CALÒ GIOVANNI

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CALÒ GIOVANNI

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Francavilla Fontana  24 dicembre 1882 – 25 maggio 1970

Pedagogista e scrittore professore universitario, parlamentare, accademico linceo. Ha diretto la rivista Museo didattico e la collana Biblioteca pedagogica (Sansoni) ed Educazione nuova (Bemporad).

Nominato a 24 anni docente presso la facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Firenze, ne divenne in seguito preside.
Fu eletto deputato al Parlamento del Regno d’Italia per la XXV legislatura (1919) e per la XXVI (1921) nel collegio Lecce-Brindisi-Taranto.
Fu vicepresidente della Camera dei deputati durante la presidenza di Enrico De Nicola e sottosegretario alla Pubblica istruzione nel primo governo Facta.

Dopo la seconda guerra mondiale fu segretario per la Toscana del Movimento Federalista Europeo, nel quale fu anche membro del consiglio centrale e del comitato consultivo.
Fu accademico dei Lincei e presidente del Centro didattico nazionale di Firenze, dell’Istituto italiano di studi filosofici di Roma e dell’Associazione Pedagogica Italiana.

Opere

Corso di pedagogia, Milano-Messina, 1946-1949; Pedagogia del Risorgimento, Firenze, Sansoni, 1965; Dall’Umanesimo alla scuola del lavoro, 2 voll. ( Firenze, Sansoni, 1940); Idee vecchie e nuove (Firenze, 1942 ); Pedagogia degli anormali (Firenze, Bemporad-Marzocco, 1950); Educazione e scuola (Firenze, Marzocco, ’50); Il positivismo pedagogico italiano (Milano, 1953); Responsabilità di educare ( Genova, Demos, 1956); Momenti di storia dell’educazione ( Firenze, Sansoni, 1955); Per il rinnovamento della scuola (Genova, Demos, 1955); Famiglia ed educazione oggi in Italia (Bari, Laterza, 1964); Pedagogia del Risorgimento (Firenze, Sansoni, 1965), premio Marzotto; Problemi dell’espansione universitaria (Roma, Bardi, 1966).

Bibliografia

• Luigi Ambrosoli, CALÒ, Giovanni, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 16, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1973.
• Antonio Carrannante, Giovanni Calò nella storia della nostra scuola, in Cultura e scuola, n.137, gennaio-marzo 1996, pp. 229–250
• Enzo Petrini, Calò Giovanni, in Enciclopedia Pedagogica, Brescia, La Scuola, 2111-2122 .
• Fulvio De Giorgi, La storia e i maestri. Storici cattolici italiani e storiografia sociale dell’educazione, Brescia, La Scuola, 2005, 60-61

CALÒ, Giovanni in “Dizionario Biografico” – Treccani
di Luigi Ambrosoli – Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 16 (1973)

CALÒ, Giovanni. – Nacque a Francavilla Fontana (Brindisi) il 24 dicembre 1882 da Torquato e da Teodora Argentina.
Accostatosi, nel corso degli studi compiuti all’università di Firenze, a Francesco De Sarlo, ne fu influenzato al punto che la sua formazione si concretò in modo autonomo rispetto all’idealismo prevalente in quegli anni.
In uno dei primi scritti (1905) affrontò il problema del “fatto psichico” rilevando come, per l’immediato riferimento all’io, esso non può essere considerato alla stessa stregua di altri fenomeni e come, separato dal centro soggettivo di cui è determinazione, “non può rivelare più la sua vera natura né il suo significato nel tutto complesso di cui fa parte”. Fin da questo momento il C. tendeva ad oggettivare, pur avvertendo i limiti e le insufficienze dell’oggettivizzazione.

Nel 1906 partecipò al concorso per la cattedra di filosofia morale dell’università di Palermo e fu compreso nella tema dei vincitori: i suoi interessi per la problematica morale erano emersi negli studi su Il problema della libertà nel pensiero contemporaneo (Palermo 1906) e su L’individualismo etico nel secolo XIX (Napoli 1906); quest’ultimo lavoro aveva ottenuto il premio della Accademia di scienze morali e politiche di Napoli. Nel 1907 iniziò a collaborare alla Cultura filosofica, la rivista fondata dal De Sarlo, nella quale fece comparire il saggio Per una scienza dell’educazione, che confermava la sua indipendenza dall’idealismo, di cui egli rifiutava, pur non ritrovandola priva di un’apparenza di verità, l’identificazione tra pedagogia e filosofia dello spirito, tra educando ed educatore, tra educazione e autoeducazione.

A chi parlava di spirito, contrapponeva l’esigenza di parlare di spiriti e sosteneva che il processo educativo presuppone l’esistenza di due persone o due spiriti, una delle quali ha il compito di “formare” e di coadiuvare il processo informativo: “Prescindere da questa dualità e distinzione concreta e da questa forma specifica di attività da spirito a spirito è annullare la stessa funzione educatrice”. Assieme all’idealismo, il C. respingeva la cosiddetta “pedagogia scientifica” perché viziata dal più gretto positivismo. Il C. si collocava in posizione intermedia rispetto alla pedagogia idealistica e alla pedagogia scientifica riallacciandosi a Herbart che aveva posto il fondamento della scienza dell’educazione nella psicologia (che offre la conoscenza dei mezzi) e nell’etica (che offre la conoscenza dei fatti). Nel 1909 egli si occupò di educazione religiosa e, pur avvertendo l’esigenza di difendere la personalità del fanciullo, riconobbe nella fede religiosa la spinta che eleva lo spirito infantile all’adorazione di una realtà trascendente, contribuendo a coltivame il senso di responsabilità verso la volontà divina. Pur non dovendo essere interpretata come meccanico insegnamento dogmatico, l’educazione religiosa non poteva essere sostituita dall’educazione morale, perché lo spirito religioso nasce soltanto all’interno della Chiesa e non può prescindere dalle pratiche di culto da intendersi non come qualcosa di estrinseco, ma di interiormente partecipato.

Nel sett. 1909 il C. fu relatore al VII congresso della Federazione nazionale insegnanti scuole medie sul tema della riforma dell’istruzione secondaria “di cultura” o classica. Egli riconobbe il valore formativo, degli studi classici e ai sostenitori di una scuola moderna, nella quale allo studio dell’antichità (delle lingue, delle letterature, della storia dei popoli antichi) si sarebbe sostituito lo studio di lingue e letterature moderne, contrappose l’insostituibilità educativa degli studi classici; i quali avrebbero dovuto essere, comunque, riformati, eliminando il frammentarismo, il verbalismo, l’enciclopedismo, l’erudizione senz’anima. Alla scuola “di cultura” il C. contrapponeva le scuole popolari e le scuole professionali a carattere eminentemente pratico destinate agli adolescenti che, non avendo attitudine e inclinazione per gli studi classici, dovevano essere preparati per ricoprire altri ruoli nella società. Fedele a una classicismo intransigente, il C. chiese al congresso di proclamare che nessuna scuola secondaria di preparazione all’università avrebbe risposto ai suoi fini e avuto carattere di scuola di cultura se fosse rimasta estranea allo spirito dell’antichità classica; l’assemblea non recepì tale proposta e la respinse con larga maggioranza di voti.

Alleato del C. al VII congresso della Federazione nel sostenere la tesi classicista era stato Gaetano Salvemini. Gli ideali classici possedevano, secondo il C., un equilibrio e una saldezza morale che era assente dalla turbinosa irrazionalità delle letterature moderne. L’insegnamento linguistico, elemento essenziale e costitutivo della vera formazione della mente, trovava nel mondo classico i valori umani più alti e più consapevoli.

Nel 1911 il C. fu chiamato alla cattedra di pedagogia dell’università di Firenze, della quale fu titolare fino al collocamento in pensione, nel 1952. Nello stesso anno, chiamato a far parte della commissione giudicatrice di un concorso a cattedre di pedagogia nelle scuole normali, si rendeva conto delle gravi lacune di preparazione dei candidati, risalenti a lacune dell’insegnamento universitario, che lo indussero a un atteggiamento pessimistico nei confronti dell’organizzazione scolastica nazionale.
Approfondì, movendo da questa esperienza negativa, il problema della preparazione dell’insegnante e, in opposizione agli idealisti, insistette perché essa avesse un carattere anche pratico giudicando insufficiente la formazione umanistica e filosofica e sostenendo che la teoria critica non può prescindere dall’attività pratica (Dalla guerra mondiale alla scuola nostra, Firenze 1919). Cultura generale e preparazione professionale didattica erano i termini che dovevano confluire nella formazione dell’insegnante elementare come dell’insegnante secondario.

La tradizione scolastica italiana era fondata sulla preparazione teorica considerata parallelamente all’esperienza pratica; gli idealisti, che facevano dello storicismo il motivo fondamentale della loro filosofia, non rispettavano lo sviluppo storico della scuola italiana. Al congresso della Società filosofica italiana, tenuto a Roma nel settembre del 1920, il C. ritornò sul problema della preparazione degli insegnanti, dell’insegnamento in genere e della scuola laica. Quest’ultimo tema fu ripreso all’undicesimo congresso della Federazione nazionale insegnanti scuole medie tenuto nel successivo ottobre a Napoli. Il C. accettò il principio che al privato fosse consentita l’istituzione di scuole e che le scuole statali e private dovessero avere pari libertà di funzionamento, ma si dichiarò contrario all’esame di Stato (del quale era soprattutto sostenitore il partito popolare) avvertendo che il rinnovamento della scuola sarebbe avvenuto moltiplicando gli istituti esistenti, differenziati nei fini e nei tipi e meglio distribuiti geograficamente, garantendo a ogni scuola unità d’indirizzo, di finalità e organicità di struttura, evitando che la scuola rimanesse privilegio dei ricchi, conseguenza quest’ultima della contrazione degli istituti pubblici a vantaggio di quelli privati.

Al congresso napoletano della Federazione il C. si scontrò con Lombardo Radice, fautore dell’esame di Stato, e prevalse perché il suo ordine del giorno riportò 161 voti favorevoli mentre 61 furono i voti riportati dall’ordine del giorno del pedagogista siciliano.
Nel 1919 il C. era stato eletto deputato al Parlamento per la XXV legislatura nelle liste dei combattenti che avevano raccolto gli esponenti dell’interventismo democratico e avevano promosso l’elezione di un altro illustre pugliese, Gaetano Salvemini.
Il C. fu rieletto anche per la XXVI legislatura e, dal 28 febbraio al 1º ag. 1922, fu sottosegretario di Stato per le Antichità e Belle Arti nel ministero della Pubblica Istruzione affidato al popolare Antonino Anile, sostenitore della proposta di istituzione dell’esame di Stato che non pervenne all’approvazione. Il 17 novembre il C. votò a favore del primo ministero Mussolini insieme con la maggior parte dei liberali e dei popolari; fu tra coloro i quali accettarono l’avvento di Mussolini alla testa del governo come un episodio provvisorio, giudicato utile per superare la crisi in atto nel paese.

Salvemini credette di interpretare il favore con cui il C. si era espresso per un governo di coalizione tra fascisti e liberali, come un atteggiamento opportunistico. Ma quando Salvemini fu arrestato sotto l’accusa di aver promosso la pubblicazione del giornale antifascista Non mollare, il C. fu tra quelli che gli espressero pubblicamente la loro solidarietà (Rivoluzione liberale, 5 luglio 1925); e il 18 luglio, mentre usciva con Alessandro Levi dall’aula in cui si stava celebrando il processo contro lo storico di Molfetta, fu bastonato dai fascisti. Conservò durante tutti gli anni del regime tale atteggiamento di dissenso nei confronti del fascismo.
Pubblicando, a Torino nel 1924, L’educazione degli educatori, il C. confermava il suo distacco dall’attualismo di Giovanni Gentile che, dall’ottobre del 1922 al luglio del 1924, quale ministro della Pubblica Istruzione, aveva realizzato la politica scolastica del fascismo.
Convinto dell’esigenza di rinnovare la tecnica e la pratica educativa egli promosse, nel 1925, la Mostra didattica nazionale di Firenze destinata a trasformarsi in un’istituzione permanente: il Museo didattico di Firenze, fondato nel 1929 e diretto dal C. fino al 1938. Proseguendo su questa strada di approfondimento di temi didattici, si occupò del dialetto nella scuola elementare considerando l’opportunità che la scuola non si opponesse alla esperienza linguistica del bambino (1930); della preparazione all’educazione familiare (1931); della letteratura per l’infanzia (1932); dell’educazione fisica (1933).

Egli avvertì sempre più chiaramente (Maestri e discepoli nella nuova scuola italiana, Brescia 1939) che i contenuti e le strutture dati alla scuola italiana dalla riforma operata dal Gentile nel 1923 erano inadeguati alla realtà storica. Nel contempo, quasi con lo scopo di compiere una verifica, il C. attese ad una serie di studi storici di notevole importanza sia per l’apporto critico che per i contributi documentari: cominciò con una nota sul De ingenuis moribus di Vergerio e proseguì con studi sugli asili aportiani a Lucca nel Risorgimento (1941), su Pedagogia rivoluzionaria e programmi scolastici alla fine del ‘700 (1941), su Vittorino da Feltre (1947), e su Maria Edgeworth e Raffaele Lambruschini (1953), su Ottavio Gigli (1953), su Pietro Siciliani (1955).

Sostenne l’opportunità della pubblicazione di Monumenta Italiae Paedagogica e ne propose un piano di edizione. Curò l’Introduzione allo studio della filosofia per l’edizione nazionale delle opere di Vincenzo Gioberti (1941) e del filosofo piemontese pubblicò (1947) l’inedito Cours da lui scoperto nel 1942. La maggior parte degli studi di storia della filosofia e della pedagogia sono raccolti nei volumi Dall’umanesimo alla scuola del lavoro. Studi e saggi di storia dell’educazione (Firenze 1940) e Pedagogia del Risorgimento (Firenze 1963). L’emanazione della Carta della scuola promossa dal ministro Bottai (1940) provocò interventi del C. sul problema delle attitudini, come fondamento del problema della selezione e su quello del lavoro produttivo.
Dall’8 sett. 1943 partecipò alla Resistenza contro il nazifascismo in Firenze e, dopo la liberazione della città, nell’agosto 1944, fu designato quale preside della facoltà di lettere e filosofia dell’ateneo fiorentino, incarico che tenne fino al 1947. Dopo la liberazione si accostò alla Democrazia Cristiana, partito di cui condivise l’indirizzo generale e la politica scolastica e nelle cui liste fu candidato alle elezioni politiche del 1948 e del 1953 in una circoscrizione della Puglia.
Nel 1955 fu membro della Commissione per la riforma dei programmi elementari, nel 1956 presidente della Commissione per la riforma della scuola secondaria inferiore e poi della Commissione per la riforma generale della scuola secondaria. Dal luglio del 1949, e cioè dalla XII conferenza in poi, fu capo della delegazione italiana alle conferenze per l’istruzione pubblica di Ginevra. Fu vice presidente della Commissione italiana dell’UNESCO e presidente, all’interno di essa, del Comitato per l’educazione. Dal 1950 al 1970 presiedette il Centro didattico nazionale di studi e documentazione di Firenze. Fino al 1951 era stato anche presidente della Consulta didattica nazionale e del Comitato di coordinamento dei Centri didattici nazionali.

Tra il 1946 e il 1949 pubblicò il Corso di pedagogia (Milano-Messina), opera nella quale ripropose organicamente i frutti delle sue meditazioni e delle sue esperienze. Al II congresso U.C.I.I.M. (Unione cattolica italiana insegnanti medi) tenuto a Roma nel settembre 1949 il C. fu relatore sul problema della preparazione degli insegnanti nell’università riconfermando la convinzione che, alla formazione culturale, dovesse aggiungersi la preparazione tecnico-professionale.
Negli ultimi anni della sua vita, in numerosissimi scritti, egli precisò ed ampliò la sua concezione filosofica. La costruzione spirituale dell’uomo si fonda, per il C., su psicologia ed etica; in quest’ultima trovano la loro unità i valori spirituali. La costruzione spirituale dell’uomo è il risultato di un processo educativo, cioè di un processo culturale (e pertanto storico) in cui l’adeguamento alla realtà s’incontra con l’esigenza dell’eterno e la ricerca dell’assoluto e rimane permeato di esse. Il processo educativo consente il manifestarsi nell’uomo della coscienza che il pensiero è ciò che lo contraddistingue e ciò in cui l’io si realizza pienamente, e che il pensiero è, per natura, libero.
Movendo da queste premesse, il C. accettò l’attivismo pedagogico d’indirizzo spiritualistico, respingendo le tendenze al meccanicismo e al determinismo in nome di una asserzione di libertà che ritorna con sempre maggiore convinzione in tutti i suoi scritti e che si traduce nella rinuncia a rigidi schematismi nell’enunciazione e nella difesa della propria dottrina.

La sua opera di divulgazione di quanto avveniva negli studi di pedagogia, nella metodologia didattica, nell’organizzazione scolastica fu particolarmente importante tra il 1950 e il 1970 per l’efficacia che gli importanti incarichi ufficiali affidatigli diedero ai suoi interventi. Il C. difese con coerenza, durante l’intero arco della sua lunga e intensa attività, la pedagogia come scienza autonoma e propose una organizzazione della scienza pedagogica comprendente la filosofia dell’educazione, la metodologia e la storia dell’educazione.
Alla prima il C. affidò il compito di stabilire l’essenza del fatto educativo e di definire i fini dell’educazione; alla seconda, basata sulla filosofia dell’educazione, ma anche sulla psicologia, commise il compito di definire i metodi con i quali i fini universali dell’educazione possono essere raggiunti; alla terza assegnò il compito di tracciare il profilo dello svolgimento del pensiero e della pratica pedagogica, strettamente connessa alla pedagogia sperimentale, cioè a quell’insieme di ricerche sperimentali che presentano i risultati conseguiti da nuove tecniche educative. In tal modo la pedagogia acquista, secondo il C., quel carattere di scienza sperimentale che le è proprio e che ne esprime il significato e il valore particolare: “Solo così – egli scrive – si può togliere alle norme pedagogiche quel carattere dogmatico e autoritario, necessariamente soggetto a dubbio critico o addirittura a discredito o a ribellione, che esse avevano o nella fondamentazione induttiva datale da alcuni classici della pedagogia, più o meno romantici, come il Rousseau, o nella fondamentazione didattica con cui, come Herbart e lo stesso Froebel, ad esempio, credevano di poterle stabilire” (La sperimentazione in pedagogia, in G. C., Problemi attuali della pedagogia e della scuola, Bologna 1958).

Il C. fu presidente dell’Associazione pedagogica italiana e membro del Comitato direttivo di “Scholé”, l’associazione fra i docenti universitari cristiani di pedagogia. Nel 1965 gli fu assegnato il premio Marzotto per la pedagogia.
Morì a Francavilla Fontana il 25 maggio del 1970.

Bibl.: F. Magri, L’azione cattolica in Italia, Milano 1953, p. 312; A. Agazzi, Panorama della pedagogia d’oggi, Brescia 1954, pp. 240 ss.; E. Petrini, G. C. e l’opera sua, Firenze 1955 (con bibl. degli scritti del C.); E. Garin, Cronache di filosofia italiana (1900-1943), Bari 1955, pp. 63, 154, 168, 483 s.; D. Bertoni Jovine, La scuola italiana dal 1870 ai nostri giorni, Roma 1958, pp. 159, 161, 189-192, 375, 382, 451, 466; L. Borghi, Educazione e scuola nell’Italia d’oggi, Firenze 1958, pp. 201-203; E. R. Papa, Storia di due manifesti. Il fascismo e la cultura italiana, Milano 1958, p. 115; A. Santoni Rugiu, Il professore nella scuola italiana, Firenze 1959, pp. 246, 268-70, 173; P. Gobetti, Scritti politici, a cura di P. Spriano, Torino 1960, p. 844; G. Cives, G.C., in I diritti della scuola, LXI (1961), pp. 921 s.; G. Francovich, La Resistenza a Firenze, Firenze 1961, p. 130; S. Caramella, Ilsenso storico di G. C., in Rassegna pugliese, I (1966), pp. 606-09; G. Salvemini, Scritti sul fascismo, a cura di N. Valeri e A. Merola, II, Milano 1966, p. 193; Id., Scritti sulla scuola, a cura di L. Borghi e B. Finocchiaro, Milano 1966, pp. 634, 682 s.; E. Petrini, G. C., in Enciclopedia filosofica, Firenze 1967, I, ad vocem;L. Ambrosoli, La Federazione nazionale insegnanti scuola media dalle origini al 1925, Firenze 1967, pp. 214 s., 219-222, 327-330; T. Tomasi, Idealismo e fascismo nella scuola italiana, Firenze 1969, pp. 138, 171 s.; M. Laeng, Le correnti cattoliche contemporanee, in La Pedagogia, VI, Maestri e idee della pedagogia contemporanea, Milano 1969, p. 709; O. Panfili, G. C. e la sua difesa della pedagogia, in I problemi della pedagogia, XV(1969), pp. 1066-1080; G.Cives, Presenza di G. C., in I diritti della scuola, LXX (1970), 19, pp. 11 s.; E. Petrini, Di G. C. e della libertà, in Pedagogia e vita, XXXI(1970), n. 4, pp. 349-364; Enciclopedia Italiana, App. II, 1, p. 486.

VID http://www.lostrillonenews.it/2018/05/25/gli-studenti-del-commerciale-di-francavilla-ricordano-giovanni-calo-a-48-anni-dalla-sua-scomparsa/EO
Gli studenti del “Commerciale” di Francavilla ricordano Giovanni Calò a 48 anni dalla sua scomparsa

Ricordando Giovanni Calò

Il pomeriggio dello scorso 10 maggio, noi studenti delle classi IV A e IV C dell’Ites Calò, accompagnati dalle professoresse Maria Zizzi, Iole Argentina e dalla dott.ssa Monica Albano, amministratore della Libermedia (gestore della Biblioteca) di Francavilla Fontana, abbiamo intervistato il dirigente scolastico in pensione, professor Andrea De Franco, cugino del noto pedagogista francavillese Giovanni Calò.
Per noi ragazzi è stato un onore e anche una sorpresa ascoltare le parole del prof Franco che, alla veneranda età di 95 anni, ci ha raccontato vicende ed aneddoti su suo cugino Giovanni.
L’incontro è stato il momento conclusivo di una proficua collaborazione nata tra l’Ites Calò e la biblioteca, nell’ambito del progetto di Alternanza Scuola – Lavoro, “BIBLIOCLICK”. Infatti, nei mesi precedenti le due istituzioni hanno partecipato al concorso, Alto Riconoscimento “Virtù e Conoscenza” – per la sezione “Alla Memoria”, e il prossimo 24 giugno a Porto Cesareo, saranno orgogliosi e onorati di ricevere il premio “alla memoria”, per aver candidato il loro illustre concittadino, professor Giovanni Calò, del quale entrambi portano il nome.
Il lavoro di ricerca ha messo in luce l’eminente uomo politico, sempre al servizio del bene comune, che ha ricoperto cariche importanti nel campo dell’istruzione: Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Firenze, Sottosegretario di Stato per le Antichità e Belle Arti, Membro dell’Accademia dei Lincei e grande “Maestro” della Pedagogia Italiana.
Dopo esserci presentati, abbiamo chiesto di raccontarci “Chi fosse Giovanni Calò, l’uomo comune”
Il professor De Franco ci ha detto che Giovanni era l’unico maschio di una famiglia di sei figli. Il padre era Torquato, impiegato comunale e la madre Raffaella Argentina, del ramo cadetto francavillese dei Baroni Argentina. Nacque nel 1882 ed essendo l’unico uomo di casa, ebbe la possibilità di dedicarsi agli studi, laureandosi a 22 anni in Pedagogia all’Università di Firenze. Decise di stabilirsi nella “patria della cultura” sia perché sposò la sua compagna di studi, Laura, da cui ebbe due figli, Torquato e Davide, sia perché vinse il concorso a cattedra presso la facoltà dove aveva studiato.

Tornava spesso a Francavilla per riabbracciare le tre sorelle nubili: Rosa, Michelina e Maria, le sole rimaste in casa.
A questo punto, De Franco ci ha svelato un piccolo aneddoto: la maestra della scuola elementare del compianto Aldo Moro fu la sorella di Giovanni, Rosa. Lei lavorava a Taranto quando il papà del giovane Aldo era ispettore scolastico nella stessa città. Il preside De Franco ha tenuto a sottolineare questo curioso incrocio di destini tra due uomini così affini tra loro. E ci siamo chiesti se l’amore per la pedagogia, la buona politica e i valori etici, che contraddistinguevano i due uomini, non fossero nati dagli insegnamenti ricevuti sin da piccoli.
Proseguendo nella chiacchierata, il preside ha tenuto a sottolineare che a Calò si deve il merito di aver cambiato il nome del corso universitario di Pedagogia in “Scienza dell’educazione” e ha riferito come il filosofo e pedagogista Jean Piaget lo abbia menzionato più volte per i suoi meriti culturali.

Inoltre, a Firenze, scrisse il Manuale di Pedagogia per le scuole magistrali, opera pregevole tradotta in ben 14 lingue. Dunque, la Pedagogia del mondo intero è stata appresa dai testi di Calò.
A questo punto siamo stati curiosi di conoscere anche i suoi meriti politici
Il preside De Franco ci ha detto che Giovanni Calò fu eletto a 32 anni deputato e divenne segretario dell’allora presidente del Consiglio Luigi Facta.
Dall’8 settembre 1943, partecipò alla Resistenza contro il nazifascismo a Firenze e, dopo la liberazione della città, nell’agosto 1944, fu designato quale preside della facoltà di Lettere e Filosofia dell’ateneo fiorentino, incarico che mantenne fino al 1947. Fu vice presidente della Commissione italiana dell’Unesco e presidente, all’interno di essa, del Comitato per l’educazione.
Il preside ha ricordato che Calò fu inviato a Parigi dal ministro Guido Gonella per rappresentare l’Italia e, appena arrivato, tutti si alzarono in piedi acclamandolo presidente. Fu quindi eletto per acclamazione.
Si batté per un’istruzione egualitaria, basata sul concetto di libertà. E a tale proposito, più volte fra Calò e il ministro della Pubblica Istruzione del tempo, Giovanni Gentile, vi furono scontri verbali, in quanto Calò non era sempre d’accordo con la politica scolastica del Fascismo attuata dal ministro.

Dal 1950 al 1970 presiedette il Centro didattico nazionale di studi e documentazione di Firenze; questo ente aveva lo scopo di raccogliere le relazioni degli insegnanti che documentavano le metodologie migliorative dell‘apprendimento delle differenti discipline. Inoltre, aveva il compito di divulgare tali informazioni a tutte le scuole d’Italia per perfezionare la didattica. Giovanni Calò difese con coerenza, durante l’intero arco della sua lunga e intensa attività, la pedagogia come scienza autonoma e propose una organizzazione della scienza pedagogica comprendente la filosofia dell’educazione, la metodologia e la storia dell’educazione.
Nella notte del 25 maggio 1970, Calò si spense serenamente durante il sonno, nella sua casa natale di Francavilla Fontana, dopo essere ritornato da Matera e aver partecipato ai funerali dell’amico, professor Paolo Lamanna.
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