ROSSI SALVATORE

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ROSSI SALVATORE

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Direttore Generale della Banca d’Italia, economista, Presidente della TIM Spa.

Si è laureato in matematica all’Università di Bari nel 1975. Ha compiuto soggiorni di studio su temi economici presso il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e il Massachusetts Institute of Technology di Cambridge (MIT).
E’ stato assunto nel 1976 in Banca d’Italia. Assegnato prima all’Ufficio Vigilanza della Sede di Milano, poi al Servizio Studi nel 1979, è stato Capo del Servizio Studi dal 2000 al 2007. Dal 2007 al 2011, sempre per la Banca d’Italia è Segretario Generale per l’Economia, la Statistica e la Ricerca, Segretario Generale e Consigliere del Direttorio per i problemi della politica economica dal 2011 al 2012 e Vice Direttore Generale della Banca d’Italia dal gennaio 2012 al maggio 2013.
Dal 10 maggio 2013 al 9 maggio 2019, è stato Direttore Generale della Banca d’Italia e Presidente dell’Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni (IVASS). In questi anni ha fatto parte della delegazione italiana sia al G7 sia al G20.
E’ stato membro del Consiglio di amministrazione della Fondazione del Centro Internazionale di Studi Monetari e Bancari (ICMB) di Ginevra e del Consiglio direttivo dell’Einaudi Institute for Economics and Finance (EIEF). È stato anche membro dello Steering Committee del Fondo Strategico Italiano, del Consiglio di Presidenza della Società Italiana degli Economisti, dello Steering Committee dell’Eurosystem Information Technology e membro della Commissione per la garanzia della qualità dell’informazione statistica.
Da ottobre 2019 è Presidente del Consiglio di Amministrazione della Tim Spa. È Presidente del Comitato Sostenibilità e Strategie di Tim S.p.A., nonché Presidente della Fondazione TIM.
È attualmente membro dell’Istituto Affari Internazionali (IAI), del Consiglio di amministrazione della Fondazione Giovanni Agnelli, del Consiglio di amministrazione dell’Istituto Europeo di Oncologia, del Consiglio Direttivo di Assonime, del Consiglio Direttivo del Censis, del Consiglio di Amministrazione dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, dell’Advisory Board di Salini Impregilo/WeBuild, e Presidente del Comitato Investimenti FIA di Pramerica SGR S.p.A.. È Presidente della Federazione fra le Scuole Superiori Normale, Sant’Anna e IUSS, professore alla LUISS.
Nel 2013 ha fatto parte del “Gruppo di Lavoro in materia economico-sociale ed europea” (cosiddetto “Gruppo dei saggi”) istituito dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Ha tenuto corsi e seminari in varie sedi universitarie, in particolare presso l’Università di Roma “Tor Vergata” e l’Università di Bari “Aldo Moro”.
È autore di numerosi articoli, saggi e libri su temi di economia internazionale, politica e storia economica, economia industriale.
• La bilancia dei pagamenti. I conti con l’estero dell’Italia, la lira, i problemi dell’Unione monetaria europea, con Rainer S. Masera (Cedam 1993)
• Competere in Europa (a cura di, il Mulino 1993)
• La politica economica italiana 1968-1998 (Laterza 1998), di cui sono state realizzate nuove edizioni aggiornate nel 2000, 2003 e 2007. Con l’edizione del 2020 il titolo diviene La politica economica italiana dal 1968 a oggi.
• La nuova economia: i fatti dietro il mito (il Mulino 2003)
• La regina e il cavallo. Quattro mosse contro il declino (Laterza 2006), per il quale vince nel 2006 il premio Capalbio e nel 2007 il premio Canova
• Controtempo. L’Italia nella crisi mondiale (Laterza 2009).
• Processo alla finanza (Laterza 2013).
• Che cosa sa fare l’Italia, con Anna Giunta (Laterza 2017).
• Oro (il Mulino 2018)

SANT’ANNA MAGAZINE

NOMINATO IL NUOVO CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE DELLA FEDERAZIONE TRA NORMALE, SANT’ANNA E IUSS PAVIA. PRESIDENTE L’ECONOMISTA SALVATORE ROSSI. I RETTORI: “CONTRIBUTO DI GRANDI PERSONALITÀ PER LE NOSTRE STRATEGIE”

Si rinnova il Consiglio di Amministrazione della Federazione tra Scuola Normale, Scuola Sant’Anna e Scuola IUSS Pavia. Le tre istituzioni universitarie si avvarranno dell’esperienza dell’economista Salvatore Rossi, nominato dal Senato Accademico della Scuola Sant’Anna quale suo rappresentante, dell’avvocato Giuseppe Toscano, figura di primo piano del diritto amministrativo, nominato dal Senato Accademico della Scuola Normale e di Fabio Benasso, Presidente di Accenture Italia, membro confermato della Scuola IUSS Pavia.
Nell’ultima riunione del Consiglio di Amministrazione della Federazione, che si è svolta venerdì 27 settembre alla Scuola Sant’Anna di Pisa, Salvatore Rossi è stato nominato Presidente. Direttore Generale della Banca d’Italia e Presidente dell’Ivass (Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni) dal 2013 al 2019, Salvatore Rossi è un economista di lunga esperienza, anche internazionale. Laureato all’Università di Bari in matematica nel 1975, Rossi ha svolto la sua carriera in gran parte presso la Banca d’Italia, nella quale ha ricoperto numerosi ruoli. Ha tenuto corsi e seminari in varie sedi universitarie ed è autore di numerosi libri e articoli di economia, finanza e politica economica.
“Con queste nuove nomine ci garantiamo un contributo di esperienza da parte di personalità di grande spessore, che potranno aiutarci a stabilire ulteriori obiettivi, priorità, e percorsi da intraprendere. La Federazione fra le nostre tre Scuole universitarie è nata da poco meno di due anni, è quindi ancora in fase di sperimentazione, ma siamo convinti che abbia potenzialità di sviluppo”. Così commentano il Direttore della Scuola Normale, Luigi Ambrosio, la Rettrice della Scuola Sant’Anna, Sabina Nuti e il Rettore della Scuola IUSS Pavia, Riccardo Pietrabissa.
Adesso il Consiglio di Amministrazione è così composto: Luigi Ambrosio (Direttore della Scuola Normale Superiore), Sabina Nuti (Rettrice della Scuola Superiore Sant’Anna), Riccardo Pietrabissa (Rettore della Scuola Iuss Pavia), Giuseppe Toscano (consigliere esterno), Salvatore Rossi (consigliere esterno), Fabio Benasso (consigliere esterno), Michele Gammella (allievo Scuola Normale), Nicola Petrucco (allievo Scuola Sant’Anna), Luigi Brizzi (allievo Scuola IUSS Pavia). Il Consiglio resterà in carica fino al giugno 2021. La prima riunione del Consiglio di Amministrazione con Salvatore Rossi come Presidente (succede a Enrica Pagella) si svolgerà a Pavia il prossimo 22 ottobre.

Salvatore Rossi – Elogio della divulgazione (#DEC)
Aula Magna – Campus Economico San Giobbe
Estratto

Perché è difficile divulgare le cose economiche

Divulgare è difficilissimo, anche nelle cose economiche. Perché ragionamenti e fatti di natura economica non sono mai esatti e puramente obiettivi.
L’economia studia i comportamenti umani, dunque non è una scienza esatta. Le teorie economiche, anche le migliori, anche quelle elaborate da studiosi di chiara fama della cui buona fede non si può dubitare, possono essere contaminate da pregiudizi, distorte da convincimenti extra-economici.
I fatti economici – sia quelli micro, che riguardano singoli soggetti, sia quelli macro, che riguardano grandi aggregati di soggetti – pongono formidabili problemi d’identificazione e misurazione. Ad esempio, misurare gli investimenti di un’impresa o quelli di un’intera economia nazionale, per di più in modo comparabile fra varie imprese o fra vari paesi, richiede la preventiva fissazione di numerosissimi e dettagliati criteri contabili e statistici, l’individuazione degli interlocutori giusti nelle aziende e la formulazione delle domande giuste da parte dei rilevatori: perché un investimento produttivo può implicare mille cose diverse, dall’acquisto di una matita a quello di un software o di un intero grattacielo di uffici, dalla costruzione di un capannone industriale alla progettazione e realizzazione di un macchinario industriale.
Ancora più complesso è misurare sentimenti e attese di una collettività, locale, nazionale, internazionale: climi di fiducia, aspettative d’inflazione, intenzioni di consumo o d’investimento. Ad esempio, se la collettività da sondare è ampia bisognerà, per evidenti ragioni di costi, usarne un campione rappresentativo e le tecniche di campionatura sono complicatissime se il sondaggio è, appunto, serio.
Gli istituti statistici ufficiali presenti in tutti i paesi e gli organismi internazionali che pubblicano dati economici e finanziari (fra gli altri l’Eurostat, il Fondo Monetario Internazionale, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) si prendono cura delle esigenze conoscitive principali in materia economica e lo fanno nel miglior modo possibile. Ma l’esigenza di precisione e completezza dei dati fa spesso premio su quella di comunicare in modo semplice. Inoltre, gli istituti ufficiali sono ben lungi dall’essere le uniche fonti disponibili. Vi sono un sacco di centri statistici privati che pure riforniscono i media di dati, in alcuni casi ben fatti ma in altri no, quando non sono vere e proprie truffe statistiche.
Noi cittadini non siamo abituati a far caso alle fonti delle notizie che ci piovono addosso quotidianamente quando sfogliamo un giornale, consultiamo i dispositivi digitali di cui siamo più o meno tutti dotati, guardiamo la cara vecchia tv. I media sono pieni di tabelle e grafici su svariati fatti economici e quasi mai sono indicate fonti e metodologia. Se pure fossero indicate non ci baderemmo, abbiamo normalmente pochissimo tempo da dedicare a quella notizia in particolare. Ma se il fatto è inesistente o misurato male ne ricaveremo un’impressione fallace che, per quanto blanda e fugace, può lasciare tracce nella nostra psiche e riflettersi sul nostro comportamento.
Ancora di peggio accade quando veniamo posti di fronte non a fatti inesistenti o mal misurati bensì a teorie sbagliate o mal rappresentate: qualunque affermazione riguardante il modo in cui le economie funzionano, le leggi a cui obbediscono, la maniera di perseguire gli obiettivi di benessere che una società si prefigge deve corrispondere a una teoria validata empiricamente in misura robusta, altrimenti, soprattutto se è emotivamente convincente, induce nel destinatario un comportamento contrario al suo stesso vero interesse.
Insomma siamo tutti estremamente vulnerabili, esposti a ogni sorta di errore o di manipolazione, anche quando riteniamo di essere evoluti abbastanza da non correre questo rischio.

La necessità di una buona divulgazione

Che cosa si può fare per arrestare questa deriva? Per difendersi da chi ci vuole manipolare o da chi semplicemente propala ingenuità o falsità per pura ignoranza, rischiando di contagiarci?
A tre tipi di soggetti possiamo fare appello per contrastare le informazioni distorte o false: i cittadini comuni, cioè i fruitori delle informazioni; i media, che le diffondono; gli artefici seri di informazioni, studiosi singoli, centri di ricerca, organismi statistici.
Cominciamo dalla prima categoria: i cittadini/consumatori d’informazioni. Essi devono alzare la guardia, non c’è dubbio su questo. Devono diventare più avvertiti della necessità di valutare bene la qualità dell’informazione economica che li raggiunge, innanzitutto soppesando la reputazione delle diverse fonti e imparando a diffidare di quelle sconosciute o di cattiva reputazione. Si tratta tuttavia di un’impresa difficile e lunga, affidata alla buona volontà di ciascuno di noi, quindi non surrogabile da nessun potere pubblico.
I media dovrebbero essere i primi a eseguire questa selezione delle fonti sulla base della qualità. Pochi ormai lo fanno. L’universo dei media è molto cambiato con il diffondersi di Internet. La stampa quotidiana e periodica, su cui in passato poteva farsi più affidamento, ha perso enormemente terreno, senza che i formati digitali con cui ha tentato di rivestirsi consentissero un recupero. L’insieme dei mezzi di comunicazione che passano dalla Rete, in particolare i social networks, l’hanno di gran lunga sopravanzata, anche se per il momento non insidiano il primato delle televisioni. L’Autorità per la garanzia nelle comunicazioni lo ha confermato di recente, misurando le quattro grandi categorie di mezzi (televisione, internet, quotidiani, radio) secondo la quota di popolazione che dichiara di usare quel mezzo come principale strumento d’informazione: televisione e radio raccolgono insieme il 56,6 per cento delle dichiarazioni d’uso principale, internet il 26,3, i quotidiani il 17,1. Televisione e radio, proprio per la preferenza loro accordata dalla popolazione quali canali d’informazione, soprattutto politica, sono da molti anni particolarmente esposti all’influenza di partiti e movimenti politici, che ne riducono la capacità di filtrare le notizie sulla base di criteri di pura attendibilità scientifica. Questo problema affligge peraltro la stessa stampa,che spesso predilige notizie utili a promuovere la linea politica ed editoriale del giornale piuttosto che l’obiettività (sempre relativa, come ben sappiamo, ma che andrebbe comunque ricercata). Internet nasce anarchica: come si è detto prima è una piattaforma che consente a ciascuno di far passare qualunque messaggio, senza intermediazioni o filtri. Si sta trasformando in un colossale strumento di manipolazione da parte di intermediari occulti, proprio in nome della lotta democratica alle manipolazioni degli intermediari tradizionali dell’informazione stampata o teleradiodiffusa.
Insomma non si può fare gran conto della capacità e volontà dei mezzi di comunicazione di farsi parti attive della selezione fra notizie buone e cattive avendo come unica stella polare la verità.
Veniamo a chi cerca di mettere insieme teorie e fatti nel modo migliore possibile, nel solo interesse dell’avanzamento della conoscenza: gli autori con pretesa di serietà. Sono loro i buoni della nostra storia? Non proprio. Non se si rifugiano nella torre d’avorio del loro sapere e non si curano di guadagnarsi la comprensione e la fiducia dell’opinione pubblica divulgando le loro ricerche e quelle della comunità scientifica a cui appartengono.
Qui va dissipato un equivoco di fondo serpeggiante soprattutto nei paesi, come l’Italia, in cui la cultura ufficiale è di stampo umanistico: che divulgare voglia dire rendere volgare, in senso spregiativo; quindi che sia, oltre che una perdita di tempo, uno sporcare la purezza del pensiero colto. In realtà divulgare è il punto più alto dell’attività di un ricercatore, se questi lo fa senza perdere nulla della forza dell’argomento e della precisione dell’analisi: divulgare in questo senso vuol dire, come si accennava all’inizio, tradurre ma anche sfrondare, andare all’essenziale. È un esercizio faticoso e complesso. Richiede visione ampia.
Nel mondo angloamericano – che non a caso ha conquistato nell’ultimo secolo il primato assoluto della conoscenza in tutti campi dello scibile – la divulgazione possono farla sia grandi giornalisti specializzati sia studiosi, anche illustri, nella seconda parte della loro vita. Questi ultimi nei loro anni giovanili hanno fatto avanzare la conoscenza con le tecniche e i linguaggi tipici del loro campo, senza preoccuparsi di essere capiti se non dai loro peers. Poi, nella maturità, mettono quello che hanno imparato e scoperto al servizio della collettività generale.
Oggi questa capacità, che è stata sempre molto importante, è divenuta imprescindibile per frenare la deriva verso superficialità, approssimazione, falsità, manipolazione che rischia di travolgerci. Chi sta in trincea e porta faticosamente avanti la frontiera della conoscenza nel suo campicello non può più voltare la testa e dire: non è affar mio, non può essere affar mio farmi capire dal vicino di casa che fa l’avvocato o l’idraulico. Così si diventa complici di chi fa della superficialità o della manipolazione il proprio credo. Di chi trasforma la politica economica o quella estera in marketing politico istantaneo.
Insomma, ciò che nei tempi passati era solo raccomandabile – cioè che gli economisti facciano più e miglior divulgazione delle teorie e dei dati economici buoni, validati – diviene imperativo e urgente in tempi, come gli attuali, di onnipresente cattiva o imprecisa informazione economica, usata a fini politici. Ne va non solo del buon nome della professione economica, ma del corretto funzionamento delle nostre società democratiche.

L’importanza del divulgare

L’importanza del divulgare – Fondazione Pirelli

In una Lectio magistralis del Direttore generale di Banca d’Italia, l’importanza della divulgazione per la comprensione del presente

Conoscere meglio per comprendere di più dove si è collocati. Obiettivo comune a tutti – individui, imprese, organizzazioni -, difficile però a raggiungersi, soprattutto in un’epoca nella quale la conoscenza sembra a portata di mano più che nel passato ed è, invece, allontanata più di prima. Rumore d’informazioni che si fa ostacolo alla comprensione. Questione anche di strumenti a disposizione, che solo apparentemente aiutano.
La migliore conoscenza del mondo, passa allora anche dal miglioramento degli strumenti conoscitivi e dall’uso che di questi viene fatto. E’ il nodo della divulgazione che deve essere sciolto. Cosa non facile.
Attorno al tema della divulgazione ha ragionato recentissimamente Salvatore Rossi (Direttore generale di Banca d’Italia), in una Lectio magistralis tenuta all’Università Ca’ Foscari di Venezia (Dipartimento di Economia).

Il ragionare di Rossi, dopo essere partito dalla descrizione del mondo d’oggi dal punto di vista dell’abbondanza delle informazioni, del pullulare di false notizie e dalla difficoltà di destreggiarsi in tutto questo, si è focalizzato sui temi dell’economia e dell’informazione economico-finanziaria. Una delle prime conclusioni di Rossi è che “siamo tutti estremamente vulnerabili, esposti a ogni sorta di errore o di manipolazione, anche quando riteniamo di essere evoluti abbastanza da non correre questo rischio”. Necessità di cautela e attenzione, dunque, appaiono essere le prime indicazioni per costruire un’informazione utile e affidabile, oltre che comprensibile e quindi una buona divulgazione.
Ma “Elogio della divulgazione”, questo il titolo della Lectio va oltre e affronta il tema di come raggiungere una miglior comprensione attraverso una migliore divulgazione. Un traguardo che può essere raggiunto solamente con l’onesta dei contenuti e la chiarezza delle spiegazioni. “Divulgare – scrive Rossi -, è il punto più alto dell’attività di un ricercatore, se questi lo fa senza perdere nulla della forza dell’argomento e della precisione dell’analisi: divulgare in questo senso vuol dire, come si accennava all’inizio, tradurre ma anche sfrondare, andare all’essenziale. È un esercizio faticoso e complesso. Richiede visione ampia”.

La Lectio magistralis di Salvatore Rossi solo apparentemente è distante dalla buona cultura economica e d’impresa. In realtà ne è uno degli attuali esempi più limpidi.

I vantaggi del progresso

I vantaggi del progresso

Stefano Lepri intervista Salvatore Rossi

Non solo tecnologia, ma anche creatività e passione civile: ecco una formula per il domani

Stefano Lepri | La Stampa | 16 marzo 2022

Quando si progetta un libro sul futuro, si rischia di restare indietro sugli eventi. Lo sa benissimo Salvatore Rossi, ora presidente di Tim (dopo una lunga carriera in Banca d’Italia fino a diventarne direttore generale), che nel suo lavoro cita infatti il film Metropolis di Fritz Lang, dove cent’anni fa si immaginava il mondo di oggi facendo volteggiare tra i grattacieli gli aerei biplani di allora.

Dati i limiti della fantasia umana, il tentativo di prevedere il domani può insomma soffrire di «presentismo» (50 anni fa, chi avrebbe previsto la scomparsa delle macchine da scrivere?), scrive nel suo Indagine sul futuro appena pubblicato da Laterza.

In questa chiave ironica Rossi apre con un breve racconto di fantascienza, nutrito dai capolavori del genere, quelli di Isaac Asimov, H.G. Wells, Aldous Huxley.

La scelta è stata interrogare esperti che meglio potessero intravedere ciò che verrà: la studiosa di neuroscienze e senatrice a vita Elena Cattaneo, l’amministratore delegato di Google Cloud Thomas Kurian, Cristiana Fragola, direttrice di un’organizzazione internazionale che affronta il cambiamento del clima, il giornalista Ferruccio De Bortoli, l’architetto d’avanguardia Carlo Ratti, e una giovanissima ricercatrice informatica, Beatrice Polacchi.

Sembrava che una cesura nel corso della storia l’avesse portata la pandemia. Ora ce ne troviamo davanti una forse più profonda, creata dalla guerra in Ucraina. Dobbiamo già aggiornare la sua visione del futuro?

«Me lo sono chiesto, negli ultimi giorni, ma no, credo sia ancora giusto guardare lontano, seguendo tendenze che rimarranno in opera salvo che si precipiti in un conflitto mondiale: l’intelligenza artificiale, il cambiamento del clima, i social media fra trasmissione di notizie e trasmissione di emozioni, il ruolo dello Stato e quello del mercato. Mi conforta l’ottimismo di chi si occupa di scienza: i vantaggi del progresso sono talmente grandi da sormontare tutte le forze contrarie. Poi, certamente, mi cautelo con il raccontino di apertura, che è distopico e piuttosto pessimista».

Elena Cattaneo dice che per tenere insieme progressi delle tecnologie, creatività, attenzione alle persone e buon vivere, occorre una «passione civile della conoscenza».

«Passione che, nelle sue parole, spetta alle istituzioni democratiche promuovere e a noi cittadini coltivare».

Difficile, quando sulla rete troppi si accontentano di emozioni non ragionate e si rifiutano di approfondire come stanno davvero le cose. De Bortoli contro chi diffonde odio propone che, in caso di reati, la magistratura possa penetrare l’anonimato dei social network.

«Sì. Occorre fare grandi sforzi per diffondere la capacità critica. Ad esempio, mi pare giusto che alcune università prendano iniziative contro la povertà educativa, mandando i loro studenti e studentesse ad aiutare i bambini delle aree più disagiate. Un grande contributo lo può dare, sempre secondo Elena Cattaneo, la diffusione del metodo scientifico di avvicinarsi alla realtà, che insegna a separare i fatti verificati dalle opinioni, che impone di sottoporre sempre a giudizio critico le informazioni che si ricevono. Altrimenti prevalgono le paure contro il nuovo e contro il diverso, che tendono sempre a riemergere».

E inducono a disprezzare gli esperti, tra cui gli scienziati. Oppure a diffidare degli algoritmi, a temere il crescente ruolo dei robot.

«I macchinari, parlando in generale, ci hanno aiutato molto e molto ci aiuteranno, in modi che ancora non riusciamo a immaginare. Nel film Metropolis, che è del 1926, dalle fabbriche del futuro esce quasi tutto, ma per farle funzionare occorre il lavoro convulso di migliaia di operai davanti a quadri di controllo, impegnati ad azionare pesanti leve fino a sfinirsi. Sappiamo oggi che non è così. Le macchine possono imparare a guidarsi e a controllarsi da sole, senza bisogno di lavoratori-schiavi».

Thomas Kurian di Google le dice che molto manca ancora prima che i computer acquistino una vera creatività. Ma la paura ricorrente (ricorrente da due secoli, in forme diverse) è che le macchine sostituiscano gli uomini nei posti di lavoro.

«Il disastro può accadere se il guadagno di produttività ottenuto con le macchine resta tutto nelle mani di chi le possiede. Se viene distribuito, no. In passato hanno operato diversi meccanismi di riequilibrio, ma se ci trovassimo davanti a un fenomeno esteso e impetuoso di rimpiazzo del lavoro umano non basterebbero. Avremmo bisogno qui di un ruolo dello Stato maggiore di quello concesso dalle ideologie in voga dagli anni ‘80 del secolo scorso in poi».

Salvo che in Italia, a leggere alcuni passi del suo libro. Lei scrive che da noi lo Stato ha sempre tagliato le unghie alle imprese. Certo le ingerenze della politica sono state enormi: ma proprio la storia dell’azienda da lei presieduta, Tim ex Telecom, snazionalizzata 25 anni fa, mostra che i privati — almeno quelli italiani — non hanno saputo cogliere un’occasione straordinaria.

«A me pare che lo Stato abbia continuato a immischiarsi. Guardiamo l’attualità: perché a Tim non dovrebbe essere concesso il vantaggio dell’integrazione tra la rete fissa, che abbiamo per lascito storico, con i servizi di telefonia mobile? A Deutsche Telekom in Germania e a Orange in Francia, ex monopolisti anche loro, è permesso. Nostri concorrenti che entrano nel fisso possono fare offerte combinate tra fisso e mobile, noi no. Io credo che l’intervento dello Stato sia necessario per attenuare le disuguaglianze sociali che il mercato inevitabilmente crea. Ma questo, in Italia, lo Stato non è riuscito a farlo».

Se per affrontare pandemia, pericoli di guerra e cambiamento del clima in tutto il mondo, il ruolo dello Stato crescerà, in Italia rischiamo di ripetere vecchi errori.

«È possibile. Ma io ritengo che l’Italia abbia doti che possono essere utilissime nella nuova fase; l’esperienza di un mercato temperato e di un settore pubblico forte non è inutile. In più, nel nostro passato troviamo una miracolosa combinazione fra il gusto del buon vivere e la sapienza produttiva tecnologicamente sofisticata».

L’Italia del Rinascimento era il Paese più istruito d’Europa. Adesso è uno di quelli che lo sono meno.

«Infatti è quello lo sforzo principale da fare per instillare la passione della conoscenza. L’Italia può insegnare al mondo un diverso rapporto tra innovazione tecnologica e benessere umano».

Il racconto che apre il suo libro, “La legge zero”, si svolge nel 2055. I suoi personaggi comunicano con «messaggi mentali» a distanza: dunque, non hanno bisogno di imprese di telecomunicazioni come Tim…

«Da trent’anni, tutte le aziende di telecomunicazioni del mondo sanno che per sopravvivere dovranno cambiare. Tim ci si sta dedicando».

‘Indagine sul futuro’, con Salvatore Rossi e Beatrice Polacchi

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Prevedere il futuro è impossibile. Chi poteva lontanamente prefigurare centocinquant’anni fa la diffusione delle automobili?

YouTube · Editori Laterza · 21 mar 2022

CIRCOLO DELLA VELA di Bari – venerdì 3 marzo ore 20.00 – Sede Margherita

Presentazione del libro “Imparate dal Sud. Lezioni di sviluppo all’Italia” di Lino Patruno, edito da Magenes. Il Presidente della TIM Spa Salvatore Rossi e Matteo Pertosa Ceo e Founder ANGEL.4 Future ne discuteranno con l’autore.

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