GESMUNDO GIOACCHINO

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GESMUNDO GIOACCHINO

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Docente ed educatore di storia e filosofia “dalla giovanile ispirazione liberale offerta dai suoi maestri, e una vicinanza latente all’anarchismo, Gesmundo a inizio anni Quaranta si avvicinò al Partito Comunista. L’iscrizione al partito, in via clandestina, è del 1943. La sua casa fu subito messa a disposizione per la redazione e diffusione del giornale l’Unità, anch’esso pubblicato segretamente, e di alcuni manifesti di propaganda antifascista; medaglia d’oro al valore militare vittima delle Fosse Ardeatine, insieme al concittadino Don Pietro Pappagallo ed altri 335 civili, fu barbaramente fucilato sotto il comando del gerarca tedesco Herbert Kappler.

Gioacchino Gesmundo nacque a Terlizzi il 20 novembre 1908, da Nicola Gesmundo, agricoltore possessore di piccole proprietà terriere, e Raffaella Vendola. Si trattò di un’esistenza che si fece presto grama: Raffaella morì quando Gioacchino aveva soltanto due anni, il padre Nicola quando ne aveva sei. Con lui crebbero due sorelle, Maria e Isabella, e tre fratelli, Giovanni, Michele e Domenico, tutti più grandi, i quali si presero cura del piccolo. La vita in via Vittorio Veneto, al civico 45, non era delle più semplici per una famiglia presto falciata da una tragedia simile. La viuzza stretta in cui Gesmundo passò l’adolescenza insieme ai suoi congiunti, all’epoca tra le arterie principali di Terlizzi, fu comunque animata dalla tipica solidarietà tra famiglie meno agiate che dimorava nei quartieri antichi delle cittadine meridionali di inizio secolo.

Via Veneto, già allora, era conosciuta come “la via della Rosa”, appellativo dovuto alle peculiarità offerte ai più da una Bocca di rosa locale, di cui non è dato sapere oltre…

Raggiunta l’età scolare, Gioacchino Gesmundo si iscrisse alla locale scuola elementare, per poi frequentare, ancora a Terlizzi e non senza difficoltà, la Scuola Tecnica, a quel tempo unica opzione presente in paese. Divenuto adolescente, frequentò il Reale Istituto Magistrale di Bari, il “Bianchi Dottula”, dove conseguì il diploma nell’estate del 1928. Tra i banchi del Bianchi Dottula ebbe come insegnante di filosofia il professore bitontino Giovanni Modugno, democratico radicale e tra i tanti pedagogisti di razza del primo Novecento. Si racconta che Gesmundo fosse «uno studente bravo, uno dei migliori della classe, invidiato da tutti per la sua intelligenza, per la preparazione, sempre pronto a rispondere a tutti i quesiti in filosofia l’allievo più bravo della classe». Modugno, d’altronde, fu colui il quale diede l’imprinting filosofico e umanistico ai successivi studi di Gesmundo. Il terlizzese, dei sei figli, fu l’unico a proseguire gli studi e a condurre una vita differente rispetto al destino operaio dei suoi fratelli. È d’altronde noto che fronteggiare il sostentamento di tante bocche da sfamare, nel primo Novecento, portava all’abbandono degli studi per più pratiche soluzioni in grado di garantire un minimo salario.

A studi terminati Gesmundo si trasferì a Roma per dedicarsi all’insegnamento, dapprima come docente elementare nella periferia di Settecamini, e dopo due anni, in una scuola di Tor Sapienza, fino al 1932. Ma gli studi non erano stati tralasciati: dopo il diploma, nel ’28, si iscrisse all’Istituto Superiore di Magistero per specializzarsi in filosofia e pedagogia. Qui conobbe altri illustri docenti e intellettuali che tentavano di segnare la strada culturale degli anni Venti e Trenta del Novecento italiano: il filosofo liberale Guido De Ruggiero e il pedagogista, autore della Riforma scolastica del 1923, Giuseppe Lombardo Radice, entrambi pensatori di ispirazione idealista e in aperta contrapposizione col fascismo. Grazie alla formazione ricevuta, nel 1932 giunse la prima cattedra di Storia e Filosofia presso un liceo. Si trasferì quindi a Formia, per insegnare al Liceo Classico “Vitruvio”. Qui, al terzo liceo, fu insegnante del futuro deputato comunista e Presidente della Camera Pietro Ingrao, il quale, a proposito di Gesmundo, ha ricordato: «Da lui, a Formia, venne già un discorso antifascista aperto e consapevole. Come testo di filosofia ci diede da studiare il Breviario di estetica di Croce.

Ed era già un segnale di disubbidienza. Nelle passeggiate tra i giardini di Formia, poi, ci parlava di critica al fascismo in modo esplicito» (Pietro Ingrao, Volevo la Luna, Einaudi, 2007, pp. 33-34).

Tra letture invise al regime e visioni democratiche non proprio allineate infuse ai suoi allievi, dopo il “Vitruvio”, a Gesmundo toccò insegnare ancora Storia e Filosofia, per brevissimo periodo, al liceo classico di Viterbo. Da qui passò per un anno al liceo “Terenzio Marrone” di Rieti. Nei restanti anni Trenta e i primi anni Quaranta il professore visse finalmente nella Capitale, nominato al Liceo Scientifico “Cavour”, dove fu titolare dell’insegnamento di Storia, Filosofia ed Economia e assunse presto il ruolo di vicepreside. A Roma mutò anche il tenore di vita: il terlizzese ebbe l’occasione di frequentare l’intellighenzia locale, di ideale antifascista. La sua casa divenne una sorta di piccolo circolo intellettuale frequentato dai giovani, e dove, tra tanti libri letti, si parlava di libertà, di verità e di giustizia. E, soprattutto, di democrazia. Gesmundo animò non poco la cultura romana in epoca fascista, riuscendo a esercitare libertas docendi e di pensiero malgrado le limitazioni: mai nessun alunno denunciò il professore alle autorità del regime.

Intanto, dalla giovanile ispirazione liberale offerta dai suoi maestri, e una vicinanza latente all’anarchismo, Gesmundo a inizio anni Quaranta si avvicinò al Partito Comunista. L’iscrizione al partito, in via clandestina, è del 1943. La sua casa fu subito messa a disposizione per la redazione e diffusione del giornale l’Unità, anch’esso pubblicato segretamente, e di alcuni manifesti di propaganda antifascista. Vi era, da parte di molti, scetticismo attorno al livello di sicurezza della casa per un’operazione simile, anche in virtù dell’indiscreto via vai di allievi che bazzicavano via Licia 76, dove l’insegnante risiedeva. Roma era ormai occupata dai tedeschi, e con l’adesione al comunismo Gesmundo divenne capo del controspionaggio romano. Agì in stretta collaborazione con la spia, e futuro matematico, Mario Fiorentini, organizzatore dell’attentato partigiano di via Rasella, che, macabra ironia della sorte, scatenò la rappresaglia nazista delle Fosse Ardeatine. Gesmundo partecipò, dunque, all’azione partigiana come membro dei GAP (Gruppi d’Azione Patriottica). Le attività spesso si coordinavano con l’opera antifascista di un altro illustre cittadino terlizzese, il prete don Pietro Pappagallo. Il comunista e il prete, originari di una piccola cittadina meridionale, erano così uniti malgrado le forti differenze ideologiche, come un certo cinema generalista italiano avrebbe insegnato nel Dopoguerra.

Il comunista Gesmundo si occupava di azioni di sabotaggio e disturbo nei confronti delle truppe tedesche, il prete Pappagallo, da parte sua, rischiava la vita dando rifugio ai perseguitati e ai cittadini ebrei.

È una storia che, per quanto intraprendente, non sarebbe durata a lungo. La mattina del 29 gennaio 1944 reparti delle SS fecero irruzione nell’abitazione di via Licia e arrestarono il professor Gesmundo. Furono ritrovati dei sacchi contenenti chiodi a quattro punte, utili a ostacolare il passaggio dei blindati nazisti. Lo stesso giorno venne catturato anche don Pietro, tradito da un finto rifugiato. Gesmundo fu trasportato in via Tasso e imprigionato per quasi due mesi nella cella numero 13. Durante la carcerazione subì le più efferate torture destinate ai prigionieri politici. Resistette agli interrogatori, tuttavia, con fierezza e fermezza. Ma il triste epilogo giunse il 24 marzo 1944. Si racconta che nel trasferimento da via Tasso alle Fosse Ardeatine, il comunista e il prete si siano incrociati un’ultima volta nei corridoi dell’improvvisato penitenziario. Quel che apparve al prelato fu un volto tumefatto, un corpo massacrato dalle sevizie naziste: si può giurare che una preghiera sia stata spesa nei confronti del coraggioso concittadino. Entrambi, qualche ora dopo, vennero condotti alle Fosse Ardeatine, dove, insieme ad altri 335 civili, furono barbaramente fucilati sotto il comando del gerarca Herbert Kappler. Di Gesmundo, soltanto trentaseienne, rimase una camicia insanguinata, oggi conservata nel Museo Storico della Liberazione di Roma.

La guerra si sarebbe conclusa in breve, e con la Liberazione le storie di quanti furono sacrificati nel conflitto divennero moderne agiografie, moniti su quanto non si sarebbe mai più dovuto ripetere. Nel 1944 fu riservata al coraggioso docente, postuma, la Medaglia d’oro al valore militare. Nelle motivazioni si può leggere: «Comandante, in territorio occupato dal nemico, di una zona clandestina insurrezionale ed in seguito responsabile di importante ufficio di controspionaggio, esplicava preziosa attività organizzativa e partecipava a numerose azioni di sabotaggio che incidevano sensibilmente sullo spirito e sulla efficienza delle unità nazifasciste. Orientava ogni sua attività al potenziamento degli organi preposti alla guerra partigiana, sfidando costantemente ogni insidia e pericolo. Catturato dalle SS. fasciste e tedesche durante l’esercizio del suo incarico, venne sottoposto per un mese intero ad inenarrabili torture, stoicamente sopportate a tutela del segreto militare e politico che custodiva.

Condannato dal tribunale di guerra tedesco alla pena di morte, con la fermezza degli Eroi affrontava la morte alle Fosse Ardeatine tramandando ai posteri fulgida prova di fede nella dura lotta per la conquista della libertà»

(https://www.quirinale.it/onorificenze/insigniti/13309). Il 13 aprile dello stesso anno, Gioacchino Gesmundo venne riconosciuto come Martire delle Fosse Ardeatine. Lo stesso accadde nei confronti del concittadino don Pietro Pappagallo.

Da parte sua, Gioacchino Gesmundo non avrebbe più fatto ritorno alla natale Terlizzi, dove cara risiedeva tutta la sua famiglia. La forzata distanza non avvenne per sua volontà, più per la contingenza degli eventi. Tuttavia, nella cittadina del nord barese, nel Dopoguerra, sorse una scuola media intitolata al coraggioso docente, e una targa ricorda l’abitazione giovanile dell’intellettuale in via Vittorio Veneto 45. La lapide, apposta nell’anno di inaugurazione all’ingresso della scuola media “Gioacchino Gesmundo”, recita: «A Gioacchino Gesmundo, nobile figura di pensatore, di educatore e di martire che alle Fosse Ardeatine consacrava all’eternità i sacri ideali di libertà, di dignità umana e di Patria col sacrificio supremo. Memore la nuova generazione dedicò. 30 settembre 1965». Neanche Roma e le altre città dove insegnò hanno mai dimenticato il martire terlizzese. La scuola elementare romana di Tor Sapienza porta oggi il suo nome; la biblioteca del liceo Cavour di Formia è intitolata a Gesmundo; anche il liceo classico “Terenzio Varrone” ricorda il passaggio del docente tra i suoi banchi con una targa. In via Licia, dove Gesmundo visse i suoi anni romani, è apposta una pietra d’inciampo in sua memoria. Ancora oggi, nella natale Terlizzi, la sua figura, insieme a quella di don Pietro Pappagallo, è annualmente ricordata con orgoglio dai cittadini in occasione del 24 marzo e del 25 aprile.

Una pietra in ricordo del partigiano Gesmundo

FU UCCISO alle Fosse Ardeatine il professor Gioacchino Gesmundo. Arrestato il 28 gennaio del 1944 e poi condotto in Via Tasso, resistette in maniera eroica alle terribili torture dei nazisti di Kappler e Piebke. La pietra d’ inciampo verrà posta in via Licia 56, il 14 gennaio alle ore 17.30 davanti alla sua casa, che durante l’occupazione tedesca ospitò dapprima la redazione clandestina del giornale l’Unità e poi l’arsenale dei Gap romani. Una delle tante iniziative della IV edizione di Memorie di inciampo a Roma, organizzata dalla sezione Anpi dell’Equilino-Monti-Celio.

La Repubblica, 5 gennaio 2013

Link: https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/01/05/una-pietra-in-ricordo-del-partigiano-gesmundo.html

Ardeatine, quei martiri pugliesi

Un seminario di studi per ricordare i quindici martiri pugliesi che furono uccisi dai fascisti, ciascuno con un colpo alla nuca, alle Fosse Ardeatine il 24 marzo del 1944. è stato Vito Antonio Leuzzi, presidente dell’Istituto pugliese per la storia dell’antifascismo, a volere il primo seminario pubblico su questo tema, «perché il diritto alla memoria deve essere uguale per tutti».

Tra i pugliesi uccisi 62 anni fa c’erano il sacerdote Pietro Pappagallo di Terlizzi, arrestato perché accusato di dare ospitalità agli ebrei, Gioacchino Gesmundo anche lui di Terlizzi, professore di Pietro Ingrao al liceo Visconti di Roma, Nicola Stame di Foggia, cantante lirico, la “voce” della resistenza nel carcere di Regina Coeli, Ugo Baglivo di Alessano, avvocato, alla cui famiglia il fascismo tolse le concessioni per la coltivazione del tabacco nel Salento, Umberto Bucci di Lucera, impiegato, arrestato perché in possesso di una copia di Italia Libera. Entro la fine dell’anno sarà pubblicato un volume di raccolta di testimonianze e di documentazione cartacea con schede biografiche delle quindici vittime pugliesi.

La Repubblica, 23 marzo 2006

Link: https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2006/03/23/ardeatine-quei-martiri-pugliesi.html

DONNE E UOMINI DELLA RESISTENZA

Gioacchino Gesmundo

Nato a Terlizzi (Bari) il 20 novembre 1908, ucciso alle Fosse Ardeatine (Roma) il 24 marzo 1944, insegnante, Medaglia d’oro al valor militare alla memoria.

 

Laureato in storia, filosofia e pedagogia, aveva insegnato a Formia ed era poi diventato docente al liceo scientifico “Cavour” di Roma. Nella capitale si affermò presto come studioso e, soprattutto, per il suo rigore morale e per le doti di educatore, capace, come fu, di trasfondere nei giovani allievi i principi di libertà. Subito dopo la caduta del fascismo, il professor Gesmundo si era iscritto al Partito comunista e, all’indomani dell’8 settembre 1943 prese parte alla guerra di liberazione nelle file della Resistenza romana. Attivo promotore del CLN a Roma, sotto l’occupazione tedesca ospitò nella sua casa di via Licia, prima la redazione clandestina dell’Unità e poi l’arsenale dei GAP romani, di cui faceva parte. Il 29 gennaio 1944, poco dopo lo sbarco degli Alleati ad Anzio, nella casa del professore, che era stato nominato vicecommissario di Divisione delle formazioni della Resistenza romana, fece irruzione la polizia fascista. Gesmundo stava preparando un’azione di sabotaggio contro i mezzi di trasporto tedesco e i fascisti trovarono nel suo appartamento due sacchi di chiodi a tre punte. Arrestato, il professore fu portato nelle carceri di via Tasso (nel Museo storico della Liberazione si conserva ancora, di Gesmundo, una camicia lorda di sangue), per esservi interrogato. Nella motivazione della ricompensa al valore si ricorda che “venne sottoposto per un mese intero a inenarrabili torture, stoicamente sopportate a tutela del segreto militare e politico che custodiva. Condannato dal Tribunale di guerra tedesco alla pena capitale, con la fermezza degli Eroi affrontò la morte alle Fosse Ardeatine tramandando ai posteri fulgida prova di fede nella dura lotta per la conquista della libertà”.

Link: https://www.anpi.it/donne-e-uomini/2390/gioacchino-gesmundo

GESMUNDO Gioacchino

Luogo di nascita: Terlizzi (BA)

Medaglia d’oro al valor militare

Cenni storici e normativa dell’onorificenza

Partigiano combattente

Data del conferimento: 1944

Alla memoria

 

motivazione:

Comandante, in territorio occupato dal nemico, di una zona clandestina insurrezionale ed in seguito responsabile di importante ufficio di controspionaggio, esplicava preziosa attività organizzativa e partecipava a numerose azioni di sabotaggio che incidevano sensibilmente sullo spirito e sulla efficienza delle unità nazifasciste. Orientava ogni sua attività al potenziamento degli organi preposti alla guerra partigiana, sfidando costantemente ogni insidia e pericolo. Catturato dalle SS. fasciste e tedesche durante l’esercizio del suo incarico, venne sottoposto per un mese intero ad inenarrabili torture, stoicamente sopportate a tutela del segreto militare e politico che custodiva. Condannato dal tribunale di guerra tedesco alla pena di morte, con la fermezza degli Eroi affrontava la morte alle Fosse Ardeatine tramandando ai posteri fulgida prova di fede nella dura lotta per la conquista della libertà. Roma, 8 settembre 1943-24 marzo 1944.

La data del Decreto è in corso di verifica

Link: https://www.quirinale.it/onorificenze/insigniti/13309

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