprattutto perché a quel giornale aveva dedicato la sua vita, amandolo come
una seconda famiglia, e trasmettendo il virus di quella passione ai figli.