BIASCO ATTILIO

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BIASCO ATTILIO

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L’agronomo ambulante

Quasi certamente un viaggiatore un po’ più accorto della media che si trovi a visitare Lecce noterà i superbi esemplari di quercia Vallonea piantati nei pressi dell’attuale Camera di Commercio, tra i non moltissimi ancora superstiti nell’area del capoluogo. Quello che l’osservatore non potrà invece sapere (e che del resto buona parte degli stessi leccesi ignora) è che quegli alberi sono scampati alla distruzione dell’Orto Botanico, di cui facevano parte, operata nel 1929 in occasione della costruzione della locale “Casa del Fascio”. Li salvò il Prof. Attilio Biasco, uno dei più famosi agronomi pugliesi della prima metà del Novecento.

Nacque a Presicce, in provincia di Lecce, il 27 giugno 1882; la sua formazione scolastica si svolse all’Istituto Tecnico “Oronzio Gabriele Costa” di Lecce, in un momento piuttosto fervido della storia della città. Nel periodo postunitario (e in particolare nel ventennio 1895-1915) Lecce conobbe infatti un particolare sviluppo: mentre si realizzavano numerose opere pubbliche e l’area urbanizzata si espandeva oltre le mura aragonesi, studiosi di grande valore promuovevano ricerche in diversi campi del sapere, ma tutte ugualmente mirate alla riscoperta del territorio salentino e al miglioramento delle condizioni di vita dei suoi abitanti. L’Istituto Tecnico era allora considerato uno dei simboli della diffusione di questa cultura “positivistica”; negli anni in cui vi studiò Biasco vi insegnava tra l’altro Cosimo De Giorgi. Questa atmosfera culturale influì sicuramente sul futuro agronomo, i cui successivi interessi di studio sarebbero sempre stati connessi con i problemi del territorio.

Dopo il diploma, Biasco frequentò i corsi della Regia Scuola Superiore di Agricoltura di Portici, dove si laureò nel 1906 discutendo una tesi di laurea in Botanica sulla Filogenesi del Mandorlo e una tesina in Arboricoltura sulla Olivicoltura nel basso leccese; nei tre anni successivi rimase presso l’istituto, prendendo parte all’attività didattica e di ricerca e occupandosi della cura dell’Orto Botanico.
Nel 1909 ebbe la possibilità di ritornare in Salento, al quale era rimasto fortemente legato, in qualità di reggente della Sezione Circondariale della Cattedra ambulante di Agricoltura del Capo di Leuca, con sede a Tricase; quindi dal ’15 al ’23 fu insegnante di Estimo rurale, Agraria e Contabilità agraria presso lo stesso istituto in cui aveva conseguito il diploma; nel ’23, vinto regolare concorso, diventò direttore della Cattedra ambulante Provinciale di Agricoltura, che in seguito (a partire dal 1937) sarebbe diventata Ispettorato Provinciale per l’Agricoltura e di cui egli sarebbe rimasto alla guida per 25 anni. Attilio Biasco assumeva il timone dell’importante struttura in un periodo in cui nelle campagne italiane si avvertivano ancora gli effetti nefasti della Grande Guerra; il compito di risanamento e modernizzazione della produzione agricola della provincia era reso ancora più difficile dall’estensione della stessa, che comprendeva anche i territori di Taranto e Brindisi (costituiti in province autonome rispettivamente nel 1923 e nel 1927).

Furono questi gli anni più intensi della vita di Biasco, il quale, attorniato da un gruppo di fedelissimi e instancabili collaboratori, si lanciò con entusiasmo nel compito di modernizzare l’agricoltura salentina, dimostrando di possedere, insieme ad una solida preparazione scientifica, la tempra del funzionario pubblico onnipresente ed energico: e non è esagerato affermare che gli effetti del suo operato sono tuttora visibili nelle campagne salentine. Durante la sua reggenza la Cattedra per l’Agricoltura (poi Ispettorato) incentivò la meccanizzazione dell’agricoltura, favorendo la diffusione tra i contadini di trattori e altri mezzi a motore; favorì lo sfruttamento delle vene d’acqua sotterranee, tramite l’acquisizione di trivelle e l’impianto di opere di sollevamento e di conduttura; promosse la costituzione di due Consorzi di Bonifica (quello dell’Arneo e quello di Ugento), la cui opera ha contribuito a rendere coltivabili aree precedentemente occupate da paludi.
Nello svolgimento del suo ufficio di funzionario “in prima linea” Biasco non mise da parte la formazione di scienziato: molte delle pratiche colturali innovative messe in atto proprio in quegli anni si basavano su studi ed esperimenti da lui stesso condotti. Per esempio, la disposizione per filari tipica degli oliveti moderni, in cui le piante sono relativamente distanti le une dalle altre, fu fortemente caldeggiata in uno studio di Biasco (Sulla distanza degli alberi negli oliveti leccesi, 1908): egli dimostrava, anche sulla scorta di osservazioni fatte da autori precedenti, come la vicinanza eccessiva tra un albero e l’altro ostacolasse il corretto svolgimento del processo di fotosintesi clorofilliana nelle piante più basse e con la chioma meno folta, con effetti negativi sulla produttività dell’intero oliveto.

Biasco fu anche un sostenitore “scientifico” della concimazione: fu il primo a dimostrare l’efficacia della farina di semi di lupino come fertilizzante per l’olivo, soprattutto se associata a percentuali di concimi di origine minerale. Tali pratiche erano già diffuse a livello empirico tra i contadini del Salento, anche se non in maniera sistematica; la grande innovazione di Biasco consistette dunque nell’aver sottoposto la pratica ad una osservazione rigorosamente scientifica, effettuando diverse prove sperimentali in un oliveto nell’agro di Calimera, che fu diviso in parcelle, ognuna delle quali sottoposta ad un diverso tipo di concimazione. Più in generale, si può dire che Biasco sottopose a vaglio critico e scientifico quasi tutte le pratiche agricole in uso: dal sovescio, all’uso di bruciare le stoppie, alla consociazione tra olivo e culture erbacee nello stesso campo. I risultati dei suoi studi furono per lo più divulgati tramite il periodico «L’Agricoltura Salentina», di cui egli fu direttore. Furono però soprattutto diffusi tra gli agricoltori tramite i numerosi corsi di formazione ad essi destinati, promossi dalla Cattedra di Agricoltura nel periodo in cui Biasco fu direttore. Morì a Lecce il 4 giugno 1959.

La produzione scientifica e divulgativa di Attilio Biasco è enorme: tra monografie e articoli si contano più di 90 titoli. È pertanto impossibile citarli o recensirli tutti: si possono però individuare alcuni filoni principali d’interesse. Un primo ambito di ricerca è sicuramente quello della botanica “pura”, intendendo con questo lo studio morfologico di alcune specie vegetali. A questo ambito di ricerca appartiene il suo lavoro sul mandorlo (Filogenesi e sistemazione di molte varietà italiane di Mandorlo, 1908) in cui l’autore individua nel mandorlo amaro la forma originale della specie, successivamente modificata nella forma dolce per pratiche colturali. In questo stesso studio l’autore propone una classificazione delle varietà dell’albero basata sulla forma del frutto (e distinguendo quindi le varietà in cilindroidi, sferoidi e amigdaloidi), che è quella tuttora in uso tra gli studiosi.

Al filone degli studi “prettamente botanici” si possono ancora ascrivere, oltre che alcuni studi finalizzati all’impiego didattico nelle università (Lezioni di botanica agraria e Quadri sinottici di morfologia vegetale, entrambe le opere del 1908), diversi scritti su malattie tipiche di alcune specie di piante, quali quelli sulla “brusca” nell’olivo e nel mandorlo e sul “roncet” della vite nonché una serie di articoli e monografie su specie vegetali, quali l’asparago, la senape, la veccia. Tra tali lavori spicca una bella monografia sulla quercia Vallonea, un albero” simbolo” dell’area leccese.

Un congruo numero di pubblicazioni ha un carattere più spiccatamente rivolto a questioni di ordine colturale; tra esse i numerosi articoli relativi all’uso di concimi o ai problemi di coltura di vite e tabacco. Particolarmente importante è una pubblicazione (Sulla improduttività degli oliveti. Cause e rimedi, 1915) dedicata alle cause della scarsa produttività di alcuni oliveti del Salento: l’autore punta il dito contro le errate pratiche di lavorazione del terreno, che, eseguite in maniera profonda e in periodo primaverile-estivo, tendono a danneggiare le radici degli alberi, quasi sempre piuttosto superficiali a causa dei sistemi di propagazione adottati dai contadini salentini. Le soluzioni proposte (la messa in opera di arature profonde d’inverno per creare un ambiente adatto allo sviluppo delle radici, seguite da lavori superficiali d’estate), insieme all’analisi dei metodi migliori di concimazione e potatura valsero a Biasco il titolo di “padre” della moderna olivicoltura salentina.
Un terzo ambito di studi, strettamente connesso al precedente, è quello dedicato ai problemi di irrigazione e di sfruttamento delle acque sotterranee; una tematica che dovette interessare particolarmente Biasco, al punto che giunse a servirsi (come riferisce il Moscardini, in un suo commosso ricordo del maestro), nel corso delle sue peregrinazioni salentine, dei servigi di un rabdomante emiliano.
Bisogna infine ricordare un filone di studi minore, ma non per questo meno interessante: quello della storia della agricoltura salentina. Al margine degli studi “scientifici”, Biasco coltivò infatti un certo interesse per la storia agraria locale, che espresse in alcuni articoli ancora oggi di valida consultazione.

Giacomo D’Elia

Da Scienziati di Puglia (a cura di) Francesco Paolo De Ceglia, Adda Editore, 2007 pag. 465-467

Cenni bibliografici

Letteratura primaria:
L’olivicoltura nel basso leccese. Memoria Monografica, «Bollettino dell’Arboricoltura Italiana», III (1907).
Filogenesi e Sistemazione di molte varietà italiane di Mandorlo, «Annali della Regia Scuola Superiore di Portici», vol. VIII, serie II (1908).
La brusca nel Mandorlo e nell’Albicocco, «L’Agricoltura Salentina», VIII (1909) 13, pp. 201-4.
Lavori e concimi nel leccese, A. Lucani e C., Trifase 1909.
La quercia Vallonea, «L’Agricoltura Salentina», XI (1912) nn. 3-4-5-6.
Sulla improduttività degli oliveti. Cause e rimedi, «L’Agricoltura Salentina», XIV (1915) n. 6, pp. 162-75.
Progetto di massima per la trasformazione fondiaria dell’Arneo, R. Tipografia Salentina, Lecce 1932.
L’olivicoltura salentina attraverso i secoli, «Olivicol­tore», 12 (1937).

Letteratura secondaria:
Dormo G., In memoria del professor Attilio Biasco 1882-1959, Tipografia Sud, Bari 1969.
Danno G., Attilio Biasco studioso moderno dell’olivicoltura salentina, «Sallentum», 1-2 (gennaio-agosto 1979), pp. 140-81.
Moscardini M., Ricordo di Attilio Biasco, La Zagaglia, Lecce 1994, pp. 45-46.

https://www.giornaledipuglia.com/2016/09/genius-loci-erudito-e-gentiluomo.html

BIASCO ATTILIO
GENIUS LOCI. Erudito e gentiluomo, Attilio Biasco da Presicce

9/22/2016 06:30:00 PM Cultura e Spettacoli, Lecce

di FRANCESCO GRECO. PRESICCE (Le) – Erudito e gentiluomo. “Un gigante col cuore da bambino”. Diploma di geometra (al “Costa“ di Lecce), laurea in Scienze Agrarie a Portici (Napoli, luglio 1906) con i Maestri Orazio Comes e Luigi Savastano. “Spesso giovò bruciar lo steril campo”, (Virgilio, “Georgiche”). Genio totale, un dei più alti e nobili che il Sud abbia dato al mondo: un Leonardo declinato al “verde”, nato dalla terra, all’ombra degli ulivi, tra i filari della vite, del tabacco, gli asparagi, il cotone, i mandorli.
Uomo d’altri tempi, capace di rifiutare il regalo degli agrari: un pezzo di terra delle zone paludose che bonificava (1949) da Brindisi a Taranto e Lecce, da Gallipoli all’Arneo, fino al “Tallone”: Ugento, Otranto “per combattere il grave fenomeno della disoccupazione”. “Datele ai contadini – sorrideva – ne hanno più bisogno di me…”. Di offrire preziosi consigli su cultivar e trattamenti a costo zero. Erede di Pitagora, filosofava che la conoscenza è per gli altri, per la propria comunità, più che per se stessi.
“E dar le stoppie a crepitanti fiamme”, (Virgilio). A Lecce Attilio Biasco ha una via intitolata, un’altra a Presicce. Vi nacque il 27 giugno 1882, da Vincenzo e Addolorata, ci tornò per farsi seppellire il 4 giugno 1959. Le sue pubblicazioni sono negli archivi della FAO: sembrano scritte oggi, al tempo della xylella e del km zero.
Genius loci “visionario”, intuizioni folgoranti, in anticipo sui tempi: dal 1925 al 1932 condusse la “battaglia del grano”: portò la produzione da 9,5 a 32 quintali per Ha. Capì che occorreva portare l’acqua alla terra (1948) scavando i pozzi perché la falda era sotto i piedi (l’aveva capito 20 secoli prima Strabone), senza i poetici rabdomanti.
Introdusse le macchine sui campi per l’aratura (nel 1927-1928), combattè le malattie degli alberi: la “brusca” di albicocchi e mandorli, la fillossera della vite: anche a quel tempo c’era la concorrenza del vino “artefatto”, introdusse cultivar, scoprì nuove piante officinali e aromatiche, teorizzò l’importanza di azotare il terreno con la farina di lupini, nel 1958 cercò di reintrodurre il cotone.
Fece sua la lezione di Gioacchino Murat che nel 1815 aveva dato dei ”trogloditi” ai contadini meridionali, poi ripresa da Mussolini (“le ricche Puglie”). “Sia che così la terra occulte forze”, Virgilio. La sua azione illuminata spinse Terra d’Otranto (Lecce, Brindisi, Taranto, Matera) e il Mezzogiorno nei tempi moderni, in un’Italia essenzialmente contadina dove la terra era sopravvivenza.
Nel 1909 divenne reggente della cattedra ambulante di agricoltura nel Capo di Leuca, fino al 1915, quando fu prof. di ruolo di Estimo rurale e agrario al “Costa”. Nel 1937 ispettore provinciale dell’Agricoltura.
Era partito da Presicce, città dei frantoi e dell’olio, uscita dal feudalesimo sparando una schioppettata al nobile affacciato al balcone a guardare la sfilata delle maschere di Carnevale. Un giovane contadino sangue caldo, che aveva solo la terra delle dita, aveva appena sposato la bella del paese e non voleva sottostare allo jus primae noctis. Si mascherò e sparò a chi si credeva padrone della terra, del cielo, dell’acqua, della vita degli altri e della virtù delle loro femmine. Da allora gli abitanti furono chiamati “mascarani” (mascherati).
“E alimento novel da ciò ritragga”, Virgilio. Su Biasco era caduto il velo dell’oblio, ma l’associazione culturale “Prospettive” nella rassegna “Raccontami una storia” lo ha squarciato e la città, le nuove generazioni, si sono riappropriate di una figura polisemicamente ricca, vincente anche sotto l’aspetto pedagogico oggi che maestri non ce ne sono più e quelli rimasti sono spesso cattivi.
Nell’incantevole location dell’Orto Botanico di “Casa Turrita” (XVI secolo), la figura dell’agronomo è stata scansionata dai giornalisti Giancarlo Colella e Vito Stendardo, da Rosario Centonze (presidente Ordine Agronomi di Lecce), Massimo Alberizzi (giù inviato esteri “Corriere della Sera”, oggi direttore di www.africaexpress.it), gli agronomi Giancarlo Biasco (nipote) e Antonio Bruno, consigliere nazionale dell’Adaf.
Non fu un genio solitario ma un “uomo di squadra”. Per Rina Comes “era semplice, affezionato, e si faceva voler bene.” Altruista, a Portici aiutava gli allievi a preparare gli esami. Eclettico, curioso, era un grande osservatore, passava disinvolto da un ramo all’altro del sapere. Intuì, per dire, l’importanza dell’emocromo e battezzò come “leccese” una specie di gallina. Speculò sulla differenza fra cellina saracena e ogliarola, teorizzando una diversa coltivazione e concimazione, insegnò ai contadini l’importanza del sesto (la distanza) fra le piante: più luce più produzione. Capì che l’olio si poteva esportare. Censì le specie di fichi, studiò le querce vallonee. Incrementò la resa per Ha coltivato a grano, in un tempo in cui la fame era la condizione naturale e la terra non doveva soddisfare nicchie di golosi come oggi, ma folle sconfinate.
Pubblicò regolarmente il periodico “L’Agricoltura Salentina”. Fu avido di conoscenza, “dentro aveva un demone che doveva essere soddisfatto”. Candidato al Senato, collegio Gallipoli-Galatina, nel 1948, arrivò secondo. Cavaliere del Lavoro nel 1931, commendatore della Repubblica nel 1948.
Mite, onesto, quando i nipoti si affacciavano, domenica pomeriggio, nello studio, li accoglieva con un sorriso. Ora tocca ai posteri avvicinarsi alla ricchezza del suo pensiero e scagliarne la vasta ontologia nel XXI secolo corrotto dalla chimica, la xylella e tutti i virus evocati da apprendisti stregoni, i “cartelli” delle multinazionali che attentano al valore antico della biodiversità.

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