JURLARO ROSARIO

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JURLARO ROSARIO

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Francavilla Fontana 23 marzo del 1930

Scrittore, tra antropologia e letteratura; Giornalista de “Il tempo” e de “L’Osservatore Romano”, Jurlaro si è specializzato in paleografia e archivistica e ha diretto la Biblioteca Arcivescovile di Brindisi “Annibale De Leo”, pubblicando centinaia di saggi e articoli di interesse letterario e antropologico. Ha fondato nel 1969 la rivista “Brundisii Res” e nel 2002 una rivista di Letteratura, “Alba pratalia. Semenzaio delle memorie. Storia-Lettere – Arti – Scienze”.

Dopo aver lavorato per diversi anni a Roma come paleografo e giornalista, ha diretto dal 1955 al 1993 la biblioteca «Annibale De Leo» di Brindisi. Nel 1978 ha vinto il premio «Piero Godetti. L’editore ideale».

Negli anni ha pubblicato diversi volumi di storia locale e non solo, tra i quali ricordiamo: La festa cresta. Dalle Palme al Sabato Santo con la gente del Sud (Forni, Bologna), L’utile canna (Congedo, Galatina, 1976), Tradizioni di Basilicata in opere della prima metà dell’Ottocento (Lacaita, Manduria 1988) e Guagnano. Chiesa e società (1988).

Ha curato molte opere e ha redatto alcune voci per il Dizionario Biografico degli Italiani (Istituto dell’Enciclopedia Treccani). Jurlaro ha anche ricevuto in passato il premio «Umanesimo della pietra» per la storia.

Con queste parole il prof. Spedicato ha salutato la pubblicazione del volume in onore di Jurlaro: «Fra qualche mese Rosario Jurlaro compirà ottanta anni, ma non sembra avvertire alcun peso dell’età. Continua ad essere in prima linea, dinamico, propositivo, sempre disponibile ad accogliere le nuove sfide della ricerca e pronto a misurarsi con i problemi posti dalle più aggiornate e, per certi aspetti, fin troppo sofisticate metodologie introdotte nei diversi campi dei saperi umanistici».

http://www.puglialibre.it/2009/02/tra-letteratura-e-storia-studi-in-onore-di-rosario-jurlaro

“Tra letteratura e storia. Studi in onore di Rosario Jurlaro”

13 febbraio 2009 La Puglia Che Pubblica

È stato presentato lo scorso 27 gennaio a Francavilla Fontana, con il patrocinio delle università di Bari, Foggia, Pescara, del Salento e della Calabria, e alla presenza del prefetto di Brindisi, Domenico Cuttaia, e del prof. Donato Valli, già Rettore dell’Università del Salento, la miscellanea di studi di critica letteraria dal titolo Tra letteratura e storia. Studi in onore di Rosario Jurlaro, pubblicato a cura di Mario Spedicato (presidente dell’Istituto di Storia Patria di Lecce e docente di Storia moderna presso l’università del Salento) per le Edizioni Panico di Galatina (LE).

Nell’ambito dell’incontro, il prefetto di Brindisi ha avuto modo di annunciare «l’avvenuta costituzione del Comitato provinciale per la valorizzazione della cultura della Repubblica nel contesto dell’unità europea, la cui attività rappresenterà ulteriore occasione di coesione sociale ricercando forme di cooperazione con le Istituzioni e le espressioni più sensibili della società civile, per dar vita ad iniziative che sappiano coinvolgere i cittadini e in particolare i giovani in attività volte a rafforzare il senso di appartenenza alla comunità nazionale ed europea».

Tra antropologia e letteratura. La narrativa di Rosario Jurlaro – Affaritaliani.it

 

Giovedì, 1° ottobre 2020 – 14:47:00

Tra antropologia e letteratura. La narrativa di Rosario Jurlaro

Che un letterator-poeta, come Trisolino, si metta a recensire un raffinato intelletuale, come Jurlaro, per spremerne la quintessenza della civiltà contadina che questi ha indagato e descritto degli anni, è cosa rara e pregevole.

Quando il poeta si fa critico letterario e lo scrittore si fa poeta contadino, nasce un connubio culturale e umano di tale portata, che è capace di avvolgerti ad avvincerti in una lettura sempre più profonda e accattivante.

Rosario Jurlaro non è certo nuovo a giudizi critici lusinghieri, espressi da tanti dotti, lungo il percorso della sua nonagenaria carriera/vita.

Ma questo saggio fi Gerardo Trisolino è particolare, diverso e superiore a tutti gli altri…

Editore: Pubblicazioni Italiane Anno edizione: 2020

PREFAZIONE

Che un letterato-poeta, come Trisolino, si met­ta a recensire un raffinato intellettuale, come Jur­laro, per spremerne la quintessenza della civiltà contadina che questi ha indagato e descritto negli anni, è cosa rara e pregevole.

Quando il poeta si fa critico letterario e lo scrittore si fa poeta contadino, nasce un connubio culturale e umano di tale portata, che è capace di avvolgerti ed avvincerti in una lettura sempre più profonda e accattivante.

Rosario Jurlaro, ché di lui si tratta, non è cer­to nuovo a giudizi critici lusinghieri, espressi da tanti dotti, lungo il percorso della sua nonagena­ria carriera-vita. Ma questo saggio di Gerardo Trisolino è particolare, diverso e superiore a tutti gli altri, innanzitutto perché riguarda l’intera te­tralogia contadina di Jurlaro (L’utile canna, La festa cresta, Fame e famiglia, Continente masse­ria), quella in cui lo studioso si fa più narratore e testimone; poi perché analizza le opere con i sot­tili strumenti stilistico-letterari del critico come fossero il bisturi del chirurgo; infine perché ne tira fuori l’anima unitaria e vibrante, affinché vi­bri all’unisono col lettore. Così nell’umile e uti­le canna vediamo la metafora del contadino del Sud che si è sempre piegato ma mai si è spezzato; nella Settimana Santa (“la festa cresta”) si adden­sano spiritualità, religiosità e superstizione di un popolo di fedeli; nel dramma familiare teatraliz­zato si intrecciano echi da tragedia e mito greco; nella masseria tutti i personaggi, uomini animali e cose, vivono di povertà e sfruttamento, ma con un’intensità esistenziale da brividi.

La lettura del lavoro di Gerardo Trisolino im­pegna il lettore sia sul piano tecnico, sia su quel­lo emotivo. Infatti egli, dopo aver recensito sui quotidiani e periodici salentini i libri di Rosario Jurlaro man mano che uscivano, ha sentito il bi­sogno di ripensare il tutto e farne una reductio ad unum per offrirci un’opera completa e sistema­tica, ma anche per comunicarci le sue emozioni difronte al grande affresco, alla grande “comme­dia umana” che vien fuori dai quattro libri. E che egli ci illustra con sapienza e maestria, ma anche con molta umiltà, riferendo direttamente le pa­role dello scrittore, di cui riporta ampi stralci. A volte questi servono ad avvalorare la sua inter­pretazione dello stile, a volte invece il suo pa­thos, a volte la sua descrittività, a volte perfino la pignoleria. Tanto preciso, dettagliato, acuto è il racconto di Jurlaro di quel mondo contadino, anzi agro-pastorale come preferisce dire Trisoli­no, che fu il mondo della sua infanzia. Per cui le opere si tingono spesso di pennellate autobiogra­fiche. Ma ora quel mondo non c’è più. La mo­dernità lo ha squassato e distrutto con tutte le sue armi: la meccanizzazione, l’istruzione di massa, la secolarizzazione, la globalizzazione, la tecno­logia. Allora il pregio aumenta: potrebbe essere un testo di archeologia antropologica, l’oggetto protagonista potrebbe essere un pezzo da museo; e invece è materia viva e dolente, gli uomini e le cose non solo parlano dalle descrizioni di Jurlaro, ma vivono, semplicemente.

Di questa vocazione umana e universale della scrittura di Rosario Jurlaro, io do atto. Così anche di un meridionalismo diffuso che si riallaccia alla migliore letteratura del Sud. Invece non condivi­do l’attribuire valore universale, o meglio Puglie­se tout court e mediterraneo, ai dettagli (le paro­le, i gesti, i gusti, le usanze) della narrazione e dei suoi protagonisti. Per me che non sono dell’area Salentina ma di quella Murgiana, le differenze ci sono e si vedono. Questa Puglia lunga e varia, che ha certamente un denominatore comune in molte cose, ha altresì tantissime diversità, nel parlare, nel mangiare, negli oggetti d’uso, nelle tradizio­ni, nelle superstizioni. Strutturali e quindi comuni sono invece i rapporti di classe, le distanze socia­li, le sofferenze e lo sfruttamento. E quando parla di queste cose, cioè le più dolorose, si sente un affiato socialista che non ammettono mai, né Jur­laro né Trisolino.

Però quando nell’opera dram­maturgica Fame e famiglia si crea una situazione di ribellione dei sottoposti contro i padroni, una frase poetica come «la guerra alle ingiustizie è un temporale che scroscia acque abbondanti per la­vare» fa emergere un bisogno profondo di giusti­zia sociale, che non saprei definire diversamente.

Certo si tratta di un socialismo evangelico, po­sto che l’ideologia cattolico-liberale, con ascen­denti storicistici e manzoniani, non porta lo scrit­tore a uno schieramento così netto e magari fa­zioso. Ma, dall’altra parte, lo scrittore cattolico e profondamente religioso non risparmia frecciate alla religione che si fa strumento e avallo dell’in­giustizia sociale: «Il divino sublima ogni miseria, la forza del potere lega i poveri che rassegnati stanno al giogo». Caratteristiche della scrittura e della personalità dello Jurlaro sono la modera­zione, l’equilibrio, il pudore addirittura, quando tocca temi scottanti relativi all’intimità sessuale di uomini, donne e animali. Basti leggere i passi relativi alla monta o al parto delle vacche; o alla violenza carnale subita dalla ragazza contadina da parte del figlio del signore. Un parallelismo che ci getta nel pieno del mondo agro-pastora­le dove una bestia da lavoro può essere perfino più importante di un familiare.

Significativo è il ruolo che giocano in queste opere gli anima­li, compagni di lavoro e di vita degli uomini di campagna: i solenni buoi, i focosi cavalli, i fedeli cani, le umili galline, gli svolazzanti colombi, le primaverili rondini di cui bisognava far mangiare il cuore caldo e palpitante a un ragazzo per farlo diventare coraggioso. È un mondo quasi umano, non tanto e non solo come quello che descrisse il grande Virgilio nelle Bucoliche e nelle Geor­giche, ma forse di più come lo ha studiato e de­scritto Konrad Lorenz, il fondatore dell’etologia, quando nel 1980 intitolò un suo libro Gli animali sono esseri umani di sentimento. Il premio No­bel se lo meritò, secondo me, non solo per le sue scoperte scientifiche, ma anche perché ha diffuso nel mondo moderno una diversa sensibilità verso gli animali. Quella che Jurlaro ha da sempre ed esprime nei suoi libri con una pietas degna del pio Enea, quando parla del “martirio” degli ani­mali cacciati, o castrati, o macellati, o asfissiati, o accecati.

Nel parlare di questo mondo, di questo “con­tinente” come lo scrittore definisce il luogo di vita di questo popolo minuto, la masseria, non c’è solo la testimonianza diretta dell’ex bambino che ricorda senza nostalgia né compiacimento idilli­co, ma c’è lo studioso di antropologia, di storia, di demologia, di archeologia, di letteratura e così via. La vastissima cultura che Jurlaro ha acquisi­to in tanti anni di studi e di immersione nei libri, come bibliotecario ma soprattutto come amante del sapere, ci ha regalato un erudito e un saggista di vaglia, che ha applicato il suo rigoroso metodo di ricerca a tutte le discipline affrontate. Di qui le sue centinaia di pubblicazioni di cui nessuno più riesce quasi a tenere il conto, nemmeno la sua Nunzia Ditonno, l’amata sposa – collaboratrice ­segretaria – ricercatrice – cuoca – scrittrice, sempre in totale sintonia affettiva e intellettuale con lui.

Ecco perché è quasi riduttivo parlare di Jurlaro solo come scrittore; anche se in questa tetralogia egli dà il meglio della sua scrittura narrativa. Ma­gari a volte il periodare è faticoso, lungo e inanel­lato in una serie di incisi e coordinate, nell’ansia di dire tutto quello che sa, che pensa, che sente. Allora il saggista sembra prendere il sopravvento sul narratore, l’approfondimento sul racconto, la scheda tecnica sulla poesia. C’è tutto, in tutto; ed è tutto Jurlaro: una personalità poliedrica.

Gerardo Trisolino ha cercato di guardare il sole attraverso questo poliedro, e ne ha visto tut­ti i colori dell’arcobaleno, svelandoci lo spettro della luce.

JURLARO ROSARIO E DITONNO NUNZIA

 

Una grande festa si terrà lunedì 7 settembre a Francavilla Fontana per Rosario Iurlaro e Nunzia Maria Ditonno, una coppia straordinaria a cui saranno dedicati gli interventi del sindaco Denuzzo e dell’assessora Angelotti, dei critici Ettore Catalano e Bianca Tragni, che presenteranno il saggio di Gerardo Trisolino sulla narrativa del novantenne professor Jurlaro, Tra antropologia e letteratura. La narrativa di Rosario Jurlaro, edito da  Universal Book di Treviso.  Giornalista de “Il tempo” e de “L’Osservatore Romano”, Jurlaro si è specializzato in paleografia e archivistica e ha diretto la Biblioteca Arcivescovile di Brindisi “Annibale De Leo”, pubblicando centinaia di saggi e articoli di interesse letterario e antropologico. Ha fondato nel 1969 la rivista “Brundisii Res” e  nel 2002 una rivista di Letteratura, “Alba pratalia. Semenzaio delle memorie. Storia-Lettere – Arti – Scienze”.

Uomo di grande finezza umana e culturale, Rosario si è occupato di molti aspetti della cultura nazionale e pugliese, ha scritto versi e prefazioni, ma ha trattato personaggi   come Isabella d’Aragona, Antonio de Ferrariis, Pietro e Fausto Palumbo, Cesare Teofilatto e molti altri, con grande furia interpretativa e meridionalistica e ha creato collane di studi e di ristampe chiamando attorno alla istituzione bibliotecaria intellettuali come Rholfs, Kristeller, Rodhes. Aiutato in questo dalla moglie Nunzia Maria Ditonno, esperta di storia della gastronomia e di Cultura Popolare.

Un libro che ci fa capire quanto quest’uomo abbia operato nella ricostruzione di una quotidianità travolta dalla dimenticanza dei tempi correnti e si sia occupato di tradizioni popolari, facendo emergere negli anni quella manifestazione straordinaria del Venerdì Santo di Francavilla.

In quanto a Nunzia Ditonno ricordo ancora le sue schede su nomi stranissimi che i nostri nonni hanno dato alle piante, in un libro dal titolo chilometrico compilato insieme a Domenico Nardone e a Santina Lamusta: Fave e favelle-Le piante della Puglia peninsulare nelle voci dialettali in uso e di tradizione- aforismi-modi di dire- farmaci- cosmetici, edito dal Centro leccese di Alti Studi salentini. Inutile dire che a fare da monarca tra le piante citate e analizzate è l’olivo. Conosciuto nel Mezzogiorno come auliva, olìa, alìe, spesso innestato sull’oleastro termite, la pianta più adatta a terreni poveri e calcarei, e che è ogliarola a Lecce, casciola e cafanella a Nardò, pasòla a Martano e genera versi popolari contro la xylella.

Altre piante ricordava Nunzia, vengono utilizzate in cosmesi. Per esempio l’Acacia odorosa è una pianta arborea dai fiori bianchi e a grappoli. Un tempo i fiori venivano macerati nell’olio e trasformati in brillantina profumata per ungere i capelli secchi. Mentre la Borsa da pastore, nota nel Salento come muscigna e vurza, dà profumo al latte degli animali che la mangiano, è antiemorragica, per non dire poi di piante più diffuse in cucina come prezzemolo, timo, salvia, menta, che hanno un nome diverso di paese in paese e altrettanto diversi usi nelle cucine tradizionali.

Dopo le ricette dei Sapori e aromi di piante e fiori spontanei della Puglia peninsulare e la raccolta di Piante pugliesi dal carattere afrodisiaco, Nunzia è tornata nei giorni scorsi in libreria con un libro edito da Artebaria di Martina Franca, Relazioni conversazioni e saggi sulla storia della cucina in Puglia. Vi sono raccolte molte conversazioni tenute nelle sessioni dell’Accademia Italiana della Cucina e altri saggi che è capitato di redigere alla Ditonno nelle sue peregrinazioni gastronomiche tra le ricette i vocaboli le pietanze gustate o preparate nel corso dei suoi primi ottant’anni. Colpisce come sempre il patrimonio di conoscenze in ambito lessicale. Basti leggere il saggio sulla ceramica popolare, gli orci e la loro storia, i pitali, coppe, zuppiere, orcioli a due e tre anse, le fisine, capase e capasoni, vasetti ceramicati, brocche, bummili. Una formidabile sequela di vocaboli dialettali, in un tempo in cui il dialetto va sparendo da ogni angolo della nostra penisola. Tutto legato ai tempi in cui si era povera gente. La povertà era la vera cura dimagrante di quei tempi. Ma il momento più importante era la riunione collettiva dei commensali intorno a un tavolo molto frugale. Una miseria della quale è rimasta traccia nella tavola del mondo contadino e pastorale.

In quanto ai pranzi succulenti era presente una sfilza di prodotti che si ripetevano in ogni festa: Sopratavolo di sedano finocchi cicorie lattuga ravanelli olive cavoli e poi pettole con schiuma di mare. Seguivano focacce, panzerotti, gnocchi di baccalà, orecchiette, rape, cardoncelli, acciughe, cozze. Prima di fave e cicoria, ceci, orecchiette, lenticchie o lasagne. Seguiti da carni cotte nei modi più vari oppure pesci, per i quali offre una gamma infinita di ricette. Chiudevano i dolci e la frutta secca e di stagione.

Non può mancare in un libro così ricco di informazioni la storia delle orecchiette, l’arte di realizzarle, un’arte che le mamme insegnavano alle figlie e i molti modi di cucinarle. Una ragazza che aveva imparato a fare le orecchiette era pronta per sposarsi.

Insomma, lunga vita a Nunzia e Rosario, una coppia di intellettuali di prim’ordine a cui ci piace augurare ancora belle stagioni di ricerche e di quell’impegno culturale che hanno profuso fino ad oggi.

Raffaele Nigro (2020)

Per festeggiare i novant’anni del professor Jurlaro, Gerardo Trisolino, poeta e saggista di Francavilla Fontana, gli dedica un libro di studi con prefazione di Bianca Tragni, Tra antropologia e letteratura. La narrativa di Rosario Jurlaro. L’editrice è la Universal Book di Treviso. Nella sua complessa attività intellettuale, Jurlaro è stato giornalista de “Il tempo” e de “L’Osservatore Romano”, si è specializzato in paleografia e archivistica e ha diretto la Biblioteca Arcivescovile di Brindisi “Annibale De Leo”. Forte di questa preparazione, ha pubblicato centinaia di saggi e articoli di interesse letterario e antropologico e ha fondato nel 1969 la rivista “Brundisii Res”, diretta fio al 1999 e da ultimo nel 2002 una rivista di Letteratura nella quale hanno trovato asilo molti intellettuali italiani dell’ultimo Novecento, “Alba pratalia. Semenzaio delle memorie. Storia-Lettere – Arti – Scienze”. Uomo di grande finezza umana e culturale, Rosario si è occupato di molti aspetti della cultura nazionale e pugliese di ogni tempo, trattati in oltre 600 articoli e saggi. Ha scritto versi e prefazioni, ma ha trattato soprattutto personaggi storici come Isabella d’Aragona, Antonio de Ferrariis, Pietro e Fausto Palumbo, Cesare Teofilatto e molti altri, con una furia interpretativa che mi è sempre parsa una lotta al silenzio e al disinteresse per la cultura meridionale di ogni stagione.

Così ha accettato di partecipare alla compilazione di studi in onore di tanti amici, da Ettore Catalano a Mario Marti a Pier Fausto Palumbo e Pietro Gatti e ha creato collane di studi e di ristampe chiamando attorno alla istituzione bibliotecaria intellettuali come Rholfs, Kristeller, Rodhes. Aiutato in questo dalla moglie Nunzia Maria Ditonno, esperta di storia della gastronomia e di Cultura Popolare. Trisolino compila una analitica bibliografia degli scritti di Jurlaro ma soprattutto si produce nell’analisi della sua scrittura, che mi appare un misto di narrativa, di memorie, di rilievi antropologici e di storia del costume.

Si parte da un libro del 1975, L’utile canna. Diario intimo della gente del Sud, edito da Congedo e accompagnato dai disegni di Armando Scivales. Jurlaro racconta l’uso della canna in ogni stagione della vita e dell’anno e costruisce l’esistenza di un paese meridionale attraverso l’uso di questa pianta.  La canna era utile un tempo per realizzare aquiloni e mongolfiere, gli archi delle frecce, la cerbottana, o per recinzioni, ma anche per realizzare recipienti, canestri e panieri e persino per creare tetti a cannicciata. Donato Valli definì questa elencazione un “furore oggettuale”, ma io direi una ricostruzione di grandi processi esistenziali attraverso oggetti di un minimalismo disarmante.

Scrive Rosario: “Ricordo la sottile canna con cui si soffiava nelle coppette piene d’acqua saponata che schiumando produceva le bolle di sapone … È proprio vero, m’accorgo, che correre dietro una ruota spinta da noi stessi è come fare il cerchio del serpe; seguire la propria coda per morsicarla, sortilegio anche questo …”

Ai ricordi di un mondo svanito segue La festa cresta. dalle Palme al Sabato Santo con la gente del Sud, edito da Longo nel 1983. La festa cresta, ovvero grande, la prima festa importante nell’anno liturgico iniziava con la benedizione delle palme.

“Si andava di buon’ora con il fascio delle palme a spalla dalle case alla più vicina chiesa ove, per tutte le feste comandate dell’anno, le donne s’erano recate il mattino alla messa ed il vespero alla funzione. Gli uomini portavano quei rami di ulivo tagliati il giorno prima che era stato sabato di passione”.

Si apriva così la settimana di passione, che Rosario narrava attentamente, guardando anche agli aspetti pagani. Per esempio, le masciare che intendevano invocare la morte di qualcuno ne scrivevano il nome su una candela, l’accendevano e poi la immergevano in un catino d’acqua. I sarti non consegnavano abiti e scarpe se non dopo il Sabato Santo, per non attrarre la sfortuna sul cliente. Non si usava accetta per potare, non martello per inchiodare né si alzavano colonne e pilastri. Perché ogni attrezzo e ogni gesto richiamavano momenti della passione. Jurlaro seguiva le linee avviate da De Martino e Bronzini e salvava dalla dimenticanza ogni cosa di un patrimonio immateriale che metteva insieme cultura cattolica e credenze pagane. E procedeva analizzando ogni momento della settimana, fino al Venerdì Santo che a Francavilla è sempre stato il momento più drammatico della festa.

“Dietro la statua (di Cristo) portata a passo lento da quattro confratelli in divisa, erano sempre in tanti con camici bianchi, rossi o neri ed i cappucci sopra il volto, a trascinare pesanti croci costruite per l’occasione con travi smontate da vecchie case scoperchiate o per metà demolite. Sopra il battuto o il selciato delle strade, che i traini e le bestie avevano segnato con gli zoccoli e le ruote, venivano trascinare le travi che avevano le punte, terminato il giro del paese, consumate come becchi di flauto”.

Tenevano dietro Fame e famiglia, edito nel 1986 da Longo e il Continente masseria. Alle radici del Sud mediterraneo del 1995 sempre con Longo di Ravenna. In questi libri si narrava la vita contadina e l’anno agrario che aveva inizio a Ferragosto, allorché “anche gli adolescenti e i ragazzi erano venduti per lavorare ad anno e guidati dagli anziani, per apprendere un mestiere”. Seguivano le arature e la semina o la passione della pastorizia. La meticolosa descrizione di una società della miseria dominata dai rapporti di ferro che dividevano i ceti in miserabili e feudatari e che è stato al centro dell’economia e della formazione culturale e dei ritardi del Mezzogiorno.

Un libro che restituisce a Rosario Jurlaro quell’attenzione che pochi ancora gli offrono e che ci fa capire quanto quest’uomo abbia operato nella ricostruzione di una quotidianità travolta dalla dimenticanza dei tempi correnti.

Raffaele Nigro (2020)

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