LAFORGIA ANTONIO

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LAFORGIA ANTONIO

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Bari 10 novembre 1927 – 29 marzo 2011

Politico ed esponente parlamentare e governativo

Tratto da “Antonio Laforgia Venti anni di attività parlamentare 1963 -1983” a cura di Franco Bastiani, Dimarsico Libri, ottobre 2011
Lo ricordammo cosi, subito dopo la scomparsa avvenuta il 29 marzo di quest’anno: “Uomo di straordinaria tenacia, abituato a ritmi di lavoro molto intensi, è da considerare fra i protagonisti più autorevoli della nostra terra e fra coloro che hanno inciso sensibilmente nelle istituzioni (Esecutivo nazionale dell’lnps, Istituto per il commercio estero, Fiera del Levante, Camera di Commercio, Liceo artistico e Accademia di Belle Arti di Bari … ), ad ogni livello, legando il suo nome e la sua storia alle lotte per l’emancipazione dei settori produttivi, primo dei quali l’artigianato.
È stato ai vertici delle organizzazioni aderenti alla Confartigianato, della Puglia (Urap) e della provincia di Bari (Upsa), da lui fondate.
L’8 ottobre del 1994 il battesimo della creatura ambita per anni e realizzata tra non pochi adempimenti: la Banca di Credito Cooperativo di Bari, con sede in largo Giordano Bruno, a cui si sono successivamente aggiunte le agenzie del quartiere “Libertà” di Bari, di Giovinazzo e di Modugno. Una crescita significativa per l’iniziativa promossa dal presidente Laforgia, in un ambito – quello bancario – conosciuto stando anche alla guida dell’Artigiancassa S.p.A- Gruppo BNL.
A maggio del 2021 al Cavaliere del Lavoro Giuseppe Lobuono, presidente della BCC Bari dal maggio del 2014, è succeduto Mario Laforgia che di Lobuono è stato vicepresidente. Un avvicendamento naturale, segno di compattezza e solidità gestionale che trova riscontro anche nella scelta di conservare nella Banca l’esperienza e il patrimonio umano e professionale di Lobuono, al quale è stato chiesto di rimanere come presidente onorario.
L’ultima iniziativa dell’On. Laforgia in ordine di tempo è stata la costituzione della Comunità delle piccole imprese dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, un modo di coinvolgere dette imprese in un organico processo di internazionalizzazione e di cooperazione con riguardo al credito”.
Ma Laforgia, consigliere comunale, assessore e sindaco di Bari, è stato soprattutto parlamentare e qualificato esponente della Democrazia Cristiana.
In queste pagine si presenta, per schemi, la sua attività a Montecitorio; a corredo, commenti e rievocazioni di fatti e di personaggi, di piccola grande dimensione, che costituiscono un album di ricordi da non disperdere.
Dalla sua composita azione di deputato emergono particolari della situazione del tempo, utili per verificare i processi di cambiamento a cui si è poi andati incontro.
È altresì un quadro cronologico di iniziative e di interventi che esprimono tutta quanta la sua sincera e comprensibile ansia di rendere un onesto servizio non solo agli elettori ma all’intero popolo italiano.
Nessun intento celebrativo ma solo la volontà di illustrare il suo percorso di politico, di dirigente sindacale, di uomo e di credente, nelle cinque legislature (quattro finite in anticipo) trascorse alla Camera dal 1963 al 1983, con accenni qua e là agli anni precedenti e a quelli seguenti, frutto di ricerche condotte con attenzione per la storia e con sentimenti di un discepolo verso il proprio maestro.

Dell’ampia rassegna delle numerose iniziative ed interventi contenuta della significativa pubblicazione “ANTONIO LAFORGIA Venti anni di attività parlamentare 1963-1983” vi è stata la necessità di riportare qui di seguito soltanto alcuni brani, per mantenere il carattere di sviluppo del profilo biografico, con specifiche annotazioni per gli aspetti più rilevanti.
L’intervento alla Camera sull’artigianato
Nella seduta del 21 ottobre del 1963, il neo deputato Laforgia illustra alla Camera una prima relazione sull’artigianato, richiamando la legge-quadro 860 del 1956, l’Artigiancassa e la Cassa per il Mezzogiorno. È un articolato rapporto sulla realtà del settore e sulle straordinarie prospettive alle quali esso può andare incontro con opportuni interventi da parte del legislatore.
In particolare, l’onorevole Laforgia pone in evidenza le differenti condizioni in cui si trovano gli artigiani del nord e quelli del sud del Paese, invocando sostegni finanziari che, garantendo investimenti, possano accorciare le distanze.
Appare già chiaro il solco entro il quale si svilupperà il suo ventennale impegno parlamentare, a difesa della categoria e per una sua crescente qualificazione in grado di partorire concrete possibilità di lavoro per tanti giovani.
Eccezionali le sue intuizioni e le sue previsioni circa alcune fondamentali questioni. “È indispensabile – afferma nella relazione – attuare la costituzione presso l’Artigiancassa di un fondo centrale di garanzia; il ripristino delle agevolazioni fiscali; l’aumento del periodo di ammortamento dei prestiti di impianto dagli attuali cinque anni ad almeno dieci anni; l’aumento adeguato del fondo contributo-interessi; l’incremento, specie nel Mezzogiorno e nelle isole, degli sportelli bancari facilitando gli istituti di credito più congeniali al tipo particolare di credito quale è quello effettuato alla imprese artigiane (casse rurali artigiane e banche popolari)”.
Nel 1994, sarà istituita la Banca di Credito Cooperativo di Bari, la banca degli artigiani, da lui voluta ar­dentemente per supportare la domanda di sviluppo che emerge da una categoria radicata nel territorio e intenzionata ad affrontare le sfide dei tempi nuovi con la forza della reazione e con il coraggio dell’investimento.
Già dal 1963, Laforgia segnala le difficoltà degli imprenditori del sud di offrire quelle onerose garanzie reali, spesso extraziendali, richieste dagli istituti primari di credito che assumono il rischio delle operazioni.
Sarà una battaglia senza fine, durata sino all’ultimo per proteggere le micro e le piccole imprese dalla burocrazia e dalle vessazioni di sistemi che le condizionano nei programmi di crescita. Le garanzie in soccorso delle imprese attraverso la cooperazione resteranno un punto centrale di tutta la sua opera anche quando avrà lasciato il Parlamento; la costituzione della Cooperativa artigiana di garanzia di Bari, nel 1958, è l’inizio di un lungo percorso compiuto alla ricerca di forme di mutualità e di solidarietà nell’osservanza dell’insegnamento evangelico.

L’ AMICIZIA CON ALDO MORO

Amicizia e stima furono una costante nei rapporti fra l’onorevole Laforgia e Aldo Moro anche quando, nella dialettica politica, ebbero a verificarsi difformità di vedute. La sera del 15 marzo 1977, Moro scrisse a Laforgia una breve lettera di saluto e di apprezzamento per il lavoro che aveva saputo svolgere in seno al “lII Governo Andreotti”, quale sottosegretario ai LL.PP.
La lettera fu consegnata al suo segretario particolare Nicola Rana perché la facesse recapitare all’interessato. Ciò fu possibile solo alla fine di maggio dello stesso anno, a conclusione della dolorosa vicenda che costò la vita al presidente nazionale della Democrazia Cristiana. Nicola Rana la fece pervenire all’onorevole Laforgia, accompagnandola con una personale nota nella quale spiegava che essa costituiva l’ultimo atto di Moro nel giorno prima del rapimento ad opera delle brigate rosse, avvenuto, come noto, la mattina del 16 marzo 1977.
Laforgia approvava il disegno moroteo di giungere, sia pure con la modalità dei piccoli passi, ad un allargamento della base democratica che consentisse di includere nel Governo quanto più possibile i partiti dell’arco costituzionale.
Nel pensiero dello statista pugliese ciò non doveva però compromettere la centralità della Democrazia Cristiana, soggetto politico costituito al suo interno da varie anime, ma indispensabile per la stabilità e l’avvenire del Paese. L’appello ai colleghi di partito a verificare insieme cosa ci fosse “dietro l’angolo”, cosa potesse riservare la condivisione molto allargata di una speciale strategia di governo, detta “dell’attenzione”, non fu capita.
Il progetto generò incomprensioni e diffidenze fra gli stessi cittadini, sì che Moro, alle elezioni del 1972, seguite alla prima interruzione anticipata di una legislatu­ra nella storia dell’Italia repubblicana, vide dimezzato il numero dei consensi che nel 1968, per lui, erano stati circa 300 mila.

Insegnante mancato?
Gli si prospettava una brillante carriera come insegnante, quando, fresco di studi universitari, laurea in Scienze matematiche, entrò nella scuola per la sua prima esperienza di lavoro. Senza dubbio, questa avvenne nella scuola media di Adelfia, cittadina che Laforgia conosceva bene avendovi dimorato, durante la guerra, con la famiglia sfollata da Bari. Ma, si sa, spessissimo ciò che appare ovvio viene totalmente rivoluzionato: i programmi devono ritenersi attuabili con la clausola … “a Dio piacendo”.
Il giovane Laforgia, venticinquenne, era attratto dal sociale, essenzialmente dalla causa dei lavoratori che evocavano in lui il senso della realtà piena, realtà costruttrice di situazioni importanti per affrontare il futuro che, in quel tempo, appariva avaro e incerto.
Era stato uno studente serio, in quanto seriamente interessato alla conoscenza, all’apprendimento.
Franco Bernasconi, commerciante di Bari nel campo degli articoli per l’arredo della casa, suo compagno di scuola, lo ricorderà, molti anni dopo, primo della classe, stimato perché … aveva la testa tutta cervello, con una invincibile assiduità nello studio, sul modello di Stardi di deamicisiana memoria, personificazione della volontà senza limiti. Al liceo scientifico “Scacchi” aveva imparato una poesiola in lingua tedesca mai più dimenticata, versi che, nell’ultimo tratto della sua esistenza, pronunciava di frequente, con immutata padronanza seppur con malcelato rimpianto: la poesiola annunciava l’arrivo della primavera e questo gli piaceva, gli procurava un senso di conforto, di fiducia nella vita.
La vita che forse avvertiva per lui prossima alla conclusione. Le naturali affinità con la disciplina e con l’ordine, intesi come valori assoluti, si potevano rilevare dal rigore con cui trattava le questioni, dalla precisione nei dettagli, dalla caparbietà ad oltranza nel raggiungimento di uno scopo, e poi. .. poi da quel taglio di capelli con sfumatura alta, quasi sino alla sommità del capo, invero abbastanza diffuso allora, ma molto, molto deutsch.
Da parlamentare, e non solo da parlamentare, Laforgia fu irrefrenabile, i suoi interessi si rivolgevano un po’ ovunque, spaziavano nei settori più vari.
Definirlo leader degli artigiani, interamente “preso” dalle loro problematiche, significava dire una verità mutilata, se non si conoscevano e non si ammettevano poi le innumerevoli iniziative assunte per altri segmenti della società, in ambiti che andavano dall’arte, alla previdenza, alle forze armate, alla gioventù, alla sicurezza, alla scuola. Per essere autentico rappresentante del popolo – pensava – occorre farsi carico di ciò che al popolo serve, anche al di là delle sue stesse richieste.
Il deputato deve possedere il dono dell’interpretazione dei reali bisogni della gente per apprestarvi i rimedi più opportuni, nel rispetto della legge.
Non approvava i giovani che, senza un giustificato motivo, brigavano e si affannavano per sottrarsi all’obbligo del servizio militare di leva.

Presidente nazionale dell’ACAI

Roma, 21 22 novembre 1971- nella foto si riconosce, secondo da destra, monsignor Giuseppe Casale, originario di Trani, all’epoca assistente nazionale dell’Acai, poi vescovo di Vallo della Lucania e, quindi, arcivescovo di Foggia; si riconoscono altresì l’onorevole Pavone e l’onorevole De Marzi, secondo e terzo da sinistra.
Al X congresso nazionale dell’Acai, svoltosi alla Domus Mariae, l’onorevole Laforgia, eletto presidente nazionale a marzo del 1970, confermando l’impegno di politico e di deputato a servizio delle piccole imprese, pone l’accento “sulla esigenza di superare l’azione frenante determinata dal persistere – all’interno della categoria – di visioni di parte rese anacronistiche dalla stessa vastità e complessità della problematica artigiana e per realizzare quelle soluzioni concrete e costruttive che il settore indifferibilmente attende e reclama”.
È un suo ulteriore sforzo per rimuovere la cultura individualista e corporativa per molto tempo zavorra delle popolazioni soprattutto del Mezzogiorno d’Italia. Laforgia ha sempre avuto ben chiaro nella mente che l’unità, non solo della categoria e almeno quella che si registra nei proponimenti, è basilare per il successo di ogni iniziativa e di ogni programma.
Un’associazione si fonda sulla capacità degli appartenenti di condividere un ideale e poi ciò che dall’ideale discende in termini di attività progettuale ed esecutiva. Il superamento di concezioni particolaristiche costituisce il pass verso traguardi che da soli non è dato di raggiungere. In questo, la piena concordanza del magistero sociale della Chiesa.
“Abbiate fiducia in voi stessi, – esortazione memorabile di Paolo VI ad una platea di piccoli imprenditori – nella vostra tenacia e nella vostra forza d’animo, nella capacità e forza organizzativa della vostra associazione nella quale potete far confluire il meglio della vostra esperienza e dei vostri talenti e trovare altresì l’opportunità e l’incitamento a quell’unione non solo economica ma anche ideale, morale e spirituale che è condizione insostituibile per vincere l’innato individualismo ed avere la necessaria tutela sia degli interessi economici sia della vostra funzione etica e sociale”.
Tutta l’opera di Laforgia, alla Camera e nell’associazione, è caratterizzata dalla volontà di aggregare e di mantenere l’unità anche nei momenti più difficili: cooperazione e solidarietà da vedere allora come strade ampie, talvolta molto anguste, ma uniche per conquistare la meta della giustizia sociale, della pace, del vero progresso.
Fervidamente cristiano e cattolico, volle mantenere nell’associazione la presenza dell’assistente ecclesiastico che avesse il compito di curare la formazione spirituale di iscritti e di dirigenti, sensibilizzandoli, quando necessario, alla carità verso il prossimo.
Le proposte di legge, le interrogazioni, gli interventi in assemblea e nelle commissioni, ebbero un unico denominatore comune: l’interesse per i cittadini, nella loro generalità, e la difesa delle classi più esposte al rischio di disattenzioni da parte del pubblico potere. Il diritto alla pensione, riconosciuto ai lavoratori l’autonomi (legge n. 463 del 1959), invocato e sollecitato con forza da Laforgia, anche se non ancora presente a Montecitorio, inaugurerà una cospicua serie di provvedimenti giustamente favorevoli ad una classe imprenditoriale umile, ma tanto importante per la tenuta del Paese, che si batteva per emanciparsi da antiche condizioni di minorità e di disagio.
Eletto alla Camera, si trovò a dover ribaltare energicamente la diffusa concezione secondo la quale la rete delle micro e delle piccole imprese era destinata a soccombere e, pertanto, a sparire, spazzata via dalle aziende di grandi dimensioni, testimonianze di un futuro da leggersi esclusivamente in chiave macroe­conomica.
Citava, a riguardo, l’olandese Sicco Mansholt, vicepresidente della Commissione europea nel 1968, per un breve periodo (marzo ’72 – gennaio ’73) pure presidente, elaboratore di quel “piano” che, per dare forza all’agricoltura, proponeva la creazione di aziende di dimensioni ampie, adeguate alla realtà di mercati di sbocco, che avrebbero così concorso all’incremento della produttività.
In effetti, Mansholt, politico e tecnocrate, era certo che, puntando sul “grande”, potessero ricavarsi risultati altrettanto “grandi” e importanti per tutti i settori produttivi, ai quali iniziavano ad aprirsi spazi internazionali in cui sarebbe stato possibile agire solo con tecnologie avanzate e cultura imprenditoriale di lungo respiro.
Laforgia era di ben altro parere e aveva ragione: oggi, il tessuto imprenditoriale italiano è rappresentato per oltre il 90% da micro e piccole entità operanti nell’artigianato, nel commercio, nel turismo, nei servizi, con una incidenza nella formazione del prodotto interno lordo decisamente rilevante
Analoga situazione si riscontra altresì negli Stati Uniti, patria riconosciuta di tutto quanto è extra-large: grattacieli, automobili, strade … pantaloni, ove, sorprendentemente, l’economia, da un pezzo, strizza l’occhio ai piccoli imprenditori con cui va a braccetto, perché i piccoli imprenditori tirano e tirano bene.
Uno dei primi propositi dell’onorevole Laforgia appena assunta la massima carica nazionale dell’Acai, fu quello di essere ricevuto, insieme con una delegazione di dirigenti, dal Presidente della Repubblica Giovanni Leone.

Al Capo dello Stato furono espresse le aspirazioni dell’intera categoria, i programmi realizzati e quelli che dovevano essere realizzati nell’Italia d’inizio anni Settanta, la cui economia era solida e proiettata in un futuro roseo.
Leone, succeduto a Giuseppe Saragat, fu eletto il 24 dicembre del 1971, dopo ben 23 scrutini e con una manciata di voti in più rispetto a quelli occorrenti per­ché si registrasse la maggioranza assoluta.
Il suo mandato si concluse prima che iniziasse il cosiddetto semestre bianco, mediante dimissioni fra le cui cause non risultarono estranei il rapimento e l’uccisione di Moro.
Laforgia, deputato e presidente nazionale dell’associazione, provvide a conferire maggiore visibilità al settore, soprattutto sul territorio.
In provincia di Bari, l’immagine dei vari centri comunali fu tirata a lucido durante le mostre di artigianato che si allestivano in estate con partecipazione di moltissimi visitatori.

Sindaco di Bari

L’onorevole Laforgia, presente nell’amministrazione comunale di Bari per molti anni, fu eletto sindaco il 14 ottobre 1970, quando era capogruppo DC e deputato alla seconda legislatura. Il consiglio comprendeva diversi parlamentari: Manlio Livio Cassandro, Araldo Di Crollalanza, Salvatore Formica, Mario Giannini, Vito Vittorio Lenoci, Renato Scianti; inoltre, comprendeva Gennaro Trisorio Liuzzi, presidente della neonata Regione Puglia, Michele Di Giesi ed Enrico Piccone, due anni dopo eletti deputati,
Nicola Vernola, anch’egli poi sindaco, deputato e ministro, Giovanni Papapietro, futuro europarlamentare. Il nuovo sindaco, a capo di una giunta monocolore DC appoggiata dalle altre forze politiche, aveva ricevuto un incarico a tempo, necessario ad evitare che, per un vuoto di responsabilità, si bloccasse l’attività istituzionale urgente (bilancio, piano regolatore, servizi … ) con serie conseguenze per la città. La scelta fu dettata dalla necessità di designare al più alto scranno del Comune un uomo di esperienza, garante di equilibrio e di imparzialità, largamente gradito. Enrico Lonero era vicesindaco con delega per gli affari generali, programmazione e contenzioso; assessori: Donato Accettura (polizia urbana e traffico), Quintino Basso (edilizia privata ed urbanistica), Stanislao Bernardini (contratti, appalti, patrimonio), Stefano Bianco (decentramento, rapporti con la Regione Puglia, lavoro, gioventù, servizi demografici, elettorali e statistici), Luigi Jacobellis (solidarietà sociale), Vito Lacriola (aziende municipalizzate e aziende speciali), Andrea Leonetti (personale e strutturazione uffici comunali), Angelo Marino (servizi annonari ed ente comunale di consumo), Francesco Martino (igiene e sanità), Vito Nerini (sport, turismo e spettacolo), Giuseppantonio Pasca (bilancio), Francesco Santacroce (tributi), Mauro Spagnoletti (pubblica istruzione, edilizia scolastica, arte e cultura), Lorenzo Vitale (lavori pubblici).
Su sua richiesta, non entrò in giunta Nicola Vernola che era stato vicesindaco nella precedente amministrazione.
Per assumere la carica, Laforgia chiese ed ottenne il consenso del Presidente della Camera Sandro Pertini il quale, il 31 ottobre successivo, fu accolto a Bari per la presentazione del libro autobiografico “Sei condanne, due evasioni”, curato da Vico Faggi, con una nota introduttiva di Giuseppe Saragat. Pertini donò a Laforgia una copia del libro, con un’affettuosa dedica rivelatrice della qualità del rapporto di amicizia esistente fra i due . (…)
Fra i programmi della nuova compagine amministrativa: il trasferimento della Manifattura dei tabacchi da via Crisanzio alla zona industriale, per recuperare una vasta area da adibire a scuole, mercati e verde pubblico e l’istituzione di una scuola materna nei locali dell’Ospedaletto dei bambini destinato ad occupare il moderno ed attrezzato complesso di via Amendola.
Il sindaco Laforgia aveva anche in animo di risolvere il vecchio problema della ferrovia che spacca in due la città e di costruire una metropolitana con il concorso dei Comuni vicini; ancora, pensava di riorganizzare i mercati all’ingrosso e quelli rionali, di effettuare adegua interventi nel centro storico, per la nuova pista aeroportuale e per un nuovo cavalcavia del rione Japigia.
Parte di queste iniziative troveranno realizzazione in seguito, nell’ambito del suo impegno di parlamentare e di sottosegretario ai LL.PP. Dopo la sua elezione, il neo sindaco Laforgia rivolse un saluto alla città. ‘Nell’assumere la grave responsabilità di guidare la civica amministrazione in questo momento particolarmente difficile per la vita di Bari, desidero rivolgere alla cittadinanza il più cordiale saluto.
Sono pienamente consapevole del peso dei problemi che ci stanno davanti, della domanda di civile sviluppo che promana dalla comunità civica, dell’esigenza di decisioni coraggiose per il presente e per l’avvenire della città. Mi accingo, perciò, in spirito di servizio, a dedicare ogni sforzo per portare avanti un discorso in cui la chiara volontà politica e l’assoluta lealtà d’intenti, confermi l’impegno di dare una risposta concreta ed incisiva alle attese baresi.
L’amministrazione che ho l’onore e l’onere di guidare, si misurerà su/l’aderenza delle scelte e sull’efficacia delle soluzioni ai problemi antichi e nuovi, alle richieste indifferibili di una realtà fervida di tensioni e di iniziative, qual è quella di Bari.
Occorre operare con coraggio e decisione per superare le pesanti strozzature tuttora esistenti in questa realtà, con un’azione improntata alla concretezza ed alla costruttività.
L ‘amministrazione, voluta dalla Democrazia Cristiana e nata dal voto del Consiglio comunale il 14 ottobre, evita un vuoto di responsabilità e di decisioni, non si chiude in se stessa, ma si apre al dialogo con tutte le forze vive che operano nell’organismo cittadino, con il mondo del lavoro e quello della cultura, con i giovani, con gli operatori, con quanti hanno a cuore le sorti di Bari ed attendono risposte non vaghe o generiche, ma avanzate e lungimiranti.
Non, quindi, un’attesa passiva di fronte agli eventi che preparano il futuro, ma volontà di una partecipazione determinante di chi democraticamente rappresenta Bari: questo intendiamo proporre ai cittadini ai quali il Comune e la città appartengono e le cui aspirazioni, le cui ansie e le cui aspettative condividiamo come nostre’

L’onorevole Laforgia firma l’atto del giuramento come sindaco della città; si riconoscono il prefetto Pignataro, il consigliere regionale Colonna, il segretario generale dell’associazione degli artigiani Turturro, il segretario generale del Comune De Palo e i due testimoni Rotolo e Schittulli, rispettivamente segretario regionale e segretario provinciale della DC.

Sottosegretario ai lavori pubblici

Laforgia fu nominato sottosegretario ai Lavori Pubblici nel III Governo guidato da Giulio Andreotti, un governo monocolore DC (29 luglio 1976 – 11 marzo 1978) sostenuto dall’astensione dei partiti presenti nell’arco costituzionale, tranne il MSI-DN.

Fu il primo esperimento di un Governo di solidarietà nazionale e fu anche quello nel quale entrò per la prima volta una donna, in qualità di ministro del Lavoro: Tina Alselmi.

Anselmi era stata dirigente dell’Acai e, nel 1972, con Laforgia presidente nazionale, fece parte della governance centrale dell’associazione con l’incarico di responsabile del “settore studio, stampa e propaganda”. Ministro dei Lavori Pubblici fu nominato l’onorevole Antonino Pietro Gullotti; sottosegretari furono l’onorevole Laforgia e l’onorevole Pietro Padula.

A Laforgia fu conferita una delega abbastanza “corposa”:

  • la presidenza del consiglio di amministrazione dell’Anas;
  • la partecipazione al comitato interministeriale per il credito e il risparmio;
  • la partecipazione al comitato interministeriale per i prezzi;
  • la presidenza del consiglio di amministrazione del ministero;
  • il consiglio superiore dei LL.PP.;
  • gli affari generali e il personale;
  • le opere marittime;
  • la viabilità ordinaria e nuove costruzioni;
  • l’ispettorato generale per l’albo nazionale dei costruttori e per i contratti.

L’attività governativa si rivelò intensissima, spaziando nei singoli ambiti della delega ricevuta.

Nella nostra provincia, furono sollecitamente ultimate alcune opere marittime, fra le quali la ricostruzione di alcuni bracci del molo foraneo del porto di Bari.

In materia di viabilità, vanno ricordati: l’allargamento della Bari-Palese e un secondo tratto di spartitraffico della circonvallazione fino a Torre a Mare nonché l’illuminazione dello svincolo con corso Alcide De Gasperi e Carbonara; a Sammichele di Bari, la circonvallazione della statale 100, lato ovest, realizzata per il superamento del passaggio a livello della ferrovia Sud-Est e dell’incrocio per Acquaviva delle Fonti; i cavalcavia di Ruvo di Puglia e di Palo del Colle.

A febbraio del 1977, Laforgia si premurò, d’intesa con il ministero dei Trasporti e la Cassa per il Mezzogiorno, di organizzare un tavolo di concertazione per gli interventi necessari al completamento del nuovo aeroporto di Palese. Sempre nel 1977, a fine settembre, era pronta la bozza del nuovo codice della strada, consegnata poi al presidente del Consiglio Andreotti per gli adempimenti del Governo.

Il sottosegretario Laforgia, inaugurando, giorni prima, la conferenza nazionale della circolazione stradale, presentò alcune innovazioni del codice (era prevista l’obbligatorietà dell’uso del casco per la guida dei ciclomotori), dettate dalla necessità di contrastare quella che si definiva “nevrosi automobilistica”, causa di innumerevoli sinistri. Da ricordare (maggio 1973), la proposta di legge n. 2129 per l’estensione della patente di guida, della targa di riconoscimento e dell’assicurazione obbligatoria ai ciclomotori. Diversi i finanziamenti alle cooperative di edilizia di Bari e di molti altri Comuni, previsti nelle competenze del ministero fino al 31 dicembre 1977, prima del loro decentramento alle Regioni. Contributi straordinari furono stanziati all’Ente Autonomo Acquedotto Pugliese per il ripianamento dei disavanzi di bilancio e parimenti furono erogati fondi agli acquedotti siciliani. Laforgia spiegò che il Governo aveva sentito il dovere di intervenire, una volta informato il Parlamento e ricevutane l’approvazione, per rimediare allo squilibrio finanziario in cui versavano gli enti preposti agli acquedotti della Puglia e della Sicilia, causa una eccessiva lievitazione dei costi da essi sopportati a fronte di un modesto incremento delle entrate. I fondi dovevano altresì procurare un adeguamento degli impianti alle accresciute esigenze del servizio idrico, risolvendosi, pertanto, in occasione di utili investimenti a favore delle comunità locali.

Interventi risolutori si disposero per il restauro e la riqualificazione di prestigiosi palazzi, monumenti storici di pregevole architettura, come quelli di Trani per i quali si prodigò personalmente l’arcivescovo Giuseppe Carata.

Il presidente del Consiglio Andreotti con i sottosegretari del suo III Governo. Si riconoscono da sinistra: Vincenzo Scotti (Bilancio e programmazione economica), Antonio Laforgia (Lavori pubblici), Renato Dell’Andro {Grazia e giustizia), Arcangelo Lobianco (Agricoltura e foreste), Vito Rosa (Marina mercantile).

Laforgia pigia il pulsante per dare inizio all’illuminazione di una parte della tangenziale cittadina.

Inaugurazione del cavalcavia di Palo del Colle. Con Laforgia sono: il senatore Rosa, il prefetto Montesanti, Giampaolo, Colasanto e Lupo, in rappresentanza della Regione Puglia, Molfetta sindaco di Palo del Colle, Mastroleo presidente della Provincia di Bari, il commendatore Persia.

Tarano 1977 Inaugurazione del nuovo porto. Alle spalle dell’onorevole Laforgiasi riconosce l’onorevole Antonio Mazzarrino.

.. con don Tonino Bello (Vedi Scheda)

Quando alla diocesi di Molfetta, di cui era vescovo don Tonino Bello, fu annessa Ruvo di Puglia, in precedenza parte con Bitonto di altra diocesi, l’associazione degli artigiani iniziò ad invitare il nuovo presule alle manifestazioni più significative, come esigeva la consuetudine. L’indimenticato don Tonino partecipò ad una delle edizioni della mostra di artigianato, a luglio del 1986, restando ammirato dall’abilità dei nostri maestri che ricordava sempre con simpatia.

Ripetendo alcuni versi di Gianni Rodari, musicati poi da Luis Bacalov e Sergio Endrigo, “Per fare un tavolo ci vuole il legno … e – continuando – ci vuole (anche) un fiore’; non dimenticava di precisare che, per fare un tavolo, occorre pur sempre un provetto falegname oltre che il legno e un fiore.

Il rapporto dell’onorevole Laforgia con monsignor Bello fu breve nel tempo, ma intenso sul piano della fede e della considerazione che entrambi avevano per il prossimo, termine di confronto nella carità cristiana che ci è stata assegnata come compito nella nostra vita.

Un compito al quale siamo tutti chiamati senza distinzione; i laici devono essere propositivi nelle loro esperienze di lavoro, nella famiglia, nella società così come i consacrati.

Laforgia, a parte la formazione che aveva ricevuto da monsignor Loiacono e da monsignor Schiraldi da giovane di Azione Cattolica, era tendenzialmente portato all’impegno sociale che fu il sostrato di quello politico attuato nelle varie istituzioni, al Parlamento soprattutto. E ai politici don Bello raccomandò continuamente i valori della giustizia e della pace.

“Pace – diceva – è mangiare il proprio pane a tavola, con gli altri, con i poveri che sono il luogo teologico in cui Dio si manifesta”.

Non è questa una verità contigua a quelle contenute nell’umanesimo integrale tanto caro a Laforgia?

Don Tonino parla ad una delle tradizionali feste organizzate per la Befana (fine anni ’80), durante le quali venivano distribuiti doni ai figli degli iscritti; da sinistra l’onorevole Laforgia, il presidente del centro comunale Vincenzo Cantatore e il suo vice Giacomo Scarongella.

Un’esperienza indimenticabile

Non ebbe esitazione quando gli fu chiesto quale fosse stata l’esperienza di deputato per lui più gratificante: aver fatto parte di una commissione di parlamentari a cui era stato affidato il compito di esaminare e approfondire i programmi scientifici del costituendo ENEA. (Ente nazionale per le energie alternative).
Proiezione, nel tempo, del Comitato nazionale per le ricerche nucleari (CNRN), fondato nel 1952, chiamato, dal 1960, CNEN (comitato nazionale energia nucleare), L’ENEA fu istituito il 1982 perché potesse occuparsi di fonti rinnovabili e di tutela dell’ambiente, oltre che di energia nucleare.
Ora, in virtù della legge 99 del 23 luglio 2009, è Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile.
La necessità di produrre energia in misura crescente, non disgiunta dall’esigenza di neutralizzare forme di inquinamento, rischi per l’ambiente e per la salute pubblica, è sempre stata oggetto di attenzione da parte del legislatore, fino a divenire priorità assoluta. All’inizio degli anni ’80, la questione era già ai massimi livelli e l’ENEA doveva, in qualche modo, fornire risposte alle attese delle forze politiche, delle istituzioni, dei cittadini.
La commissione di cui Laforgia fu componente era chiamata a svolgere un ruolo di indagine e di accertamento le cui risultanze dovevano costituire il corpus di relazioni determinanti per l’attività e le scelte del Parlamento e del Governo.
Perché si trattò di un lavoro entusiasmante e memorabile per il deputato Laforgia?
Perché la materia da analizzare, oggetto di confronti con gli esponenti dell’ENEA, richiedeva la conoscen­za, e non approssimativa, di buona parte della matematica e della fisica.
Laforgia tornò alle sue origini culturali, agli studi universitari, alle equazioni, alla magia dei numeri e ai fenomeni naturali, al mondo che aveva amato da giovane, a quella scienza esatta a cui si era formato e dalla quale aveva altresì ricavato schemi e comportamenti di vita: nel turbinio delle situazioni politiche e sindacali, era e rimaneva un matematico.
I tecnici dell’ENEA, ingegneri, ricercatori, fisici, ebbero un interlocutore di chiara competenza e se ne rallegrarono enormemente; i loro programmi potevano essere capiti e approvati.
Le loro richieste potevano contare su un sostenitore convinto.
La conoscenza della matematica e della fisica giovò altresì a Laforgia nella visita di studio in Giappone, a maggio del 1981, guidando la delegazione della Commissione “Industria” della Camera dei deputati.
A Tokio ci furono incontri con rappresentanti della Dieta, con imprenditori, con sindacalisti e soprattutto con esponenti del mondo scientifico dai quali fu possibile apprendere informazioni particolareggiate sulle tecnologie d’avanguardia che le aziende nippo­niche applicano nelle loro attività.

Dieci anni fa, il 29 marzo, veniva a mancare Antonio Laforgia.
Da “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 29 marzo 2021

Scompariva dalla scena pubblica uno degli esponenti della nostra terra che agirono nella cosiddetta prima Repubblica. Nonostante l’avanzata età, aveva continuato a dedicarsi ai segmenti produttivi con cui aveva avuto avvio il suo multiforme impegno.
Iniziò ad interessarsi agli artigiani a metà degli anni 50, assumendo la carica di direttore provinciale della loro Cassa Mutua di Malattia; presente altresì nel Consiglio comunale di Bari, ove svolse un ruolo di rilievo come assessore alle finanze.
Poi, nel 1963, la candidatura al Parlamento (vi rimase 20 anni), in quota alla Democrazia Cristiana, per il collegio di Bari-Foggia e l’elezione con oltre 43 mila voti.
Lo sostennero fasce di lavoratori autonomi che, in seguito, Laforgia rappresentò in molti organismi sindacali nazionali ed europei, gruppi dell’Azione Cattolica in cui aveva militato da giovanotto, in modo silente lo stesso arcivescovo Enrico Nicodemo entusiasta delle sue capacità di organizzatore delle tante piccole botteghe su cui si puntava per una concreta ripresa economica del Paese dopo la parentesi bellica.
A Montecitorio, durante la seduta di lunedì 21 ottobre 1963, il trentaseienne deputato Laforgia illustrò la sua prima relazione sull’artigianato italiano: uno spaccato ampio e dettagliato di quel vasto complesso di piccoli operatori, di sconosciuti maestri di tecniche antiche e preziose, guardati con particolare attenzione anche da Pio XII, perché ritenuti affidabili custodi di valori con i quali difendere l’istituto della famiglia dall’incalzante nuovismo.
E nei programmi esposti alla Camera, accanto agli elementi fondativi di scelte in materia economica che la D.C. aveva cominciato ad attuare sin dall’immediato dopo guerra, emersero i tratti precisi del cammino che le piccole e medie imprese avrebbero dovuto compiere per emanciparsi completamente da una condizione di marginalità sociale, esercitando il ruolo che a loro competeva quale forza determinante al benessere della popolazione.
Il credito agevolato fu al centro dei pensieri di Laforgia per il supporto agli imprenditori, specie a quelli del Sud tenuti ad offrire onerose garanzie, molto spesso extra aziendali, per ottenere prestiti necessari agli investimenti e all’innovazione.
La competitività delle aziende, richiesta per incentivare e proteggere la produzione – pensava Laforgia – andava favorita garantendo facilitazioni di accesso al credito e agevolazioni fiscali, formula vincente applicata purtroppo in modo discontinuo.
In aggiunta al credito, la cooperazione, tutta da scoprire e da praticare in un Mezzogiorno penalizzato da tenaci forme di individualismo, difficili da scongiurare, perché in linea con la meno rischiosa logica del “meglio soli”.
Nel 1958, Laforgia, leader dell’associazione di imprese che aveva fondato lo stesso anno, costituì la Cooperativa Artigiana di Garanzia di Bari, antesignana di organismi similari sorti poi in tutta la Puglia, per la concessione del piccolo prestito di esercizio, allora con l’importo massimo di 300 mila lire.
Si trattò di una vera conquista, di una idea singolare per la nostra realtà, non molto compresa nella fase di impianto, e realizzata prima ancora che il settore delle cooperative, nella oggettiva previsione di un suo possibile sviluppo, venisse regolato dal Ministero dell’Industria e del Commercio, cosa che effettivamente avvenne con decreto del 12 febbraio 1959.
Il Personalismo di Emmanuel Mounier e l’Umanesimo integrale di Jacques Maritain furono le teorie filosofiche ispiratrici dell’attività di Laforgia, nelle diverse fasi della sua vita:
– sindaco di Bari, 1970-1971, in costanza di mandato parlamentare, in una parentesi delicata in cui occorreva al timone della città un uomo di equilibrio, a debita distanza dalle fibrillazioni delle varie correnti di partito. Si diede così vita ad una Giunta monocolore D.C., appoggiata dall’esterno, di cui facevano parte, tra gli altri, Donato Accettura, Quintino Basso, Stanislao Bernardini, Stefano Bianco, Angelo Marino, Lorenzo Vitale, Vito Nerini. Nel Consiglio figuravano: Araldo Di Crollalanza, Manlio Livio Cassandro, Salvatore Formica, Mario Giannini, Michele Di Giesi, Enrico Piccone, Renato Scionti, Nicola Vernola, Gennaro Trisorio Liuzzi, da pochi mesi primo presidente della Regione Puglia;
– sottosegretario ai LL.PP. nel III Governo Andreotti, 1976-1978, periodo in cui furono assunti importanti provvedimenti, concordati con il ministro Gullotti e ratificati dal Parlamento, a beneficio dell’Ente Autonomo Acquedotto Pugliese;
– presidente dell’Artigiancassa S.p.A.– Gruppo BNL, 2001-2006;
– fondatore e primo presidente della Banca di Credito Cooperativo di Bari, 1994-2011;
– amministratore della Fiera del Levante nonché della Camera di Commercio di Bari di cui fu anche presidente per un breve periodo.
Sostenitore di Aldo Moro, del quale condivise il pensiero e le intuizioni, Laforgia approvava il disegno del grande statista di un composito itinerario da compiere a piccoli passi, con un dialogo crescente capace di portare nel Governo quanto più possibile i partiti dell’arco costituzionale, confermando comunque la centralità della Democrazia Cristiana quale soggetto politico dalle diverse anime e perciò indispensabile alla stabilità delle istituzioni del Paese.
Di Moro rimase amico sincero anche quando, con l’evoluzione dei tempi, sorsero difformità di vedute.
Laforgia non entrò a far parte del nuovo Governo, il IV, formato da Giulio Andreotti; Moro se ne rammaricò e volle scrivere a Laforgia una lettera di saluto, di incoraggiamento e di solidarietà la sera del 15 marzo 1978, il giorno prima che venisse rapito dalla brigate rosse, in via Fani.
Fu l’ultima lettera scritta personalmente da Moro che il suo segretario particolare, Nicola Rana, fece recapitare a Laforgia con proprio biglietto del 19 maggio seguente, conclusa ormai la tragica vicenda della morte del presidente nazionale della Democrazia Cristiana.
Laforgia raccomandava sovente ai giovani di non praticare la cultura dell’appartenenza ma di coltivare la cultura della partecipazione: partecipare sempre e ovunque, fornendo il libero contributo delle proprie idee e delle proprie energie alla causa del bene comune.
Allo scopo di incoraggiare e sostenere i giovani nello studio e nell’iniziativa privata, fattori necessari ai programmi di sviluppo e di progresso della nostra terra, il 2014 è stata istituita la “Fondazione onlus Antonio Laforgia”, per volontà della famiglia e di Confartigianato.

FRANCO BASTIANI
Confartigianato Bari

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