DAMIANI MICHELE

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DAMIANI MICHELE

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Bari, 18 aprile 1944

Pittore di temi, memorie ed evocazioni orientali e mediterranee.

Da giovane manifesta un particolare interesse per gli espressionisti tedeschi. Negli anni Sessanta si avvicina alla scultura. Poi, per un lungo periodo, si dedica unicamente al disegno. Negli anni Ottanta fonda con altri artisti, a Milano, il gruppo Situazione 6 che promuove il “muralismo”.

Damiani riserva un’attenzione particolare alle illustrazioni di libri e di racconti, donde la frequentazione di poeti e scrittori.

Ha esposto le sue opere in Italia e in diversi Paesi europei.

Tra le sue opere letterarie ricordiamo per Progedit La memoria prestata (2009), di quel poco che resta (2015), Perfette imperfezioni (2017), Nel giardino di re Giacchino (2019).

DAMIANI MICHELE, L’utopia della città tollerante.

 

L’antologica che il comune di Noci dedicò nel 2010 a Michele Damiani raccontava quarant’anni di attività e di impegno di un artista coerente e autentico.

Di stagione in stagione questo pittore di storie corali prova nuove strade, nuovi cicli pittorici, nel convincimento che non si può andare avanti da soli e che la cultura è un concatenarsi di proposte, che tra letteratura, pittura e riflessione filosofica e sociologica ci dev’essere qualche legame. Una reazione all’asfittica vita intellettuale della città nella quale egli opera. Non è un caso se nel suo studio capitava di imbattersi   fino a qualche tempo fa in uomini come Michele Campione e Peppo Pontiggia, Peppino Farese, Giorgio Saponaro, Tonino Rossano, Michele Dell’Aquila e persino, Guido Ceronetti, Bjorn Larsson, Tahar Ben Jelloun, Raffaele Crovi e Predrag Matvejevich in passaggio da Bari. Ci passarono persino Eric Hobsbawm e Gabriele Salvatores e come tutti se ne uscirono col piccolo presente di un disegno. Perché Michele Damiani, in un panorama di artisti avari e votati al conto in banca conserva una generosità che è anche segno di quanto conti prima di tutto restare creativi.

Fino agli anni ottanta il suo mondo di riferimento pittorico era stato quello della tradizione contadina e del vicolo. Eravamo nel pieno delle lotte studentesche, la cultura popolare era in grande trasformazione e si imponevano nuovi modelli di massa. Michele allora dipingeva processioni, miracolati vicoli contadini magare e prefiche. Tutto un mondo sottratto a De Martino a Fiore e a Levi. Ma affrancato dal realismo appulocampano. Affrancato dalla tradizione pittorica locale e vicino alla figurazione macilenta della pittura internazionale europea, al mondo dei catoonist, degli onirici e degli espressionisti. Le sue madonne emaciate e sbilenche e i suoi san Nicola erano uno strano segnale di protesta di fronte alla cultura del vicolo che tramontava. Una maniera personale, radicata al territorio, di incarnare Marcuse Adorno e Hobsbawm. Opporre cioè la cultura materiale e la religiosità del malocchio alle bandiere del consumismo e degli ipermercati che affioravano sull’oceano a bordo dei transatlantici americani. Perciò Damiani portò la sua ribellione in giro per il mondo, in compagnia di quella schiera di chierici vaganti armati di pennelli dei quali abbiamo detto. Erano i muralisti figli dei pittori di stanza di una Puglia in cerca di tradizione, da Cantatore agli Spizzico e di quei pittori centroamericani che guidati da Siqueiros hanno raccontato le storie dei briganti e dei rivoluzionari.

Poi venne l’era della televisione e del giovanilismo a tutti i costi. In televisione fiorivano i corpi di ballo, il cinema disse che dovevano essere tutte belle e nude le sue creature. Andy Warhol l’aveva preannunciato già da tempo. Andava sparendo dagli interessi della società un mondo di anziani e di malati, insieme al mondo oleografico dell’età arcaica. Nell’era del cancro e nella dominanza del malessere psichico lo spettacolo offriva tonnellate di carni e di bellezza. Quasi una risposta estetica alla deficienza della medicina o all’attacco sferrato dalla natura. Era un modo come un altro di   occultare la presenza del male sotto una superficie di sanità e di bellezza. Damiani ebbe anche in quella circostanza la sua risposta, la sua protesta espressionista. Fatta soprattutto col segno, forse meno col colore, perché Damiani ama una tavolozza leggera, lirica, delicata. Direi sognante e ironica al tempo stesso. Riscoprì Scheele. Un pittore della fragilità e della malattia. Un pittore della decadenza psichica e fisica che incarnava la decadenza dell’Europa e dell’Occidente e dell’intero Novecento. Michele leggeva allora Thomas Mann e Italo Svevo, provava a rappresentare la malattia tacitata del mondo e a denunciarne la presenza.

Provava anche a dire che l’umano è altrove, che sta nascosto sotto la pelle la bellezza vera degli uomini. Il tema socratico della bellezza interiore, tutta celata sotto l’orrore fisico.

Cadde il muro di Berlino e arrivarono sulle nostre coste migliaia di clandestini. Sulla faccia della terra si sparpagliavano dannati affamati e illusi. Il Mediterraneo diventò all’improvviso uno dei mari più solcati del mondo. E se albanesi e curdi riaprivano il discorso con l’oriente e col mondo turco, i migranti del Maghreb ci dissero che dovevamo rivedere la mappa della storia moderna, rivedere le regole dei rapporti tra Islam e Cristianesimo. Sulla scorta di Braudel era partito Predrag Matvejevich. Nella sua fantasia c’erano i drammi dei paesi dell’ex-Iugoslavia e i sogni di un continente nel quale trovare la quiete. La frantumazione religiosa dei Balcani che aveva portato al disastro bellico tra etnie tenute a freno dal pugno di Tito era la stessa  che si constatava nel Mediterraneo.

Dietro di lui si avviarono molti altri intellettuali europei e il meridionalismo che avevamo raccontato, praticato e difeso fino agli anni ottanta ci parve uno strumento o una filosofia arcaica, troppo ristretta e limitata per riuscire ad interpretare il mondo, riuscire a formulare un nuovo assetto geopolitico e una nuova filosofia di vita. La Puglia non fu indenne da questa ventata culturale e con Goffredo Laureano Cassano Locaputo avviò un pensiero che reagiva alla logica della frattura est-ovest. Noi eravamo i più settentrionali di un continente d’acqua che era appunto il Mediterraneo e i più meridionali dell’Europa. Noi eravamo un paese ponte. Ciò che all’occidente industrializzato e frenetico appariva un punto di debolezza: il silenzio, il barocco, la lentezza, diventò all’improvviso una merce di scambio, venne additato da questi intellettuali come una possibilità di ripensare le forme dell’esistenza. La Puglia ebbe il suo momento di splendore teoretico come nel 68, al tempo dell’ecole barisienne.  Damiani intuì qual era la direzione del vento e prese a raccontare la mediterraneità attraverso i colori e il segno. Tra Picasso e Chagall nella giocosità di Maccari e la ludicità di Pascali entrò nelle sue tele la fantasmagoria della ceramica marocchina ed egizia. Entrarono i cieli e le architetture da Mille e una notte. La porta di Samarcanda apriva un panorama di minareti e di cupole dorate, ma le navi saracene erano cariche di uno strano teatro di saltimbanchi soldati ballerine maschere da apparire una fiera del barocco ispano italiano. Erano sogno e denuncia, ironia e condivisione.

C’erano al fondo di quell’ispirazione le carrette del mare. C’erano le navi albanesi approdate nei porti della Puglia formicolanti di fuggiaschi. Certamente una citazione della cronaca c’era, ma come sempre, nel crogiuolo inventivo di Damiani quegli eventi tragici si erano trasformati e avevano lasciato spazio all’invenzione, alla deformazione del reale e alla creazione di una nuova realtà.

Così procedono ancora oggi i cicli di Michele Damiani, raccontando e denunciando i guasti dei tempi, man mano che i tempi mutano e nascono e muoiono filosofie sentimenti culture bisogni. È la fedeltà a una visione della vita, quella dell’impegno e della partecipazione politica attraverso l’estetica. Un accorato e continuo invito a ripensare l’umano e a fondare una città ideale per tutti gli uomini della terra.

Raffaele Nigro

Quasi un battito di ciglia

Michele Damiani

 

Nel giardino di re Giacchino

Michele Damiani

 

Perfette imperfezioni

Michele Damiani

 

Michele Damiani, “pittore della passione serena, calma e gioiosa”, come lo definisce Tahar Ben Jelloun, ha un afflato con la poesia. I suoi versi s’inerpicano lenti e ieratici, ora distaccati, ora sodali di un’emozione, di un sentimento. E tra liriche ormai alla terza raccolta e segni di una tela infinita il poeta ingaggia una severa battaglia per ricomporre in maniera sinestetica il suo approccio alla bellezza. L’artista racconta: “Accade sempre più spesso che la mattina, dopo il caffè e una rapida scorsa ai giornali, all’apertura dello studio mi accorgo di come, durante la notte, qualcuno ha creato confusione tra libri, tele e cavalletti. Mi sorge un dubbio. Vuoi vedere che gli oggetti, i personaggi che la mattina invento per i dipinti, la notte si coalizzano per dare battaglia alle storie, ai versi dei miei libri? Parole e immagini, le une contro le altre armate di penne e pennelli per la conquista del territorio. Naturalmente finisce che storie, burattini, parole, personaggi e altri compagni di viaggio mi rovinino la giornata. Risultato? La mia ricerca di perfezione creativa si tramuta in una perfetta imperfezione”.

Di quel poco che resta

Michele Damiani

 

La memoria prestata

Michele Damiani

Sguardo dal Sud (16)

SCORRE TRA PAROLE E IMMAGINI LA POESIA DI MICHELE DAMIANI

“La memoria prestata – per segni per versi” pubblicato nel 2009 dal pittore barese, è un libro elegante, che risalta per la sinuosità dei testi e per la bellezza dei disegni e degli acquerelli. Raffaele Nigro, nella prefazione al volume, ne coglie la epigrammaticità, la stringatezza, le metafore folgoranti, le visioni tenui, tracciando paralleli con Montale, Gatto, Sinisgalli, Accrocca, fino a Raffaele Crovi. Il colorato estro pittorico e quello letterario rammentano anche Marc Chagall che ci trasporta nelle spire dell’onirico e dell’impalpabile.

di Anna Santoliquido*

 

Conosco il pittore barese Michele Damiani da vari lustri e sempre mi sorprende il suo segno. Ha stipulato un patto con l’arte che l’accompagna ininterrottamente da un cinquantennio. Inizialmente si occupa di disegno e di scultura, mentre negli anni Ottanta, dopo aver partecipato alla fondazione del gruppo Situazione 6 Milano, che promuove il muralismo, realizza murales in diversi luoghi.

Numerose sono le mostre personali e collettive, nazionali ed estere concretizzate. La luna e la notte entrano nelle sue opere e giocano a scacchi con la luce e i folletti. Varcare il suo studio significa immergersi in un mare di tele, acquerelli, bozzetti, foto e testi che ti parlano e ti riconciliano con il prossimo. Il tocco barocco dell’ambiente è sfumato dal nitore delle immagini e dall’ordine con cui gli oggetti sono disposti. Il cavalletto, la tavolozza, le matite, i pennelli sono i guardiani di un pianeta altro che Michele disvela con l’ironia di chi abbraccia il reale e l’immaginario. L’Oriente e l’Occidente aizzano la fantasia del pittore che consegna dipinti e disegni visionari. Michele guizza nella Storia, si avventura nel regno vegetale e animale, carpendone fiori, foglie, pesci, galli cedroni. Ma è l’essere umano il suo bersaglio. Il cuore, la mente e la coscienza critica costituiscono un trio indissolubile. Da abile sognatore sceglie il profilo basso per stupire. L’alchimia dei colori coinvolge sultani e monachicchi, angeli e rabdomanti. Il quadro diventa lo specchio dell’essere e del divenire.

Nonostante la malinconia, gli opposti si ricompongono e le ombre cedono il posto ai grumi di dolore e alla grazia. Nella bottega di via De Rossi vi sono libri d’arte e di poesia. Michele ascolta la musica e si distrae con i versi che trascrive su taccuini preziosi alla maniera degli amanuensi. La raffinatezza dei disegni è una conquista sudata. Complice di scrittori e poeti li accoglie nel suo atelier per discutere di cultura e progetti. Una comunità di intellettuali che si avvale della sua arte, ripagandolo con la devozione e l’affetto.

Nel settembre 2009 Damiani ha dato alle stampe il volume La memoria prestata – per segni per versi, edito dalla Progedit di Bari. Un libro elegante, per la sinuosità delle parole e la bellezza dei disegni e degli acquerelli. Una gravidanza poetica maturata negli anni di accurate letture, ma anche l’esplosione dei sentimenti e delle considerazioni che dal cavalletto saltavano sulla pagina bianca. L’opera in versi del Nostro è un viaggio nell’anima e nella routine, con le accensioni, i ripiegamenti, i morsi del dolore e gli svolazzi. Nigro, nella Prefazione, ne coglie la epigrammaticità, la stringatezza, le metafore folgoranti, le immagini tenui, tracciando paralleli con Montale, Gatto, Sinisgalli, Accrocca e perfino Crovi. La vita e la morte si rincorrono e inducono il poeta a meditare sul senso della presenza e dell’assenza. Il mare è lo sfondo su cui si riflettono le idee che navigano a vista, ma sanno immergersi negli abissi. La metafora del maestrale che pulisce l’orizzonte attenua le ansie della società dei consumi. Il battello «piccolo come una noce» che attraversa le acque burrascose, rimane a galla con la forza dei sentimenti. L’arte, gli affetti, l’amicizia sono pilastri del libro che avvalora il significante e i rimandi. Michele confida nelle pause e nel fascino del paesaggio. I simboli del Mediterraneo (l’ulivo, il melograno, il mare, la Magna Grecia…) si intersecano con gli ammiccamenti orientali e la pagina trascolora. La parola creativa è libertà e consolazione: «Portate / la mia fantasia / su una nuvola / per amor di Dio» (“A Marcella un televenerdì qualsiasi”).

Damiani ama la musica lirica, le sinfonie. Dai versi sgorgano suoni che sanno di zufolo e orchestra. Nel suo habitat poetico ci sono gabbiani e disperati «con occhi senza lacrime e tasche senza pane». Gli eventi che hanno segnato Bari trovano asilo nei testi che indugiano spesso sulle atmosfere familiari: «il labirinto / della notte / non so / dove conduca / per fortuna / dai fantasmi / ci difende / il cane / Duca» (“Per il cane Dalmata”).

Negli anni «senza pietà» Michele ha dipinto (e scritto) il mondo che ha pensato. «Il pittore non deve dipingere quello che vede, ma quello che si vedrà», ha dichiarato Paul Valéry. Il sogno e la memoria sono suoi alleati. L’elogio della lentezza e il pensiero meridiano si sposano con l’immagine del «turista inconcludente» che si innamora delle amenità del creato. Orme federiciane, cortigiani, catapani, sirenette albergano nei testi sorvolati dal «falco pellegrino». Molte sono le metafore con le quali il poeta si rappresenta. L’incedere lento del verso sollecita l’occhio del lettore a coglierne le sfumature e il non detto. Damiani lascia la porta aperta. La pluralità del messaggio si configura tra i tratti più interessanti della raccolta. Sul palcoscenico delle parole si agitano pupi, suonatori, saltimbanchi, maghi, commedianti. Il poeta, con «i gomiti poggiati nell’alba d’Oriente» si gode lo spettacolo. La tessitura cromatica dei frammenti accende la fantasia del fruitore: «un fiore di geranio / un dito d’acqua / sul tavolo / racconta / di un rosso lontano / di un dolore / di un giallo indiano». Le fughe e i ritorni costruiscono il ritmo dei versi.

Il libro è anche uno spaccato dell’intellighenzia di Puglia e Basilicata, con affacci su altre regioni e Paesi. Nino Rota, Michele Campione, Raffaele Nigro, Giovanni Russo, Riccardo Muti, Pessoa sono destinatari di versi accorati che il «poeta pellegrino» compone e trasfigura con disegni inconfondibili. Il «timoniere delle parole / narratore d’inquietudine» medita sugli inganni, le apparenze, l’occulta persuasione e affida il sogno alle nuove generazioni. “Per voi ragazzi” è una lirica pregna di sentimenti e di etica. La ribellione per «le certezze contaminate», «la velocità insopportabile / la purezza inarrivabile» ricorda “L’urlo di Munch”.

Nel viaggio tra le parole Michele recupera «ciò che resta dell’infantile canto», con le «atmosfere leggere-rare preziose». Strada facendo si interroga sulla vita e sul sacro. Riscopre Dio tra le sillabe e le linee. Le storie assemblate sono rammemoramenti che spaziano nel tempo e rivelano un vissuto denso di ricerche e incontri. Bona Sforza, Berio, Mahler, Levi, Pasolini, Morandi, Ceroli affiorano alla memoria del Teseo che si dimena nel labirinto delle emozioni e degli accadimenti.

Lo sguardo al sociale e le note contagiano i versi che attraggono per il bagaglio semantico e la ricchezza delle immagini. Sull’altare degli affetti siede la dea Marcella, moglie e Musa ispiratrice di quadri e componimenti. Tra gli Angeli della creatività vi sono i figli Pierluigi e Raffaella ai quali l’Artista dedica liriche cocenti. La memoria prestata è pure un prezioso ritratto di famiglia. Il pittore (poeta scanzonato) traccia un bilancio della vita, conscio di possedere un dono celeste: Conservo nel tabernacolo delle mani quanto mi basta Vivo tanto per vivere un dodiesis una cornice a foglia oro un segno un disegno un lampo d’Oriente È negli occhi dei figli il cantiere delle grazie È nella paura degli anni sciocchi il tempo del dolore senza gioco senza colore (24 settembre 2007) Così la scrittura diventa conoscenza di sé prima ancora del mondo. L’omaggio agli amici e ai colleghi espande il profumo dell’arte che si nutre di rabbia, solitudine, bellezza. Con molti dubbi e poche certezze il minuscolo battello «forte come una croce» procede verso altri lidi dove annoterà nuove sensazioni. Tra gli apparentamenti possibili, mi sovvengono i versi di Richard Bach il cui viaggio d’apprendimento cominciò «dentro il cuore di un piccolo uccello, / un colibrì» che lo aiutò a ricercare le verità sull’amore, l’amicizia e la vita. L’estro pittorico e la fioritura delle parole tra le tele e i colori, rammentano Marc Chagall che ci trasporta nelle spire dell’onirico e dell’impalpabile. Il fantastico, il paradossale, i sogni, i ricordi, il sottile simbolismo, la determinazione e la leggerezza accomunano i due artisti. Il pittore e poeta russo fu anche illustratore di celebri opere (di Gogol e La Fontaine). Gli azzurri pittorici (e poetici) di Michele giungono da lontano. Li ho ritrovati negli affreschi del Kosovo e Metochia e nelle opere di Giotto (vedi i cieli, la Cappella degli Scrovegni a Padova). La sua poesia delle «piccole cose» («le uniche cose che contano son quelle fatte / di verità e di gioia, e non di latta / e lustrini», come si legge nel volume Nessun luogo è lontano di Bach) ci regala, per dirla con Zanzotto, «parole-di-vita e pozze-di-vita».

* La suddetta relazione critica è stata tenuta da Anna Santoliquido a Bari, la sera del 29 novembre 2014, nella sede del Movimento Internazionale “Donne e Poesia”, in occasione della presentazione del libro La memoria prestata- per segni per versi del Maestro Michele Damiani. Alla manifestazione, organizzata dal Movimento e dalla Sezione Nazionale Scrittori SLC-CGIL “Puglia-Basilicata”, è intervenuto l’editore della Progedit Gino Dato. L’attore Paolo Lepore ha declamato vari componimenti che hanno intervallato il vivacissimo dibattito tra il folto pubblico e il poeta. Bari, 29 novembre 2014. Sede del Movimento Internazionale “Donne e Poesia”.

Bari, 29 novembre 2014. Sede del Movimento Internazionale “Donne e Poesia”.

Da sinistra: l’editore Gino Dato, il pittore e poeta Michele Damiani,

la scrittrice Anna Santoliquido, l’attore Paolo Lepore.

(Foto di Antoski)

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