CASSANO FRANCO

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CASSANO FRANCO

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Ancona, 3 dicembre 1943 – Bari, 23 febbraio 2021

Autore della celebre raccolta di saggi sul “Pensiero meridiano”, da molti considerata un’opera fondamentale del “nuovo meridionalismo”, il sociologo non si è mai limitato ad essere un semplice accademico, pur avendo formato generazioni di studenti presso la facoltà di Scienze politiche a Bari. È stato invece un intellettuale militante che dagli anni ‘70 ha costituito una voce critica della sinistra, arrivando in seguito a promuovere una partecipazione attiva dei cittadini alla vita pubblica, fino al suo impegno in Parlamento come deputato.

Barese a tutti gli effetti ma per l’anagrafe marchigiano, nasce ad Ancona, terra di origine di sua madre. Frequenta il Liceo classico Quinto Orazio Flacco nel capoluogo pugliese e si laurea in Giurisprudenza.

Nel 1970 inizia la carriera universitaria come professore incaricato presso l’Università di Messina. Dal 1971 è assistente di Filosofia del diritto all’Università di Bari, dove nel 1980 diventa professore ordinario di Sociologia della conoscenza: nel corso del suo lungo percorso accademico come docente nella facoltà barese di Scienze politiche forma migliaia di studenti. Non ama relazionarsi con gli allievi in modo distaccato e convenzionale, tanto da intrattenersi per ore con loro in appassionate discussioni nei corridoi della sede universitaria.

Il rettore dell’Ateneo barese, Stefano Bronzini, ricorda a riguardo l’intelligenza pronta di Cassano, la sua capacità di ragionare con libertà e il suo continuo invitare gli studenti all’autonomia di pensiero.

Sin dai primi anni in Università, Cassano diventa parte integrante di un gruppo di giovani studiosi che gravita intorno alla sezione universitaria del Partito comunista italiano e alle case editrici Laterza, Dedalo e De Donato. Rappresenta quindi uno degli esponenti più giovani di quella “école barisienne” che vanta personalità come il politico, storico e filosofo Beppe Vacca o il politico e filosofo Biagio De Giovanni. Questi intellettuali criticano l’arroccamento del Pci su posizioni di retroguardia, impegnandosi in una proposta di riforma in senso democratico e partecipativo delle forme di organizzazione politica ispirate al marxismo. Inoltre, sviluppano in ambito accademico una lettura culturale di sinistra della conoscenza e dei suoi strumenti, che si va a contrapporre in città all’eredità crociana e a quella d’ispirazione cattolica e morotea, molto diffusa nel campo giuridico.

Nichi Vendola ricorda quella stagione in cui la federazione provinciale comunista, al primo piano del palazzone di Via Trevisani nel quartiere Libertà di Bari, diventa «il crocevia di tante vicende di ribellione e di libertà, il luogo di confronto (e di scontro) di soggetti e territori sociali diversi, ma anche di generazioni diverse e persino di “comunismi” differenti». Si viene a creare quindi «un originalissimo incubatore di intelligenza critica, di marxismi antidogmatici, di pratiche politiche fondate sull’inchiesta sociale e sul radicamento territoriale. In quelle stanze disadorne e asfissiate dal fumo delle sigarette, circolava un bel pezzo di Università (filosofi, storici, critici letterari, scienziati) e si incontravano i protagonisti di quel circuito politico-editoriale che da Laterza a De Donato a Dedalo aveva portato Bari nel mondo e il mondo a Bari».

In realtà, come spiega Beppe Vacca, il nome “école barisienne” è frutto di una tanto ironica quanto felice intuizione giornalistica di Valerio Riva, nata durante un suo viaggio in Italia per L’Espresso alla scoperta dei nuovi fermenti nella cultura di sinistra in quegli anni. Non è mai stata una vera e propria scuola di pensiero, ma un gruppo di intellettuali, giuristi, storici, filosofi, economisti (oltre a Vacca, De Giovanni e Cassano vanno ricordati tra gli altri anche Mario Santostasi, Franco De Felice, Vito Amoruso, Donato Barbone) che condividevano una lettura di quelle che erano le potenzialità del Pci, ritenendo che fosse in grado di portare avanti in Italia un modello di socialismo diverso da quello esistente in altri Paesi. Per questo il limite del movimento è stato paradossalmente quello di essersi esaurito con quella generazione di docenti e studiosi, che non ha lasciato successori.

Il gruppo della “scuola barese” ha riflettuto in sé la crisi della sinistra italiana, con la frantumazione che ne è seguita, una volta venuto meno il riferimento politico del Pci. Tuttavia, si possono considerare due eventi precisi che hanno segnato la fine della “école”: la chiusura nel 1983 della casa editrice De Donato e ancora prima – come suggerisce Beppe Vacca – la conclusione della solidarietà nazionale, dopo l’assassinio di Moro nel 1978. Quest’ultimo momento della storia italiana, considerato una sconfitta storica del Pci, spinge gli intellettuali a cercarne i motivi con strumenti, tempi e modi diversi. Eppure, quegli studiosi hanno un ruolo fondamentale nell’evoluzione politica della sinistra in Puglia: come ricorda lui stesso, nel 1980 Massimo D’Alema torna in Puglia mandato dal suo partito, il Pci, per aiutare i dirigenti locali «insidiati da un gruppo di intellettuali», tra i quali Franco Cassano ricopre un ruolo di rilievo, a causa delle loro pressioni per «rinnovare quel partito in crisi».

L’impegno civile di Franco Cassano prosegue negli anni, con il suo spirito critico verso la classe politica di sinistra, che lo porta a «stare ai bordi del corteo» da militante, rimanendo in “periferia” perché da quel punto privilegiato di osservazione il “centro” si vede meglio. Questa sua partecipazione arriva al culmine verso la fine del 2000, quando inizia a porre le basi per “Città Plurale”, l’associazione barese di cittadinanza attiva che, secondo molti osservatori, è la premessa alla stagione della “Primavera Pugliese”, tanto da aprire la strada alle esperienze politiche di Michele Emiliano come sindaco di Bari e di Nichi Vendola, eletto governatore della Puglia.

Come spiega la moglie di Cassano, Luciana de Fazio, quando il sociologo percepisce che una serie di forze si sta mettendo in moto, avverte il dovere di partecipare e non si sottrae al dibattito in corso. Così fonda insieme con altri intellettuali baresi un’associazione aperta ai cittadini, presiedendola per un anno, prima di passare il testimone. Questo laboratorio di civismo, che prende forma tra le mura della libreria Laterza, ha il merito di risvegliare la sinistra barese dal torpore degli anni precedenti, portando la gente in piazza, in particolare per protestare contro la costruzione dei palazzi di Punta Perotti, chiedendone l’abbattimento.

Il documento costitutivo dell’associazione, scritto negli ultimi due mesi del 2000, sostiene che nelle città «la politica è stata sequestrata, privatizzata». Infatti, «da un lato è diventata l’appendice dei grandi interessi, che scendono in campo direttamente, facendone il supporto delle loro trame private, dall’altro è appannaggio dei partiti, la cui carica ideale è spesso solo una giustificazione pubblica, dietro la quale si nasconde l’auto-riproduzione del ceto politico». Tutto ciò «uccide la vita democratica della città, spinge nella solitudine e alimenta un sentimento d’impotenza, restringe l’esistenza alla sola sfera privata». Questa situazione «nasce in primo luogo dalla perdita del gusto di esercitare le virtù civiche da parte di tutti quegli uomini, che non sono guidati né dai grandi interessi né dalle logiche di partito».

Quindi, per i fondatori di “Città Plurale”, «diventa un’esigenza vitale uscire dalla solitudine, associarsi per far vivere un’idea di politica diversa, non più appannaggio privato ma esercizio della cittadinanza, uno spazio pubblico, in cui i cittadini si riuniscono per discutere dei problemi generali della città», per evitare di finire sequestrati «dai calcoli dei grandi interessi e dalle logiche corporative dei partiti» e poter «lasciare alle generazioni future una città bella, utile e civile». La nuova associazione «si propone di ricostruire uno spazio pubblico nella città» e «non mira a diventare un partito o a sostituirsi ai partiti, ma pretende di farli uscire da uno stato comatoso, di costringerli a misurarsi sulle grandi questioni, di modificare i criteri di reclutamento e selezione della classe dirigente: non più il censo o la fedeltà al capo o all’apparato, ma la discussione civica, la capacità di formulare risposte trasparenti ed efficaci ai problemi», con l’obiettivo «di deprivatizzare le decisioni che riguardano tutti, sottoponendo i politici e gli esperti al vaglio di un dibattito pubblico, mettendoli a confronto con i destinatari delle loro decisioni». Infatti, in passato «gli interessi di pochi sono stati anteposti a quelli di tutti, troppe volte i saperi sono stati attratti nell’orbita privata dei poteri fino a formare una palude molle, ma resistentissima». Infine, si chiede ai cittadini «di fare uno sforzo, di uscire dallo scetticismo e da un sarcasmo che nasconde male l’impotenza», per favorire «l’esercizio di quelle virtù civili senza le quali la democrazia è un simulacro».

Con il passare degli anni lo slancio intellettuale e civile di “Città Plurale” si esaurisce e l’associazione cessa di esistere. Inoltre, Franco Cassano non risparmia critiche anche agli amministratori della stagione della “Primavera Pugliese”, che a suo dire subiscono nel tempo un processo involutivo tale da allontanarli sempre più dai principi alla base dell’associazione, essendo «la politica schiacciata e sequestrata dai grandi interessi e dai conclavi di partito».

L’ultima tappa del percorso politico di Franco Cassano lo vede impegnarsi direttamente, con la sua partecipazione alle elezioni nel 2013 come capolista alla Camera dei deputati per il Partito democratico nella circoscrizione Puglia. La sua candidatura come indipendente nel Pd è sollecitata dal segretario Pier Luigi Bersani, che punta a coinvolgere diverse figure di intellettuali. Secondo il racconto della moglie Luciana, la discesa nell’agone politico non rappresenta una scelta facile: dopo molte discussioni con le persone a lui più vicine, il sociologo si decide ad accettare l’offerta come riconoscimento del suo ruolo d’intellettuale militante. Quindi, una volta eletto nella XVII legislatura, è membro della commissione Ambiente per alcuni mesi e poi, fino alla scadenza del mandato nel 2018, della commissione Esteri. Luciana de Fazio spiega come questa esperienza si riveli per il marito molto deludente, essendo del tutto inadatto a un ruolo di mero esecutore delle direttive dei vertici. Infatti, dopo un breve periodo in Parlamento, Cassano si rende conto di come la politica nella Capitale alla fine sia appannaggio dei pochi che prendono le decisioni.

Il pensiero di Franco Cassano si riflette nei suoi scritti, gli editoriali pubblicati sull’Unità e sull’Avvenire e i suoi saggi, realizzati in forma di volumi brevi. Come ricorda il sociologo Raffaele Rauty, le sue opere spesso nascono da un appassionato lavoro di ricerca, che parte nelle librerie, caratterizzandosi per l’interdisciplinarità: «Frugava tra i libri con una curiosità che era strategia di costruzione della riflessione, dell’analisi e della comunicazione, dalla narrativa alle scienze sociali, alla letteratura e alla storia, piegando tutto, e raccogliendo, rigo dopo rigo, periodo dopo periodo, suggestioni per l’interpretazione della modernità in un contatto continuo tra senso comune e scienza». In questo modo Cassano arriva a confrontarsi con una serie di autori spesso inattesi, come Pier Paolo Pasolini, Franco Fortini, Albert Camus, Simone Weil, Rossana Rossanda, Giacomo Leopardi – già in precedenza al centro del lavoro di un altro marxista a suo modo irregolare, Cesare Luporini – e tanti altri. Tuttavia, questa bulimia di libri, ma anche di pensieri ed esperienze, è sapientemente dosata nelle sue opere, che non a caso non assumono mai la forma di un trattato.

I primi saggi del giovane ricercatore sono pubblicati dalla casa editrice De Donato di Bari, nota per riproporre testi e discussioni apparse sulle pagine di alcune riviste comuniste, come “Rinascita” e “Il Contemporaneo”, oltre che gli scritti di molti degli esponenti della “école barisienne”. Nel 1971 esce “Autocritica della sociologia contemporanea. Weber-Mills-Habermas” in cui l’analisi di Cassano paga il debito con la tradizione sociologica e in particolare con Weber, oggetto di studio e verifica continua, considerato dal sociologo come «il grande» e «quello cui devo tanto e sento sempre di dover tornare».

Nel 1973 pubblica “Marxismo e Filosofia”, testo ormai dimenticato, considerato il vero esame di “ammissione” nella comunità scientifica dello studioso, allora trentenne. Secondo Raffaele Rauty, in quest’opera Franco Cassano non ha timore di confrontarsi con il cuore del marxismo e della politica, tanto da fornire una riflessione ai limiti dell’eresia, partendo da Gramsci e Marx per arrivare a Galvano della Volpe e Raniero Panzieri, riuscendo a ridefinire i termini dell’analisi sociale attraverso questa summa di pensieri, che risente anche del continuo confronto – spesso su posizioni distanti – con una serie di amici intellettuali come Beppe Vacca, Gino de Giovanni, Giuseppe Cotturi, Peppino Caldarola, Franco de Felice.

Nel 1977 firma con il filosofo Remo Bodei il saggio “Hegel e Weber. Egemonia e legittimazione”, mentre nel 1979 dà alle stampe la quarta e ultima opera per l’editore De Donato, “Il teorema democristiano. La mediazione della DC nella società e nel sistema politico italiano”, un’analisi del partito di maggioranza, pubblicata nei mesi successivi l’assassinio di Aldo Moro e il fallimento del compromesso storico, in grado di suscitare vivaci discussioni.

In questo lavoro, secondo Raffaele Rauty, emerge la costruzione non tradizionale degli scritti di Franco Cassano, caratterizzata da molteplici notazioni interne al testo, che inseguono il filo centrale del discorso, con connessioni spesso appena accennate.

Nel saggio successivo, “La certezza infondata. Previsione ed eventi nelle scienze sociali”, pubblicato da Dedalo nel 1983, confluiscono gli studi epistemologici e di sociologia della conoscenza di Franco Cassano, che già presentano alcuni punti che saranno alla base del successivo pensiero meridiano. In quest’opera l’autore analizza la formazione delle teorie sociali, per spiegare quanto sia complesso e in una certa misura anche illusorio cercare di comprendere i fenomeni sociali utilizzando semplici etichette teoriche; inoltre evidenzia come le stesse teorie che vogliono spiegare i fenomeni si muovano all’interno di determinati orizzonti che conferiscono loro significato. Quindi, per quanto riguarda le scienze sociali, secondo Cassano non è possibile fare una chiara distinzione tra scienza, intesa come conoscenza corretta, e ideologia, ossia una conoscenza falsa o distorta. In conclusione, le teorie delle scienze sociali si configurerebbero come “universi simbolici” (termine utilizato dai sociologi della conoscenza Peter Berger e Thomas Luckmann), che garantiscono la propria esistenza attraverso la capacità di dare spiegazioni a eventi che ne potrebbero mettere in crisi le basi concettuali. Queste riflessioni sui meccanismi teorici alla base delle scienze sociali superano il ristretto ambito accademico e specialistico per permettere a Cassano di sviluppare una capacità interpretativa dei fenomeni sociali tale da consentirgli di individuare e descrivere anche elementi non sempre del tutto evidenti.

Anche in “Approssimazione. Esercizi di esperienza dell’altro”, pubblicato da Il Mulino nel 1989, si notano queste caratteristiche dell’analisi di Franco Cassano: l’opera rappresenta un esperimento di lettura a tutto tondo della realtà che ci circonda, utilizzando la fenomenologia, ossia un indirizzo teorico – tipico della sociologia – con cui esplorare e descrivere ciò che appare alla nostra sensibilità e coscienza. Attraverso questa prospettiva, l’autore rivolge il proprio sguardo su svariati temi come l’umanità, la differenza sessuale, la concezione dell’età, il modo di percepire la vita delle forme animali, invitando a esaminare la realtà in modo più articolato e poliedrico, insegnando a uscire dall’infinita chiusura e ripetizione del sé.

Infatti, inizialmente il sociologo cerca di assumere il punto di vista degli animali, di capire come interpretano il mondo, come lo vedono, lo leggono, lo sentono; subito dopo ripete lo stesso meccanismo di immedesimazione relativamente alle altre età, all’altro sesso, alle altre culture e agli altri caratteri. Questo esercizio di identificazione con l’altro è l’esatto contrario di qualsiasi integralismo, perché l’integralismo ritiene che l’altro sia il male, che debba essere ridotto all’identico e quindi vada cancellato. Da un percorso simile a quello seguito in quest’opera nasce la successiva critica della modernità intrapresa da Cassano, che si fonda sulla decostruzione di alcuni concetti che sembrano ormai inattaccabili, come l’etnocentrismo, il culto del progresso, la velocità, il primato del mercato.

Questo tipo di analisi fenomenologica della realtà è utilizzato in seguito sistematicamente nelle opere di Franco Cassano per mostrare l’ambivalenza e la doppiezza degli eventi, sottolineando l’ingenuità di chi pensa che possa esistere una ricetta sempre valida e risolutiva per tutti i fenomeni sociali, morali e politici. È questo il tema di “Partita doppia. Appunti per una felicità terrestre”, saggio che già presenta le basi del pensiero meridiano. Questo scritto, stampato nel 1993 da Il Mulino, si sofferma sull’attenzione per il senso della misura, del limite delle cose, focalizzandosi sulla capacità di relazionarsi con lo scorrere del tempo e della vita.

Dal 1991 al 1993 Franco Cassano dirige la “Rassegna Italiana di Sociologia”: con l’avallo della casa editrice Il Mulino, chiama a far parte della redazione della rivista alcuni dei migliori esponenti della sociologia italiana, provenienti da percorsi teorici diversi, come Franco Crespi, Margherita Ciacci, Pierpaolo Giglioli, Loredana Sciolla, Chiara Saraceno. Insieme con loro lavora un gruppo di colleghi più giovani: in questo modo Cassano riesce a far convivere in un clima propizio esperienze e approcci analitici differenti, favorendo i confronti tra le diverse linee di pensiero.

Nel 1996 esce per i “Sagittari” di Laterza quella che è destinata a diventare l’opera più nota di Franco Cassano, “Il pensiero meridiano”, sin da subito al centro di grandi discussioni in ambito accademico e tra i lettori.

I sei saggi che compongono il volume – tradotti negli anni successivi in francese, inglese, tedesco e giapponese – rinnovano profondamente i concetti alla base del meridionalismo classico che, osservando il divario esistente tra Nord e Sud Italia, aveva introdotto fin dall’Unità nazionale una “questione meridionale”, per descrivere questa situazione di squilibrio e le politiche necessarie per ridurre e far scomparire le differenze e l’arretratezza del Meridione verso il Settentrione, più simile al resto d’Europa. Superando il pensiero di autori come Carlo Levi, che mettono in luce il contrasto esistente tra immobilità e progresso, Cassano pone le basi per quello che è stato definito come “nuovo meridionalismo”, arrivando a riformulare l’immagine del Sud, non più come “periferia dell’impero”, ma come “centro”, caratterizzato da un rapporto diverso con la vita e da elementi come la passione più che la ragione, o come la vitalità piuttosto che l’efficienza economica.

Secondo questa prospettiva, che parte da una lettura radicale dei filosofi post strutturalisti francesi come Foucault, Derrida, Lyotard, la “questione meridionale” non andrebbe nemmeno considerata come tale. Per Cassano la nuova concezione, che assume anche valore politico, si caratterizza per le differenze che si amalgamano, per la polifonicità di voci, di culture e valori che s’incontrano e creano un universo dai mille colori. Al centro di tutto ciò dovrebbe esserci il Mediterraneo, che per il sociologo rappresenta il vero fulcro di questa sorta di rivoluzione copernicana, un “mare tra le terre” che non è mai confine invalicabile, ma un modello storico di rapporto con l’Altro, caratterizzato da misura, contaminazione e rispetto delle differenze.

Per Cassano quindi il Sud, inteso in una concezione che supera il confine del Meridione per abbracciare l’intero Sud del mondo, assume il ruolo di “soggetto di pensiero”, ossia il diritto a emanciparsi dalle valutazioni precostituite basate sulle logiche dello sviluppo, che lo confinano nella cornice dell’arretratezza, per promuovere una visione autonoma. Pur non indulgendo nell’auto-assoluzione, bisogna saper identificare i contributi originali che la prospettiva meridionale può apportare in una ridefinizione dei modelli economici e politici dominanti. Infatti, secondo Cassano, gli innumerevoli Sud del mondo hanno fallito nello sforzo di rincorrere gli stili di vita praticati nelle nazioni di un Settentrione pragmatico ed efficientista, continuando a ripetere una strategia infruttuosa, invece di capovolgere il proprio sguardo e riscoprire il valore della lentezza, evitando gli errori compiuti nell’esperienza capitalista.

Ad esempio, il processo di integrazione europea andrebbe riequilibrato in modo da considerare anche il contributo dei popoli affacciati sul Mediterraneo. In questo modo, spiega Nichi Vendola, Cassano libera il Sud «dai complessi di colpa e dalla dannazione delle tare genetiche», collocandolo «al centro di una visione politica ma anche antropologica», in una «convivialità delle differenze».

Attraverso questa dimensione mediterranea dell’umano si mette in discussione l’Hybris, ossia la volontà di potenza tipica della modernità, che la scienza dovrebbe imparare a conoscere e prevenire. Dunque, il lavoro di Cassano si focalizza sulla critica e sulla decostruzione degli eccessi del moderno, secondo quanto preavvertito profeticamente da autori come Pasolini e Camus.

Secondo diversi osservatori la vera novità delle tesi del “Pensiero meridiano” è proprio nella capacità di dare una chiave inclusiva alla nozione di Sud, di far entrare cioè in questa etichetta un vastissimo comprensorio di popoli e regioni che da sempre avevano condiviso non soltanto una condizione di marginalità, ma anche un’esperienza comune nel decifrare l’enigma del tempo. Inoltre, per molti non è un caso che quest’opera abbia visto la luce proprio a Bari, città che ha vissuto nel 1991 il primo grande fenomeno di approdo degli albanesi e che si è dimostrata un punto di osservazione periferico ma essenziale per il meridionalismo, attraverso gli scritti pubblicati in tutto il Novecento dalla Laterza.

Per Franco Cassano “Il pensiero meridiano” rappresenta «la critica del tipo di sguardo dominante nella cultura contemporanea, uno sguardo attraverso il quale il Nord-Ovest del mondo definisce la realtà, definisce il tempo, definisce le caratteristiche del futuro, definisce l’altro». Il libro, infatti, è pubblicato sette anni dopo la caduta del muro di Berlino, per contestare il concetto di “fine della storia” del politologo Francis Fukuyana, che teorizza come il processo di evoluzione politica, economica e sociale dell’umanità abbia raggiunto il suo apice nel XX secolo, tanto da aprire una fase di conclusione della storia in quanto tale, in cui tutto il mondo è destinato a diventare come l’Occidente liberale e avanzato. Cassano critica profondamente questo punto di vista, sostenendo come il mondo possa essere guardato anche da un’altra angolazione e osservando come le tesi presenti nel libro del 1992 “La fine della storia e l’ultimo uomo” di Fukuyama siano state confutate da una serie di eventi accaduti negli anni successivi. Così il sociologo barese assume il punto di vista del Sud, proponendosi di guardare la storia partendo dall’ottica di quella parte del mondo che, non essendo protagonista dello sviluppo, vive in una prospettiva diversa, non riconducibile soltanto a un insieme di dati negativi, come sembrerebbe emergere dal punto di vista dominante. Quindi Cassano non considera il Sud come «una patologia infinita dalla quale bisogna guarire per diventare finalmente civili e degni del dono della parola»: lo scopo del “Pensiero meridiano” è di evidenziare le diversità e le richezze di questa nuova prospettiva, caratterizzata da una rivendicazione di autonomia, una sottolineatura delle differenze e una critica ad alcuni aspetti della modernità.

Per Cassano «il Sud è portatore di un’idea più lenta del mondo e, in genere, i cultori della velocità pensano che la lentezza sia sinonimo di arretratezza, del possesso di una dimensione culturale ancora imperfetta». Invece «la lentezza è un punto di vista sul mondo, una forma di vita che custodisce delle esperienze che, con la velocizzazione crescente della vita, scompaiono». Non si tratta della fascinazione verso l’arretratezza, ma del desiderio di vivere in una dimensione più ricca e articolata rispetto al pensiero unico, che consenta di custodire quelle esperienze che rischiano di essere distrutte dalla progressiva velocizzazione e modernizzazione del mondo.

Cassano non propone una critica frontale alla modernità, basata su un’inclinazione nostalgica, ma una maggiore autonomia rispetto alla forma di modernità dominante, nella convinzione che essa possa essere profondamente modificata attraverso il vasto patrimonio culturale dei popoli del Sud, che non è esclusivamente un paradiso turistico o un inferno mafioso dominato da patologie sociali. Quindi Cassano sottolinea il ruolo fondamentale del Mediterraneo, che, come dice il suo stesso nome, è insieme terra e mare, punto di partenza ma anche di ritorno, proprio come suggerisce il mito di Ulisse, pronto a ritrovare Itaca dopo le sue esaltanti peregrinazioni a caccia di virtute e canoscenza. Il Mediterraneo rappresenta dunque un punto di contatto e di conflitto tra i vari popoli e le diverse culture che si affacciano sul mare che “media le terre”, nel quale non è possibile sottrarsi al rapporto con l’altro. Partendo dal Mediterraneo, Cassano punta a opporre – senza demonizzazioni o fondamentalismi – al Nord e all’Ovest le ragioni e i punti di vista del Sud e dell’Est, che non possono essere definiti esclusivamente come delle patologie o in modo caricaturale.

Cassano sottolinea l’importanza del dialogo per costruire un “universale”, che sia la somma di più parti e non solamente espressione della cultura dominante. La lotta contro il fondamentalismo, ad esempio, dovrebbe considerare tutti i fondamentalismi, non solo quello religioso, ma anche quelli tipici dell’Occidente, che basa la propria società sul capitalismo e sull’esaltazione dell’individualismo, anche a scapito dell’interesse collettivo. Perché le varie parti del mondo smettano di demonizzarsi a vicenda, imparando a riconoscersi e mantenendo le proprie specificità, sarebbe necessario per l’Ovest individuare anche il valore di ciò che è collettivo, secondo un codice che consenta il riconoscimento reciproco in un equilibrio che renda tutti più capaci di dialogare con l’altro, senza diventare identici. Per Cassano dunque «l’Occidente dovrebbe cessare di guardare con un orrore comodo e superbo alla barbarie del fondamentalismo, del nazionalismo e dell’economia criminale e tentare di combatterli iniziando con il controllare il proprio fondamentalismo, quello dell’economia. Solo limitando l’homo currens si può sbarrare la strada allo sradicamento e agli usi reattivi della tradizione, al suo ritorno violento e soffocante. Prendere atto del lato oscuro e aggressivo della propria cultura significa finalmente uscire dall’etnocentrismo».

Secondo l’acuta analisi del sociologo Onofrio Romano più che un vero e proprio pensiero, Cassano nel suo saggio «va piuttosto a tratteggiare uno stile, un modo di stare al mondo», con la sua critica alla civiltà occidentale. Per Romano in quest’opera Cassano si posiziona al margine del sistema per analizzare meglio le caratteristiche del modello occidentale ed elaborare una possibile via d’uscita alle sue criticità. Romano analizza l’importanza del Mediterraneo in quest’opera, con la sua peculiare coesistenza di mare e terra, e quindi come punto di contatto con altri popoli, culture e modi d’essere differenti: «La terra diventa per Cassano una metafora del radicamento, il riconoscimento di un’origine simbolica; il mare, all’opposto, una metafora dell’emancipazione, della libertà, dell’oltre passamento di sé, dell’apertura all’altro e quindi del progresso». Infine, Romano rileva come il lavoro di Cassano, che evidenzia «il differenziale di forza che segna il rapporto tra culture differenti e le incrostazioni gerarchiche che lo caratterizzano», abbia un «valore universale», trattando «della faticosa e insidiosa costruzione della libertà» dell’uomo, non solo del meridionale; quindi considera come una straordinaria carenza interpretativa dell’opera il riferimento esclusivo al Sud da parte dei critici.

Nei due saggi successivi “Mal di Levante” (1997) e “Peninsula. L’Italia da ritrovare” (1998), Franco Cassano riprende i temi del “Pensiero meridiano”, focalizzando l’attenzione sull’Italia e sul Mezzogiorno. Vivendo al centro del Mediterraneo, gli italiani dovrebbero cogliere l’occasione che la storia ha offerto con la caduta dei blocchi dopo il 1989, essendo il nostro Paese un punto di passaggio obbligato per andare dal bacino occidentale al bacino orientale, da nord a sud di quel mare. L’invito di Cassano è chiaro: «Riscoprite questa dimensione, che non è solo geografica, ma anche culturale ed etico-politica. Diventate quello che siete: un ponte di collegamento».

Tutti questi temi hanno incontrato un grande riscontro con il passare degli anni, ma – come lo stesso Cassano osserva – quando le idee non procedono di pari passo con le decisioni e i fatti, corrono il rischio di apparire una suggestiva utopia o un esercizio retorico: la politica non sembra aver saputo comprendere in pieno la portata di queste opere, limitandosi a una loro superficiale interpretazione, senza riuscire a tradurle in una serie di proposte concrete.

Nella raccolta di saggi “Modernizzare stanca”, edita da Il Mulino nel 2001, Franco Cassano specifica il suo pensiero, raggruppando e rielaborando diversi interventi pubblicati sull’Unità e sull’Avvenire: nella sua opera non c’è nessun rifiuto del moderno, né tantomeno un’anti-modernità. In quest’ottica il sociologo, accanto al desiderio di restituire dignità alla condizione meridionale, presuppone anche la riscoperta e il riconoscimento di un’altra modernità, più a misura d’uomo, tipica di quelle latitudini ritenute da sempre emarginate e ora ridiventate centrali.

Un caso singolare nella produzione saggistica di Cassano è senza dubbio “Oltre il Nulla. Studio su Giacomo Leopardi” (Laterza, 2003), che da un lato testimonia la vastità del campo di ricerca del sociologo, tale da lambire spesso altre discipline, e dall’altro rappresenta un ritorno alle sue radici del cuore, viste le origini marchigiane della madre, tradotte in un’intensa passione per il poeta di Recanati.

La successiva raccolta di saggi, “Homo Civicus. La ragionevole follia dei beni comuni”, pubblicata da Dedalo nel 2004, è profondamente legata alla stagione di “Città Plurale”, l’associazione aperta ai baresi, fondata da Cassano insieme ad altri intellettuali e da lui presieduta per un anno, attraverso la quale il sociologo si pone l’obiettivo di favorire la cittadinanza attiva e sottolineare l’importanza del bene comune, manifestando ancora una volta quell’interesse per la collettività che costuisce uno dei punti cardine della sua opera.

Nel 2007 Franco Cassano cura per Feltrinelli con Danilo Zolo “L’alternativa mediterranea”, in cui torna a esaminare il rapporto di forza tra Nord e Sud, ponendo l’accento su un duplice rischio: quello di una deriva dell’individualismo radicale, cui si contrappone quello di una deriva identitaria di segno opposto.

Con “L’umiltà del male”, uscito nel 2011 per i tipi di Laterza, Franco Cassano torna a far discutere: partendo da una lettura innovativa della leggenda del Grande Inquisitore, raccontata in un capitolo de “I fratelli Karamazov” di Dostoevskij, il sociologo si spende in una feroce critica alla sinistra, accusata di “aristocratismo etico”, ossia di una presunta superiorità morale in cui si sarebbe chiusa negli ultimi anni in modo autoreferenziale. Questo atteggiamento tende ad allontanarla sempre più dal senso comune e da quei deboli che un tempo rappresentava. Come in altri suoi lavori, per Cassano risulta evidente la necessità di comprendere le istanze che scuotono la società contemporanea, senza narcisismi: gli studiosi e gli intellettuali dovrebbero abbandonare le loro torri d’avorio per non rinunciare al rapporto con la gente comune, più esposta a tentazioni e superficialità, evitando così di specchiarsi nella propria perfezione e mostrando più comprensione per la debolezza degli altri.

Infatti, commentando questa sua opera, Cassano spiega che «nell’eterna partita contro il bene, il male parte sempre in vantaggio grazie all’antica confidenza con la fragilità dell’uomo», perché «il male è umile, il bene sempre più si specchia e si compiace di sé, lasciando spazio agli operatori del cinismo». Per il sociologo «chi vuole annullare quel vantaggio deve riconoscersi in quella debolezza, invece di presidiare cattedre morali sempre più inascoltate», considerando che «senza un’élite competente e coraggiosa la politica muore. Tuttavia, questa spinta morale deve sapersi confrontare con la maggioranza degli uomini, misurarsi con la loro imperfezione, deve diventare politica» nel senso più vero del termine.

Il sociologo giunge a queste conclusioni attraverso un’inedita interpretazione del Grande Inquisitore, che parte dall’osservazione del nostro tempo, «difficile, dominato dalla paura, dalla passione che divide gli uomini, che li spinge a chiudere le porte, a guardare l’altro come un pericolo»: infatti viviamo un momento storico «in cui ci si salva da soli, e spesso contro gli altri, in cui il male trova grande spazio e si diffonde rapidamente proprio perché le disuguaglianze aumentano, i più deboli sono divisi e quindi facilmente soggiogabili».

Nel libro di Dostoevskij, il Grande Inquisitore edifica il proprio potere utilizzando a proprio vantaggio la conoscenza delle debolezze degli uomini: aiuta e protegge, ma solo alla condizione che si rimanga in eterno fanciulli, dipendenti da lui. Sfrutta la paura, che è il contrario della speranza, quella passione che è in grado di spingere i deboli a mettersi insieme: dove non c’è speranza gli uomini si dividono, cercano una soluzione da soli, arrivando spesso a essere in contrasto tra loro. In questo contesto il Grande Inquisitore può proliferare. Nella Siviglia del Cinquecento il Grande Inquisitore utilizzava strumenti come il miracolo, il mistero e l’autorità, perché la superstizione, l’ignoranza e un cieco senso di subordinazione trasformavano l’uomo in un fanciullo che necessitava «di un’eterna ed interessata tutela». Oggi il Grande Inquisitore continua a servirsi dell’ingenuità dell’uomo per sfruttarlo, ma utilizzando strumenti più moderni: tra questi Cassano individua «l’ossessione del consumo e della distinzione, la rivendicazione della volgarità come sincerità, la celebrità sganciata da ogni merito e legata all’esposizione impudica del sé, un individualismo che ha perso per strada il tratto più nobile dell’individuo, il senso di responsabilità verso gli altri, una sorta di narcisismo amorale insofferente nei riguardi di ogni regola». Così al vecchio chierico devoto del romanzo di Dostoevskij oggi si è sostituito come Grande Inquisitore un «piazzista che, dietro il sorriso di velluto che ci arriva da tutti gli schermi, nasconde il pugno di ferro del suo potere personale, che seduce e acquista beni e persone. E qualche anima smarrita, oggi come allora, si spinge fino al punto di ringraziare il cielo per la sua esistenza».

Una risposta a questa situazione non può essere il “narcisismo etico”, ossia «quell’atteggiamento che spinge i migliori a specchiarsi nella propria presunzione, a non accorgersi dell’abilità con cui il male riesce a egemonizzare la debolezza, che non permette loro di vedere il punto cieco delle loro qualità». Non è possibile eliminare questa debolezza, che rappresenta la condizione comune degli uomini: quindi la politica democratica, deve chiedere all’etica di essere coerente, misurandosi con la maggioranza degli uomini. Infatti, se la politica senza etica diventa manipolazione, privilegio, potere, l’etica senza politica è solo una forma di salvezza lontana dal mondo reale.

Cassano continua la riflessione sulla politica anche con “Senza il vento della storia. La sinistra nell’era del cambiamento”, opera del 2014 pubblicata ancora una volta da Laterza, a sancire il sodalizio umano e intellettuale con l’editore e fraterno amico Alessandro Laterza.

L’ultimo scritto di Franco Cassano, uscito postumo nel 2022 sempre per Laterza, è “La contraddizione dentro”: in questo saggio – realizzato tra fine 2016 e inizio del 2017, quando siede ancora in Parlamento – il sociologo tratta temi importanti come la religione, la giustizia e la globalizzazione, senza rinunciare al suo stile di analisi che lo porta a smontare immediatamente un’affermazione per considerarne anche il verso opposto.

Nel testo sono presenti anche alcuni riferimenti alla malattia, al diventare più deboli col passare del tempo e all’incognita di ciò che resterà dopo, che fanno emergere un lato più umano e personale dell’autore. Tuttavia questo pamphlet non può essere considerato un semplice “testamento spirituale” per il suo essere aperto, visto l’esplicito invito di Cassano ad agire, a discuterne i contenuti, a dare loro altre vite attraverso rielaborazioni o nuove interpretazioni, misurandosi con punti di vista sempre diversi, ma senza mai cadere in un facile relativismo.

La scomparsa di Franco Cassano, dopo una lunga malattia, è stata ricordata, a un anno dalla sua morte, con una serie di iniziative a Bari, volte a celebrarne la figura. Il 23 febbraio 2022 è stato presentato al Teatro Margherita l’ultimo suo saggio, “La contraddizione dentro”, mentre il giorno seguente i colleghi dell’Università “Aldo Moro” hanno deciso di ricordarlo dedicando una lezione dei loro corsi ai temi che hanno caratterizzato l’attività di ricerca del sociologo, per sottolineare l’attualità e la profondità del suo pensiero, in grado di superare i confini disciplinari.

Inoltre il 19, 20 e 21 maggio l’Ateneo barese ha ospitato un convegno di studi intitolato “Lungo la via meridiana. L’itinerario sociologico, civile e politico di Franco Cassano”, al quale hanno partecipato numerosi rappresentanti del mondo accademico, della politica, del giornalismo e della cultura. Infine, l’edificio al civico 23 di Corso Italia, che ospita le biblioteche del dipartimento di Giurisprudenza e i dipartimenti di Bioetica e Scienze politiche, è stato intitolato a Franco Cassano, che negli ultimi anni della sua attività accademica occupava uno studio al pian terreno della costruzione.

Vincenzo Camaggio

FAMOSO PER

Nonostante la sua lunga carriera universitaria, come docente ordinario di Sociologia e Sociologia dei Processi culturali e comunicativi, Franco Cassano non si è limitato a essere un semplice accademico, ma un intellettuale impegnato che ha sempre ritenuto di poter incidere nella società, proponendo un nuovo modello di pensiero per il Sud, che ha il suo fulcro culturale e geografico nel Mediterraneo, il «mare tra le terre».

 

Addio Franco Cassano, teorico del “pensiero meridiano”

 

Franco La Cecla,L’Avvenire, 23 febbraio 2021

Il pensiero meridiano è stata una fertile espressione di Franco Cassano, appena scomparso a 78 anni, sociologo meridionalista (credo non se ne avrebbe a male) nella grande tradizione del meridionalismo di Gaetano Salvemini dei grandi pensatori che all’Unità d’Italia si posero il problema della differenza all’interno del nostro paese. Franco Cassano a lungo ha collaborato per questo giornale, e oltre al geniale “pensiero meridiano” (che usci la prima volta nel 1997) ha lavorato sulle concezioni “differenti” del tempo e sulla “partita doppia”, cioè sulle vicende che conducono alcuni umani a fare modestamente il bene o modestamente il male. La sua vocazione è rimasta però ancorata alla fertilità della diversità dei tempi e dei luoghi.

Da sociologo ha coltivato la geografia come una virtù. E oggi il suo pensiero evoca un mondo intero che nuovamente sembra essersi inabissato. Il Sud d’Italia è tornato alla ribalta solo come “evidenza” di un luogo dove si vive meglio in questa fase di pandemia. Migliaia di studenti e giovani meridionali sono tornati al Sud, dopo aver vissuto il trasferimento al Nord come vittoria contro una situazione che li costringeva alla marginalità del lavoro e delle retribuzioni. La pandemia ha ricordato loro che è meglio vivere in un contesto ricco climaticamente, affollato di storia e bellezze naturali e monumentali, di vita quotidiana significativa, piuttosto che languire in

un Nord che ha smarrito la bussola (e davvero oggi non sa dove si trova, se tra faide leghiste, provincialismo sovranista e stupidità mediatica).

 

Franco Cassano è anche il primo ad aver parlato di “lentezza” e di avere ispirato il glamour di Petrini o le file ai banconi di Eataly. A me ricorda un mondo straordinario che ho avuto la fortuna di conoscere e incrociare, da meridionale anch’io, tra gli intellettuali e militanti calabresi e lucani e l’intelligenza campana e pugliese. Per non parlare delle furibonde avventure e delusioni della mia terra sicula. Quando negli anni 70 rubai la macchina a mio padre e partii alla scoperta del Mezzogiorno, sull’onda degli stimoli di un altro grande sociologo di impronta olivettiana, Carlo Doglio, che mi aveva spinto verso Rocco Scotellaro, Carlo Levi e la nuova stagione del meridionalismo. Approdai a Viibo Valentia nella sede dei “Quaderni del Mezzogiorno e delle isole” diretti da Francesco Tassone e Nicola Zitara, dall’antropologo Mariano Meligrana e dall’aristocratico Luigi Lombardi Satriani. Fu per me la scoperta di un mondo vivissimo di pensatori, volontari, militanti e mi dischiuse le porte di un mondo contadino che non era mai morto, nonostante il funerale cantatogli da Ernesto De Martino. Scoprii Matera che sembrava deserta ma non lo era, conobbi Pietro Laureano e il suo pensiero sull’urbanistica meridionale e il grande fotografo Mario Cresci. Mi sembrò per la prima volta di capire cosa univa tutto quel mondo, e cosa soprattutto lo divideva dal resto d’Italia.

 

E qui bisogna tornare a Franco Cassano. C’è una differenza radicale, che è aumentata, invece di diminuire. Tra il Nord e il Sud d’Italia c’è una differenza antropologica che rimane quasi intatta e che non ha nulla a che fare con il “ritardo” del Sud, con i piagnistei dei politici meridionali o con il razzismo dei plebei leghisti. E questa differenza ha attraversato la globalizzazione. Nascere, crescere e vivere al Sud crea una certa maniera di essere che è distinta. E che fa sembrare provinciale la pretesa del nord Europa e d’Italia di essere il centro di qualcosa. Questo ce lo dice da sempre Cassano. Lui loda Edward Said e il suo anti-“Orientalismo”, io lo detesto proprio perché Said è l’antesignano della globalizzazione. Il credere che l’Est sia una invenzione dell’Ovest significa ignorare Ibn Khaldoun ma anche tutta la grande tradizione antropologica e geografica.

Il Sud non è una proiezione del Nord – forse è più vero il contrario, il Nord è un “southern dream”, che non avrebbe consistenza senza gli anni 70 e l’immensa emigrazione dal Sud.

Oggi che siamo un po’ meno stupidi e parliamo di transizione ecologica, sappiamo bene quale è il vantaggio del Mezzogiorno, proprio non avere avuto quello sviluppo tanto auspicato. E quando l’ha avuto ha creato i mostri come l’Ilva di Taranto o l’inferno di Augusta e Priolo. Forse oggi il ritardo del Mezzogiorno è l’unico vantaggio che ha l’Italia rispetto al resto d’Europa, vantaggio culturale, economico, paesaggistico, biologico, climatico, agricolo, turistico. Sarebbe interessante che Draghi cominciasse da questo se non ha già perso l’anima a Bruxelles.

Rileggendo Cassano si sente un clima di cui ci sarebbe di nuovo bisogno. Anche se – e non è colpa sua – la sua sociologia manca di antropologia. D’altro canto, dove sono gli studi sul campo, i fieldwork che potrebbero raccontare dal vivo cosa è oggi il Sud d’Italia? Non c’è quasi nulla dopo De Martino, e quello che c’è è stato creato da outsider come Urich Van Loyen su Napoli (Napoli sepolta, viaggio nei riti di fondazione di una città, Meltemi 2021). In Sicilia vige un’accademia baronale che non fa ricerca sul campo da decenni, ma le cose non sono diverse altrove, con qualche magnifica eccezione, Mariella Pandolfi che si occupa di tarantismo, Vito Teti che si occupa di paesi abbandonati. Il resto è tristezza di corridoi e di cattedre ma poca vita. E invece ce ne sarebbe bisogno.

A leggere le bibliografie dei titoli di Franco Cassano, stringe il cuore: si ha nostalgia degli anni in cui il Sud era un luogo di ricerca sul campo, gli anni delle inchieste e del vivere a contatto con le questioni. Oggi del Sud quotidiano si sa ben poco, se ne hanno immagini da stereotipo e cartoline televisive. O se volete c’è Saviano che sostituisce il giornalismo alla ricerca sul campo. E noi ci siamo abituati a prendere per buone tutte le definizioni “giuridiche” e “criminologhe” del Sud d’Italia, tra Sacra Corona, ndrangheta, Camorra, Mafia e Sacra Stidda. Ed è il motivo per cui il Sud è ancora il campo di un “tarantismo”, cioè di una visione miserabilità e da serial alla Tarantino. Il Sud come grande macchina del miserabilismo che salva gli scrittori poco dotati e li premia perché si occupano dei bassifondi.

Per questo non abbiamo mai una vera analisi delle classi medie meridionali e delle classi dirigenti meridionali. Franco Cassano ci ricorda che il Sud non è il western all’italiana che fa comodo a Netflix & Company, ma un posto ancora per buona parte sconosciuto.

V.C.

DICONO DI LUI

 

«Dagli anni Settanta a oggi, con il suo sguardo acuto e profondo di chi vede lontano, ha aperto strade nuove al pensiero della sinistra e all’impegno civico e meridionalista per intere generazioni».

 

Nicola Zingaretti, segretario del Partito democratico

«Ci ha insegnato a credere in quello che siamo e, soprattutto, in quello che possiamo diventare».

 

«Un intellettuale e un maestro. Un uomo dall’intelligenza originale e sorprendente, che, come nessun altro ha saputo rivoluzionare, i paradigmi del racconto del Sud e dell’essere meridionali. Un uomo a cui questa terra deve moltissimo. Un uomo di sinistra. Un uomo sempre di parte. Un uomo mai fazioso. Un uomo che riusciva a coniugare un pensiero solidissimo e profondo, con una straordinaria leggerezza».

                                                                                                          

Antonio Decaro, sindaco di Bari

                                                                                                                            

«Un grande intellettuale del Sud che, a differenza di altri, ha tracciato una via che la politica ha realizzato, sia pure lasciandolo perennemente inquieto».                     

 

«È stato un uomo che ha saputo leggere nel profondo la società e descriverne le opportunità».

 

Michele Emiliano, governatore della Puglia

Dal Pci al pensiero meridiano, come è difficile dirti addio: la lettera di Vendola a Franco Cassano

Nichi Vendola, Repubblica, 23 febbraio 2021

La cosa che ho amato più di te, caro Franco, è quell’idea di “leggerezza” che comunicavi: con lo sguardo, con il timbro naturalmente pedagogico della tua voce, persino con le rotondità del tuo corpo. Non quella leggerezza stolta ed effimera che è sinonimo di superficialità e talvolta di irresponsabilità, bensì la leggerezza “insegnata” da Italo Calvino nelle sue “lezioni americane”: “Planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”. La leggerezza del danzare la vita, della provocante scoperta dell’altro e della irriducibilità della sua alterità, del considerare il “senso del limite” (nella relazione individuale come nel rapporto con l’universo) non un divieto ma una occasione per imparare la cura del creato e la cura dell’umano.

Prendiamo la questione del Sud: non l’hai acchiappata dal lato della sacrosanta invettiva contro quella narrazione dominante che il Sud lo ha semplicemente ammutolito, riducendolo a inferno di arretratezza e criminalità, e che in un paradossale capovolgimento della storia d’Italia ha evocato una “questione settentrionale”. Il Sud lo hai liberato, nelle tue parole, dai complessi di colpa e dalla dannazione delle tare genetiche, e lo hai semplicemente collocato al centro di una visione politica (ma anche antropologica): questo tuo Mezzogiorno è l’Europa che si tuffa nel Mediterraneo, è la sfida geo-politica cruciale per la pace e la “convivialità delle differenze”, è la capacità di raccontarsi dando valore ai propri codici, ai propri tempi, ai propri colori, al proprio straordinario valore aggiunto. E di questa terra in cui è più agevole la lentezza, l’otium, la preghiera, la contemplazione, hai saputo intravvedere i germogli di una socialità meno compressa dalla coazione mercantile.

Anche per questo ci mancherai tanto. E ti piangiamo per gratitudine e per solitudine.

SCRITTI

Autocritica della sociologia contemporanea. Weber – Mills – Habermas, De Donato, Bari, 1971. Marxismo e filosofia, De Donato, Bari, 1973. Hegel e Weber. Egemonia e legittimazione, con Remo Bodei, De Donato, Bari, 1977. Il teorema democristiano. La mediazione della DC nella società e nel sistema politico italiano, De Donato, Bari, 1979.

La certezza infondata. Previsioni ed eventi nelle scienze sociali, Dedalo, Bari, 1983.                            Approssimazione. Esercizi di esperienza dell’altro, Il Mulino, Bologna, 1989, nuova edizione 2003. Partita doppia. Appunti per una felicità terrestre, Il Mulino, Bologna, 1993, nuova edizione 2011. Il Pensiero meridiano, Laterza, Roma-Bari, 1996, nuova edizione 2005. Mal di Levante, Laterza Edizioni della Libreria, Bari, 1997. Paeninsula. L’Italia da ritrovare, Laterza, Roma-Bari, 1998. Lo sguardo italiano. Rappresentare il mediterraneo, con Vincenzo Consolo, Mesogea, Messina, 2000. Modernizzare stanca. Perdere tempo, guadagnare tempo, Il Mulino, Bologna, 2001, nuova edizione 2011. Oltre il Nulla. Studio su Giacomo Leopardi, Laterza, Roma-Bari, 2003. Homo civicus. La ragionevole follia dei beni comuni, Dedalo, Bari, 2004. L’alternativa mediterranea, (a cura di) con Danilo Zolo, Feltrinelli, Milano, 2007. Tre modi di vedere il Sud, Il Mulino, Bologna, 2009. L’umiltà del male, Laterza, Roma-Bari, 2011. Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio, con Andrea Riccardi, Lindau, Torino, 2013. Senza il vento della storia. La sinistra nell’era del cambiamento, Laterza, Roma-Bari, 2014. La contraddizione dentro, Laterza, Roma-Bari, 2022.

FONTI BIOGRAFICHE, SITI WEB E VIDEO

Addio a Franco Cassano, padre del pensiero meridiano: «Siamo tutti orfani», Cenzio Di Zanni, Repubblica, 23 febbraio 2021. Addio a Franco Cassano, teorico del pensiero meridiano, Corrado Ocone, Formiche.net, 23 febbraio 2021. Addio Franco Cassano, teorico del “pensiero meridiano”, Franco La Cecla, L’Avvenire, 23 febbraio 2021. Beppe Vacca: «Io, Alfredo e il Pci e la sera andavamo a Botteghe Oscure», Antonello Cassano, Repubblica, 23 marzo 2017. Dal Pci al pensiero meridiano, come è difficile dirti addio: la lettera di Vendola a Franco Cassano, Nichi Vendola, Repubblica, 23 febbraio 2021. Franco Cassano (1943-2021), Raffaele Rauty, La rivista il Mulino, 1° marzo 2021. Franco Cassano e il pensiero meridiano, Onofrio Romano, Pagina21, 6 marzo 2021. Franco Cassano e l’attualità del pensiero meridiano, Tonino Perna, Il Manifesto, 25 febbraio 2021. Franco Cassano e la filosofia meridiana, Giuseppe Lupo, Il Sole 24 Ore, 24 febbraio 2021. Franco Cassano: «Guardatevi dalla banalità del bene», Marco Dotti, Vita, 23 febbraio 2021.  Franco Cassano, l’Università intitola al sociologo il palazzo in corso Italia a Bari, Repubblica, 2 febbraio 2022. Franco Cassano, morto a 78 anni l’intellettuale ed ex parlamentare Pd che aprì la strada alla Primavera pugliese, Il Fatto Quotidiano, 23 febbraio 2021. Franco Cassano: «Perché vi lascio il testimone di Città Plurale», Repubblica, 15 marzo 2012. I meridiani. La casa editrice De Donato fra storia e memoria, Luca Di Bari, Dedalo, Bari, 2012. Introduzione all’École Barisienne, Felice Blasi, Laterza, Edizioni della Libreria, Bari, 2007. Il pensiero meridiano di Franco Cassano, Francesca Ferraro, sololibri.net, 27 settembre 2016. Il pensiero meridiano oggi: intervista e dialoghi con Franco Cassano, Claudio Fogu, 7 luglio 2008. Il programma di Città plurale, «La politica non è un taxi», Repubblica, 16 marzo 2012. La contraddizione dentro: il 23 febbraio nel teatro Margherita la presentazione dell’ultimo libro di Franco Cassano, comunicato stampa del Comune di Bari, 18 febbraio 2022. La fine della storia e l’ultimo uomo, Francis Fukuyama, Rizzoli, Milano, 1992. La primavera pugliese e il sogno meridiano di Franco Cassano, Daniela Preziosi, Domani, 23 febbraio 2021. L’Università di Bari ricorda Franco Cassano, tre giorni di dibattiti, seminari e incontri, Bari Today, 17 maggio 2022.

Luciana De Fazio: «Vi racconto chi era il mio Franco Cassano», Leonardo Petrocelli, La Gazzetta del Mezzogiorno, 19 febbraio 2022. Meridionalismo, Cassano e l’école barisienne, Marino Pagano, Epolis Bari, 5 marzo 2021. Morto Franco Cassano, il sociologo che valorizzò il Mediterraneo, Giancristiano Desiderio Corriere della Sera, 23 febbraio 2021. Pensiero meridiano, sociologia e politica. Ricordando Franco Cassano, Francesco Giacomantonio, Scenari, 3 marzo 2021. Sociologo, maestro e spirito critico: ecco le tante eredità di Franco Cassano, Antonio Di Giacomo, Repubblica, 23 febbraio 2021.

 

parlamento17.openpolis.it/parlamentare/cassano-franco/686438

www.treccani.it/enciclopedia/franco-cassano

 

Cerimonia laica all’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” per ricordare Franco Cassano (24 febbraio 2021): https://www.youtube.com/watch?v=BwCGUwdf5RY

 

Franco Cassano presenta “L’umiltà del male” al Castello di Copertino (21 marzo 2012): https://www.youtube.com/watch?v=4BoSoFEZyDQ

 

Lezione di Franco Cassano sul Mediterraneo al Festivalfilosofia 2009 di Carpi (Modena): https://www.youtube.com/watch?v=jky-smMcTEs

 

Franco Cassano: incontro a Milano su “Bene comune/beni comuni” (25 ottobre 2006): https://www.youtube.com/watch?v=5DWTPsTvtBQ

V.C.

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