CARRIERI RAFFAELE

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CARRIERI RAFFAELE

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Taranto, 23 febbraio 1905 – Pietrasanta, 1984

Scrittore e poeta italiano.

A quattordici anni abbandonò la città natale e viaggiò in Albania, Montenegro e altri paesi balcanici, vivendo di lavori occasionali. Ancora giovanissimo partecipò all’Impresa di Fiume organizzata da Gabriele D’Annunzio, durante la quale rimase ferito. Trascorse la convalescenza a Taranto, per poi imbarcarsi come marinaio su bastimenti mercantili, il che gli diede occasione di conoscere numerosi porti del Mediterraneo, europei e nord-africani.

Tornato in Italia fu per due anni gabelliere a Palermo. Da questa esperienza prenderà vita la sua raccolta poetica di esordio (Il lamento del Gabelliere), che verrà pubblicata a Milano nel 1945. Nel 1923 si stabilisce a Parigi dove riesce ad entrare in contatto con importanti intellettuali d’avanguardia. Nel 1930, forte delle conoscenze accumulate in Francia, si stabilisce a Milano e comincia a lavorare come critico d’arte per numerose testate giornalistiche, tra le quali Il Corriere della Sera.

Sarà questa un’attività che lo vedrà impegnato per tutta la vita. Carrieri pubblicherà anche numerose monografie di successo dedicate a grandi artisti contemporanei: Amedeo Modigliani, Pablo Picasso, Blaise Cendrars, Massimo Campigli, Salvatore Fiume, Renato Guttuso, Domenico Cantatore e di poeti e intellettuali tra cui l’esule armeno Hrand Nazariantz… Ad essa, nel dopoguerra, affiancherà quella di poeta, pubblicando una serie di raccolte di versi che gli varranno il generale apprezzamento della critica e numerosi riconoscimenti; tra gli altri, nel 1953, il premio Viareggio per il volume Il trovatore (Mondadori). Si spense nel 1984 a Camaiore (LU) , dove si era ritirato da alcuni anni.

 

Opere

  • Scoperta di Eva, Istituto Editoriale Nazionale, Milano, 1930
  • Turno di notte, Giuseppe Morreale Editore, Milano, 1931
  • Fame a Montparnasse, Bietti, Milano, 1932
  • Poemetto a Campigli, Cavallino, Venezia 1942
  • Lamento del gabelliere, litografie originali di Massimo Campigli, Toninelli, Milano 1945
  • Souvenir caporal, Mondadori, Milano1946
  • Brogliaccio, poesia e prosa, Toninelli, Milano 1947
  • Forme, Milano-Sera Editrice, Sesto S. Giovanni, 1949
  • La civetta, Mondadori, Verona,1949
  • Brogliaccio, prefazione di M. Praz, 24 disegni nel testo, Milano -Sera Editrice, Milano, 1950
  • Settentrione, 77 disegni di E. Treccani, Ediz. d’Arte Moneta, Milano 1951
  • Il trovatore, con un saggio di G. Ravegnani, Mondadori, Milano1953
  • Calepino di Parigi, con disegni di O. Tamburi, Scheiwiller, Milano1954
  • Se ne vanno i cavalli, con 14 incisioni su linoleum di G. L. Giovanola, Epi, Milano 1954
  • Il cigno lanciere, con uno scritto di E. Emanuelli, geroglifici di Campigli, Schwarz Editore, Milano, 1955
  • Ballata del povero emiro, Scheiwiller, Milano 1955
  • Blu turco, con 6 disegni di Gentilini, Cavallino, Venezia 1956
  • Sei fioretti per le stagioni, tavole a colori di E. Cioni, Lucini, Milano 1956
  • El cigarillo, 12 poesie di Carrieri e 21 tavole di Domenico Cantatore, Scheiwiller, Milano 1956
  • Canzoniere amoroso, Mondadori, Verona,1958
  • La giornata è finita, Mondadori, Verona,1963
  • Io che sono cicala(1967)
  • La formica Maria(1967)
  • Stellacuore(1970)
  • Le ombre dispettose, Mondadori, Vicenza,1974
  • Il venditore di ventagli(1975)
  • Il grano non muore, introduzione di Luigi Cavallo, con uno scritto di Mario Praz, Mondadori, Vicenza, 1983
  • Mélusinea cura di Aglauco Casadio. Ed. Della Cometa, Roma (1989)

Fame a Montparnasse a cura di Antonio Lucio Giannone, Musicaos Editore, Neviano (2022)

https://www.treccani.it/enciclopedia/raffaele-carrieri_%28Dizionario-Biogratico

CARRIERI, Raffaele


di Lucia Strappini – Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 34 (1988)

 

Nacque a Taranto il 23 febbraio 1905 da Aldo Giuseppe e da Maria Immacolata Petruzzi. Le scarne notizie sulla sua vita sono ricavabili da passaggi autobiografici sparsi nelle sue opere e in particolare in Brogliaccio, una sorta di zibaldone misto di prosa e di poesia pubblicato nel 1947 (Milano; 2ª ediz. con prefaz. di M. Praz, ibid. 1950).

A tredici anni, abbandonò la scuola tecnica fuggendo di casa e, imbarcatosi clandestino, raggiunse la costa albanese per proseguire a piedi fino al Montenegro dove si fermò a vivere qualche tempo con i pastori. Tornato a Taranto, vi rimase poco, perché all’inizio del 1920, attirato dall’impresa fiumana di D’Annunzio, partecipò ai moti del “Natale di sangue”, nel corso dei quali riportò una ferita che lo lasciò invalido alla mano sinistra. Dopo un nuovo breve soggiorno a casa, si trasferì a Palermo dove per circa due anni (1924-25) tenne il posto di doganiere; abbandonata la Sicilia, si imbarcò come marinaio toccando le coste africane e mediterranee; quindi si recò a Parigi dove visse per i cinque anni successivi, con frequenti viaggi in Italia e in Europa. In questo periodo ebbe occasione di entrare in contatto con gli ambienti e le esperienze dell’avanguardia europea che aveva eletto la capitale francese a propria sede internazionale; legami e influenze queste che, nei modi peculiari in cui il C. li assimilò e li introiettò, rappresentano il nucleo essenziale se non unico, della sua poetica e della sua poesia.

Dal 1930 si stabilì a Milano, dove rimase fino alla morte avvenuta il 14 sett. 1984 (a Casoli, fraz. di Camaiore), realizzando ancora numerosi viaggi in Europa e in Africa dei quali rimangono testimonianze nella sua produzione. Nel 1930 aveva sposato Ida D’Agostini da cui ebbe due figli, Marilù (1931) e Mario (1932).

A Milano come a Parigi, gli inizi, Sul piano economico, furono molto difficili: in Francia era stato. modello, a pagamento, di Picasso, stringendo così un rapporto d’amicizia che durò fino alla morte del pittore; aveva lavorato poi per qualche tempo come sguattero in un ristorante di lusso e aveva fatto, sempre in modo precario e provvisorio, i mestieri più disparati. A Milano cercò di guadagnarsi da vivere con la sua unica abilità, la scrittura, collaborando a periodici, soprattutto con una copiosa produzione di novelle d’amore, e ad attività editoriali. Conobbe e frequentò un gran numero di letterati e di artisti, dai meridionali trasferiti al Nord come G. Marotta e D. Cantatore, a C. Zavattini, A. Gatto, S. Solmi, S. Quasimodo, A. Persico, F. T. Marinetti, A. Savinio (che nel 1933 eseguì un suo ritratto), M. Campigli, e tanti altri di cui divenne amico e spesso collaboratore.

Per un decennio, tra gli anni Trenta e Quaranta, fu critico d’arte dell’Illustrazione italiana, poi (dal 1939) del Tempo di Milano, quindi di Epoca fin dal primo numero del periodico (1950). Fu anche critico teatrale su Milano sera. A del 1937 (Milano) una sua commedia in tre atti, Le streghe azzurre.

Fu un appassionato bibliofilo, raccoglitore di opere d’arte contemporanea e di sculture africane, materiali ospitati in parte nella casa milanese in via Borgonuovo, parte nella casa di campagna a Lombrici (Camaiore). Da ragazzo aveva diretto a Taranto la rivista Il Poliedro (1924); nel 1945 (1° ottobre) fondò e diresse Le Tre arti “giornale mensile artistico e letterario”: ne uscirono cinque numeri (l’ultimo nel febbraio 1946), sui quali comparvero le firme, tra gli altri, di F. Flora, V. Cardarelli, M. Bontempelli, G. Vigorelli, G. Manzini, G. Dorfles, A. Borlenghi, C. Bernari, S. Solmi.

Il suo primo libro risale al 1927 ed è intitolato Attilio Savoia nuovo artiere del ferro (Lecce), ma la produzione letteraria vera e propria comincia con il 1930, l’anno di pubblicazione dei suoi primi romanzi, La scoperta di Eva (Milano) e L’uomo di fortuna (ibid.), seguiti da Turno di notte (ibid. 1931), Fame a Montparnasse (ibid. 1932), Alinastella del Moulin Rouge (ibid., 1933), Peccati grigi (novelle, ibid. 1933), Quand’ero doganiere (ibid. 1934), Mémoires apocryphes du peintre Archimbold (ibid. 1938), Un milionario si ribella (ibid. 1939). Dopo molti anni il C. tornerà alla scrittura narrativa con Risse (ibid. 1950), ma si tratta di un episodio isolato rispetto alla scelta di fondo a favore della poesia e della saggistica d’arte. Di fatto la capacità narrativa dei C. è fortemente compromessa fin dall’inizio dalla sua autentica vocazione alla scrittura poetica o, nel caso della espressione prosastica, dalla propensione verso la forma epigrammatica, elzeviristica, preziosa che domina in Brogliaccio.

Sono completamente assenti, nei romanzi come nelle novelle del C., struttura e organizzazione della materia in forma narrativa; sono assenti i personaggi in una caratterizzazione che vada oltre la proiezione delle istanze soggettive dell’autore; è assente una elaborazione della parola che la sostanzi di ragioni narrative anziché puramente liriche e autobiografiche; è infine assente la capacità di rendere il confronto tra la soggettività e la realtà, qualunque cosa si voglia intendere per realtà, che è il presupposto metodologico e pratico di ogni impianto narrativo, per cui viene a mancare qualunque dimensione temporale, secondo una prospettiva tipicamente lirica.

Al di là del costante rimando all’esperienza autobiografica (Parigi, la bohème, i viaggi, gli amici, ecc.), il C. dei decenni Trenta-Quaranta è dominato interamente dalla suggestione delle proposte dell’avanguardia italiana ed europea, soprattutto quella futurista e quella, surrealista, tanto che la maggior parte dei critici ha potuto accostare il suo nome, sia pure con qualche distinguo, a quello di Apollinaire prima di tutto (al quale il C. dedicò il libro Iconografia italiana di Apollinaire, Milano 1954, a testimonianza del suo indiscusso interesse), e poi di Esenin, Eluard, Ungaretti, Garcia Lorca e, sul terreno specificamente narrativo, al cosiddetto surrealismo italiano: Buzzati, Bontempelli, Landolfi, Delfini, Savinio. Questo tipo di suggestione si avverte, del tutto irrisolta, nei romanzi e nelle novelle, che appaiono più propriamente contenitori forzosi di spezzoni di scrittura strutturati sul gusto preziosisfico dell’immagine, sullo slancio autobiografico, sul gioco, spesso manieristico, delle figure e delle metafore. “Questa notte io morirò strangolato. Scrivo perché non posso gridare: il fiato mi si è spento in gola. Scrivo e tremo” (La scoperta di Eva, p. 12). Oppure: “I cocci si muovono, formicolano, sciamano. Insetti di porcellana bianca e di ceralacca. Scaglie e pupille in tutti gli angoli. Le poltrone vomitano batuffoli d’ovatta grigia” (Fame a Moniparnasse, p. 207). Insomma “il narratore è un artista che per incidens si prova a narrarci fatti, o piuttosto momenti, di una esperienza consumata in frammenti, dove manca il tessuto dei rapporti interiori” (Corsaro, p. 472).

I medesimi materiali strutturano la copiosissima produzione poetica del C. che inizia con Poemetto a Campigli (Venezia 1942) e prosegue ininterrotta fino alla morte. I titoli: Circo (Milano 1943); Lamento del gabelliere (con nota di C. Bo e litografie di M. Campigli, ibid. 1945; Poi con prefaz. di F. Flora, ibid. 1946), che è giudicato quasi unanimemente il suo libro migliore; Souvenir caporal (ibid. 1946), che contiene poesie scritte tra il 1940 e il 1945, durante gli anni della guerra; Manuale per gli amorosi (ibid. 1948); La civetta (ibid. 1949); Settentrione (con 77 disegni di E. Treccani, ibid. 1951); Il trovatore (prefaz. di G. Ravegnani, ibid. 1953), con il quale vinse il premio Viareggio 1953; Calepino di Parigi (con disegni di O. Tamburi, ibid. 1954), sul filo della memoria degli anni parigini; Se ne vanno i cavalli (ibid. 1954); Ballata dei povero Emiro (con un registretto di immagini dei C. a cura di V. Scheiwiller, ibid. 1955); Il cigno lanciere (con uno scritto di E. Emanuelli e geroglifici di M. Campigli, ibid. 1956); Blu turco (con 6 disegni di F. Gentilini, Venezia 1956); El cigarillo (con acquerelli e disegni di D. Cantatore, Milano 1956); La rondine Charlot (ibid. 1957); Igiorni facili (con disegni di R. Rosselli, ibid. 1957); Piccolo canzoniere amoroso (ibid. 1957); Canzoniere amoroso (che raccoglie alcuni dei libri precedenti, ibid. 1958), con il quale vinse il premio Chianciano 1959; Blaise Cendrars (ibid. 1958); Fresco sul bruciato (ibid. 1959); Come un orto come un teatro (ibid. 1959); La sardina cieca (ibid. 1960); Inchiostro e dolori (ibid. 1962); Un milione di anni (ibid. 1963); La giornata è finita (ibid. 1963); Arlecchini di Picasso (ibid. 1963); Poesia pittura (ibid. 1964); Perdigiorno (ibid. 1965); La formica Maria (ibid. 1967), dedicato alla madre, di cui contiene anche alcune fotografie, morta, dopo essere vissuta per molti anni con lui, il 21 ott. 1966; Io che sono cicala (ibid. 1967), con il quale vinse il premio Tarquinia Cardarelli; Sera italiana (ibid. 1967); Afrodite ovaiola (ibid. 1967); Stellacuore (ibid. 1970); Le ombre dispettose (ibid. 1974); Fughe provvisorie (ibid. 1978); La ricchezza del niente (ibid. 1980). Versi del C. compaiono inoltre in molte antologie della poesia novecentesca. Nel 1971 gli fu assegnato il premio internazionale di poesia Etna Taormina.

Scrisse lo stesso C.: “la mia poesia è tutta autobiografica; ispirata a fatti realmente accaduti, a viaggi, a soggiorni in paesi stranieri. La mia lunga permanenza a Parigi nella prima giovinezza la considero fondamentale per i molti incontri con gli artisti e i poeti d’avanguardia ora famosi”. La spinta autobiografica si congiunge ad una tensione spesso modulata su una esibita semplicità, a volte esasperatamente calata nella scrittura poetica. La memoria dei luoghi, delle persone, delle situazioni (“L’infanzia / del mare / mescolai / alla mia. / Poi entrai / nella cronaca. / Fui mimo / ad Atene / e battiloro / a Damasco. / Ebbi quattro / o sette mogli? / Non ha / memoria / l’acqua / su l’arena. / Il figlio / di mio figlio / sarò io / o altri? / interruzione: / speranza”: Speranza, in Lamento del gabelliere, p. 43), è in funzione di una sorta di risucchiamento nel soggetto di ogni esperienza esterna: dominano quindi le sensazioni tradotte in immagini rese impressionisticamente, a volte caricate in modo eccessivo dalla ricerca formale che sfiora il calligrafismo, alla maniera di certe esperienze avanguardistiche che usano la tecnica analogica, volutamente arazionale, per rendere la rete di figure e percezioni che suggestiona la fantasia dello scrittore. A distanziarlo tuttavia dagli esperimenti più oltranzisti dell’avanguardia, c’è nel C. una perenne vocazione al lirismo che permea ogni sua composizione poetica.

La convinzione di fondo, trasparente nei suoi versi, poggia sulla funzione assoluta e insostituibile della poesia, della sua poesia (“Dimesso l’affanno; / quieto, distante, separato / e infine perdonato / da quelli che mi amarono. / Questo mucchietto di cenere / in mezzo alla foschia / sono io; e l’erba che sopra / vi cresce, ancora verde / la mia poesia”: Dimesso l’affanno, in Stellacuore, p. 292); accanto a una vena malinconica che si va accentuando nel corso degli anni.

La maggior parte dei critici che si sono occupati del C. (da Flora a Titta Rosa, a Vigorelli, a Ravegnani) ha ritenuto di cogliere nella grecità, nella sua appartenenza partecipe al paesaggio mediterraneo, il nucleo tematico più caratteristico e originale della sua poesia, insieme al gusto per i richiami mitologici e della cultura classica; i riferimenti sono molti e disseminati per le sue raccolte: a titolo d’esempio si possono ricordare questi versi da Poca luce, in La civetta: “Se qualche poco di luce / da lontano mi viene / è da te Jonio gentile / che le muse riconduci / ai lidi degli Dei. / Fra l’uva e l’uliva / Eros ancora versa / vino agile e resina” (p. 14). Ma, nonostante la copiosità delle presenze, questo motivo non appare sostanzialmente preminente nella disposizione complessiva, tanto da improntare di sé la poesia del Carrieri. È invece più convincente l’immagine del poeta C. che prende spunto, sia sul piano tematico sia su quello stilistico, dai luoghi, reali e metaforici, più diversi, dalle esperienze artistiche più varie, dalle sollecitazioni più diffuse, per esprimere una sostanza lirica pressoché uniforme e immutata fin dalle sue prime prove. In questo quadro appare certamente rilevante la suggestione esercitata sulla sua vena poetica dalla frequentazione assidua delle tante esperienze moderne di arte figurativa, parigine e italiane, che si traduce anche editorialmente nella collaborazione, come si è visto, con molti dei più noti esponenti della pittura contemporanea, o nella affinità con pittori del passato, da lui particolarmente amati, come Toulouse-Lautrec.

Proprio questo intimo nesso tra poesia e pittura rende ragione di un altro versante dell’attività del C., forse il più interessante, quello di scrittore d’arte, praticato sia nelle forme giornalistiche già ricordate, sia nella elaborazione di monografie e studi critici come: Persico (Milano 1937); Cesetti (ibid. 1937); Immagini di moda (ibid. 1940); Piero Marussig (ibid. 1942); Giorgio De Chirico (ibid. 1942); Milano 18651915 (ibid. 1946); Il disegno contemporaneo (ibid. 1946); La danza in Italia (ibid. 1946); Modigliani (ibid. 1947); Marino Marini (ibid. 1948); Forme (ibid. 1949); Pittura e scultura d’avanguardia in Italia 18901950 (ibid. 1950); I galli di Meloni (ibid. 1950); Agenore Fabbri scultore (ibid. 1951); Clerici (ibid. 1955); Il futurismo, (ibid. 1961); Campigli (ibid. 1965); Gentilini (in Letteratura, n.s., XIX [1965], n. 13, pp. 98-101). L’interesse per le forme, canoniche e non, dell’attività artistica è animato nel C. da due motivi complementari; da un lato l’attenzione documentaria e informativa precisa e accurata, dall’altro, dominante, la volontà di fornire, degli artisti considerati, ritratti a tutto tondo, nei quali la personalità umana, le idee e le esperienze non siano mai disgiunti dalla produzione propriamente artistica. L’aspetto interessante del C. critico d’arte sta nella metodologia di analisi e di descrizione dei fenomeni artistici oggetto d’esame; una metodologia volutamente asistematica, impressionistica, che ha indotto alcuni a parlare di atteggiamento mimetico-competitivo del C. nei confronti della materia trattata.

È un genere di esercizio critico (in campo artistico e letterario) praticato in larga misura tra gli anni Trenta e Cinquanta, soprattutto in Italia e in Francia, che rimanda, più o meno esplicitamente e motivatamente, a una variante dell’impianto di tipo ermeneutico. La forma di questa critica è tendenzialmente affidata, nella resa, all’esercizio del gusto, dell’intelligenza simpateticamente coinvolta, e soprattutto, della scrittura, della scelta accurata e studiata delle parole che, ha scritto Flora per il C., “prolungano la visione dell’artista descritto, in una personale collaborazione immaginosa” (p. 274).

Definito da Praz (nella prefazione al Brogliaccio, pp. 9-16) un eccentrico, collocabile accanto a Burchiello, Pope, Renard, un tipo di artista al di fuori di scuole e tradizioni codificate, la figura del C. pare oggi più pienamente afferrabile proprio all’interno di un modo di sentire e di praticare l’esercizio poetico tipico di una robusta tradizione specificamente italiana, una tradizione di remota ascendenza che si è strutturata solidamente, nella storia letteraria come nella vita sociale, sulla rivendicazione alla poesia di un ruolo assoluto ed esclusivo nella letteratura come nella vita. Una poesia concepita quale espressione eminentemente lirica, sciolta da ogni legame con la storia, con la concretezza e là quotidianità delle esistenze e fissata piuttosto a una costellazione di idee, sensazioni e immagini autentiche perché perenni. Esemplari questi versi del C. da Frammento di una ballata per Kennedy: “Nella molto ricca città di Dallas / la Speranza si mise a piangere. / E il sole si nascose per non vedere. / Nella storia dei mondo / vi sono tragedie che durano un secondo / e il sole si nasconde per non vedere” (Le ombre dispettose, p. 87). Dove la casualità del riferimento cronachistico nella modulazione del tema è la cifra precisamente del carattere assoluto e perenne della poesia, dei suoi valori e del suo sapiente esercizio.

Fonti e Bibl.: E. Falqui, Prosatori e narratori del Novecento italiano, Torino 1950, pp. 330-333; F. Flora, R. C., in Scrittori italiani contemporanei, Pisa 1952, pp. 273-280; G. Ravegnani, Il trovatore di RC., in Letterature moderne, IV (1953), pp. 433-444; La Fiera letteraria, 18 apr. 1954, (con interventi di F. Virdia, E. Emanuelli, C. A. Cibotto, M. Valsecchi, G. L. Giovanola, G. Vigorelli); G. Ravegnani, RC., in Uomini visti, I, Milano 1955, pp. 231-250; G. Barberi Squarotti, La cultura e la poesia italiana del dopoguerra, Bologna 1966, p. 120; A. Corsaro, RC., in Letteratura italianaI contemporanei, III, Milano 1969, pp. 463-477; G. Titta Rosa, RC., in Vita letteraria del Novecento, II, Pisa 1972, pp. 415-420; G. Amoroso, RC., in Letteratura contemporanea, Roma 1972, pp. 8528-8545; G. Soavi, Il fulmine Raffaele, Milano 1973; Il Poliedro, X (1973), n. 10 (con interventi di C. Zavattini, D. Purificato, M. Milani, D. Cantatore ecc.); Dizionario gendegli autori italcont., I, Firenze 1974, pp. 271-272; L. Cavallo, R. C., Milano 1978; G. Matchetti, Non muore il grano di C., in La Nuova Rivista europea, VII (1983), n. 1, pp. 74 s.

Fame a Montparnasse

Raffaele Carrieri

Musicaos Editore

A cura di Antonio Lucio Giannone.

Raffaele Carrieri (Taranto,1905-Lombrici di Camaiore,1984) scrittore e critico d’arte, è una delle figure più affascinanti, e dimenticate, del Novecento letterario e artistico italiano. Dopo l’esordio come autore di racconti e romanzi si dedicò prevalentemente alla poesia. Fra le sue raccolte principali: «Il lamento del gabelliere» (1945), «Il Trovatore» (1953), «Canzoniere amoroso» (1958), «Io che sono cicala» (1967), «Stella-cuore» (1969), «Le ombre dispettose» (1974), «Fughe provvisorie» (1978), «La ricchezza del niente» (1980).

Contestualmente svolse un’intensa e apprezzata attività nel campo della critica d’arte, dedicando numerosi scritti al futurismo e ai maggiori artisti contemporanei. «Fame a Montparnasse» (1932) è un’opera a carattere autobiografico, ispirata alla permanenza a Parigi dove l’autore, nei primi anni Venti, condusse una vita da bohémien, frequentando pittori, letterati e musicisti provenienti da ogni parte del mondo, che vivevano a Montmartre e Montparnasse, i famosi quartieri degli artisti dove sono ambientate le storie di questo libro.

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