D'ERASMO GEREMIA

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D'ERASMO GEREMIA

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Bari (Carbonara) 1887-1962

Polrontologo e maestro

“Abituato a considerare la scienza come una religione a cui si deve consacrare tutta la propria esistenza [ … ], aveva ereditato in sommo grado dai suoi maestri la felicissima attitudine all’insegnamento di cui si fece un vero apostolo e lo scrupolo scientifico spinto fino alla diffidenza verso l’interpretazione propria [ … ]. Se per la naturale inclinazione e gli studi compiuti era prevalentemente un paleontologo – e paleontologo sommo riuscì nella difficile scienza della ittiologia fossile – pure si appassionava per ogni ramo della geologia e spronava ed aiutava in tutti i modi quelli fra amici e discepoli che vi fossero in qualche modo inclinati”. Così ricordò Geremia D’Erasmo il paleontologo Antonio Scherillo.
D’Erasmo nacque a Carbonara (Bari) il 23 marzo 1887 da Pasquale e da Celeste Gigante. Affrontò gli studi universitari a Torino, quindi a Napoli, allievo del Prof. Francesco Bassani (1853-1916). Nell’ateneo partenopeo si laureò in Scienze Naturali e continuò a svolgere attività di ricerca e didattica nell’arco di un ventennio: prima come assistente, poi dal 1918 come docente incaricato di Paleontologia, in seguito di Geologia e di Mineralogia, infine dal 1932 come cattedratico. La sua dedizione all’insegnamento della Paleontologia fu totale: non si sottrasse mai agli impegni didattici, nonostante i disagi della guerra, anche quando la vita gli riservò sofferenze per la tragica e prematura morte dell’unico figlio Mario e l’infermità della moglie. Diresse l’Istituto Geologico e Paleontologico fino al ’57, anno in cui lasciò l’insegnamento per raggiunti limiti di età. Ebbe numerose onorificenze: “Tutte queste nomine e onorificenze hanno forse più interesse che vera importanza nella vita di un autentico scienziato, intendendo per scienziato chi colle sue ricerche personali contribuisce al progresso della scienza. Quello che conta e che resta è la produzione scientifica. È per questa che noi con­sideriamo ancora vivi e operanti fra noi Arcangelo Scacchi, Ferruccio Zambonini, Francesco Bassani, Giuseppe De Lorenzo, Geremia D’Erasmo!”. Il paleontologo pugliese morì a Napoli il4 febbraio 1962.
Il contributo più significativo di Geremia D’Erasmo alla paleontologia emerse dai numerosi lavori sui pesci fossili, di cui egli era specialista. Infatti, “studiò vecchie e nuove raccolte di pesci – dal Triassico al Pleistocene – recuperati in formazioni geologiche disseminate dal Carso alla Somalia, dalla Jugo­slavia al Brasile”; si occupò inoltre con ottimi risultati di proboscidati fossili, in parte da lui stesso ritrovati. A tali lavori vanno inoltre aggiunti quelli di argomento più squisitamente geologico. La sua produzione fu pertanto davvero imponente: circa centotrenta pubblicazioni, tra note e memorie.
Gli studi avviati con la tesi di laurea sull’età e la fauna dei calcari litografici a ittioliti di Pietraroja, che gli procurò il Premio “Molon” della Società Geologica Italiana, vennero sviluppati ed ampliati da D’Erasmo con l’opera del 1914, La fauna e l’età dei calcari a ittioliti di Pietraroja, provincia di Benevento, che presentava quattrocento reperti di pesci fossili trovati nel calcare stratellerato e selcifero del Matese meridionale e resti di crostacei, anfibi e rettili. Lo studioso vi illustrava nove nuove specie ittiolitiche, attribuite stratigraficamente al Cenomaniano (periodo Cretacico).
Sviluppò anche un’approfondita opera di rev1s1one di numerosi campioni e diede un significativo contributo alla soluzione di importanti problemi di cronologia geologica e di classificazione di reperti fossili.
In una monografia giovanile del 1915, Su alcuni avanzi di pesci triassici della provincia di Salerno, corresse l’errata attribuzione cronologica di resti rinvenuti nei “calcari dolomitici bituminosi del Triassico superiore di Pellezzano e di Giffoni Vallepiana [ … ], riferendo tre esemplari ad una specie di Belonorhynchus presente in terreni coevi della Lombardia e dell’Austria”. In un altro studio giovanile, Il Saurorhamphs Freyeri Heckel degli scisti bituminosi cretacei del Carso triestino, arrivò a importanti conclusioni sull’attribuzione tassonomica dei resti di vertebrati di pesci ganoidi del Cretacico del Carso.
In un lavoro avviato dal Prof. Francesco Bassani ma subito interrotto a causa della morte di questi, il Catalogo dei pesci fossili delle Tre Venezie, del 1922, D’Erasmo riesaminò i resti fossili, dal Triassico al Quaternario, di duecento aree del Triveneto, conservati in una trentina di musei o collezioni private. Vi illustrò anche numerosi campioni nuovi e mai studiati.
Grazie ai reperti raccolti nella zona di Racalmuto pubblicò nel 1928 gli Studi sui pesci neogenici d’Italia, in cui descriveva “duemila esemplari di Teleostei raccolti nel tripoli (farina fossile) del Miocene superiore dell’Agrigentino”. Per lo studio di pesci del Cretaceo si avvalse poi della collaborazione di studiosi che operavano fuori dell’Italia: Egidio Feruglio gli diede in consegna resti di pesci e di rettili, perlopiù denti fossili, provenienti dall’Argentina e precisamente da strati compresi tra il Mesozoico superiore e l’Oligocene; Ottorino De Fiore gli inviò “campioni inglobati in noduli ovali di arenaria”, che gli permisero di presentare nel 1938 lo studio Ittioliti cretacei del Brasile.
Significativi poi furono gli studi di Geremia D’Erasmo sui proboscidati fossili. Condusse anche ricerche sull’Elephas antiquus di Pignataro Interamna (presso Frosinone), concentrando tuttavia la propria attenzione su un secondo esemplare: il primo era stato nel frattempo portato negli Stati Uniti, perché D’Erasmo non aveva avuto la possibilità di acquistarlo. Sull’argomento scrisse tre memorie: nella prima del 1927, L’Elephas antiquus nell’Italia meridionale, stabiliva l’appartenenza di tale specie di pachiderma del Sud d’Italia al Pleistocene medio; nella seconda, L’ Elephas meridionalis nell’Abruzzo e nella Lucania, individuava affinità e differenze tra i resti fossili trovati e quelli dell’elefante meridionale più antico, risalenti al Pleistocene inferiore. Nella terza memoria, infine, Il cranio giovanile di Elephas antiquus di Pignataro Interamna nella valle del Liri, scritta in collaborazione con l’allieva prediletta Maria Montcharmont Zei, descriveva il cranio di un giovane esemplare, attribuendolo alla sottospecie italicus, del Pleistocene medio, ora estinto, affine morfologicamente più all’attuale elefante asiatico che a quello africano.
Si occupò anche di geologia, studiando “le formazioni stratigrafiche sepolte sotto i tufi e le lave del Vesuvio”; le cave di pozzolana della Campania; “i prodotti delle eruzioni di pozzolana e di tufo grigio incoerente”; un gruppo di vulcani che vanno dal Lago di Averno ai Fondi di Baia; gli aspetti del vulcanismo flegreo e delle sue acque termali; il bradisismo di Pozzuoli e di Paestum; in generale, gli aspetti della geologia del Sud d’Italia. Della Puglia, in particolare, “studiò i terreni pliocenici, il carbone delle Murge e la dubbia presenza di idrocarburi”.
Ebbe anche interessi storici, che lo portarono a ricostruire la storia di alcune istituzioni, quali la Società Reale di Scienze, Lettere e Arti e l’Accademia delle Scienze Fisiche e Matematiche di Napoli; a confrontarsi con la geologia di Alberto Magno (1193-1280), Lazzaro Spallanzani (1729-99), Oronzo Gabriele Costa e con il naturalista del XVIII secolo Nicola Braucci da Caivano di Napoli (1719-74), autore della Campania sotterranea. Scrisse anche articolati necrologi per commemorare alcuni colleghi, come i geologi Francesco Bassani, Raffaele Bellini, Giuseppe Checchia­Rispoli, Ramiro Fabiani e Giuseppe De Lorenzo; i geofisici Ciro Chistoni e Giovanni Battista Alfano; il naturalista Emanuele Quercigh ed il paleontologo Henry Fairfield Osbom.
Vincenza Padovano

Da Scienziati di Puglia (a cura di) Francesco Paolo De Ceglia, Adda Editore, 2007 pag. 460-462

Cenni bibliografici

Letteratura primaria:

[in collaborazione con G. De Lorenzo] Nuove osservazioni sull’Elephas antiquus dell’Italia meridionale, «Atti dell’Accademia delle Scienze Fisiche e Matematiche», s. 2, XVII (1930) 5, pp.1-15.

Studi sui pesci neogenici d’Italia, III, L’ittiofauna fossile del Gabbro, «Atti dell’Accademia delle Scienze Fisiche e Matematiche», s. 2,XVII (1930) 6, pp.1-118.

Studio geologico dei pozzi profondi della Campania, «Bollettino della Società dei Naturalisti», XLIII (1931), pp.15-143.

Nuovi rinvenimenti di pachidermi quaternari nella valle del Liri, «Rendiconti dell’Accademia delle Scienze Fisiche e Matematiche», s. 4, XVI (1949), pp.160-68.

1 Pesci di Sahabi, in Paleontologia di Sahabi (Cirenaica), «Rendiconti dell’Accademia Nazionale dei XL», s. 4, III (1951) I, pp. 33-69 .

Letteratura secondaria:

Accordi B., D’Erasmo, Geremia, in Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1991 , XXXIX, pp. 97-99 .

Scherillo A., Geremia D’Erasmo, «Atti della Accademia Pontaniana», nuova serie, XI (1963), pp. 406-13 .

D’ERASMO, Geremia
di Bruno Accordi – Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 39 (1991)
https://www.treccani.it/enciclopedia/geremia-d-erasmo_%28Dizionario-Biografico%29/

D’ERASMO, Geremia. – Nacque a Carbonara (Bari) il 23 marzo 1887 da Pasquale e da Celeste Gigante. Nel 1908 si laureò in scienze naturali – con una tesi sull’età e la fauna dei calcari litografici a ittioliti di Pietraroja, per la quale nel 1913 ricevette il premio Molon della Società geologica italiana -, avendo studiato prima a Torino, poi a Napoli, sotto la guida di F. Bassani. Per un ventennio fu assistente di ruolo nell’università partenopea: libero docente in paleontologia, nel 1918 gli venne affidato l’incarico d’insegnamento in tale materia, poi in geologia, infine in mineralogia e geologia. Nel 1932 vinse il concorso a cattedra e diresse l’istituto geologico e paleontologico dell’università di Napoli fino al 1957, anno in cui lasciò l’insegnamento per raggiunti limiti di età.
Morì a Napoli il 4 febbr. 1962.
Membro e segretario per un trentennio dell’Accademia di scienze fisiche e matematiche di Napoli, al cui sviluppo lavorò intensamente, e della Accademia Pontaniana, ricevette una medaglia d’oro della Società italiana per il progresso delle scienze nel 1929. Si occupò inoltre dello sviluppo della Società nazionale di scienze, lettere ed arti in Napoli, per la quale collaborò alla redazione degli Annuari dal 1950 al 1961. Ottenne una medaglia d’oro al merito della scuola nel 1959 e fu membro dell’Accademia nazionale dei Lincei.
In campo scientifico egli lasciò circa centotrenta fra note e memorie: fra queste prevalgono gli studi sui pesci fossili, di cui il D. era divenuto un noto specialista: alla sua perizia ricorrevano gli studiosi di ogni parte d’Europa. Studiò vecchie e nuove raccolte di pesci – dal Triassico al Pleistocene – recuperati in formazioni geologiche disseminate dal Carso alla Somalia, dalla Iugoslavia al Brasile.
In una monografia giovanile (Su alcuni avanzi di pesci triassici della provincia di Salerno, in Atti d. Acc. d. sc. fis. e mat. [di Napoli], s. 2, XVI [1915], pp. 1-12) egli esaminò alcuni reperti conservati in scisti ittiolitici entro i calcari dolomitici bituminosi del Triassico superiore di Pellezzano e di Giffoni Vallepiana: uno studio che corresse l’errata attribuzione cronologica di tale calcare, riferendo tre esemplari ad una specie di Belonorhynchus presente in terreni coevi della Lombardia e dell’Austria. Giovanile è anche l’accurato studio di pesci ganoidi del Cretacico del Carso (IlSaurorhamphus Freyeri Heckel degli scisti bituminosi cretacei del Carso triestino, in Boll. d. Soc. adriatica di sc. nat. …, XXVI[1912], pp. 45-88), che permise all’autore importanti conclusioni sull’attribuzione tassonomica di questi resti di vertebrati.
Poderosa è un’opera che riprendeva e ampliava il lavoro svolto per la tesi di laurea (La fauna e l’età dei calcari a ittioliti di Pietraroia provincia di Benevento, in Paleontol. ital., XX [1914], pp. 29-86; XXI [1915], pp. 59-112), che illustra ben quattrocento campioni di pesci fossili raccolti nel calcare straterellato e selcifero del Matese meridionale, formazione che contiene anche resti di Crostacei, Anfibi e Rettili: in quest’opera sono illustrate ben diciannove specie di pesci attribuiti stratigraficamente al Cenomaniano (periodo Cretacico), buona parte delle quali è in comune con l’ittiofauna coeva di Capo d’Orlando presso Castellammare (Napoli). Nello stesso campo di studi il D. portò a termine, nel 1922, un Catalogo dei pesci fossili delle Tre Venezie (in Mem. dell’Ist. di geol. d. Univ. di Padova, VI [1922], pp. 1-181), opera avviata dal suo maestro F. Bassani e subito interrotta per la sua morte; qui riesamina i resti fossili di duecento località del Veneto, dal Triassico al Quaternario, conservati in una trentina di musei o collezioni private che il D. ebbe modo di visitare; il Catalogo, che comprende l’illustrazione di molti campioni nuovi per la scienza, è di grande utilità per la geologia veneta.
Ancora sui pesci fossili è lo studio dei campioni raccolti a Racalmuto (Studi sui pesci neogenici d’Italia, I, L’ittiofauna fossile di Racalmuto in Sicilia, in Giorn. d. Soc. di sc. nat. ed econ. [di Palermo], XXXV [1928], estr., pp. 42, tav. 1), in cui il D. esamina duemila esemplari di Teleostei raccolti nel tripoli (farina fossile) del Miocene superiore dell’Agrigentino, traendone dati sul loro ambiente di vita e sulle affinità con le ittiofaune coeve delle Marche e dell’Algeria. Sempre sui pesci del Cretaceo verte uno studio presentato nel 1938 (Ittioliti cretacei del Brasile, in Atti d. Acc. d. sc. fis. e mat., s. 3, I [1940], 3, pp. 1-44) che il D. compì su campioni inglobati in noduli ovali di arenaria mandatigli da O. De Fiore, reperti che presentano analogie con quelli coevi dell’Australia. Dall’Argentina, da strati compresi tra il Mesozoico superiore e l’Oligocene, provengono resti di Pesci e di Rettili che il D. ebbe in consegna – per lo studio – da E. Feruglio, resti costituiti per lo più da denti fossili.
Né il D. si limitò a questo ramo della paleontologia; infatti studiò a fondo anche proboscidati fossili, in parte scoperti da lui stesso: ricorderemo il cranio di elefante antico di Pignataro Interanina (presso Cassino); i celebri resti elefantini di Sahabi (un giacimento scoperto dagli italiani in Libia); numerose altre ossa di pachidermi del Pleistocene dell’Italia meridionale, altri antichi elefanti fossili rinvenuti nella valle del Sele, del Liri e in altri luoghi del Meridione e una raccolta della Patagonia. Con gran dispiacere, per l’impossibilità materiale di acquistarlo, vide il “suo” cranio di Elephas antiquus di Pignataro emigrare negli Stati Uniti: fortunatamente ne trovò più tardi un secondo esemplare, cui dedicò i suoi studi.
I resti di tali pachidermi furono illustrati in tre memorie: nella prima (L’Elephas antiquus nell’Italia meridionale, in Atti d. Acc. d. sc. fis. e mat., s. 2, XVI I [1927], II, pp. 1-105, in collaborazione con G. De Lorenzo) era discussa l’appartenenza a tale specie abbastanza recente (Pleistocene medio) di molti denti, zanne e ossa di pachidermi raccolti nel Sud della penisola; nella seconda (L’Elephas meridionalis nell’Abruzzo e nella Lucania, ibid., XVIII [1930], 8, pp. 1-25) si precisavano le affinità e le differenze fra i reperti del più antico elefante meridionale (del Pleistocene inferiore) e i fossili della specie dianzi citata; sono anche esaminate le condizioni geologiche che impedirono al meridionalis una vasta diffusione, come invece successe alla specie più giovane: molti pezzi sono descritti per la prima volta e recano un grande contributo alla scienza. Nella terza memoria (Ilcranio giovanile di Elephas antiquus di Pignataro Interamna nella valle del Liri, ibid., s. 3, III [1955], 6, pp. 1-32, con 5 tavv.), in collaborazione con M. Montcharmont Zei, il D. descriveva il cranio di un giovane individuo, che attribuiva a una sottospecie Italicus, trovato nel Pleistocene medio dei sedimenti che colmarono il “lago di Cassino”, ora estinto; l’esame osteologico permette di avvicinare il reperto frusinate ad un altro celebre individuo (quello di Fonte Campanile, presso Viterbo) e mette in luce le affinità morfologiche – soprattutto nella dentizione – con l’elefante vivente in Asia anziché con quello africano.
In campo geologico il D. scrisse una monografia per illustrare le formazioni stratigrafiche sepolte sotto i tufi e le lave del Vesuvio; trattò poi anche le cave di pozzolana della stessa regione. In un altro studio (Icrateri delle pozzolane nei Campi Flegrei, in Atti d. Acc. d. sc. fis. e mat., s. 2, XIX [1931], pp. 1-55) descrisse il gruppo di vulcani che dal lago di Averno giungono fino ai Fondi di Baia, esaminando in particolare i prodotti delle eruzioni di pozzolana e di un tufo grigio incoerente, illustrò anche particolari aspetti del vulcanismo flegreo e delle sue acque termali. Ancora in campo geologico egli trattò del bradisismo di Pozzuoli e di Paestum e dei caratteri geologici dell’Italia meridionale.
Ebbe sempre a cuore la sua terra natale, la Puglia, di cui studiò i terreni pliocenici, il carbone delle Murge e la dubbia presenza di idrocarburi. In campo bibliografico, pregevoli sono le tre monografie che raccolgono tutti gli scritti geopaleontologici sulla Campania, sulla Puglia e sulla Calabria; lo attrasse anche la preistoria e in tre pubblicazioni trattò le industrie del Paleolitico.
Il D. emerge in particolare per i suoi lavori storici: ricostruì le vicende della Società reale di scienze, lettere e arti, poi Accademia delle scienze fisiche e matematiche in Napoli; chiarì i rapporti con la geologia di Alberto Magno, di Lazzaro Spallanzani, di Oronzo Gabriele Costa (che tra il 1827 e il 1860 studiò i fossili dell’Italia meridionale) e di Nicola Braucci da Caivano, naturalista napoletano, che nella seconda metà del sec. XVIII lasciò una grossa monografia (tuttora inedita) sulla Campania sotterranea. I suoi rapporti, più che amichevoli, con molti colleghi, lo spinsero a commemorare – con ampi necrologi – C. Chistoni (definito il “principe dei geofisici italiani”), G. B. Alfano, anch’egli geofisico, il naturalista E. Quercigh, il paleontologo statunitense Henry F. Osborn e i geologi F. Bassani, G. Capellini, R. Bellini, G. Checchia Rispoli, R. Fabiani e G. De Lorenzo.
Oltre alle opere citate nel testo ricordiamo del D.: Risultati ottenuti dallo studio di alcuni Actinopterigi del calcare cretacico di Pietraroja in prov. di Benevento, in Atti d. Soc. ital. per il progr. d. scienze [1910], Roma 1911, pp. 797-800.
Nuove osservazioni su L’Elephas antiquus dell’Italia meridionale, in Atti d. Acc. d. sc. fis. e mat., s. 2, XVIII (1930), 5, pp. 1-15, 12 ill. (in coll. con G. De Lorenzo); Studi sui pesci neogenici d’Italia, III, L’ittiofauna fossile del Gabbro, ibid., 6, pp. 1-118, 4 tavv.; Studio geologico dei pozzi profondi della Campania, in Boll. d. Soc. dei natural., XLIII (1931), pp. 15-143; Ancora su L’Elephas antiquus di Pignataro Interanma, in Rend. d. Acc. d. sc. fis. e mat., s. 4, I (1931), pp. 16-19 (in coll. con G. De Lorenzo); Avanzi di elefante e di ippopotamo nella Valle del Sele, in Atti d. Acc. d. sc. fis. e mat., s. 3, I (1940), 41, pp. I-II, 1 tav., 14 ill. (in coll. con G. De Lorenzo); Nuovi rinvenimenti di pachidermi quaternari nella valle del Liri, in Rend. d. Acc. d. sc. fis. e mat., s. 4, XVI (1949), pp. 160-168, 1 tav., 1 ill.; I Pesci di Sahabi, in Paleontologia di Sahabi (Cirenaica), in Rend. d. Acc. naz. dei XL, s.4, III (1951), pp. 33-69, I ill., 4 tavv.
Fonti e Bibl.: Necrologi in Rendic. d. Acc. d. Lincei, cl. d. sc. mat., fis. e nat., s. 8, XXXV (1963), pp. 626-631 (con bibl. essenziale); in Boll. d. Soc. d. natural. in Napoli, LXXII (1963), pp. 1-18 (con bibl.); in Atti d. Acc. Pontaniana, n. s., XI (1962), pp. 407-413; in Annali dell’Osservatorio vesuviano, s. 6, V (1963), pp. 1-14.

 

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