SANGIRARDI VITO

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SANGIRARDI VITO

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Palo del Colle (Bari) 2 novembre 1909 – Bari 3 luglio 1999

Pittore e architetto presidente dell’Ordine degli Architetti di Puglia

Figlio di Michele Sangirardi (piccolo imprenditore e commerciante agricolo) e di Nicoletta Anastasia (originaria della Basilicata). Dopo le scuole secondarie, frequentate a Bitonto, si iscrive alla Reale Accademia di Belle Arti di Napoli (alcune sue opere compaiono nella 1^ mostra di pittura dell’Accademia) dove si diploma nel 1932; quindi svolge per qualche anno anche una intensa attività di pittore, incoraggiato dal direttore Carlo Siviero, divenuto suo estimatore e amico.
Nel frattempo, sempre a Napoli, segue i corsi della Regia Università di Architettura laureandosi nel dicembre del 1938. Per qualche anno svolge la sua attività a Napoli e a Roma assieme ad alcuni suoi giovani colleghi (in particolare, con Domenico Andriello resterà a lungo in rapporti epistolari); quindi torna a Palo del Colle dove per qualche tempo entra come collaboratore nello studio dell’ingegnere Vincenzo Danisi.
Nel 1941 sposa Maria Luigia Mastronardi, dalla quale avrà quattro figli, e vive a Sannicandro (Bari) dove ha anche il suo primo studio. È un periodo di circa nove anni di attività, interrotta dalle vicende belliche perché richiamato in servizio presso il corpo del genio militare. Proprio a Sannicandro, che soffre nel giugno del 1943 una tragica esperienza di parziale distruzione per effetto di un bombardamento aereo, dedica generosamente il suo lavoro nell’opera di ricostruzione del paese. E in quei primi anni del Dopoguerra mostra anche un forte interesse alla partecipazione a concorsi regionali e nazionali dove ha modo di confrontarsi e di farsi conoscere in un ambito professionale più vasto.
Man mano il centro di interesse della sua attività si sposta verso il capoluogo; quindi dal 1953 risiede definitivamente a Bari svolgendovi in modo continuativo la sua professione. Sono gli anni del boom edilizio durante i quali numerosi sono i progetti e le realizzazioni per le città di Bari e Trani in primo luogo, ma anche in diversi altri luoghi della Puglia (Torre Canne, Foggia, Taranto); a Rutigliano realizzerà diverse opere in collaborazione con suo cognato, il geom. Graziano Diomeda.
Dal 1960 al 1971 è presidente dell’Ordine degli Architetti di Puglia e partecipa in modo attivo al dibattito cittadino sul suo sviluppo urbanistico. Dal 1970 al 1973 è anche consigliere per la Puglia nell’Ordine Nazionale degli Architetti (presidente Raoul Gattermayer). Per qualche anno è stato collaboratore part-time dell’ente Case Popolari lna-Casa. Sino al 1968 il suo studio ha sede in via Abbrescia 89, prima all’interno della sua abitazione, in seguito nell’attico dello stesso fabbricato. Quindi si trasferisce definitivamente al secondo piano di un edificio di sua progettazione e di proprietà delle Assicurazioni Generali al civico 2 di via Michelangelo Signorile, dove dal 1979 condivide ufficio e attività con il figlio Germano.
Come si può evincere dal catalogo delle opere, la produzione è estesa e differenziata, spaziando da quelle a uso privato (fabbricati di abitazione, ville residenziali o al mare, monumenti funerari), a quelle destinate alle relazioni pubbliche, sia civili (ospedali, alberghi, terme, banche, teatri, negozi) sia religiose (conventi, chiese). Incuriosito dalle nuove forme architettoniche e dai progressi tecnologici nell’uso dei materiali partecipa ancora a concorsi internazionali (di particolare impegno quello per nuove tipologie edilizie in Foggia).
Negli ultimi due decenni di vita ritorna al suo primo amore, l’arte figurativa, rappresentando paesaggi e ritratti. Se ne trova traccia anche in opere interne alla chiesa di Santa Maria delle Vittorie (sue sono la parete di fondo dietro l’altare, il Cristo in croce al centro dell’assemblea, la scultura esterna di Madonna con bambino). Con il figlio Germano partecipa a un concorso per residenze con riscaldamento a energia solare e con il genero, l’ing. Giambattista De Tommasi, si impegna nel progetto di restauro del Castello di Sannicandro. Dopo gli anni Ottanta, partecipa ad alcuni concorsi nazionali (mosaico per il porto di Bari, allestimento della sala d’aspetto del porto di Cagliari). Muore a Bari il 3 luglio 1999.

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“Dal capitello alla città”: Vito Sangirardi, il progettista “totale”

VITO SANGIRARDI. Riflessioni sulla città. Bari e Trani 1950-1980, LB Edizioni, Bari 2020 (prefazione prof. arch. Antonella Calderazzi)

PRESENTAZIONE

Riflessioni sulla città è il titolo cui abbiamo pensato per questo libro sulle opere che l’architetto Vito Sangirardi immaginò e in parte portò alla realizzazione per le città di Bari e di Trani (e, seppure in minore concentrazione, per altre località della Puglia) nella seconda metà del Novecento. Avevamo in mente una forma di libro caratterizzata come una mostra di quadri (i suoi disegni), commentati ove presenti da testi di sua mano sulle opere immaginate. Si tratta quindi soprattutto di rif1essioni grafiche.
Lo schizzo a mano era lo strumento che egli preferiva: ogni supporto cartaceo (fogli da disegno, un angolo libero di giornale o il retro di una busta), ogni matita, ogni penna, ogni carboncino erano mezzi utili per la sua innata esigenza di comunicare pensieri ed emozioni. È questa la parte del libro dove più emergono le attitudini artistiche legate alla sua natura e alla sua formazione; in questa parte il rapporto con l’osservatore è diretto, è supportato in prevalenza dalle immagini ma anche dai suoi manoscritti. Ma le rif1essioni sono anche relazioni che Vito Sangirardi scrisse, qui come tecnico pienamente coinvolto nei problemi di sviluppo urbanistico riguardanti le due città ed è su queste che una prefazione può aiutare a inquadrare questi scritti in una materia complessa, dai vari riflessi urbanistici, funzionali, economici.
Le relazioni qui raccolte sono state comunicate in forma di articoli e di lettere ai giornali o esposte in convegni e altre occasioni pubbliche dall’architetto, che proprio in quel periodo (in realtà dal 1960 al 1971) rivestì il ruolo di presidente dell’Ordine degli Architetti di Puglia. La documentazione, che mettiamo alla disposizione di tutti i lettori interessati, dei ricercatori e degli storici delle vicende cittadine, costituisce una ulteriore testimonianza nel dibattito, che in quegli anni si svolse, sulle questioni più rilevanti collegate e anche determinate da quello sviluppo. Ringraziamo la LB edizioni per il lavoro svolto e l’architetto Simone de Bartolo per la gentile e preziosa collaborazione.
Michele, Nicla, Teresa, Germano Sangirardi

PREFAZIONE

Nella incertezza di un nuovo albore, negli anni complessi del secondo dopoguerra, si assisteva su tutto il territorio nazionale a una trasformazione urbanistica e quindi a una nuova cultura architettonica. L’immagine di Bari, che tra gli anni ’50 e ’70 si espandeva oltre la linea ferroviaria, verso le periferie, appariva segmentata e frazionata soprattutto nei quartieri Murattiano, Libertà e Madonnella radicati ai canoni del classicismo e dell’eclettismo.
Dilagava sia nelle nuove costruzioni che nei fabbricati riedificati il modernismo e il razionalismo consentendo il tramonto di quell’aspetto nostalgico della città legata al suo “borgo antico” lambito dal mare. Dal Comune di Bari, nel 1965 veniva affidata la variante del piano regolatore generale all’architetto Ludovico Ouaroni il quale ridisegnava la conformazione urbana proiettando la città verso una espansione periferica e permettendo attraverso il sistema della “permuta” una vertiginosa operatività di cubature residenziali con indici elevati di fabbricabilità al fine di risolvere anche l’incremento demografico. In questa stagione complessa, segnata da una moltitudine di progetti e di architetture prive di un “ismo” particolare, spiccavano alcune personalità come l’architetto Vito Sangirardi che, attraverso le svariate tipologie edilizie, dimostrava, non privo di senso artistico acquisito dalla frequentazione dell’Accademia delle Belle Arti e dal corso di laurea in Architettura a Napoli, come si possa fare una “buona” architettura.
In questo volume sono raccolti i tanti schizzi preparatori dei fabbricati realizzati dal Sangirardi a Bari, a Trani e in altre località pugliesi, gelosamente conservati nell’Archivio di famiglia che esprimono al meglio l’idea progettuale riservata a ogni manufatto. La poetica espressa dalla mano esperta dell’architetto attraverso il segno della matita, del carboncino, del rapidograph, a volte da inserti di collage su carta eliografica, evidenzia la “maniera” di progettare, esempio per intere generazioni di professionisti ma sconosciuta ai giovani avvezzi alla tecnologia computerizzata.
In tutte le opere raccolte nel testo, dalle residenze unifamiliari, agli edifici residenziali, alle banche, ai locali commerciali, alle chiese, agli ospedali e agli arredi interni, Sangirardi manifesta un modernismo quale espressione di un’epoca che si configura come passaggio tra il vecchio e il nuovo e si proietta verso l’innovazione e la sperimentazione. Il rapporto con la tecnologia è giocato su due fronti: quello relativo alla scelta dei materiali e quello della qualità architettonica intuendo che la chiave di volta per ogni buon lavoro non può che essere in tale relazione. Progettato e realizzato tra il 1960 e il 1967, il Banco di Napoli con i suoi profili metallici, l’uso della pietra calcarea locale, la continuità delle superfici in vetro e la differente composizione dei vari piani adibiti a Istituto Bancario i primi e a residenze gli ultimi, esalta in un felice connubio il rigore razionale e l’espressivo dinamismo compositivo visti sem­pre dall’angolo giusto.
Gli schizzi prospettici per la realizzazione del Villaggio del Fanciullo riecheggiano un linearismo lecorbusieriano, una straordinaria eleganza compositiva e una funzionalità formale per ogni volumetria sia nei corpi a Z esistenti che nella chiesa cilindrica e nel teatro triangolare, non realizzati. Al fine di mettere in risalto la diversità dei materiali, il tratto diviene più forte per i palazzi Sylos Labini ubicato in posizione angolare tra via Abate Gimma e via Marchese di Montrone, nel gioco della tessitura del mattone, in Conte Celio Sabini edificio di testata tra via Sparano e corso Vittorio Emanuele, nell’evidenza dei pilastri estrusi rivestiti da elementi in quarzo azzurrino e nel fabbricato Pallante in via Sparano mediante il gioco chiaroscurale delle vetrate arretrate rispetto la struttura.
Soluzioni angolari ardite e facciate con un linguaggio compositivo razionai-organico dimostrano come la tecnologia ben si coniuga con le moderne forme architettoniche. Non mancano nei numerosi schizzi, particolari identificativi come i pannelli prefabbricati in cemento armato sulla cortina esterna del palazzo Muciaccia o le artistiche soluzioni di arredamento realizzate per la pasticceria Rex e per il bar Riviera. Una notevole carica progettuale e artistica insieme a una profonda esperienza, si percepiscono in modo più evidente nelle opere della maturità quale la chiesa di Santa Maria delle Vittorie. Inserito nell’ambito urbano, il complesso ecclesiale dalla parete frontale in cemento a vista che si curva in aggetto verso l’accesso, dal gioco di luci che filtra attraverso le vetrate colorate, ci prospetta la complessità strutturale e formale in una veduta d’insieme dall’alto e nelle diversificate soluzioni dei particolari.
Nelle relazioni pubblicate in fondo al volume, sono inserite rif1essioni riguardanti in particolare le problematiche urbanistiche della città di Bari che attengono ai dibattiti svolti durante gli anni in cui ricopriva il ruolo di Presidente dell’Ordine degli Architetti di Puglia. Tali tematiche, quali il nodo ferroviario con la trasformazione da stazione di transito a stazione di testa, la realizzazione del nuovo Palazzo di Giustizia che Sangirardi suggeriva di collocare nelle aree della ex Gil o del centro sportivo Angiulli, il piano turistico alberghiero per la città di Trani, la ubicazione del nuovo quartiere sperimentale, la risoluzione del traffico cittadino e il nuovo regolamento edilizio risultano di grande attualità e spesso ancora irrisolte. La sua profonda esperienza architettonica e umana insieme, si ritrova nel testo del quale dovranno essere grati studenti e insegnanti come io lo sono, ringraziando la famiglia che ha consentito la pubblicazione delle sue opere attraverso gli inediti schizzi.
Prof. ssa Arch. Antonella Calderazzi

“Dal capitello alla città”: Vito Sangirardi, il progettista “totale”

VITO SANGIRARDI. Riflessioni sulla città. Bari e Trani 1950-1980, LB Edizioni, Bari 2020 (prefazione prof. arch. Antonella Calderazzi)
Se osserviamo l’architettura delle nostre città, è inevitabile cogliere le profonde differenze, strutturali e stilistiche, tra gli edifici costruiti nell’anteguerra e quelli costruiti dal dopoguerra ad oggi, passando per gli anni del famigerato “boom” edilizio, che si tradusse spesso, malauguratamente, in un “boom” speculativo. A Bari, il primo Novecento architettonico è dominato dalla figura di Saverio Dioguardi (Rutigliano, Bari 1888 – Bari 1961), esponente di quel “Classicismo novecentesco” che ebbe tra i suoi protagonisti Piacentini e Bazzani: tra i tanti pregevoli edifici del Dioguardi, spicca il Palazzo della Provincia (1929-34), che si erge maestoso sul Lungomare di Levante. Il secondo Novecento barese ha un altro protagonista, di certo meno noto ma non per questo meno importante, l’architetto Vito Sangirardi (Palo del Colle, Bari 1909 – Bari 1999), esponente di quella nuova cultura architettonica che seguiva gli esempi del razionalismo lecorbusieriano, dell’organicismo di F. L. Wright e del neorealismo di Ridolfi e Frankl.
Sangirardi fu senza dubbio uno degli ultimi professionisti che progettavano “dal cucchiaio alla città”, per dirla con Morris (o “dal capitello alla città”, per dirla con Giovannoni): nella Chiesa di S. Maria delle Vittorie (1973-80), ad esempio, si occupò anche degli apparati decorativi, curandoli sin nei minimi dettagli.

Chiesa Santa Maria delle Vittorie – Bari 1980
E non è un caso, poiché anch’egli ebbe, come Dioguardi, una forte preparazione artistica: studiò pittura – passione che coltiverà per tutta la vita – presso il R. Istituto d’Arte di Napoli (1927-32), sotto la guida del prof. Carlo Siviero (Napoli 1882 – Capri, Napoli 1953), per poi perfezionarsi a Roma, ove ebbe importanti riconoscimenti (nel 1933 il suo olio su tela Il Novizio impressionò favorevolmente S.A.R. la Principessa Maria di Savoia). Si laureò in Architettura (21 dicembre 1938) alla R. Università di Napoli, dove si era formato sotto la guida del Prof. Arch. Alberto Calza Bini (Roma 1881 – 1957), che della facoltà napoletana fu anche preside (1929-41): per un caso fortuito, il Sangirardi si trovò ad operare nel complesso INA annesso all’Albergo delle Nazioni (progettato trent’anni prima, proprio dal suo maestro Calza Bini), realizzando l’arredo interno del Caffè Pasticceria Rex (1963), purtroppo andato perso.
Molti progetti del Sangirardi restarono sulla carta, in particolare quello per il Teatro Comunale (1975) di Trani, che rappresentò una occasione mancata per quella città, ma Bari ebbe miglior fortuna: oltre a notevoli esempi di edilizia privata, spiccano edifici pubblici civili e per il culto, come il Palazzo del Banco di Napoli (1964-65) o la predetta Chiesa di S. Maria delle Vittorie. Tuttavia, il suo contributo più rilevante alla costruzione dell’immagine urbana di Bari fu il complesso del Villaggio del Fanciullo (1948-49), che, con la sua articolata volumetria, ridefinisce la piazza antistante il complesso del Policlinico. Al contrario, il Palazzo della Standa (oggi sede di Uffici Comunali), sito in corso Vittorio Emanuele II, s’inserisce in maniera discreta nel contesto urbano (oggi non più tanto “discreta”, per via d’una discutibile tinteggiatura), per non alterare l’equilibrata armonia di un’arteria viaria che reca l’impronta inconfondibile dell’epoca neoclassica.
Sangirardi ebbe inoltre il ruolo di Presidente dell’Ordine degli Architetti di Puglia (1960-71). In tale veste, intervenne in numerose questioni di vitale importanza per la nostra città, proponendo soluzioni di questioni annose e, a distanza di mezzo secolo, ancora attuali: basti pensare al problema della Stazione Ferroviaria, il cui spostamento – già proposto negli anni ’30 dal Piano Regolatore dall’architetto Concezio Petrucci – è argomento all’ordine del giorno. Nel frattempo, sia Petrucci che Sangirardi sono passati a miglior vita, ma la Stazione è ancora lì dove è sempre stata: sobrio e schietto fabbricato neoclassico (con accenti floreali nella pensilina), monumento all’immobilismo delle amministrazioni che si sono succedute.
Vito Sangirardi non è stato affatto ignorato dalla critica (tra i numerosi contributi, si ricordino quelli di Nicola Signorile e Francesco Paolo Gismondi), ma è figura sinora ignota al pubblico “non specialista”: auspichiamo che questo libro possa incontrare il favore del grande pubblico, coniugando il rigore della documentazione storica alla ricchezza dell’apparato iconografico. Un apparato iconografico che non è semplice corredo al testo, ma che costituisce altresì la ragion d’essere di questo libro, che si presenta come un vero e proprio “album” dei disegni di questo grande maestro dell’architettura barese. Siamo certi che non deluderà questa aspettativa, e per questo dobbiamo ringraziare i fautori di questa lodevole iniziativa: Michele, Nicla, Teresa, Germano Sangirardi, i quali non soltanto hanno conservato una preziosa eredità, ma l’hanno generosamente messa a disposizione di tutti; l’Editore Luigi Bramato, che ha saputo cogliere questa opportunità traducendola in un raffinato prodotto editoriale; la prof.ssa arch. Antonella Calderazzi, docente del Politecnico di Bari, che ne ha scritta la prefazione.

Vito Sangirardi 8 Marzo 2005

Vito Sangirardi / Bari
di Francesco Gismondi, Emanuela Sorbo
fotografie di Alberto Muciaccia

Sangirardi nasce a Palo del Colle il 2 novembre del 1909. Nel 1930 si trasferisce a Napoli per iscriversi all’Accademia di Belle Arti, dove consegue il diploma con la specializzazione in pittura. In seguito, nel 1934, si iscrive alla facoltà di architettura della Reale Università ottenendo, nel 1939, il titolo di Architetto. Svolge la professione nella sua regione d’origine, con particolare attenzione alle vicende che interessano il territorio di Bari, anche ricoprendo per un lungo periodo la carica di presidente dell’ordine provinciale.
Muore nel 1999 dopo un’intensa attività professionale che lo ha visto impegnato nella realizzazione di diverse tipologie edilizie. Con grande duttilità ed unitarietà di espressione, Sangirardi passa dalla realizzazione di istituti religiosi, a edifici per abitazione plurifamiliari, da ville a fabbricati per uffici, da ospedali a padiglioni fieristici.
In tutti gli aspetti, progettuali e realizzativi, la sua opera è contraddistinta dalla ricerca di un
linguaggio architettonico basato sull’approfondimento del progetto sino al dettaglio più minuto: i suoi manufatti si riconoscono e apprezzano a una percezione ravvicinata che ne evidenzia la qualità consentendo di scoprire la notevole quantità di invenzioni messe in atto per risolvere ogni accostamento di materiale e composizione di piani e di volumi …
Emanuela Sorbo
Nel caso di Palazzo Sylos Labini il fronte di via Marchese di Montrone, come anche il fronte su via Abate Gimma, conservano l’allineamento del Quartiere Murattiano, dimostrando una eguale cura nella composizione e nella ricchezza di particolari. Il loro incontro nell’angolo avviene attraverso un alternarsi di logge e balconi di forma poligonale: i due pieni dei fronti si smaterializzano rompendo la loro linearità e corporeità attraverso un’operazione di parziale svuotamento, arricchita da un disegno singolare di andamento poligonale che rimanda alla curvatura di un’unica linea di fronte. La soluzione, conservando l’idea di compattezza dei palazzi ottocenteschi, ha il pregio di non rompere la continuità del fronte e di garantire organicità alla composizione che pure nella ricchezza delle singole parti non rompe l’unità del sistema.
L’operazione di parziale svuotamento dell’angolo è sottolineata attraverso un espediente tecnico: le ringhiere non si fermano alla linea di estradosso dei solai ma continuano, creando una veletta di copertura del piano sottostante contrassegnato dal pieno del parapetto della loggia. L’alternarsi di pieno e vuoto in verticale, il vuoto delle ringhiere e il pieno dei parapetti delle logge, è basato su proporzioni raddoppiate: la stessa logica architettonica è
riproposta ogni due piani, come se due soluzioni architettoniche, distinte, fossero alternate in sfalsamento di un piano; ciò consente di articolare l’angolo e ottenere una impressione di slancio, ordine e leggerezza della composizione, confermando tuttavia l’idea di unitarietà e compattezza dell’intero sistema

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