PAPPAGALLO PIETRO

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PAPPAGALLO PIETRO

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Terlizzi, 28 giugno 1888 – Roma, 24 marzo 1944

Presbitero e antifascista, vittima dell’eccidio delle Fosse Ardeatine medaglia d’oro al merito civile alla memoria; durante la seconda guerra mondiale aiutò molti antifascisti tanto da essere ricordato come Giusto tra le nazioni.

Quinto di otto fratelli, nacque a Terlizzi, in provincia di Bari, in una famiglia di modeste condizioni economiche: il padre, cordaio, fabbricava le funi con canapa, iuta e giunco; la madre, casalinga asseconda la precoce vocazione del ragazzo. Collaborò inizialmente con la sua attività di garzone nella bottega paterna, poi la madre gli consentì di entrare in seminario, dando, con la cessione di beni immobili che le appartenevano, la “rendita sacerdotale”, a quei tempi necessaria per chi intendesse diventare prete.

Pietro fu ordinato sacerdote il 3 aprile 1915, Sabato Santo, e il giorno seguente, Pasqua di Risurrezione, distribuì l’immaginetta-ricordo della sua prima messa, sulla quale volle trascrivere la preghiera al “Dio delle misericordie”, al “Re pacifico”, composta da Benedetto XV per implorare la pace. Trascorse i primi dieci anni della sua vita sacerdotale nella cura pastorale di un convitto nella diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi e, successivamente, del seminario “Pio X” di Catanzaro.

Giunto a Roma nel 1925, don Pappagallo fece parte del Collegio dei Beneficiati della Basilica di Santa Maria Maggiore e fu padre spirituale delle Suore Oblate del Santo Bambino Gesù di via Urbana; fu anche vice parroco della Basilica di San Giovanni in Laterano e segretario del cardinale Ceretti.

Durante l’occupazione tedesca, il sacerdote si impegnò nel fornire aiuto a soldati italiani sbandati, partigiani, alleati, ebrei e altre persone ricercate dal regime. Il 29 gennaio 1944, don Pietro fu arrestato dalle SS, dopo la delazione da parte della spia Gino Crescentini, fintosi un fuggiasco in cerca di rifugio presso il sacerdote; lo scopo era eliminare una figura di spicco del Fronte militare clandestino e della resistenza romana.

Alcuni testimoni hanno riferito che, anche durante il periodo della prigionia, don Pappagallo condivise il proprio pasto con altri detenuti che non avevano ricevuto cibo.

Condannato a morte, fu l’unico prete cattolico a essere ucciso il 24 marzo 1944 alle Fosse Ardeatine: «all’ingresso delle cave dalla lunga fila in attesa della fucilazione si alza un grido, da uno che ha visto la sua veste nera: “Padre, benediteci!”. Racconterà un superstite che “don Pietro, che era un uomo robusto e vigoroso, si liberò dai lacci che gli stringevano i polsi, alzò le braccia al cielo e pregò ad alta voce, impartendo a tutti l’assoluzione”.

Papa Giovanni Paolo II, in occasione del giubileo dell’anno 2000, ha incluso don Pietro Pappagallo tra i martiri della Chiesa del XX secolo. Al suo nome è intitolata la sezione “Esquilino-Monti-Celio” dell’ANPI.

Il 9 gennaio 2012, sul marciapiede di fronte alla sua casa di Roma in via Urbana 2, è stato collocato un sampietrino con targa in metallo, nell’ambito del progetto Stolperstein “pietra d’inciampo”, che ricorda i deportati dai nazisti nel luogo in cui sono stati prelevati.

La figura di don Pietro Pappagallo, assieme a quella di don Giuseppe Morosini, ha dato spunto a Roberto Rossellini per il suo film Roma città aperta, nel quale il ruolo del sacerdote è interpretato da Aldo Fabrizi.

Gianfranco Albano ha firmato la regia de La buona battaglia – Don Pietro Pappagallo, fiction trasmessa dalla RAI, nella quale il personaggio di don Pappagallo è interpretato da Flavio Insinna.

 

Onorificenze

Medaglia d’oro al merito civile

«Sacerdote della Diocesi di Roma, durante l’occupazione tedesca collaborò intensamente alla lotta clandestina e si prodigò in soccorso di ebrei, soldati sbandati, antifascisti ed alleati in fuga dando loro aiuto per nascondersi e rifocillarsi. Tradito, fu consegnato ai tedeschi, sacrificando la sua vita con la serenità d’animo, segno della sua fede, che sempre lo aveva illuminato. Roma, 24 marzo 1944
— Decreto del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi del 13 luglio 1998

Targa dedicata a don Pietro Pappagallo, nella casa in cui visse a via Urbana, Roma:

 

IN QUESTA CASA
NEL TEMPO BUIO DELL’OCCUPAZIONE NAZISTA
RIFULSE LA LUCE DEL CUORE GENEROSO DI DON PIETRO PAPPAGALLO
Terlizzi (BARI) 28·6·1888
ROMA FOSSE ARDEATINE 24·3·1944 ACCOLSE CON AMORE I PERSEGUITATI
DI OGNI FEDE E CONDIZIONE
CADDE NEL SEGNO ESTREMO
DELLA REDENZIONE E DEL PERDONO DI DIO
IL COMUNE DI ROMA POSE
NEL 53 ANNIVERSARIO DELL’ECCIDIO
PER RICORDARE CHE I CADUTI PER LA LIBERTÀ
SONO LE VIVE SEMENTI
DI UNA UMANITÀ MIGLIORE

https://www.treccani.it › enciclopedia › pietro-pappagal

 

PAPPAGALLO, Pietro

di Giorgio Vecchio – Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 81 (2014)

 

PAPPAGALLO, Pietro. – Nacque il 28 giugno 1888 a Terlizzi, in provincia di Bari e in diocesi di Molfetta-Giovinazzo-Terlizzi, da Michele e da Maria Tommasa Guastamacchia, quinto di otto fratelli.

La famiglia era di modeste condizioni, essendo il padre funaio. Pappagallo lavorò da ragazzo come garzone, prima di poter frequentare il ginnasio a Giovinazzo, poi il liceo al seminario vescovile di Molfetta e infine gli studi teologici al seminario di Lecce. Fu ordinato prete il 3 aprile 1915 a Molfetta. Nei primi anni del suo ministero non ricevette alcun incarico specifico, anche a causa dell’elevato numero di preti residenti in diocesi, e svolse quindi impegni occasionali presso le parrocchie di Terlizzi. Collaborò anche con il convitto Vito Fornari di Molfetta, di cui divenne vicerettore (1922-1923), prima di essere chiamato a rivestire l’incarico di vicerettore economo al seminario Pio X di Catanzaro (1924).

Il 26 novembre 1925, con il permesso del suo vescovo, si trasferì a Roma per potervi studiare diritto canonico e svolgere qualche attività pastorale più continuativa. Pochi mesi dopo ricevette l’incarico di assistere gli operai del convitto della società Cisa Viscosa al quartiere Prenestino di Roma; qui si espose nell’aperta denuncia delle condizioni disumane di lavoro degli operai e fu costretto a lasciare l’incarico.

Nel settembre 1928 fu assegnato alla basilica di S. Giovanni in Laterano come viceparroco. Nel novembre 1929, ottenuto il prolungamento del suo permesso di residenza a Roma, fu nominato cappellano e direttore spirituale delle suore Oblate del Bambino Gesù, non lontano dalla basilica di S. Maria Maggiore. Don Pappagallo spostò la sua residenza in quella zona di Roma e si stabilì in via Urbana 2, dove abitò fino all’arresto. Nel novembre 1930 fu definitivamente incardinato nella diocesi di Roma e nel febbraio successivo fu nominato chierico beneficiario della basilica di S. Maria Maggiore, della quale era arciprete il cardinale Bonaventura Cerretti, di cui da allora fu segretario personale fino alla morte di costui, nel 1933. Fece anche parte della commissione preposta alla sistemazione logistica dei pellegrini attesi a Roma per l’anno santo straordinario del 1933. Per tutto quel periodo don Pappagallo tenne aperta la sua casa ai giovani, soprattutto a quelli provenienti da Molfetta e Terlizzi.

Dopo l’8 settembre 1943, anche su sollecitazione di Gioachino Gesmundo, suo compaesano ed ex allievo, militante del Partito comunista, mise a disposizione la sua abitazione a militari sbandati, nonché a perseguitati per motivi politici o razziali, offrendo ospitalità e documenti falsificati. In questo impegno don Pappagallo trovò appoggio nelle suore di Nostra Signora di Namur, che avevano una casa proprio in via Urbana. Rimane impossibile stabilire il numero effettivo delle persone da lui salvate, che di certo fu consistente.

L’attività di don Pappagallo non poté rimanere a lungo inosservata e, in seguito alla delazione di Gino Crescentini, il 29 gennaio 1944 egli fu arrestato e condotto alla sede romana della polizia germanica di sicurezza, la Sicherheits Polizei (SIPO), in via Tasso. Rinchiuso nella cella n. 13, sottoposto a umiliazioni e torture, don Pappagallo seppe mantenere un atteggiamento dignitoso, oltre che altruistico nei confronti dei compagni di cella. Selezionato per la rappresaglia tedesca decisa in seguito all’attentato di via Rasella a Roma del 23 marzo 1944, fu condotto alle Fosse Ardeatine e qui legato al disertore austriaco Joseph Reider. Costui, riuscito a salvarsi in modo rocambolesco, diede poi una testimonianza (controversa) sulle ultime ore di vita di Pappagallo e del suo sforzo di benedire i condannati. Con tutte le altre vittime della rappresaglia, don Pappagallo fu ucciso il 24 marzo 1944.

La sua salma venne riesumata per il riconoscimento nel corso dell’estate 1944 e nel novembre 1948 definitivamente traslata a Terlizzi. Nel 1945 Roberto Rossellini si ispirò alla sua figura (e a quella di don Giuseppe Morosini) per realizzare il personaggio di don Pietro, interpretato da Aldo Fabrizi, nel celebre film Roma città aperta. Il 13 luglio 1998 il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro conferì la medaglia d’oro al merito civile alla memoria di don Pappagallo. Il 31 ottobre 1999 la Fondazione internazionale A. Carnegie gli attribuì una medaglia d’oro alla memoria. Nell’aprile 2006 la RAI mise in onda la fiction La buona battaglia. Don Pietro Pappagallo, dedicata alla sua figura.

Fonti e Bibl.: In mancanza di una biografia scientifica, il miglior testo di riferimento disponibile è R. Brucoli, Pane e cipolla e santa libertà. Don P. P., martire alle Ardeatine, I-II, Terlizzi 2009 (pubblica anche le pochissime lettere rimaste di Pappagallo). La voce di L. Musci, P. P., in Dizionario storico del Movimento cattolico in Italia, a cura di F. Traniello, G. Campanini, III, 2, Casale Monferrato 1984, pp. 626 s. non è esente da errori. Si vedano anche: A. Lisi, Don P. P., martire delle Fosse Ardeatine, Todi 2006; A. Lisi, Don P. P.: un eroe, un santo, Rieti 2009.

Tra le testimonianze coeve, cfr. A. Alessandrini, Carlo Zaccagnini e Monsignor P., in Mercurio, I (1944), 4, pp. 185-188. Cenni sull’attività di Pappagallo e sul contesto in cui si svolse si trovano nelle ricostruzioni storiche della Resistenza a Roma: R. Perrone Capano, La Resistenza in Roma, I-II, Roma 1963 (alle pp. 468-473 una prima breve biografia di Pappagallo); E. Piscitelli, Storia della Resistenza romana, Bari 1965, passim; G. Intersimone, Cattolici nella Resistenza romana, Roma 1976, ad ind.; A. Paladini, Via Tasso. Museo storico della Liberazione di Roma, Roma 1989, ad ind.; A. Lepre, Via Rasella. Leggenda e realtà della Resistenza a Roma, Roma-Bari 1996, ad ind.; R. Katz, Morte a Roma. Il massacro delle Fosse Ardeatine, Roma 1996, ad ind.; A. Portelli, L’ordine è già stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria, Roma 1999, ad ind.; G. Giannini, Lotta per la libertà. Resistenza a Roma 1943-1944, Roma 2000, ad ind.; G. Gaspari, Gli Ebrei salvati da Pio XII, Roma 2001, ad ind.; A. Riccardi, L’inverno più lungo. 1943-44: Pio XII, gli ebrei e i nazisti a Roma, Roma-Bari 2008, ad indicem.

https://www.raiplay.it/programmi/labuonabattaglia-donpietropappagallo

 

Scritto da Furio Scarpelli

La buona battaglia – Don Pietro Pappagallo

2006 Italia

“La buona battaglia – Don Pietro Pappagallo” andò in onda su Rai 1, in 2 puntate, il 23 e 24 aprile del 2006. Vi si narra la storia di Don Pietro Pappagallo (1888-1944), sacerdote pugliese che a Roma difese e aiutò partigiani, alleati, militari ed ebrei, e per questo motivo fu assassinato presso le Fosse Ardeatine. Protagonista della fiction è Flavio Insinna, mentre tra gli altri interpreti si segnalano Ana Caterina Morariu, Paolo Briguglia, Ignazio Oliva e Vanni Corbellini. Sceneggiatura di Furio e Giacomo Scarpelli e regia di Gianfranco Albano.

  • Regia: Gianfranco Albano
  • Interpreti: Flavio Insinna, Ana Caterina Morariu, Paolo Briguglia, Ignazio Oliva

https://www.romasette.it/don-pappagallo-unico-prete-ucciso-alle-fosse-ardeatine/

Don Pappagallo, unico prete ucciso

Di origine pugliese, fu viceparroco a San Giovanni in Laterano. Fu immortalato da Rossellini, assieme a don Morosini, in “Roma città aperta”

Augusto D’Angelo pubblicato il 20 Aprile 2020

 

Sono già più di 100 i preti morti per il Covid-19. E spesso – anche se a sproposito – si evoca un presunto clima di guerra. Però i conflitti e la pandemia mostrano come i preti giungano a sacrificare la propria vita per difendere spazi di umanità. Alla vigilia di una data simbolo come il 25 aprile, è il caso di ricordare la testimonianza di don Pietro Pappagallo, immortalato, assieme a don Giuseppe Morosini, nel film Roma città aperta. Il regista Roberto Rossellini si ispirò a quelle due figure per delineare il personaggio di don Pietro interpretato da Aldo Fabrizi.

Don Pappagallo fu l’unico prete a morire alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944, dopo essere stato arrestato il 29 gennaio precedente. A favorirne la cattura fu un certo Gino Crescentini, un militare italiano che dopo l’8 settembre 1943, ricercato come disertore, fu accolto nel convento dei Santi Cosma e Damiano. Essere stato salvato dal pericolo non favorì alcun suo ripensamento al momento di denunciare l’opera di don Pappagallo. Nelle carte del processo si legge che «fu spinto alla delazione dall’avidità del guadagno».

Don Pietro era un prete pugliese. Era nato in provincia di Bari, il 28 giugno 1888. Il luogo in cui nacque, Terlizzi, era stato sede episcopale fino al 1818, poi soppressa ed entrata a far parte della diocesi di Molfetta-Giovinazzo-Terlizzi. La famiglia d’origine era di umili condizioni. Il padre, Michele, sosteneva la famiglia costruendo e vendendo corde. La madre, Maria Guastamacchia, accudiva gli otto figli: Pietro era il quinto.

Sin da piccolo Pietro lavorò col padre, poi frequentò il ginnasio a Giovinazzo e poi il liceo nel seminario vescovile di Molfetta. Completati gli studi teologici al seminario di Lecce, fu ordinato prete a Molfetta, mentre l’Italia si preparava ad entrare nella Prima guerra mondiale, il 3 aprile 1915.

Nei primi anni di ministero don Pietro ottenne incarichi temporanei nelle parrocchie del suo paese, ma dopo la guerra iniziò a collaborare col convitto “Vito Fornari” di Molfetta, fondato nel 1915 da don Giulio Binetti per ricordare un altro prete molfettese. Il convitto era stato creato per ospitare i giovani dei paesi vicini che frequentavano le scuole di Molfetta e non potevano tornare a casa la sera.

Don Pappagallo divenne vicerettore del convitto. Lo lasciò perché nel 1924 fu nominato vicerettore del seminario regionale Pio X di Catanzaro. Era un ruolo rilevante nelle trasformazioni delle Chiese del Sud: quel Seminario apparteneva alla rete di centri di educazione voluta dal Papa per unificare e “romanizzare” la formazione del clero meridionale, ed era stato inaugurato nel 1912.

Don Pietro, col permesso del suo vescovo, si trasferì a Roma nel 1925 per studiare diritto e svolgere attività pastorale a confronto con una realtà urbana. Qualche tempo dopo ebbe l’incarico dell’assistenza pastorale degli operai del convitto della società Cisa Viscosa al quartiere Prenestino di Roma. La fabbrica, inaugurata nel settembre del 1923, faceva parte di una rete aziendale con capitali anche statunitensi e produceva rayon (seta sintetica). L’impianto romano dava lavoro a 2.500 operai, una parte dei quali alloggiati in un convitto della stessa fabbrica.

Il giovane sacerdote meridionale subì l’impatto col mondo dell’industrializzazione e con lo sfruttamento degli operai. Prese apertamente le parti del suo piccolo popolo di lavoratori e denunciò le dure condizioni di lavoro. A seguito di queste prese di posizione dovette lasciare l’incarico.

Nel settembre 1928 divenne viceparroco della basilica di San Giovanni in Laterano e l’anno successivo divenne cappellano e direttore spirituale delle suore Oblate del Bambino Gesù, nei pressi di Santa Maria Maggiore. Per meglio svolgere il suo compito don Pietro si trasferì in via Urbana 2, nella dimora che mantenne fino al momento della reclusione.

Nel 1930 divenne definitivamente un “prete romano” con l’incardinazione nella diocesi del Papa, e il cardinal Bonaventura Cerretti lo volle quale segretario personale fino alla morte (1933). In vista dell’Anno Santo straordinario del 1933 fu chiamato ad occuparsi anche della sistemazione logistica dei pellegrini, e per mesi la sua casa divenne luogo d’accoglienza di giovani, soprattutto pugliesi della sua diocesi di provenienza.

Nel cuore della seconda guerra mondiale, a partire dall’armistizio dell’8 settembre 1943, don Pietro aprì la sua casa ai militari sbandati che avevano visto dissolversi la catena di comando dopo la fuga del re. Ai militari si aggiunsero col tempo alcuni perseguitati politici e – dopo i fatti del ghetto del 16 ottobre 1943 – alcuni ebrei. Don Pappagallo, in contatto con la rete resistenziale, offriva ospitalità e documenti falsi, anche in collaborazione con le suore del convento delle figlie di Nostra Signora di Namur, situato sulla stessa via Urbana.

Dopo la denuncia di Crescentini, il 29 gennaio 1944 don Pietro fu condotto a via Tasso, dove aveva sede la polizia nazista di sicurezza nella capitale (e dove ora ha sede il Museo della Liberazione) . Fu rinchiuso nella cella numero 13, subendo ripetutamente torture e percosse. In quelle settimane di agonia don Pietro mantenne il silenzio sui nomi dei suoi contatti nella resistenza, e si mantenne generoso con i compagni di reclusione.

A seguito dell’attentato compiuto a via Rasella il 23 marzo 1944, don Pappagallo venne incluso nell’elenco delle vittime della rappresaglia tedesca. Fu condotto alle Fosse Ardeatine, unico prete tra i 335 prigionieri eseguiti il 24 marzo. Secondo una testimonianza, avrebbe fatto ogni sforzo per benedire le vittime di quell’eccidio nazista.

La salma di don Pietro, riesumata nell’estate del 1944, fu trasferita a Terlizzi dopo la guerra, nel novembre 1948. Nel 1998 il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro gli conferì la medaglia d’oro al merito civile alla memoria e l’anno successivo lo stesso fece la Fondazione internazionale A. Carnegie. Durante il Giubileo del 2000 Giovanni Paolo II lo ha incluso tra i martiri della Chiesa del XX secolo, e dal maggio 2018 don Pappagallo è anche tra i Giusti tra le Nazioni riconosciuti dallo Yad Vashem. Giovane prete ai margini della vicenda bellica durante la Prima guerra mondiale, si trovò su una frontiera esposta durante la Seconda e non ne accettò la logica, pagando con la vita il tentativo di garantire spazi di umanità nella bufera del conflitto.

20 aprile 2020

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