LABRANCA ANTONIO

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LABRANCA ANTONIO

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Trinitapoli 18 giugno 1876 – Roma 9 febbraio 1947

Ricercatore e docente universitario una vita da medico contro le zanzara-killer

Medico, ricercatore e docente universitario. Dopo la laurea in medicina conseguita a Roma, entrò nel Laboratorio di Malaria del prof. Antonio Celli per poi entrare nel Dipartimento di Sanità Pubblica con incarichi di responsabilità fino a vice direttore della Sanità Pubblica Nazionale
Nel 1922 quale medico provinciale fa parte della Commissione incaricata di raccogliere e valutare studi italiani ed esteri sulla radioterapia e compiere esperienze cliniche sull’efficacia del trattamento. Da segnalare il suggerimento espresso dalla Commissione per le piccole bonifiche di sottoporre i malati cronici di Fiumicino alla radioterapia alla milza per stimolare la produzione di globuli bianchi per aumentare la resistenza dell’organismo alla malattia. Nel 1924 fu nominato membro italiano della Sottocommissione della Società delle Nazioni incaricata di studiare la cura della malaria.
Nel 1924 viene designato membro italiano della Sottocommissione della Società delle Nazioni che, nell’ambito del “Paludismo”,fu incaricata di studiare la cura della malaria. Da esperto della materia rappresentò la necessità di definire una disciplina legislativa della mamaria come malattia infettiva e professionale.
Intensa è stata la sua collaborazione alle principali riviste del settore italiane ed estere e, dopo la Seconda guerra mondiale – con l’istituzione dell’Istituto Superiore di Sanità, divenne Direttore del settore epidemiologico, proprio per la sua specifica e comprovata esperienza in tale specialistico campo medico.
Tra i numerosi riconoscimenti va segnalato quello assegnato da Domenico Falleroni, ispettore superiore medico presso la Direzione generale della Sanità Pubblica, che in un suo studio individuò due varietà dell’Anopheles claviger con un diverso grado di gravità della malaria in relazione alle differenze biologiche compreo il coloro delle uova, assegnando il nome di Anaphelese messae alla varietà con le uova nere ed Anopheles labranchiae all’altra dalle uova grigie. Il motivo scritto dallo scienziato Falleroni fu così espresso: ““Le ho dedicate ad Alessandro Messea, direttore generale, e ad Antonio Labranca, capo divisione della Sanità Pubblica, in omaggio alle loro benemerenze nella lotta contro la malaria in Italia”.
Poco dopo la fine della guerra Antonio Labranca morì a Roma il 9 febbraio 1947, dove gli è stata intitolata una via, come ha fatto Trinitapoli, la sua città natale.

Salpi e Trinitapoli: storia e storie sulle rive della laguna della …
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Antonio Labranca, una vita da medico contro le zanzare-killer (loro oggi portano il suo nome: Anopheles labranchiae) e quando Hitler le usò come arma biologica nell’Agro Pontino

Antonio Labranca era nato a Trinitapoli il 18 giugno 1876, nipote d’arte (lo zio Giovanni Labranca è stato a sua volta medico, ricercatore e docente universitario). Dopo la laurea in medicina, conseguita a Roma nel 1900, entra nel Laboratorio di Malaria del prof. Angelo Celli, dove lavora tre anni. Nel 1904 passa al Dipartimento di Sanità Pubblica, raggiungendo la posizione di vicedirettore della Sanità pubblica nazionale. Nel 1922, in qualità di medico provinciale, fa parte della Commissione incaricata di raccogliere e valutare studi italiani ed esteri sulla radioterapia e compiere esperienze cliniche sull’efficacia del trattamento.
L’iniziativa fu presa dalla Commissione per le piccole bonifiche, che chiese al prof. Grassi di di tentare l’applicazione dei raggi X ai malarici cronici di Fiumicino, cioè applicare la radioterapia alla milza per stimolare la produzione di globuli bianchi e aumentare così la resistenza dell’organismo alla malattia.
Nel 1924 viene designato membro italiano della Sottocommissione della Società delle Nazioni che, nell’ambito del “Paludismo”, istruì un’inchiesta per lo studio e la cura della malaria. Allorché la politica giunse a riconoscere il morbo come una malattia professionale, in quanto direttamente collegata allo svolgimento di talune forme di lavoro all’aria aperta, Antonio Labranca, allora ispettore della Direzione generale della Sanità pubblica, scrisse sulla Rivista di malariologia che una caratteristica fondamentale della legislazione antimalarica:

“è il riconoscimento della malaria come malattia infettiva e come malattia professionale, in quanto è connesso con il lavoro e con la dimora, per ragioni di lavoro, in regioni insalubri. Le spese occorrenti all’attuazione delle provvidenze contemplate per la cura della malaria e per la difesa da essa, sia dalla popolazione rurale, sia dagli operai adibiti ai lavori pubblici, vengono messe a carico rispettivamente dei proprietari terrieri e latifondisti da una parte, delle imprese e delle aziende pubbliche dall’altra”.

Collaborò alle principali riviste del settore italiane ed estere e, quando – dopo la Seconda guerra mondiale – fu fondato l’Istituto Superiore di Sanità, il dottor Labranca, in forza della grande esperienza e autorevolezza, diventò Direttore del settore epidemiologico.
I meriti da lui acquisiti nel campo della lotta antimalarica ottennero un particolare riconoscimento nel 1926 a opera di Domenico Falleroni, ispettore superiore medico presso la Direzione generale della Sanità Pubblica. In un suo studio il Falleroni cercò di risalire alle cause che determinavano un diverso grado di gravità della malaria in zone vicine. Si diede pertanto a studiare l’Anopheles claviger, il vettore più diffuso della malaria, arrivando a distinguerne due varietà, che presentavano differenze biologiche a partire dal tipo di uova: la prevalenza dell’una e dell’altra specie era in relazione con la forma di malaria dominante in una zona. Volendo denominare queste due sottospecie del claviger, Falleroni chiamò Anopheles messae la varietà delle uova nere, e Anopheles labranchiae l’altra delle uova grigie. Scrive: “Le ho dedicate ad Alessandro Messea, direttore generale, e ad Antonio Labranca, capo divisione della Sanità Pubblica, in omaggio alle loro benemerenze nella lotta contro la malaria in Italia”.

La zanzara-killer, arma segreta con cui il dittatore nazista Adolf Hitler voleva fermare l’avanzata
degli angloamericani nell’Agro Pontino.

L’Anopheles labranchiae, con l’Anopheles sacharovi, è considerata il maggior vettore della malaria nel Mediterraneo. La labranchiae, in particolare, essendo l’unica zanzara le cui larve riescono a sopravvivere sia in acque dolci che saline, sul fine della Seconda guerra mondiale è stata protagonista dell’unico episodio di “guerra biologica” verificatosi in Europa nel XX secolo. Verso la fine del 1943, infatti, i nazisti progettarono e distrussero le infrastrutture idrauliche della bonifica integrale nell’Agro Pontino, allagando la zona da Maccarese a Caserta e favorendo il ripristino delle condizioni ideali per la riproduzione dell’Anopheles labranchiae: per questo obiettivo Hitler aveva mandato nel Lazio il più famoso malariologo dell’epoca, Erich Martini. L’obiettivo era quello di provocare con le zanzare-killer un’epidemia malarica, che avrebbe rallentato l’avanzata degli Alleati sbarcati ad Anzio. La conseguenza fu invece una impennata di morti per malaria tra i civili, che passarono da 1.217 decessi nel 1943 a 54.929 nel 1944 (ma la cifra ufficiosa, più vicina alla realtà, fu di circa 100 mila casi su una popolazione di 245 mila persone). Gli angloamericani, che avevano avuto un’adeguata preventiva profilassi, uscirono indenni dall’attraversamento solo di sfuggita delle zone paludose.

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