PATRUNO LINO

nuova puglia d'oro_total white

PATRUNO LINO

nuova puglia d'oro_total white

Bari, 29 luglio 1947

All’anagrafe Pasquale Patruno, giornalista, scrittore Insegna prima comunicazione pubblica al Dipartimento Universitario di marketing e comunicazione d’impresa e poi Economia e tecnica della pubblicità al Corso di laurea di Marketing e comunicazione d’impresa…

Inizia giovanissimo, all’età di 18 anni, a dedicarsi al giornalismo ed alla scrittura. Poi si laurea in economia, con indirizzo sociologico. È sposato e ha una figlia.

Nel 1966 entra nella redazione de La Gazzetta del Mezzogiorno di Bari. In data 16 maggio 1973 diventa giornalista professionista.[1]

Dal 1991 è docente alla facoltà di Economia dell’Università di Bari. Insegna prima comunicazione pubblica al Dipartimento Universitario di marketing e comunicazione d’impresa e poi Economia e tecnica della pubblicità al Corso di laurea di Marketing e comunicazione d’impresa. Ricopre la carica di editorialista e direttore della Scuola dell’Ordine dei Giornalisti della Puglia.[2]

Nel 1995 è nominato direttore responsabile del quotidiano La Gazzetta del Mezzogiorno.

Per dieci anni è anche coordinatore e direttore della emittente televisiva Antenna Sud e collaboratore dell’Ufficio stampa della Fiera del Levante.

Nel 2003 è docente al master di Beni culturali e comunicazione all’Università di Foggia. Nel 2007 è docente di Scrittura giornalistica al Master di giornalismo Università di Bari e Ordine dei giornalisti di Puglia (scuola della quale è poi nominato Direttore).

Nel 2008 cessa la direzione del quotidiano e diviene editorialista, titolare di una rubrica e autore di critiche cinematografiche sulla stessa testata “La Gazzetta del Mezzogiorno”.

 

Premi e riconoscimenti

Pubblicazioni Lino Patruno ha dedicato una quindicina di libri sui temi della politica economica, del Sud, in particolare su Puglia e Basilicata (storia, cultura, arte e folclore). Seguono alcuni titoli:

  • Alla riscossa terroni. Perché il sud non è diventato ricco. Il caso Puglia – Editore: Manni
  • Alle sponde del Mediterraneo – Mario Adda Editore
  • Bari vecchia – Mario Adda Editore
  • Bari la città di San Nicola – Mario Adda Editore
  • Invito a Bari – Mario Adda Editore
  • Istruzioni per l’uso – Mario Adda Editore
  • Trani – (con Stefania Mola e Raffaele Nigro) – Mario Adda Editore
  • Invito in Basilicata (con Raffaele Nigro) – Mario Adda Editore
  • Puglia meravigliosa (con Ornella Cucci) – Capone Editore
  • Puglia e Basilicata. La natura e i segni dell’uomo – Editoriale Giorgio Mondadori
  • Puglia e Basilicata. Mura, castelli e dimore (con prefazione di Franco Cardini) Edito dalla Banca Popolare di Bari
  • Puglia e Basilicata. I luoghi e i gesti della fede (con prefazione di Franco Cardini) Edito dalla Banca Popolare di Bari
  • Puglia e Basilicata. L’uomo e le sue tradizioni (con prefazione di Franco Cardini) Edito dalla Banca Popolare di Bari
  • Fuoco del sud – La ribollente galassia dei Movimenti meridionali – 2011, Editore: Rubbettino[4].
  • Ricomincio da Sud – È qui il futuro d’Italia – 2012, Editore: Rubbettino
  • Io resto al Sud – 2013, Editore: Rubbettino
  • Il meglio Sud. Attraversare il deserto, superare il divario – 2015, Editore: Rubbettino

30/07/2021

Fiera del Levante così sarà lo spettacolo del Sud

Venerdì 30 luglio 2021 da < La Gazzetta del Mezzogiorno>

Certo, la Fiera del Levante di Bari a settembre significava che la vita ricominciava dopo le vacanze. Ricominciava la vita nazionale visto che ogni anno per inaugurarla si scomodava il capo del governo. Ma era un appuntamento così stanco da non sorprendere più di tanto l’annuncio dell’85ma edizione rinviata all’anno prossimo. Perché sono stati prenotati solo il 10 per cento degli spazi, si è detto. Perché le imprese temono il domani. Perché non solo circola ancòra il Covid ma ce n’è un ospedale proprio nei viali dei visitatori. Tutto vero. Ma il fatto è che la fiera era da tempo come colui che, “del colpo non accorto, andava combattendo ed era morto”. Eppure fiera con un grande futuro davanti pur se sembra una utopia.

Ora non era più né carne né pesce. Troppo generalista quando altrove le fiere generaliste sono scomparse da un pezzo. Troppo legata alla retorica del milione di persone che faceva titolo sui giornali ma non assicurava granché. Troppo legata ai gelatini e ai wurstel tedeschi ma meno a quanti affari si sviluppassero. Troppo appiattita sul ciarpame della Galleria delle nazioni per considerarsi internazionale. Troppo legata a una stagione di intervento pubblico al Sud per ritenersi ancòra centrale nella politica nazionale. Troppo fossilizzata su una vocazione verso l’Est europeo per cogliere la nuova geografia della globalizzazione. Tanto periferica in Italia quanto lo è diventata poi per la stessa città e per la stessa regione. Insomma mondo cambiato e fiera no.

Ma non è detto che lo stop di un anno sia poi tutta una iattura. Anche se già l’addio di una multinazionale come Eataly aveva fatto capire l’aria. Sono state tradite le promesse di crescita, ha detto il patron Farinetti. Una crescita che può partire dalle sia pur poche rassegne specializzate, infatti confermate. Una crescita tanto più importante ma anche tanto più improba quanto più la fiera è figlia di un Sud privato dai governi dei mezzi per crescere di più. La fiera soffre di un territorio e il territorio soffre della sua fiera. In una Bari letta ancòra come città commerciale mentre ormai è soprattutto città industriale e di servizi. Come se rispetto alla fiera la vita si svolgesse altrove.

Perciò è stato troppo frettoloso il no alla proposta di fare della fiera la sede di una scuola di medicina. Comunque una proposta in un deserto di proposte. Mentre a Milano l’Human Technopole, lautamente finanziato dallo Stato, assume studiosi di genetica da tutto il mondo. Non decolla, in fiera, il Museo del cinema dalla sede invidiabile. Vi albergano l’Apulia Film Commission, l’Impact Hub e un birrificio artigianale. Dimenticati il parcheggio multipiano e la multisala cinematografica. Quando non si sa dove ospitare un congresso si bussa alla fiera, una traccia di quel centro congressi del quale si parla (inutilmente) da decenni. Come un bancomat vi si bussa anche per i maxiprocessi. Ma per il resto una di quelle cattedrali nel deserto delle quali il Sud ha già sofferto tanto. Una bella (e neanche troppo) addormentata. Ignara di un nuovo purtroppo misconosciuto Sud del quale potrebbe essere lo spettacolare cuore pulsante.

E’ il Sud della startup leccese che è quotata alla Borsa di New York. E’ il Sud dell’alta tecnologia. Il Sud di centri di ricerca di livello mondiale. Il Sud che di fronte alla celebrata californiana Silicon Valley può esibire le sue Valley dell’industria aero-spaziale, della farmaceutica, dell’auto, della meccatronica, dell’energia, delle telecomunicazioni, della nautica, del cinema, delle produzioni tv, dell’agro-alimentare, della robotica. Un Sud in cui colossi planetari vengono a formare i loro tecnici informatici. Un Sud che esiste ad onta di un racconto interessato a presentarlo come terra perduta. Un Sud che con tutto questo può essere il futuro di un’Italia che ne ha bisogno per se stessa oltre che per il Sud. Ora si potrebbe dire: portate tutti un vostro ufficio alla Fiera del Levante, facciamone il punto di raccordo del meglio Sud. Una fiera come esposizione permanente azienda per azienda, giorno per giorno. Tutti lì, una cabina di regia dove il Sud si ritrova gomito a gomito e si propone, centro direzionale tutto l’anno, la sinergia che sempre manca. Può essere l’Expo di Milano a Bari e l’Human technopole pure. Può essere il vero ministero del Mezzogiorno. Può essere darsi coraggio ed esempi, può essere la visione e il mercato che ora mancano al Sud. Una ambizione. Una svolta.

Dice: ma c’entra con la fiera? Con la fiera di adesso, niente.

DI SUD NON SE NE PARLA PIU’

 

Di sud non se ne parla più. Lo diceva già Pino Aprile qualche anno fa nel suo fortunato Terroni. Ma gli anni passano e di sud si continua a tacere. Non se ne parla in Parlamento, non nei comizi pettoruti di Matteo Renzi o dei molti segretari di partito. Un Renzi che scappa da un appuntamento come la Fiera del Levante, per timore di dover parlare di temi che crede non lo riguardino. È una questione che ha tutte le caratteristiche di un deserto, da sfuggire e abbandonare perché difficoltoso da affrontare.

Perciò Lino Patruno emette ne Il meglio Sud (Rubettino,2015, pp.305, £.15) un ennesimo grido disperato, dopo quelli affidati a Fuoco del Sud (2011) e Ricomincio da Sud (2012) e nel momento in cui decide di attraversare questo benedetto Sud, alla maniera in cui fece Mosè, quando si propose di portare gli Ebrei alla ricerca della Terra promessa. Quel deserto gli appare una tragedia demografica, perché il numero di anziani è pari a quello dei bambini con meno di un anno. È una tragedia sociale, perché ci sono e sempre più ci saranno meno lavoratori in grado di versare

contributi per sostenere la spesa pensionistica.

Una tragedia politica, perché se diminuisce la popolazione, diminuisce il numero della propria rappresentanza al Parlamento. Una conseguente tragedia economica, determinata dall’attuale disoccupazione giovanile nel Sud, un giovane su due non ha lavoro, con ridotta presenza dello Stato e con aziende che spariscono a vista d’occhio, oltre 300 al giorno, secondo i dati Istat. Una tragedia di fughe continue all’estero e di silenzio, dal momento che la parola Sud, come già detto, non appare mai nei discorsi dei parlamentari.

A dire la verità di Sud si parla, anzi si sparla. L’economista Emanuele Felice, ad esempio, sostiene che i mali del Sud dipendono dalla sua classe dirigente, una visione che risveglia uno come Galli Della Loggia che pure col Sud non è mai stato tenero e gli fa correggere il tiro: è l’intera classe dirigente italiana ad aver prodotto i mali del Mezzogiorno. Mali che sono riassumibili secondo Patruno in uno spaventoso museo degli Orrori.

Il libro ne censisce una ventina, che analizza e discute. Sono il Federalismo fiscale, che colpisce i più poveri. Il trasferimento di capitali alle Regioni senza perequare in partenza ciò che serve per il sistema viario, ferroviario, ospedaliero. L’assenza di un intervento che garantisca i servizi pubblici essenziali. Lo Stato mantiene la spesa standard a nord e a sud, così dove c’erano pochi asili nido continuano a non aumentare, senza perequazione a monte. La diversità della spesa sanitaria calcolata in ragione della presenza di anziani, che sono più a nord e poi le gabbie salariali e così via.

La disamina di Patruno continua analitica e feroce. Parte con l’analisi delle infrastrutture, con la situazione ferroviaria. Cinque ore per passare da Roma a Bari, altrettante da Bari a Napoli, dodici da Bari a Reggio Calabria. I treni sono obsoleti, anche su quella tratta che pomposamente dicono servita dalla freccia bianca, dove ci si aspettava da tempo i lavori per la freccia rossa. Sui treni non c’è assistenza di alcun tipo. Viene ricordata la filippica di Vittorio Feltri apparsa su “Il giornale”, che sul treno freccia rossa diretta da Bergamo a Milano, per uno sciopero viene dismesso il servizio di cucina e il giornalista è costretto a mangiare solo un tramezzino.

Per beffa del caso, sullo stesso quotidiano il giorno prima Nino Materi aveva riportato un reportage   sullo sgangherato Intercity Milano-Foggia, sprovvisto persino di servizio bar. L’analisi delle infrastrutture passa quindi alla nota dolente del sistema stradale, sullo sconquasso della Salerno-Reggio Calabria, sulle crepe inquietanti nei viadotti della Napoli-Bari, sulla mai finita Taranto Cosenza. E se si volesse raggiungere Catania partendo da Bari? In treno sarebbe proibitivo. E in aereo? Bisogna raggiungere Roma e attendere la coincidenza. Se ne va un giorno. E la piattaforma logistica sul Mediterraneo quando potrà mai partire se il porto di Taranto aspetta un dragaggio che lo liberi da detriti che si sono depositati sui suoi fondali e tale che si passi dai 12 metri di profondità attuali ai sedici previsti?

Le accuse presentate da Patruno sono a questo punto accompagnate dall’analisi storica delle vicende legate alla diffusione della mafia in Italia. Si parte dall’Unità, quando il fenomeno comincia ad essere registrato in Sicilia. La mafia si dilata, attacca lentamente gli organismi dello Stato, al punto da contagiare uomini come Dell’Utri, uno dei fondatori di Forza Italia, uno colluso con le organizzazioni malavitose. In questo modo si arriva agli ultimi fenomeni di Roma- mafia capitale, mentre in provincia anche le processioni, come nel caso di Oppido Mamertina, fanno l’inchino ai capibastone.

Una disamina sul Sud non può, ammette Patruno, non fare i conti con i propri mali. E questo delle mafie, anche se oggi assistiamo a una globalizzazione del fenomeno, è uno dei mali endemici del Mezzogiorno. Il peggio Sud. Un Sud che fa obbrobriosi autogol che qui si elencano con analisi aritmetica. Il gigantesco ospedale di Gravina mai entrato in funzione; la metropolitana leggera Cosenza-Rende, bloccata per faide politiche interne alla regione; abusivismo edilizio sui terreni demaniali di Vibo Valentia; le scarse royalties rivenienti dal petrolio lucano; vari ecomostri sparsi tra Campania e Sicilia; fiumi di denari spesi per i rifiuti in Calabria; l’abbandono di Pompei e molto altro…

Ma esiste un sud migliore? Un sud non inficiato dalla delinquenza? Un sud produttivo?  L’analisi di Patruno si chiude con un elenco di progetti positivi e con un elenco di nomi e di organizzazioni che fanno del sud un paese che opera, pensa, si difende. La punta più alta è costituita dal riconoscimento di Matera capitale europea della cultura per il 2019. Un elenco che fa da contraltare al libro delle lamentationes e che tuttavia non risolve la questione delle molte fughe di meridionali verso paesi esteri alla ricerca di un lavoro mai avuto.

Raffaele Nigro (2016)

POTREBBE INTERESSARTI