ALBINO VITO

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ALBINO VITO

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Bari 10 settembre 1957

Professore al Politecnico di Bari, Dal 2003 al 2009 è Direttore del Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Gestionale del Politecnico di Bari, presidente dell’Agenzia Regionale per la Tecnologia e l’Innovazione (ARTI) della Regione Puglia.

Nel 1982 si è laureato con lode in Ingegneria Meccanica presso l’Università di Bari. Dal  1986 è stato per un anno come visiting scholar presso la University of Cincinnati (OH, USA) e per l’anno successivo come  visiting professor presso la University of South Florida a Tampa (FL, USA).

Dal Novembre 1995 all’Ottobre 1998 è stato componente del Comitato scientifico di “Tecnopolis-Csata Novus Ortus”, primo Parco Scientifico e Tecnologico italiano.

Dal 2000 è professore ordinario di Ingegneria economico-gestionale presso il Politecnico di Bari. È fondatore e responsabile scientifico del Laboratorio di Knowledge Management del Politecnico di Bari.

Dal 2003 al 2009 è Direttore del Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Gestionale del Politecnico di Bari.

Nel 2003 è componente del Comitato scientifico del MIUR per l’internazionalizzazione del sistema universitario italiano. Dal 2003 al 2005 è esperto dell’Unione Europea nell’area Innovative Environment per il progetto Information Society Network (URBACT Programme). Dal 2007 al 2009 è presidente dell’Associazione italiana di Ingegneria Gestionale.

Nel 2010 è co-direttore del corso “Sustainable Strategies and Operations” alla Columbia Business School (NY, USA).

Dal 2011 è componente del Consiglio di Territorio Sud Continentale di UniCredit.

Dall’Ottobre 2012 al Settembre 2013 è prorettore delegato per l’Industrial Liaison Office del Politecnico di Bari.  Dal Dicembre 2013 al Settembre 2019 è prorettore delegato per la ricerca e il trasferimento tecnologico del Politecnico di Bari.

Dall’Agosto 2014 al Dicembre 2016 è presidente del Distretto tecnologico pugliese della meccatronica (MEDIS). Dall’Agosto 2016 al Maggio 2019 è commissario straordinario per l’Agenzia Regionale per la Tecnologia e l’Innovazione (ARTI) della Regione Puglia.

Dal Maggio 2019 è componente del Management Board di NEREUS (Network of European Regions Using Space Technologies).

Dal Giugno 2019 è presidente dell’Agenzia Regionale per la Tecnologia e l’Innovazione (ARTI) della Regione Puglia.

 

Attività scientifica

 

È responsabile scientifico di numerosi progetti di ricerca nazionali e internazionali.

È valutatore di progetti per numerose istituzionali nazionali e internazionali tra cui: Austrian Science Fund (FWF), Chilean National Science and Technology Commission (CONICYT), Social Sciences and Humanities Research Council of Canada, Swiss National Science Foundation.

È referee di numerose riviste internazionali tra cui: International Journal of Production Economics, International Journal of Production Research, International Journal of Technology and Globalization, Economic Systems Research, Journal of Applied Input-Output Analysis, Omega. The International Journal of Management Science, Energy, Journal of Cleaner Production, Technology Forecasting and Social Change, Philosophy and Technology, Industrial Marketing Management.

È chairman e co-organizzatore di numerosi convegni nazionali e internazionali.

Svolge attività di ricerca e seminari presso numerose università italiane e straniere tra cui la University of Cincinnati (OH, USA), il Massachusetts Institute of Technology (MA, USA), la Syracuse University (NY, USA), la Columbia University (NY, USA), la New York University (NY, USA), la University of South Florida a Tampa (FL, USA), la Keele University (UK), l’INSA (Lyon, F) e la VIA University College a Horsens (DK).

È autore di oltre 150 pubblicazioni di cui più di 60 su rivista internazionale con referaggio, nonchè co-editor/autore di libri internazionali tra cui l’ultimo “Corporate Sustainability” edito da Springer.

Interessi scientifici riguardano la gestione dell’innovazione, con particolare riferimento alle dinamiche relazionali tra imprese, e lo sviluppo sostenibile di sistemi di imprese a base territoriale. Si interessa più recentemente delle dinamiche di innovazione della space economy e del loro impatto su sistemi economici territoriali.

ALBINO VITO

Cultura politecnica e sviluppo industriale in Puglia (estratto)

 

Lo sviluppo industriale in Puglia

Lo sviluppo di attività industriali in Puglia si è manifestato con ritardo rispetto al resto del Paese e delle aree più avanzate del Mezzogiorno. Le principali motivazioni di tale ritardo risiedono nella specificità della realtà pugliese caratterizzata prevalentemente dalla presenza di un’economia di terra a cui solo in epoca moderna e contemporanea si è andata affiancando un’economia di mare35. Entrambe queste economie hanno espresso nel tempo, in forma sempre più evoluta e compiuta, attività industriali di servizio che, pur radicandosi nel territorio, non hanno acquisito nella generalità dei casi una forza economica e imprenditoriale autonoma.

Lo sviluppo delle trasformazioni produttive dei beni agricoli e delle attività cantieristiche per la realizzazione e manutenzione delle flotte di pescherecci sono alcuni esempi del processo di industrializzazione che caratterizzò l’economia pugliese tra l’Ottocento e il Novecento. L’industria presentò, comunque, prevalentemente quella funzione ancillare anche perché «il timore del nuovo, unito alla cultura e alla mentalità fortemente conservatrice del mondo contadino, consentiva di introdurre e applicare i nuovi processi produttivi solo se indispensabili e solo al settore che meglio si conosceva».

Anche le istituzioni pubbliche, in modo coerente con la generale arretratezza culturale del territorio, hanno contribuito a rallentare i processi di sviluppo industriale privando le iniziative imprenditoriali di quel sostegno pubblico prezioso non solo in termini economici.

Nella seconda metà dell’Ottocento, comunque, alle attività «di terra » e «di mare» si incominciavano ad affiancare differenti iniziative industriali che mostravano i primi caratteri di sviluppo indipendente dai settori tradizionali anche se spesso a esse asservite e con capitali non pugliesi. Le prime forme di industrializzazione diffusa furono sostenute anche dalla presenza di un sistema portuale, che contribuì a rafforzare le relazioni con i Paesi dell’Adriatico orientale, dei Balcani e del Mediterraneo aprendo nuove opportunità di mercato, e dall’apertura, nel 1865, della ferrovia Bari–Taranto che contribuì a spostare da Napoli a Bari alcuni flussi commerciali con la Calabria.

A Bari si svilupparono officine meccaniche, stabilimenti per l’estrazione dell’olio, fabbriche di cera, di mobili, di pasta andando così a costituire un iniziale connotato industriale della città. La principale industria del capoluogo pugliese fu lo «Stabilimento metallurgico Guglielmo Lindermann» che, sorto nel 1836 nella zona murattiana e denominato genericamente «fabbrica di macchine di ferro», in realtà aveva industrializzato le tecniche di spremitura meccanica e filtraggio dell’olio inventate da Pierre Ravanas.

Sempre nell’area barese si localizzavano aziende per la produzione di sapone, cera e olio al solfuro come la “Société Nouvelle des Huileries et SavonneriesMéridionales” che arrivò ad occupare 300 operai. Si osservi che l’utilizzo del solfuro di carbonio consentiva di generare dalle sanse olii residuali utili per la produzione di saponi e di altri beni rappresentando così anche i prodromi di un’industria chimica.

Né va infine trascurata la costituzione nel 1876 della società di navigazione a vapore “Puglia” a opera di un gruppo di commercianti baresi e stranieri, ma comunque residenti a Bari, che consentì di sviluppare l’attività mercantile in particolare nel commercio all’ingrosso e nell’import–export.

Nei cosiddetti tre lustri d’oro (1872–1887) anche il sistema creditizio locale si andò rafforzando grazie alla presenza di banche private baresi, successivamente purtroppo messe in crisi dalla guerra tariffaria con la Francia. Pur in presenza di tali attività economiche, la Camera di Commercio comunque individuò la debolezza dello sviluppo industriale non solo nell’assenza di capitali, ma anche nella carenza di conoscenze tecniche e nella mancanza di incoraggiamento, da parte del Governo, alle latenti capacità imprenditoriali.

Un successivo impulso all’economia, destinato a lasciare una traccia anche nel processo di formazione di una cultura politecnica, si ebbe poi agli inizi del Novecento con l’elettrificazione della regione, con la realizzazione dell’imponente opera dell’Acquedotto Pugliese e con una sostenuta crescita del settore delle costruzioni edili.

In particolare, è interessante soffermarsi sull’Acquedotto Pugliese per i differenti risvolti che l’intrapresa ha assunto sullo sviluppo dell’economia pugliese e sulla formazione della cultura politecnica pugliese.

Nel 1868, in seguito alla pubblicazione, da parte della Provincia di Bari, di un bando per un concorso avente come tema la conduttura delle acque nel territorio, furono presentati numerosi progetti tra cui quello dell’ingegnere Camillo Rosalba. Questi propose l’adduzione delle acque a mezzo di una grande condotta in traforo dalle sorgenti di Caposele fino a Conza per superare lo spartiacque del Tirreno, e di un canale lungo la sponda dell’Ofanto verso Andria per servire la sponda adriatica da Corato fino a Brindisi. Il progetto non fu selezionato, ma generò negli anni un dibattito e un movimento di opinione crescente centrato sulla necessità di fornire acqua potabile alla Puglia. Nel 1904 venne indetta una gara, a livello internazionale, cui parteciparono cinque ditte italiane e altrettante europee e fu la «Società anonima italiana Ercole Antico e soci concessionaria dell’Acquedotto Pugliese» ad aggiudicarsi l’esecuzione dell’opera, per un importo di 125 milioni di lire.

Il relativo contratto venne sottoscritto nel luglio 1905 mentre i lavori iniziarono nel 1906. L’acqua arrivò a Bari il 24 aprile 1915 e si avviò così un processo di civilizzazione straordinario per l’intera regione.

Il Regio Decreto n. 2060 del 1919, convertito nella Legge 23 settembre 1920 n. 1365, istituì con sede a Bari un “Ente Autonomo per la costruzione, manutenzione ed esercizio dell’Acquedotto Pugliese”.

Alle semplici prerogative della costruzione, manutenzione ed esercizio perpetuo dell’Acquedotto Pugliese si aggiunsero: la costruzione delle condotte interne; il completamento delle opere di rimboschimento del bacino del Sele; la manutenzione di tali opere; la costruzione delle fognature; il collegamento di edifici pubblici alle condutture d’acqua e fognarie; il coordinamento dei piani regolatori con le esigenze di costruzione e funzionamento delle condotte d’acqua e fognarie; le opere di irrigazione; la costruzione di case popolari e borgate rurali; il risanamento di quartieri e abitazioni insalubri.

Nel decennio compreso dal 1931 al 1941 si dette luogo al completamento generale delle diramazioni e subdiramazioni suburbane e urbane.

Nel 1938, con Decreto Legge, vennero affidati all’Ente Autonomo Acquedotto Pugliese la costruzione e la gestione delle fognature nei comuni serviti dall’acquedotto stesso.

Questa importantissima e strategica opera per la Puglia fu anche una straordinaria avventura culturale che introdusse nella società pugliese forse la più efficace immagine di quale ruolo potesse avere la tecnica per lo sviluppo. Essa rappresentò anche, nella complessità delle interazioni con il sistema politico ed economico, un formidabile contributo alla crescita di una cultura politecnica in Puglia. Negli anni fu un grande laboratorio di esperienze tecniche e imprenditoriali oltre che il primo fondamentale evento postrisorgimentale della regione pugliese.

Altra istituzione, che ha avuto un importante ruolo nell’industrializzazione della Puglia, è stato l’Arsenale Militare Marittimo di Taranto. La sua costruzione fu ritenuta necessaria dopo l’Unità Nazionale da molti politici preoccupati per la Difesa del versante Adriatico e della posizione dell’Italia nel Mediterraneo, e fu decisa dal Parlamento con la legge n. 833 del 29 giugno 1882.

I lavori iniziarono nel settembre 1883 con la costruzione di un canale di comunicazione, fra la rada (mar Grande) e il mar Piccolo, un muro di cinta (lato est), un bacino di raddobbo (il Principe di Napoli), capace di ricevere le più grandi navi da guerra, uno scalo di costruzione, le officine occorrenti per il bacino e lo scalo, un magazzino per i viveri e due grandi cisterne d’acqua, una gru idraulica da 160 t ed un ponte girevole40. Il 21 agosto 1889 l’Arsenale fu inaugurato alla presenza del re Umberto I. L’Arsenale Militare Marittimo, progettato anche per la costruzione di navi, il 14 marzo 1894 avviò la produzione della sua prima unità da guerra, l’ariete–torpediniere “Puglia”, varata il 22 settembre 1898. Come per l’Acquedotto, la rilevanza dell’Arsenale dal punto di vista sia tecnico che sociale ed economico, sebbene ridotta dalla chiusura nel 1967 dell’attività di costruzione di navi, contribuì in modo determinante alla formazione e alla diffusione di una cultura politecnica nella regione.

Il radicamento sul territorio di tale istituzione, pur non così esteso come nel caso dell’Acquedotto Pugliese, contribuì sicuramente ad avvicinare la società pugliese all’idea che il progresso tecnico potesse svolgere un ruolo trainante per lo sviluppo regionale42, oltre che per la sicurezza della nazione. È, comunque, all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, che si osservò in Puglia un più deciso cambiamento attraverso una politica di sviluppo industriale innescato e sollecitato dai finanziamenti della Cassa per il Mezzogiorno. In realtà, si è trattato di una sorta di industrializzazione passiva con la realizzazione di grandi impianti di imprese statali concentrati in alcune aree di più conveniente localizzazione (Manfredonia, Bari, Brindisi, Taranto).

Verso la fine degli anni ’50, fu decisa la costruzione a Taranto del IV Centro Siderurgico Italsider. Inaugurato dal presidente della repubblica Giuseppe Saragat nel 1965, costituisce tuttora uno dei

maggiori complessi industriali per la lavorazione dell’acciaio in Europa e fu dotato di una moderna struttura specializzata nello sbarco di materie prime e nell’imbarco dei prodotti finiti. A partire da quegli anni, la presenza delle attività siderurgiche dette impulso all’economia

locale e contribuì allo sviluppo delle numerose attività industriali e di servizio a esso collegate.

Taranto si trasformò in un’importante città industriale, ma l’industrializzazione comportò la cementificazione del territorio, un elevato inquinamento atmosferico con conseguente

impatto negativo sulla salute dei cittadini, nonché alterazione delle caratteristiche ambientali ed ecologiche del Mar Piccolo e degrado dei quartieri della città a ridosso della zona industriale. Nel corso degli anni ‘80, la crisi mondiale della siderurgia e l’avvento di nuovi materiali, condusse il gruppo siderurgico verso un inesorabile declino, sfociato nella sua privatizzazione (ILVA) avvenuta nel 1995.

Con una superficie di 15 milioni di metri quadri, con al suo interno 200 km di binari ferroviari, 50 km di strade, 190 km di nastri trasportatori, cinque altoforni e cinque convertitori, il complesso siderurgico di Taranto rappresenta oggi il più rilevante riferimento industriale nella regione.

Sempre nell’ambito di un’industrializzazione per poli di sviluppo, nel 1971 a Manfredonia fu realizzato lo stabilimento del Petrolchimico Anic (Enichem Syndial), per la produzione di fertilizzanti. Insediato a ridosso di un litorale dal notevole interesse naturalistico, oltre che di un ormai grande centro abitato, l’impianto industriale ha determinato negli anni numerosi problemi ambientali e sanitari a causa di vari incidenti (fughe di arsenico e di ammoniaca) che hanno rapidamente portato allo smantellamento degli impianti e ad un processo di riconversione dell’area industriale.

Altro polo industriale nel settore della chimica fu costituito a Brindisi dalla Montecatini con un investimento di 180 miliardi di lire, occupando oltre 800 ettari di terreno agricolo e 3800 addetti. La Montecatini eseguì anche la costruzione di buona parte delle infrastrutture necessarie

al funzionamento del Petrolchimico (strade, ferrovie, acquedotto industriale, ecc.), il cui costo fu essenzialmente sostenuto dallo Stato. I lavori ebbero inizio nel gennaio del 1960 e il primo scarico di petrolio avvenne il 16 marzo 1962. L’impianto, producendo polipropilene, polietilene, elastomeri, polimeri per fibre sintetiche, aldeidi, alcoli e solventi organici, quali derivati del petrolio, avrebbe dovuto sviluppare un indotto per produzioni a elevato valore aggiunto, ma la maggior parte di esso fu costituito solo da aziende di servizi strettamente dipendenti dal funzionamento dell’impianto chimico di base.

Questi pochi, ma importanti, esempi consentono di dimostrare come gli insediamenti di industrie di base a capitale statale sia stato ispirato, secondo la logica dei poli di sviluppo, dalla prevalente necessità di creazione di occupazione e di un indotto locale di imprese fornitrici. È forse ancora presto per redigere un bilancio globale, ma sicuramente nella storia industriale della regione tali insediamenti, pur costituendone fondamentali pietre miliari e pur avendo contribuito alla formazione di una cultura industriale nella regione e alla nascita di facoltà universitarie tecniche, non hanno generato quello stimolo atteso per la nascita di un’imprenditorialità locale e hanno determinato alti costi ambientali.

Evidenze e orientamenti futuri

Dal quadro appena tracciato si tenta, per concludere, di rimarcare alcune evidenze e di avanzare alcuni orientamenti per il futuro di una cultura politecnica in Puglia.

Innanzitutto, la cultura politecnica vive di una profonda simbiosi tra mondo accademico, imprenditoriale, politico e sociale.

Pertanto, alcune caratteristiche strutturali del Paese, quali la dimensione delle imprese, la loro specializzazione produttiva, una ricorrente (si direbbe anche endemica) ristrettezza di risorse pubbliche, o una ancora prevalente tradizione umanistica tendono a indebolire il processo di crescita e di rafforzamento di tale cultura.

Nel Mezzogiorno, in particolare, come ben evidenziato nell’importante contributo di Lacaita, i grandi progetti di ammodernamento e di infrastrutturazione del Paese sono stati i propulsori di uno sviluppo di competenze specialistiche attorno a cui si è creata e irrobustita una cultura politecnica.

La vocazione pugliese per tale cultura è infatti emersa quale aspirazione a un processo di incivilimento e di miglioramento delle condizioni di vita della società, nonché quale sostegno alle attività commerciali e all’apertura di nuove opportunità nei confronti delle aree balcaniche e, più in generale, del bacino orientale del Mediterraneo.

Attualmente essa risente della presenza delle grandi opere pubbliche nonché di grandi impianti produttivi, quasi sempre guidati da capitali e management esterni alla regione se non alla nazione.

Ciò tende a sminuire il ruolo autentico e propulsivo della cultura politecnica, più orientata oggi a formare giovani e offrire servizi che a proporsi quale forza culturale in grado di generare o sostenere imprenditorialità locale.

Il ruolo delle istituzioni pubbliche è ancora rilevante in relazione alle azioni di gestione dei patrimoni pubblici e del territorio in senso lato. Solo recentemente le istituzioni pubbliche locali hanno avviato una più intensa politica di incentivazione e sostegno per la creazione di imprese.

Vi sono segni di un’iniziale vivacità imprenditoriale, ma servono adeguate politiche di sostegno per compensare lo stato di arretratezza infrastrutturale e di servizi, quantomeno rispetto alle regioni più avanzate del Paese.

Grandi progetti di miglioramento infrastrutturale per la Puglia possono offrire un contributo importante e possono tracciare importanti direttrici di sviluppo delle competenze tecniche. Si pensi, ad esempio, alla diffusione e uso della banda larga e del cloud computing, all’integrazione dei sistemi logistici e infrastrutturali di trasporto, alla creazione di filiere per le energie rinnovabili, a sistemi avanzati per trasformare i rifiuti in risorse, alla tutela e alla valorizzazione dei paesaggi e del costruito.

Una nuova organizzazione della ricerca, combinata con una nuova organizzazione dell’economia, è però necessaria per consentire alla cultura politecnica di incarnarsi pienamente nello sviluppo della

regione. Ciò potrebbe corrispondere non solo a un ridisegno della geometria delle istituzioni accademiche, ma anche a forme nuove di collaborazione, anche con le imprese, fortemente orientate su grandi progetti di utilità per la regione.

Nello sfondo occorre infine evidenziare alcune trasformazioni fondamentali con cui si dovrà fare i conti nel futuro. Innanzitutto sarà sempre più vera l’affermazione di Giuseppe Colombo, riportata da Lacaita, che senza il sussidio dell’elemento scientifico sarà preclusa la via a qualunque miglioramento e che le trasformazioni tecnologiche in atto altrove sarebbero realizzabili anche in Italia con il sostegno delle competenze necessarie.

Nuovi modi di produrre conoscenza andranno lentamente, ma sempre più velocemente, rimpiazzando i vecchi modi in molti settori economici. Occorre prepararsi a nuove forme di integrazione culturale e di competenze che la cultura politecnica potrebbe essere in grado di attuare quanto meno per sua naturale vocazione.

Infine, prendendo atto del continuo mutamento del quadro interpretativo della realtà che ci circonda, il pensiero e la pratica politecnica oggi si orientano verso il superamento dei vincoli e dei modelli prefissati delle discipline, verso la negazione di ogni atteggiamento di chiusura per aprirsi alla possibilità di riarticolare il mondo delle idee. Così intese, la scienza e la tecnica, soprattutto nei loro percorsi di ricerca, diventano maggiormente partecipi dei bisogni collettivi e dimostrano di condividere in modo maturo ed esplicito la preoccupazione per le sfide inedite che si propongono, stimolando la percezione di nuove realtà possibili, promuovendo una più adeguata integrazione di esperienze conoscitive, ricomponendo i saperi parcellizzati in una visione unitaria, con la finalità di consolidare una cultura pubblica utile e capace di mettersi alla prova con le inevitabili scelte collettive.

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