DI CAGNO VITO ANTONIO

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DI CAGNO VITO ANTONIO

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Bari 30 marzo 1987 – 1° settembre 1977

Industriale, Presidente Enel, Sindaco di Bari

Il primo sindaco di Bari, nella storia repubblicana italiana, non poteva che essere un uomo che raccogliesse in sé una grande preparazione, un rigore morale ineccepibile, ma soprattutto che fosse un barese riconoscibile, vero, legato alle tradizioni della città.

Vito Antonio Di Cagno nacque il martedì 30 marzo del 1987 a Bari, in via Argiro 59, da Nicola e Giuseppa Di Cagno.
Si laureò giovanissimo in Giurisprudenza, esercitando l’attività forense con una particolare predilezione per il diritto civile.
Allo scoppio della Grande guerra, l’avvocato Vito Antonio Di Cagno fu tra gli arruolabili, e combatté tra le fila della Brigata Regina.
Non sarà la sua unica esperienza sul campo di battaglia: nel 1939, infatti, partecipò alla campagna d’Albania voluta dal fascismo e, con la seconda guerra mondiale, fu ufficiale del IX Corpo d’Armata.
Terminati questi anni turbolenti, cominciò un periodo di pace: nel 1944 Vito Antonio Di Cagno viene eletto presidente dell’Ente comunale di assistenza, il cui scopo era di coordinare l’attività di sostegno sociale nell’ottica di un assistenzialismo e di un reinserimento sociale degli individui in condizioni di necessità: mantenne tale carica sino al 1945.
Fondatore della Democrazia Cristiana nel barese, fu il primo sindaco di Bari democraticamente eletto – all’epoca era il Consiglio comunale a eleggere il sindaco, e non la cittadinanza – nella storia repubblicana della nostra nazione.
Grazie al sostegno e all’ammirazione di cui godeva, bastò un solo scrutinio per eleggerlo, con 44 voti a favore e 3 astenuti, preambolo del clima di conciliazione che caratterizzò tutti i sei anni in cui mantenne la carica.
Tale clima di conciliazione non era interno solo al Palazzo comunale, ma regnava anche tra quest’ultimo e la popolazione barese: come detto, infatti, Vito Antonio Di Cagno era un barese “vero”, nonché un attento conoscitore dei problemi dei suoi concittadini, anche in virtù dell’esperienza all’Eca.
Questa sua veracità fu esplicitata anche nell’arte della penna: spesso chiudeva suoi articolo o saggi su varie testate proprio con poesie in dialetto barese. Le sue liriche in vernacolo furono inoltre ospitate su “La Gazzetta del Mezzogiorno” e su “Papiol” e la sua lirica Mare fu tradotta in musica dal maestro Domenico Anaclerio. Infine, pubblicò due raccolte di poesie in vernacolo barese: Acquànne pozze… cande, pubblicata da Resta nel 1951, e Figure, episodi, colore locale, pubblicata dapprima da Cressati e poi ristampata nel 1973 da Laterza, in una edizione a cura di Giuseppe Schito.
Al di là delle prove poetiche, a Vito Antonio Di Cagno vanno riconosciuti i primi sforzi e i primi successi affinché Bari cominciasse il cammino di ricostruzione, e non soltanto industriale: un messaggio, anche metaforico, di rinascita della città fu infatti il ripristino dell’illuminazione al lungomare Nazario Sauro, da lui ottenuto grazie a una raccolta fondi, date le ristrettezze delle casse comunali.
Nel corso degli anni Cinquanta fu tra i principali fautori della ricostruzione nella Terra di Bari: grazie alla sua esperienza, infatti, ricoprì dal 1953 al 1954 il ruolo di presidente del consorzio di bonifica della Fossa premurgiana; nel 1954 e fino al 1958 assunse il ruolo di vicepresidente della Cassa per il Mezzogiorno. Proprio da vicepresidente della Cassa per il Mezzogiorno fu insignito, nel 1957, dell’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce della Repubblica Italiana.
Nel 1956 fu nominato presidente della Società meridionale di elettricità, contribuendo alla realizzazione di impianti termoelettrici non solo a Bari, ma anche a Napoli e nel salernitano.
Fu inoltre, dal 1960, anno della sua costituzione, al 1963, il primo presidente del Consorzio per l’area industriale di Bari, programmando, chiedendo e ottenendo la realizzazione di quell’insieme di infrastrutture necessarie all’insediamento di nuove grandi imprese manufatturiere e restituendo a Bari quell’attrattiva e quel ruolo da protagonista sulla scena industriale del Mezzogiorno: già nel primo quadriennio di vita, a Bari si aprirono i cantieri della Breda fucine meridionali, della manifattura tabacchi, della Sobib Coca Cola e della Pignone sud.
Nel 1961, a Vito Antonio Di Cagno fu offerta la carica di presidente della Finelettrica, giovane società finanziaria statale che aveva lo scopo di raggruppare le aziende italiane operanti nella produzione e distribuzione di energia elettrica.
Nel 1962 il governo italiano decise per l’unificazione del sistema elettrico nazionale: nasceva l’Ente nazionale per l’energia elettrica. Le esperienze in Finelettrica e nella Società meridionale di elettricità fecero di Vito Antonio Di Cagno il candidato ideale alla carica di primo presidente dell’Enel, carica che mantenne per dieci anni, sino al 1973: se la nascita dell’Enel avveniva con le peggiori previsioni di molti, la preparazione tecnica, economica e finanziaria, nonché la capacita di amministrare con una naturale semplicità dell’avvocato Di Cagno resero l’ente una struttura efficiente e imprescindibile per l’intera collettività italiana, dalla grande industria al singolo cittadino. Solo per citare un eclatante risultato ottenuto durante la sua guida, si pensi che con Di Cagno alla presidenza la produzione annua di energia elettrica nel Mezzogiorno aumentò sino quasi a raddoppiare nell’arco di soli quattro anni.
Distintosi dunque tra i più importanti fautori della ricostruzione non soltanto di Bari e del Mezzogiorno, Vito Antonio Di Cagno fu insignito dell’onorificenza di Cavaliere del Lavoro nel 1967.

Onorificenza

Nominato Cavaliere del Lavoro il 02 06 1967
Settore Industria Elettronica Puglia

“Osservazione sui problemi del Mezzogiorno”, di Vito Antonio Di Cagno (estratto)

Non é trascorso molto tempo da quando abbiamo avuto gradita occasione di conoscere l’Avv. Vito Antonio Di Cagno che da molto invece ammiravamo per le splendide prove da lui date al governo ed alla direzione di complessi e delicati organismi di interesse nazionale, dimostrando sempre una non comune capacità tecnica, amministrativa e finanziaria.
Attualmente Vito di Cagno amministra con la semplicità più naturale che lo caratterizza, rendendolo sempre più simpatico a tutti i livelli, quel colossale complesso e delicato organismo che si chiama E. N. E. L., che ha smentito con i fatti tutte le innumerevoli previsioni del più nero pessimismo, che lo avevano salutato nel nascere.
[…]
Ho pensato che un argomento di speciale e di attuale interesse fosse quello riguardante l’ambiente in cui viviamo, il Mezzogiorno, la Puglia, la cui problematica e così vasta, complessa, da meritare la nostra considerazione.
Come a voi ben noto, si è recentemente tenuto a Napoli un approfondito Convegno Nazionale di Studio, organizzato dalle Democrazia Cristiana, sui problemi meridionali e sulle prospettive di sviluppo della Società Italiana.
Ministri, Parlamentari, Amministratori locali, responsabili di Enti e di Organizzazioni vari, imprenditori, studiosi, hanno messo a fuoco e discusso, in questo Convegno, i mali che ancora affliggono il Sud. Sono state prospettate le cure; sono state fatte accurate previsioni.
In sintesi, sono stati approfonditi i problemi del Mezzogiorno, in tutti i loro aspetti.
Ecco perché, questa mia breve relazione, vuole essere semplicemente una conversazione tra amici, nella quale esporrò alcune osservazioni sui problemi del Mezzogiorno, e della Puglia in particolare, sui loro profondi aspetti sociali, oltreché economici, accennando quindi, a come, in questo contesto, si inserisce l’azione dell’Enel, in relazione ai prevedibili ed auspicati sviluppi delle regioni meridionali.
[…]
È stato solamente nel recente periodo post-bellico, con la restaurazione del regime democratico, che la questione Meridionale ha cessato di essere un problema locale, un problema del Mezzogiorno, per assumere la caratteristica e l’impegno di problema nazionale.
Non si deve però dimenticare che, a contribuire al persistere di uno stato di cose, certo non favorevole al Mezzogiorno, fu anche l’atteggiamento della borghesia meridionale, che – riconosciamolo, siamo tutti meridionali – non ebbe, e purtroppo non ha ancora, il coraggio di affrontare i rischi connessi con le attività industriali, preferendo rivolgere le sue forze e le sue indubbie possibilità verso le professioni liberali e verso le carriere statali e politiche, con la eccezione di Bari, e di qualche centro della Provincia, che hanno dato una cospicua propulsione all’attività commerciale.
Uguale sorte seguivano i pur modesti capitali, di cui essa disponeva indirizzati non verso le industrie e le imprese commerciali – come avveniva, invece, al Nord – ma, prevalentemente, verso i titoli del debito pubblico e i depositi monetari presso gli uffici postoli, subendone poi le decurtazioni del valore reale, a causa dei prolungati periodi di inflazione monetaria.
Né le cose sono andate meglio nel settore agricolo. Basta pensare, tra l’altro, ai danni che ha riportalo il Mezzogiorno dalla politica agricola, sviluppatasi in tempo di autarchia in tutta Italia – la battaglia del grano politica, che incrementò ancora di più tale coltura in regioni, nelle quali bisognava piuttosto indirizzare l’agricoltura verso i tipi di coltivazioni n carattere intensivo, con i necessari sviluppi delle opere di bonifica e di irrigazione, le quali, invece, vennero, per forza di cose, trascurate. La seconda guerra mondiale non costituì per il Mezzogiorno causa di incremento economico ed industriale, ma aggravò ancor più la già triste situazione innanzi enunciata.
Anche il Mezzogiorno d’Italia, infatti, ebbe gran parte delle sue industrie distrutte, danneggiate dagli eventi bellici. Ci si trovò quindi, al cessare della guerra, a dover affrontare un problema in più, quello della riparazione dei danni bellici – e Bari ne sa qualcosa – senza avere risolto nessuno dei problemi prima esistenti.
Si tentarono sporadici sforzi di carattere ricostruttivo; mancava però un piano organico di sistemazione generale e di posizione di infrastrutture, necessarie per qualunque politica di sviluppo di un’area depressa.
La povertà, la disoccupazione, la tendenza all’incremento demografico, la arretratezza sociale e culturale delle popolazioni di intere zone dell’Italia Meridionale, rendevano necessaria, innanzitutto, la creazione di un reddito in zone che non ne avevano quasi.
E, contemporaneamente, si sentiva il bisogno improrogabile di un’azione di elevazione sociale e culturale, da svolgersi anche in funzione dell’addestramento della manodopera.
Occorreva, dunque, predisporre un organismo, che potesse studiare i piani di sviluppo, coordinare le iniziative da prendere nei vari settori, disporre i finanziamenti, a volte ingentissimi, ma necessari in tutti i settori di base, nei quali si rilevavano deficienze, cioè, praticamente, in tutti i settori economici.
Era, inoltre, necessario porre in primo piano le infrastrutture, senza le quali non è possibile alcuno sviluppo: occorrevano migliaia di chilometri di strade, acquedotti, scuole, imponenti opere di bonifica montana, di sistemazione idraulica e forestale. Mancava infatti nel Mezzogiorno quel capitale fisso sociale che. necessariamente, getta le premesse per uno sviluppo industriale, e costituisce una fonte di lavoro e quindi di reddito per le popolazioni delle zone economicamente sottosviluppate.
A questa esigenza provvide la legge 10 agosto 1950, n. 646, con la quale si istituì la «Cassa per Opere Straordinarie di Pubblico Interesse nell’Italia Meridionale», ossia la Cassa per il Mezzogiorno.
Si può ben dire che questo atto del Parlamento è di rilievo essenziale nella storia, non solo del Mezzogiorno, ma dell’intero nostro Paese.
[…]
Come ha rilevato il Presidente del Consiglio On. Moro, nel discorso pronunciato all’ultima Fiera del Levante, l’impegno di oggi, infatti, é superiore a quello dell’epoca degasperiana, e va attuato su di un arco ancora più vasto.
Alla prima importantissima fase della politica meridionale, volta a creare le infrastrutture necessarie per ogni sviluppo, ed a valorizzare le risorse agricole, fece seguito, dieci anni fa, una seconda fase, con la quale si propose, come prioritario, il problema dell’industrializzazione, mediante la legislazione sugli incentivi per le imprese che si localizzano nel Sud.
I risultati di questa fase sono testimoniati dai grandi complessi, chimici, siderurgie, petrolchimici delle partecipazioni statali e dell’industria privata.
Non si è ancora realizzato, però, un arco di industrie sufficientemente ampio, tale da creare, dall’interno, quei fenomeni di complementarietà e di integrazione, che danno vita al processo di una crescita autosufficiente.
È auspicabile, che le nuove grandi iniziative programmate nel Mezzogiorno riescano a far superare questa situazione, allargando le opportunità di sviluppo delle imprese locali, variamente connesse alla produzione delle industrie maggiori.
Ma, come ho sempre sostenuto, è proprio lo sviluppo delle imprese locali uno dei problemi fondamentali, che la classe imprenditoriale meridionale non ha ancora risolto, nonostante gli incentivi e le agevolazioni predisposte dalle Autorità di Governo.
Finora gli incentivi non hanno sortito un effetto efficace, diciamolo francamente, non hanno dato, compiutamente, quel risultato che si attendeva.
L’On. Moro, confida, tuttavia, nella comprensione degli operatori economici privati per l’insediamento industriale nel Sud. Noi confidiamo nella sua opera di saggio politico e di vigile custode delle fortune e del progresso della sua Terra.
E figurarsi, se non lo auspico anch’io, tanto più che sarebbe una vera jattura, se si dovesse creare, tra il Sud e il Nord, un’altra contrapposizione: nel Nord l’iniziativa privata, nel Sud l’iniziativa pubblica.
Ma, bisogna pur considerare il caso, il deprecabile caso, che nonostante l’opera di persuasione del Governo, nonostante l’incremento degli incentivi, nonostante siano state superate le carenze di infrastrutture, nonostante la necessità – riconosciuta unanimemente – di una più attiva soluzione del problema, bisogna anche considerare il caso, dicevo, che non si dovesse riuscire a convincere l’iniziativa privata a sviluppare ulteriormente, anche nel Mezzogiorno, la industrializzazione.
In questo caso che cosa si deve fare?
Ci si deve rassegnare alla ineluttabilità delle cose?
Poiché non penso che questa rassegnazione possa essere un sentimento dei meridionali, allora, io dico: a estremi mali estremi rimedi.
Se è lo Stato che, in tale caso, deve risolvere un problema diversamente non risolvibile, potrebbe allora decidere il trasferire al Sud le industrie di quei settori, in cui lo Stato stesso è il principale, se non l’unico consumatore.
Lo so, vi sarebbero acrimoniosi sollevamenti, proteste, opposizioni – e lo abbiamo visto in occasione della decisione dell’Alfa Sud –, però bisogna pur rispondere: vi sono soluzioni diverse?
Fino a quando i nostri lavoratori non troveranno impiego nel posto, si vedranno costretti ad emigrare. Devono pur vivere, devono pur mantenere le loro famiglie.
Ma questa emigrazione di quanti problemi è origine! Sul piano della famiglia, sul piano dell’economia locale, sul piano morale.
Tanti problemi! Tanti dolorosi e dannosi problemi, che pure hanno bisogno di una coraggiosa, doverosa e tempestiva soluzione. Qui non si tratta di essere fautori di una politica statalistica o privatistica. Sarebbe auspicabile, certo, che fosse l’iniziativa privata a risolvere il problema della industrializzazione del Mezzogiorno. E noi lo auspichiamo.
Ma, se il privato, non vuole o non può farlo, che si deve fare? Si deve assistere, senza reagire, al degradamento del Mezzogiorno? Allo spopolamento dei suoi paesi? Alla scissione delle famiglie? Al mortificante incremento della disoccupazione, della sola occupazione?
In questa situazione ritengo che non ci sia altro rimedio che un impegnativo intervento dello Stato, attraverso i suoi Enti operativi.
[…]
Se voi, ora, per caso, voleste conoscere da me, qual è la mia opinione sullo sviluppo economico, sull’avvenire del Mezzogiorno e della Puglia, vi dirò, che io non sono pessimista. E non lo sono, non per intuizione, non per un giudizio dato – come diciamo noi – a lume di naso.
Non lo sono per le conseguenze che io devo trarre, stando da un osservatorio importante, come può essere l’osservatorio elettrico, ed essendo stato in un osservatorio, non meno importante, qual è quello della Cassa per il Mezzogiorno.
Innanzi tutto, esiste un legame diretto tra l’andamento dello sviluppo economico, e per esso del reddito, ed andamento dei consumi di energia elettrica, nel senso che, ad un aumento del reddito, corrisponde un aumento più o meno accentuato, dei consumi di energia elettrica, e viceversa.
[…]
Ma a noi converrà sempre, nei riguardi esterni, prospettare la situazione nel modo più pessimistico possibile, soprattutto per impedire che si creino rallentamenti di propositi e di azioni.
Ma la verità, che dobbiamo dirci fra noi, è che il Mezzogiorno dì oggi, non è quello di ieri, molto cammino è stato fatto, molte realizzazioni sono state effettuate e, soprattutto, si è formata una coscienza del nostro stato, dei nostri diritti.
Sono sicuro che, con la presenza ai posti di guida del Paese di persone come il Presidente Moro, a posti di responsabilità persone come il Prof. Petrilli, il Prof Pescatore, il Prof. Santoro Passarelli, l’Avv. Sette, il Mezzogiorno potrà e saprà sicuramente mobilitare le proprie energie e le proprie capacità, per raggiungere quell’auspicato traguardo del progresso tecnico e del benessere economico, dal quale, però, non deve essere giammai disgiunto il traguardo del progresso morale e della dignità civile e cristiana di cui è protagonista l’uomo, questa volta l’uomo del Sud, il cittadino meridionale.
Sono ottimista per lo sviluppo economico di tutto il Mezzogiorno, ma questo ottimismo è ancora più radicato in me, per quanto riguarda la Puglia. Poteva immaginare Taranto, appena qualche decennio fa, di avere impianti industriali della importanza di quelli, che li si sono insediati e che operano nel settore della siderurgia, dei cementi, dei petroli ecc. ecc.?
E si badi che queste cospicue iniziative industriali non rimangono isolate, ma portano come conseguenza ineluttabile, il sorgere di altre iniziative complementari ed accessorie.
[…]
E voglio chiudere con un augurio anche per Bari e per la provincia di Bari, così come ho fatto per le altre provincie pugliesi.
E permettete che questo auspicio per la mia terra natia Io faccia nella lingua nostra, nel nostro dialetto, prelevando questo augurio, che è anche un incitamento, da una mia modesta poesia dialettale di molti anni fa, intitolata e dedicata proprio a Bari:

Cemenere. assite, assite
come a funge atturne a Bari!
Ce aspettate, non vedite?
N’alda vite se prepare
Vu mercande e marinare
site state sembe attive,
vù ch’avite fatte Bari
mene sotte, chi v’è bbivc!
O Barise, sciame sciame
vrazze a vrazze a fadegà
jè na stedda ca nge chiame
Bare granne nu am’a fa!

Vito Antonio Di Cagno

Il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat riceve in udienza l’avv. Vito Antonio Di Cagno, Presidente dell’ENEL, con i dipendenti premiati per i 35 anni di servizio. (Fonte: www.archivio.quirinale.it)

Fonti:

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https://www.treccani.it/enciclopedia/di-cagno-vito-antonio/
https://www.facebook.com/DonDialettoBari/posts/bari-e-i-suoi-poeti-dialettali-antologia-vito-antonio-di-cagnooggi-primo-settemb/788808398188705/
http://www.consorzioasibari.it/new/consorzio-area-sviluppo-industriale-bari-molfetta-modugno/storia-consorzio-asi-bari-fiat-bosch-breda-cocacola-firestone.html
https://emerotecadigitalesalentina.it/sites/default/files/allegati/ZG1967_osservazioni_problemi_mezzogiorno.pdf

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