BOSCIA FILIPPO MARIA

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BOSCIA FILIPPO MARIA

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Sammichele di Bari 4 febbraio 1946

laureato in Medicina all’Università degli Studi di Bari, è nominato assistente universitario di Ginecologia e Ostetricia presso l’Università di Roma per essere poi chiamato dall’Università di Bari; frequenta le massime Scuole Europee di Medicina della riproduzione(Università di Londra, Parigi, Bruxelles, Lione e Lovanio); 1995 viene chiamato a presiedere la Società Euromediterranea di Bioetica; dal 1 agosto 1980, come professore universitario di ruolo per il Comparto disciplinare ostetrico-ginecologico, viene chiamato alla Cattedra di Fisiopatologia della Riproduzione Umana all’Università di Bari nelle funzioni di Direttore; chiamato da Papa Giovanni Paolo II alla carica di Consultore del Pontificio Consilio di Pastorale Sanitaria, carica riconfermata da Papa Francesco; ha ricevuto numerosi riconoscimenti dalle istituzioni civili nazionali e dalla Santa Sede; nel 2021su invito della presidenza del Senato è intervenuto in un pubblico contradittorio in Parlamento sui temi quali l’interruzione volontaria di gravidanza, l’eutanasia ed il testamento biologico.

Nato a Sammichele di Bari il 4 febbraio 1946 da Vito, Medico Tisiatra impegnato già negli anni Trenta a Gioia del Colle nella creazione di un sanatorio per malati di tubercolosi, si laurea in Medicina e Chirurgia all’Università degli studi di Bari, conseguendo il premio “Fulvio Lasorsa” per la miglior tesi di laurea discussa nell’a.a. 1971-72.

Nel 1973 vince un concorso per assistente universitario di Ginecologia e Ostetricia presso l’Università di Roma. L’anno successivo viene chiamato nell’Università di Bari come assistente ordinario di Patologia Clinica Ostetrica e Ginecologica.

Dal 1977 al 1983 è aiuto del professor Silvio Bettocchi presso la Clinica Ostetrica e Ginecologica e, nella sua qualità di esperto in Medicina della Riproduzione, Microchirurgia ginecologica, Andrologia, diventa responsabile degli ambulatori dedicati alla sterilità e infertilità maschile e femminile e alla crioconservazione sperimentale dei gameti.

E’ in collaborazione con Bettocchi che nel 1977 organizza a Bari il primo corso di Sessuologia Clinica e di Pedagogia Sessuale promosso dal Ministero della Pubblica Istruzione, allo scopo di avvicinare i giovani a un tema finora considerato un tabù.

Frequenta le massime Scuole Europee di Medicina della riproduzione e si affianca a grandi maestri (Somerville – Università di Londra – Palmer e Cohen – Università di Parigi – Schoysman – Università di Bruxelles – Cognat e Czyba – Università di Lione – Brosens e Boeck – Università di Lovanio)

Con loro edita numerosi volumi didattici e pubblicazioni scientifiche di alto impatto.

Tra l’aprile e il dicembre del 1979 è visiting professor all’Academish Ziekenhuis Saint Rafael – Center for Microsurgery University Leuven del Belgio, all’Achademisch Ziekenhuis – VUB di Bruxelles, all’Universitas Frauenklinik di Dusseldorf, quindi al Dipartimento di Immunologia della Scripps Clinic and Research Foundation di La Jolla in California.

Nel 1980, all’indomani del seminario internazionale di Inseminazione artificiale umana si specializza in andrologia presso l’Università di Pisa alla Scuola del Prof. Tronchetti e Menchini Fabris. Le sue attività proseguono ispirate ai valori della bioetica personalistica e della solidarietà, già contenute nei fermi insegnamenti del padre. Ogni paziente sofferente deve essere al centro di tutte le attività di assistenza medica e di “care”: il convincimento primario di intravedere in ogni fragile ammalato il volto sofferente di Cristo lo impegna nelle forme più alte di ricerca scientifica e bioetica e nelle attività professionali, mai disgiunte da quelle civili: se il paziente è il fratello in Cristo, il medico deve orientarsi nelle sue azioni, comportandosi alla stregua del Buon Samaritano, se non del Cireneo, cioè accompagnandolo, sostenendolo e prendendosi cura di lui.

È in questa veste che il suo nome comincia a circolare anche fuori regione, riuscendo a richiamare l’attenzione di un numero sempre crescente di pazienti che si affidano con fiducia alla sua carica di umanità, alla sua esperienza medica e alla sua formazione scientifica.  Dal 1 agosto 1980, vinto il concorso nazionale da professore universitario di ruolo per il Comparto disciplinare ostetrico-ginecologico, viene chiamato alla Cattedra di Fisiopatologia della Riproduzione Umana all’Università di Bari nelle funzioni di Direttore.

Fondatore e Direttore delle Scuole di Sessuologia medica, Pedagogia della sessualità, Diagnostica e Terapie sessuologiche, in esse insegna per moltissimi anni.

Sono gli anni in cui nascono a Bari i convegni su “Inseminazione artificiale umana” e “Procreazione Medicalmente Assistita”, a cui Boscia partecipa con interventi di settore.  Seguiranno i congressi di sessuologia e i molti saggi, circa trecento, di cui ricordiamo Sessualità senza riproduzione, riproduzione senza sessualità, edito a Bari nel settembre 1988 e poi interventi, saggi, interviste, conferenze, monografie di notevole interesse scientifico, tendenti a descrivere i grandi passi che la medicina della riproduzione va facendo. Lo scopo dei suoi studi e ricerche è quello di migliorare l’assistenza alle gravidanze ad alto e ad altissimo rischio, ridurre l’incidenza della mortalità intrauterina, migliorare la qualità del nascere e offrire massima assistenza neonatologica, anche intensivistica, alle alte prematurità.

Si interessa anche di prevenzione delle malattie infettive e virali in Ostetricia e Ginecologia, attivandosi anche nella chirurgia oncologica ginecologica.

Per convenzione tra l’Università di Bari e l’Ospedale Regionale “Miulli” di Acquaviva delle Fonti, con la clinicizzazione della divisione di Ostetricia e Ginecologia del Miulli, nel 1994 diventa Direttore della stessa.

Nel 1995 viene chiamato a presiedere la Società Euromediterranea di Bioetica. L’affabilità dell’uomo sono tali che cresce a vista d’occhio la popolarità di Boscia, che, nominato Presidente dell’Associazione Medici Cattolici Italiani della Diocesi di Bari e Presidente/Direttore del Consultorio Diocesano, agisce sotto la spinta della sua profonda formazione cattolica.

Ma è anche necessario dare un volto umano alla medicina. I pazienti e i ricoverati nel mondo asettico delle corsie d’ospedale attendono una carezza, un trattamento tale che non li faccia sentire soli e gettati nelle braccia impersonali della scienza medica.  E’ la ragione per cui Filippo Boscia a metà anni novanta, stringe amicizia e collaborazione con il filosofo Francesco Bellino e avvia insieme a lui degli studi sulla Bioetica, organizzando e partecipando a una serie di congressi in Italia e all’estero. A partire dai primi anni Novanta, sono innumerevoli i congressi di bioetica che vengono promossi in Puglia, manifestazioni a cui Boscia partecipa con interventi e saggi. Ricordiamone alcuni: nel 1992, nel Trattato di bioetica curato da Bellino per Levante di Bari, ecco un intervento sulla Fecondazione umana assistita e nel 1998 il saggio Bioetica, coscienza e libertà: aspetti bioetici, giuridici, medici e sociali e nel 2007 Riumanizzare l’esistenza sociosanitaria in Italia e ancora, La sofferenza umana tra fragilità, solitudine e speranza, nel 2013. La frequentazione della Società di Bioetica lo condurrà ad accettare l’insegnamento della disciplina nelle università di Bari e di Lecce e nell’Istituto Teologico Pugliese, nell’Università teologica dell’Italia Meridionale con sede a Napoli e nell’Università Lateranense in Roma. Dal 1° agosto 1980, vinto il concorso nazionale da professore universitario di ruolo per il Comparto disciplinare ostetrico-ginecologico, viene chiamato alla Cattedra di Fisiopatologia della Riproduzione Umana all’Università di Bari nelle funzioni di Direttore.  In collaborazione con la Chiesa di Roma organizza alcune missioni nel Benin, in Congo a Butembo/Beni, nel Burkina Faso e in Costa d’Avorio, dove vengono realizzati ospedali e scuole, presso i quali vengono puntualmente veicolati medicinali e attrezzature diagnostiche. Nella Repubblica democratica del Congo è anche fondatore della Università telematica “Du Graben”, nella quale svolge didattica.

Negli stessi anni è chiamato da Papa Giovanni Paolo II alla carica di Consultore del Pontificio Consilio di Pastorale Sanitaria, carica riconfermata da Papa Francesco.

Sul versante scientifico, per oltre trent’anni, Filippo Boscia riveste il ruolo di Direttore di Dipartimento per la “Salute della donna e la tutela del nascituro”, al Miulli e al Di Venere, dove presta assistenza a gravidanze ad alto rischio. Come chirurgo ginecologo oncologo Boscia ha eseguito oltre 9.000 interventi. Gli viene anche assegnato intanto il compito di Direttore del dipartimento di Ostetricia e Ginecologia della ASL BA, per il coordinamento dei settori di Ostetricia, Ginecologia, Medicina Fetale, Genetica, Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale (TIN) : si crea così per la prima volta in Puglia una solida ed efficace rete di assistenza e collegamento della quale fanno parte tutti gli ospedali aziendali: “Di Venere” e “San Paolo” in Bari,  “Fallacara” in Triggiano, “San Giacomo” in Monopoli, “Santa Maria degli Angeli” in Putignano, “Fabio Perinei” in Altamura, “Umberto I” in Corato, “don Tonino Bello” in Molfetta, tutti riuniti sotto la sua sapiente guida e direzione.

In 40 anni di attività e in questa veste ha assistito personalmente almeno 40.000 partorienti, mentre negli ospedali da lui diretti sono state effettuate oltre 100.000 nascite.

Un impegno costante che gli è valso numerosi riconoscimenti dalle istituzioni civili nazionali e dalla Santa Sede, fra i quali ricordiamo in modo specifico quello di Commendatore di Gran Croce dell’Ordine di S. Gregorio Magno e quello di Commendatore dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme; Nicolino d’Oro in Bari e Sigillo di numerose istituzioni universitarie nazionali ed internazionali.

Parallelamente all’impegno istituzionale Filippo Boscia si è speso per la divulgazione del sapere medico tenendo innumerevoli conversazioni per molteplici organizzazioni culturali e partecipando a dibattiti pubblici in organizzazioni di vario livello sociale e culturale. Nel 2021 ha preso parte, su invito della presidenza del Senato, a un pubblico contradittorio in Parlamento sui temi quali l’interruzione volontaria di gravidanza, l’eutanasia e il testamento biologico.

Attualmente continua a ricoprire le cariche di Presidente Onorario della Società Italiana di Bioetica e Comitati Etici (SIBCE) e di Presidente Nazionale dell’Associazione Medici Cattolici Italiani (AMCI).

“Il medico non deve curare solo l’aspetto fisico, ma anche quello morale”

Pubblicato 11 febbraio 2022

 

L’undici di febbraio, oltre che memoria della Madonna di Lourdes, è la Giornata Mondiale del malato. Ne parliamo con un qualificato osservatore, il professor Filippo Maria Boscia, Presidente dei Medici Cattolici Italiani.

Professor Boscia, qual è il rapporto tra medico e paziente e come deve essere?

“Il rapporto tra medico e malato è un arco magico tra la fiducia del paziente nel medico e la responsabilità di questi, la capacità di dare risposte abili. È una relazione privilegiata che fa parte integrante del prendersi cura. In tutto questo, l’ammalato rassicurato nell’ aspro percorso dell’infermità contribuisce a quella che si chiama eubiosi”.

Che cosa si chiede al medico?

“Non deve curare solo l’aspetto fisico, ma anche quello morale. In senso cristiano il medico opera come la figura del buon Samaritano. In quella parabola ci sono ben sette verbi: lo vide, si accostò, si chinò, lo medicò, lo sollevò, lo caricò sull’ asino che era l’odierna ambulanza, si prese cura di lui. Lo fece stando a contatto con lui, non dietro ad un computer o un plexiglas, fece quella che io chiamo la medicina dei cinque sensi. Questo piccolo grande miracolo può realizzarsi tutti i giorni, non solo tuffandosi nelle acque di Lourdes”.

Lei fa parte del Comitato anti-eutanasia, perché?

“Noi medici siamo e dobbiamo essere per la vita e non dispensatori di morte. Dobbiamo renderci conto che il paziente che chiede la morte spesso è un disperato, isolato, talvolta strappato agli affetti e all’ambito della sua famiglia e allora invoca la morte. Noi dobbiamo essere vicini a questo paziente umanizzando le rianimazioni, facendo in modo che il malato possa dire a qualche parente le parole mai pronunciate sino ad allora, le ultime parole.

Se saremo capaci di questo, ovvero umanizzando la fine della vita, le richieste di eutanasia saranno minime. È disumano accompagnare il paziente al suicidio, bisogna invece accompagnarlo serenamente alla morte e noi medici non possiamo né dobbiamo essere obbligati ad assecondare questo indirizzo”.

Suicidio assistito. Boscia (Amci): “Il medico è per la vita, no a far passare il disumano per pietà” | AgenSIR

 

FINE VITA

Suicidio assistito. Boscia (Amci): “Il medico è per la vita, no a far passare il disumano per pietà”

19 Gennaio 2022

Giovanna Pasqualin Traversa Giovanna Pasqualin Traversa

 

Ai medici “non può essere assegnato il compito di provocare la morte”. Non usa giri di parole il presidente Amci, Filippo Maria Boscia. Sì al diritto ad una morte degna, ma agire medico e uccisione sono incompatibili. È invece urgente garantire cure palliative a tutti. E “nel caso di una legge intrinsecamente ingiusta, al medico resterà sempre il dovere di ubbidire alla propria coscienza”.

 

La “assoluta incompatibilità tra l’agire medico e l’uccidere”. A ribadirla è oggi l’Amci – Associazione medici cattolici italiani, in un manifesto a firma del presidente nazionale Filippo Maria Boscia. “Tra le tante problematiche del fine vita, emergono quelle riguardanti la rinuncia/rifiuto alle cure, il suicidio medicalmente assistito e l’eutanasia: questioni controverse e complessi capitoli che riguardano ineludibili aspetti esistenziali di ciascuna persona”, si legge nel documento che prende atto del diffondersi di una “cultura eutanasica, nobilitata al contempo da libertà e pietà” all’interno della quale alcuni iniziano a distinguere tra “vita” e “non vita”, tra “degna” e “non degna”, tra il “morire con dignità” e il “morire senza dignità”, etichettando così “con soggettivi e arbitrari giudizi molte condizioni di vita fragile”.

La richiesta di suicidio assistito o di eutanasia “nasce sovente dal rifiuto di continuare a vivere in condizioni di precarietà e grave sofferenza”, spiega Boscia mettendo tuttavia in guardia dall’ “accettare con facilità il disumano per pietà, il disumano ragionevole per compassione”.

È giusto “riconoscere libertà e autodeterminazione a tutte le persone, ma questo riconoscimento non dovrà e non potrà confliggere con la libertà, la deontologia e soprattutto con la coscienza del medico”.

 

Una morte degna, secondo l’Amci, “è da assicurarsi a tutti”, ma questa azione “non può trovare scorciatoie rispetto a pratiche di sostegno e di accompagnamento dell’ammalato nelle fasi ultime della sua vita”. Insomma, non si possono far rientrare tra i doveri professionali e deontologici del medico il suicidio assistito e l’eutanasia.

 

Non sono queste opzioni terapeutiche possibili o praticabili nell’alleanza medico-paziente e nella relazione di cura e di fiducia: il medico si troverebbe in conflitto morale con sé stesso, soprattutto se le sue attività risultassero mere prestazioni tecniche senza valore umano ed etico”. Tutti i medici cattolici, prosegue il manifesto, “rappresentano la assoluta incompatibilità tra l’agire medico e l’uccidere, perché chi esercita la difficile arte medica non può scegliere di far morire e nemmeno di far vivere ad ogni costo, contro ogni ragionevole logica”. Piuttosto occorre garantire accesso a cure palliative e terapia del dolore su tutto il territorio nazionale.

 

Secondo il presidente Amci, nel processo del morire l’azione del medico deve essere di “accompagnamento, di empatia, di umana prossimità, di impegno professionale, certamente sempre rinunciando a terapie sproporzionate o straordinarie, inutili, futili e gravose”.

Di qui la necessità e l’urgenza di “attuare su tutto il territorio nazionale le grandi potenzialità della legge 38/2010 ‘disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore’”, e di realizzarla “in modo omogeneo ed universalistico” per “mantenere i malati terminali in un percorso esistenziale, sostanziato al massimo da rapporti umani ed affettivi”.

 

I medici, prosegue il manifesto, hanno l’obbligo di indicare “la proporzionalità delle cure” e di “condurre adeguate, efficaci, complete terapie del dolore e cure palliative senza escludere apoditticamente le sedazioni palliative profonde e senza mai determinare atti di abbandono, di allontanamento o di assenza di cure”. I medici cattolici, al fine di evitare qualunque fraintendimento “ribadiscono la loro stabile e immodificata posizione così come previsto da un’etica valoriale, che ritengono giusta, nel convincimento che sia di grave impedimento per loro, somministrare farmaci con finalità eutanasica o assecondare volontà suicidarie”.

 

“Ai medici non può essere assegnato il compito di causare o provocare la morte”.

 

Il fine della medicina è fondato “sul curare e ristabilire la salute, alleviare il dolore e la sofferenza, assicurare la più alta qualità della vita, soprattutto quando non si può più guarire, ma si può ancora curare”, spiega ancora Boscia ribadendo che l’unica opzione per il medico “è, sempre e comunque, per la vita e a favore della vita”.

 

Quanto all’introduzione della depenalizzazione delle specifiche azioni eutanasiche nel nostro ordinamento giuridico, il presidente Amci avverte: può “compromettere le basi stesse della democrazia e del bene comune e alterare i principi di solidarietà e di giustizia da riservare alle persone più fragili”.

Attenzione “affinché lo Stato non giunga mai a negare forme di assistenza e tutela a malati cronici, anziani, disabili, malati di mente, ecc., avvalorando forme di eutanasia sociale o selezione dei fragili e dei deboli”.

 

Per i medici cattolici, si legge ancora nel manifesto, l’intera problematica del fine vita costituisce “un’opportunità di dialogo, di confronto, di perfezionamento assistenziale verso l’eubiosia (contrario di eutanasia), cioè buona vita, vera sfida per un rinnovato umanesimo della cura, da riaffermare esaltando quel mirabile impegno personale e professionale, scientifico ed umano, che da sempre contraddistingue l’azione medica nella quotidiana lotta contro la malattia e la mai sufficientemente compresa dignità della vita”. Di qui la conclusione di Boscia:

 

“Nel caso di una legge intrinsecamente ingiusta, al medico resterà sempre il dovere di ubbidire alla propria coscienza professionale”.

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