LUCARELLI ANTONIO

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LUCARELLI ANTONIO

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Acquaviva delle Fonti, 20 marzo 1874 – 10 settembre 1952

Storico e meridionalista, autore di numerosi studi sul socialismo e sul movimento operaio, oltre che sul Risorgimento ed il brigantaggio in Puglia e nel Mezzogiorno.

L’immagine è un particolare del ritratto di Antonio Lucarelli,

opera di C. Cipriani, di proprietà della Biblioteca Metropolitana “De Gemmis”

di Bari e ubicata nella Sala dell’Archivio De Gemmis che ospita anche

il Fondo Lucarelli (1896 – 1953) a cura di Rosanna D’Angella. 2020

 

Nacque da Saverio Lucarelli e Angela De Marinis e rimase molto presto orfano di padre. Frequentò le scuole elementari e il ginnasio nel paese natio, ma non potendo frequentare in Bari i corsi liceali, sostenne annualmente gli esami da privatista conseguendo la maturità classica. Si laureò in Lettere nel 1897 presso l’Università di Roma con il prof. Julius Beloch con una tesi sull’antica geografia della Puglia, che in seguito pubblicò in due volumi, seguendo anche le lezioni di Enrico Ferri e di Antonio Labriola, “fondatore del socialismo scientifico italiano, dal quale apprese quelle concezioni sociali e politiche cui tenne fede, senza mutare mai bandiera fino agli ultimi giorni di vita”.

Ritornò nel centro natale, dove insegnò per breve tempo nel ginnasio locale. Vinto il concorso per professore di ruolo, venne assegnato al liceo di Mistretta, in Sicilia, ottenendo l’avvicinamento nel marzo 1900 presso il ginnasio “Matteo Spinelli” di Giovinazzo (Bari). Fu poi trasferito nel novembre 1905 presso il Liceo ginnasio Cirillo di Bari, insegnando materie letterarie anche presso la Regia Scuola normale maschi ledi Bari durante il biennio 1910-1912.

Fu collocato a riposto d’ufficio a decorrere dal 16 giugno 1939 quanto era in servizio presso il Liceo Orazio Flacco di Bari, decisione iniqua alla quale lo stesso ministero della Pubblica Istruzione cercò di porre rimedio, consentendo al Lucarelli di concludere regolarmente l’anno scolastico e gli esami nell’ottobre del medesimo anno.

Durante gli anni d’insegnamento, Lucarelli – profondo studioso di storia patria – scrisse diversi testi, tra i quali Il Sergente Romano del 1922 (poi rifatto nel 1946) e Il brigantaggio politico nel Mezzogiorno d’Italia pubblicato da Laterza nel 1942. Con questi contributi fu molto notato per la presentazione del brigantaggio nel sud come reazione all’oppressione del colonizzatore,

L’altro suo tema fu il socialismo, attraverso lo studio dei personaggi quali Carlo Cafiero, Giuseppe Fanelli e Carmelo Palladino. Sull’argomento curò la ristampa di un volume di Carlo Rosselli (su Turati e il movimento socialista), del quale era stato amico.

L’opera molto apprezzata da Benedetto Croce e letta da Antonio Gramsci è La Puglia nel Risorgimento, uscita in quattro volumi tra il 1931 e il 1953, nella quale esaltò il contributo dato dalla sua regione al Risorgimento italiano.

Fu anche studioso di problemi agricoli e specialmente di viticultura, facendo venire dalla scuola di Montpellier il giovane viticultore Vaucher, a cui si deve in gran parte la ricostruzione del vigneto pugliese distrutto dalla fillossera e studiò musica con Filippo Cortese.

Si sposò in Acquaviva il 7 ottobre 1926 con Elena Tisci, dalle quale ebbe tre figlie, Lina, Teresa e Italia.

Durante il regime fascista continuò clandestinamente a collaborare con Pietro Nenni e Carlo Rosselli, scrivendo articoli sotto pseudonimi, quale Appulus agricola e Teofilato. Nell’autunno del 1926 fu colpito da mandato di cattura e perquisizione, nella quale gli fu sequestrato e non più restituito un prezioso manoscritto di storia socialista. Continuò anche in seguito a corrispondere segretamente con il Rosselli, esule a Parigi, il quale gli inviò il testo di un opuscolo che nel 1944 fu stampato a Bari a cura dell’istituto socialista di cultura.

Nell’aprile del 1936 fu tra i premiati della Real Accademia d’Italia ed anche dall’Accademia dei Lincei, socio dell’Accademia Pontaniana

Il suo impegno per le cause sociali, a fianco di Giustino Fortunato, Giuso Dorso e Tommaso Fiore, si manifestò con la sua collaborazione come redattore per diverse riviste socialiste. Partecipò insieme a Calace, Dorso, Rossi Doria, Raffaele e Michele Cifarelli ed altri, anche al Centro permanente per i problemi del Mezzogiorno sorto a Bari nel 1944.

Continuò anche in seguio a denunciare le difficili condizioni dei contadini pugliesi e lucani , colpiti dalle cicliche e frequenti siccità, sollevando con la sua attività di pubblicista lo spinoso problema della necessità di sistemi di irrigazione. In quegli stessi anni prospettò la necessità di pervenire all’unità culturale della Puglia, cercando di appianare i dissapori ed i campanilismi tra province.

Morì ad Acquaviva delle Fonti il 10 settembre 1952.

 

Al suo nome è legato un apposito fondo archivistico di documenti manoscritti nella Biblioteca provinciale di Bari.

 

Opere principali

  • Saggio sulla geografia storica della Japigia, 2 voll., Vecchi, Trani 1899-1903.
  • Acquaviva delle Fonti in Terra di Bari dalle origini al 1799, Giovinazzo,1904
  • Il sergente romano: notizie e documenti riguardanti la reazione e il brigantaggio pugliese del 1860, Soc. Tip. Pugliese, Bari 1922.
  • Saggio sui ditterii pugliesi: proverbi e modi dialettali, Soc. Tip. Pugliese, Bari 1923 (poi Forni editore nel 1980).
  • La città di Acquaviva delle Fonti nella vita pugliese del secolo XIX, Soc. Tip. Pugliese, Bari 1927.
  • La Puglia nel Risorgimento. Storia documentata, 4 voll., Vecchi, Trani 1931-1953
  • Il brigantaggio politico del Mezzogiorno d’Italia dopo la seconda restaurazione borbonica (1815-1818): Gaetano Vardarelli e Ciro Annicchiarico, Laterza, Bari 1942.
  • Il brigantaggio politico nelle Puglie dopo il 1860. Il sergente Romano, Laterza, Bari 1946.
  • Carlo Cafiero. Saggio di una storia documentata del socialismo, Vecchi, Trani 1947.

Giuseppe Fanelli nella storia del Risorgimento e del socialismo italiano: documenti e notizie, Vecchi, Trani 1952.

LE OPERE DELLO STORICO ANTONIO LUCARELLI

  Vito Antonio Leuzzi e Giulio Esposito

“Il suo lavoro sul Sergente Romano dimostra che Ella ha le attitudini per questo studio. Fra gli studiosi, che vivono in Puglia, oggi, Ella è uno dei pochissimi, che sappiano lavorare sul serio”.

Con queste parole Gaetano Salvemini nel 1923 si rivolgeva ad Antonio Lucarelli, dopo aver letto il volume Il brigantaggio politico delle Puglie dopo il 1860. Il sergente romano, ripubblicato poi da Laterza nell’immediato secondo dopoguerra.

L’attività di ricerca dello studioso originario di Acquaviva delle Fonti, allievo nell’Università di Roma dello storico Giulio Beloch, noto per i suoi studi sulle società antiche e di Antonio Labriola uno dei massimi teorici del socialismo in Italia, si era imposta sin dai primi anni del 900 per la modernità di un metodo fondato sull’esame rigoroso delle fonti e sulla combinazione dì conoscenze geografiche, antropologico-sociali, economiche. Egli aveva pubblicato nel 1899 il Saggio sulla geografia storica della Japigia e nel l903, Acquaviva delle Fonti nella seconda metà del secolo XV alimentando una vivace cultura storica regionale che aveva come punto di riferimento il periodico la “Rassegna Pugliese”.

La sua notorietà a livello nazionale s’impose nel 1922 con la pubblicazione del suo primo studio sul fenomeno della reazione contadina al nuovo Stato giudicato da Croce “uno dei migliori scritti sulla storia del Brigantaggio”. Assieme a Croce Giulio Beloch in una lettera del 6 giugno 1922 si rivolse a Lucarelli:

“L’ho letto con molto piacere, tanto più che mi era sempre interessata quella cosiddetta guerra dei briganti; e mi associo al giudizio che del lavorio hanno dato Salvemini ed altri, in questo specialisti certo più competenti di me”.

Anche Carlo Morandi così subito dopo:

“Grato del dono. E d’un bel libro, che dice molto bene e bene di cose che conoscevamo poco e male”

E sulla stessa linea Rodolfo Mondolfo nel 1925 gli scriveva:

“E’ veramente pieno d’interesse e illuminazione di chiara luce non soltanto la storia del brigantaggio, ma un po’ anche quella di tutti i moti reazionari, che vogliono ripetersi con elementi e caratteri spesso affini e comuni. L’ho letto dunque con interesse, rilevando dalla lettura le Sue ottime doti di storico”.

Incoraggiato da questi giudizi lo storico di Acquaviva pubblicava nel 1926 il saggio La Puglia nel secolo XIX. In quest’ultimo studio, si ribaltavano i luoghi comuni della pubblicistica del tempo sulle “sollevazioni contadine”, considerate espressioni dell’arretratezza tipica dei ceti inferiori. La diffusa reazione alla nuova realtà politica dopo l’unificazione era stata provocata dalla delusione dei contadini che al posto delle riforme” si sentirono scatenare sulle spalle una valanga di nuovi e rincruditi balzelli e vessatori sistemi fiscali”.

“Tutto il nostro territorio — sostiene Lucarelli — dal confine molisano all’estremo Salento fu cosparso di sangue, di stragi, di rapine. A Vico del Gargano. S. Marco in Lamìs, Grottaglie. Crispiano, Statte, Carovigno, Palagianello, Erchie, sequestri di persona, eccidi notturni, ratti e violenze di fanciulle, ricorrono ad ogni passo nelle scritture d’archivio”.

Al fenomeno della repressione di massa dei ceti rurali egli prestò molta attenzione attraverso l’esame attento di diverse fonti, in particolare quelle giudiziarie. Le crudeltà inaudite con cui fu soffocata l’insurrezione — egli afferma — rattristano il pensiero […]. Si ammazzano massari e proprietari per semplice sospetto di favoritismo. Si assassinavano i miseri contadini solo perché portavano in campagna un pezzo di pane più grosso di quanto si era creduto fosse necessario al proprio bisogno di una giornata.”

Per la repressione dell’insurrezione contadina vennero impiegati centoventimila uomini sotto la direzione di noti generali, tra i quali Lamarmora, Cadorna, Cialdini. Soltanto nei primi venti mesi si contarono mille fucilati, duemilacinquecento morti in conflitto, tremila condannati a pene durissime.

Il forte impegno civile di questo impareggiabile storico del brigantaggio e del Socialismo si manifestò senza soluzione di continuità nel primo e nel secondo dopoguerra.

Egli intervenne nel 1920 con diversi scritti, sulla stampa socialista, per stigmatizzare il fenomeno diffuso delle occupazioni delle terre in Puglia, considerando la pericolosità di modelli come quelli della socializzazione della terra, emersi dalla rivoluzione dei Soviet in URSS, del tutto inapplicabili alla situazione dell’Italia ed in particolare del meridione, caratterizzato da una consistente diffusione della piccola e media proprietà agricola.

Lo studioso di Acquaviva intervenne assieme a Tommaso Fiore, nella metà degli anni Venti, su “Quarto stato, la rivista milanese fondata da Rosselli e Nenni che avviò un intenso dibattito di revisione teorica del socialismo e considerò fondamentale, per la costruzione di un programma socialista rinnovato, una conoscenza più analitica degli assetti dell’economia agricola nel Mezzogiorno. L’importanza della riflessione di Lucarelli venne messa in luce da un articolo di Pietro Nenni sul “Quarto stato” (8 maggio 1926):

“E’ attraverso questi studi particolareggiati, che riesce possibile percepire appieno l’immaturità della rivoluzione unitaria e liberale che caratterizzò in Italia il XIX secolo, e che fu più il riflesso di avvenimenti esteriori che consapevole conquista. È questa immaturità che spiega molte cose della nostra storia recente e presente”.

La ricostruzione delle vicende del brigantaggio si colloca per Lucarelli all’interno della questione meridionale, considerata come questione eminentemente sociale (e la scomparsa dall’agenda politica della questione sociale rilancia oggi, quella “territoriale”, in modo scomposto).

Fuori di questa prospettiva sollevare il tema della conquista piemontese e dell’atrocità connesse, riporta sulla ribalta la questione territoriale e nell’utopia archeologica neoborbonica la questione dinastica. Per lo storico di Acquaviva delle Fonti il Socialismo è il compimento del Risorgimento, soluzione della questione sociale e meridionale. Questa salda convinzione lo indusse a intervenire su “Quarto stato”, Borghesia, proletariato agricolo e socialismo nel Mezzogiorno d’Italia (10 luglio 1926), nel quale affermò:

“Tale equilibrio di forze divergenti s’infrange, a esclusivo beneficio della borghesia, il 1860, con la formazione del regno italico, la quale nel Sud, fu la vittoria del ricco terriero e del professionista sul misero villano che restò privo di ogni tutela. La borghesia, libera dalla occhiuta vigilanza borbonica, impadronitasi di ogni civile privilegio, s’insedia nelle amministrazioni ed esplica senza freno le sue ataviche tendenze. Nata dalla plebe essa serba della plebe tutte le manchevolezze: gretta, ignara, procacciante”.

La borghesia per Lucarelli aveva smarrito la carica innovativa manifestatasi con gli eventi del 1799. in questa direzione egli sviluppò ulteriori ricerche. Sulla realtà politico-sociale della regione, condusse in diversi archivi pugliesi, ed in particolare nel grande archivio di Napoli, una serie di ricerche  culminate nel 1931 con la pubblicazione del primo dei quattro volumi, La Puglia nel Risorgimento, nel quale egli ricostruiva la nascita del movimento giacobino e delle sue più importanti figure, Emanuele De Deo di Minervino Murge e Ignazio Ciaia di Fasano (il poeta della rivoluzione), e forniva un chiaro quadro d’insieme della rivoluzione napoletana del 1799.

Accolta, ancora una volta, da giudizi favorevoli della storiografia nazionale l’opera dello studioso di Acquaviva suscitò l’interesse di Antonio Gramsci che così annotava nei Quaderni dal Carcere (Risorgimento Italiano, Q. 8):

“Volume necessario per comprendere la Questione Meridionale, Pare che l’autore riesca a dare un quadro impressionante delle condizioni terrificanti del popolo pugliese”.

La sua militanza politica nelle fila socialiste, sin dagli inizi del secolo, si caratterizzò sulle questioni che animavano le battaglie del movimento contadino, dalla questione della terra, all’irrigazione, alla modernizzazione dei processi produttivi. Egli ebbe il merito di far circolare fra i giovani antifascisti baresi il saggio di Carlo Rosselli su Filippo Turati, che pubblicato in Francia alla fine degli anni Venti fu poi introdotto in Italia con la mascheratura di una copertina intitolata L’espansione dell’idea corporativa nel mondo. Si trattava di uno stratagemma per eludere i controlli polizieschi. Lucarelli, infatti, dopo l’assassinio di Matteotti tenne in una sala barese una commemorazione in cui ricordò anche il delitto di Di Vagno:

“Giuseppe Di Vagno e Giacomo Matteotti, nella luce del martirio sono morti da socialisti, all’avanguardia della classe operaia italiana per il riscatto del lavoro, dell’oppressione dell’agraria e del capitalismo coalizzati. Ma io, sul corrusco inferno e sull’etereo cielo, giuro e accerto e dico a voi tutti, qui, questa sera, convenuti, che non saranno dimenticati”.

Messo fuori legge il partito socialista a Lucarelli non rimase altro che vivere in un esilio interno, quasi da straniero in patria. Sono di questo periodo una serie di studi sulla Puglia pubblicati all’estero e spesso con vari pseudonimi. Ciò, però, non lo preservò dalla repressione fascista che nel 1939 lo costrinse a lasciare l’insegnamento dal liceo di Bari. In quegli anni Lucarelli intensificò comunque i rapporti con Tommaso Fiore e il movimento liberal socialista che si costituì nel capoluogo pugliese tra il 1939 ed il 1940.

Questi legami si consolidarono all’indomani della caduta del fascismo con l’adesione al Comitato di liberazione nazionale e con una intensa collaborazione ai periodici del Partito d’azione. “L’Italia del popolo” e soprattutto “Il nuovo risorgimento”. Nel 1944 fu uno dei protagonisti del primo convegno meridionalista del dopoguerra che si svolse a Bari il 3-4-5 dicembre, assieme a Dorso, Fiore, Omodeo, Rossi Doria, Assennato, con una interessante relazione sul tema del frazionamento del latifondo.

Intensissima la sua attività pubblicistica nell’immediato secondo dopoguerra su periodici e riviste regionali e nazionali, tra cui “Movimento Operaio” che si pubblicava a Milano, “La Gazzetta de Mezzogiorno” e l’”Avanti!”. Il quotidiano socialista, infatti, nel 1945, avviando una sistematica riflessione sul Mezzogiorno con la presentazione degli scritti di Rosselli, Gobetti, Gramsci, Amendola ripubblicò la recensione di Nenni su Lucarelli apparsa venti anni prima sul “Quarto stato”. Sul principale quotidiano pugliese egli intervenne tra il 1949-1950 sui temi attuali della riforma agraria e sul “Risorgimento del Mezzogiorno”, quest’ultimo suscitò l’apprezzamento del Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, che gli fece pervenire una nota di stima e gratitudine.

L’impegno dello storico di Acquaviva conosce un’ultima stagione in cui orienta la battaglia dell’idee fuori dagli schemi rigidamente politici impegnandosi in una vasta opera di recupero delle figure più significative delle origini del movimento operaio. Nonostante l’età avanzata, condusse la ricerca in diversi archivi del Mezzogiorno, mettendo insieme una consistente documentazione su vari esponenti dell’anarchia pugliese. In questa fase il socialismo viene inteso come un processo educativo “sostanziale” che avviene non con la conquista del consenso attraverso la propaganda, ma con la testimonianza di veri e propri eroi e martiri dell’Umanità come Carlo Cafiero e Giuseppe Fanelli.

La scomparsa di questo grande storico della Puglia, del meridionalismo e del brigantaggio (alcuni suoi scritti vennero ripubblicati nel 1982 da Longanesi con una bella prefazione di Leonardo Sciascia) avvenne il 10 settembre del 1952.

Poco prima di morire egli chiese alle figlie di lasciare sul suo capezzale i suoi libri più cari. La rivoluzione del 1799 e Giuseppe Fanelli (edito nel 1953) “a ricordo dei grandi martiri della giustizia e della libertà”.

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