SAMUGHEO CHIARA

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SAMUGHEO CHIARA

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Bari, 25 marzo 1925 – Modugno (Bari), 13 gennaio 2022

(Chiara Paparella), prima donna tra i fotografi professionisti in Italia: considerata la ritrattista delle dive.

È stata la prima donna tra i fotografi professionisti in Italia: considerata la ritrattista delle dive, nel corso della sua lunga carrera ha realizzato anche numerosi reportage affrontando temi sociali, soprattutto in Puglia e in Sardegna, focalizzandosi su tradizioni locali, usanze religiose e cultura popolare.

La vita di Chiara Samugheo – nome d’arte di Chiara Paparella – è stata avvolta da un’aura di mistero, proprio come spesso è accaduto alle dive che ha ritratto nelle sue fotografie. Infatti l’artista ha conservato gelosamente il segreto sulla data di nascita, che amava posticipare di dieci anni, raccontando in tutte le interviste di essere del 1935. In realtà pare che sia nata nel 1925, a Bari, da una famiglia di origine contadina: i genitori provenivano da Ruvo e Corato, due cittadine dell’entroterra agricolo della zona. Forse queste origini permettono di comprendere meglio l’interesse della fotografa nel corso degli anni per alcuni temi legati agli usi e costumi delle civiltà rurali.

Da ragazza avrebbe voluto comporre musica, mentre la famiglia sognava per lei il matrimonio e un impiego come maestra di scuola. «A Bari ai tempi se non ti sposavi, eri emarginata dalla società, che ti bollava col marchio di zitella», ha raccontato in un’intervista per spiegare la sua decisione di lasciare la Puglia per trasferirsi a Milano nel 1953.

Quello che doveva essere un breve viaggio per andare a trovare gli zii, in realtà si è trasformato nell’allontanamento definitivo dalla sua famiglia, per emanciparsi e seguire le proprie passioni. Tra le tante personalità dell’arte e della cultura che Chiara ha frequentato nel capoluogo lombardo e poi a Roma (da Giorgio Strehler a Enzo Biagi, da Alberto Moravia a Pier Paolo Pasolini), una ha ricoperto un ruolo fondamentale: Pasquale Prunas, suo compagno di vita e mentore nella carriera professionale. Prunas, che aveva fondato a Napoli la rivista culturale “Sud”, era impegnato in quel periodo nella realizzazione di un nuovo periodico principalmente dedicato all’attualità, “Le Ore”, caratterizzato da servizi fotografici ideati nello stile di pubblicazioni internazionali come “Paris Match”. È il giornalista a coinvolgere per primo in quest’attività Chiara, che era alla ricerca di un lavoro, dato che i familiari non intendevano più supportarla economicamente: all’inizio è impegnata come redattrice di cronaca nera, ma in seguito – grazie all’incontro con il noto fotoreporter Federico Patellani – è avviata alla carriera di fotografa.

In questo periodo, insieme a Pasquale Prunas, Chiara decise anche di sostituire il cognome Paparella con Samugheo: nelle interviste concesse la fotografa ha raccontato che il suo nome d’arte è nato guardando una cartina della Sardegna, regione d’origine del giornalista, e scegliendo quello di un piccolo comune in provincia di Oristano, che le ha anche conferito la cittadinanza onoraria.

Prunas, che ha sempre incoraggiato l’interesse della compagna verso la fotografia, riteneva che alcune immagini, se montate una dietro l’altra, fossero in grado di costruire «un racconto, preciso, efficace, che colpisce», in grado di formare un giudizio «con la freddezza di un occhio di vetro e il lampo di una sensazione». Il primo lavoro della Samugheo per “Le Ore” ha seguito queste indicazioni: nel suo servizio del 1953 “I Mussolinidi”, la fotografa ritrae i parenti contadini di Benito Mussolini a Predappio.

Nel 1954 le sue immagini illustrano l’attività di don Mario Borrelli, un prete che a Napoli si occupava degli orfani che vivevano in strada, ospitandoli nella Casa dello Scugnizzo: il sacerdote è ripreso con grande naturalezza in mezzo ai ragazzi, mentre gioca e si diverte con loro.

Un’altra figura fondamentale per la carriera di Chiara Samugheo è quella del critico Guido Aristarco, direttore di “Cinema Nuovo”: la rivista tra il 1954 e il 1956 è stata arricchita da un inserto centrale con “fotodocumentari”, in cui le immagini si accompagnavano ai brevi testi per illustrare una serie di storie che potevano essere trasformate in soggetti di film. Chiara ha realizzato le fotografie per il servizio “Le invasate”, pubblicato il 10 gennaio 1955 con testi di Emilio Tadini, per “I bambini di Napoli”, in cui si affronta il tema delle baraccopoli nel capoluogo campano, e per “Le zingare in carcere”, articolo accompagnato dagli scritti di Domenico Rea e Michele Prisco.

In particolare, il reportage “Le invasate” permette a Chiara Samugheo di tornare in Puglia per fotografare le donne “possedute” che, dopo essere state accidentalmente morse dalla tarantola, secondo la credenza popolare, eliminavano il veleno del ragno strisciando fino alla chiesa di San Paolo a Galatina, arrampicandosi addirittura sull’altare. Si tratta di un antico rituale, mai immortalato prima, che solo qualche anno dopo sarà approfonditamente studiato dall’antropologo Ernesto De Martino. Nelle intenzioni della fotografa non si vuole immortalare questo evento per la sua eccentricità, ma offrire la viva testimonianza di un mondo reale, che in parte ancora le apparteneva, quello del Sud con le sue usanze e tradizioni contadine. Per questo motivo tutte le immagini sono «ruvide, prive di astuzie», come commenta il fotografo Guido Harari, perché scattate durante il rito, senza alcuna preparazione o posa, a discapito della perfezione tecnica. Le protagoniste del reportage sono tutte donne, riprese da pochi passi di distanza mentre, come scrive Tadini, «ballano sconquassate dalla furia isterica, per ore intere, alcune fino a sera», seguendo il ritmo dettato dal ragno, che diventa tutt’uno con la sua vittima in una danza che segue una precisa gestualità rituale, fino alla conclusione con la guarigione dal morso velenoso.

In questi primi lavori la Samugheo si ispira alla fotografia sociale di maestri del fotogiornalismo dell’epoca, come Henri Cartier Bresson, Paul Strand e Tino Petrelli, aggiungendo però una nota personale di vicinanza ai soggetti rittratti, forse dovuta alle origini contadine dei genitori. «Mi illusi di poter contribuire con le mie fotografie a rivelare mali e contraddizioni del Paese, raccontarne usi e costumi; qualcosa riuscii a fare, ma ben presto dovetti constatare che lo spazio professionale che mi era concesso si andava restringendo», spiegò lei stessa anni dopo per descrivere il suo allontanamento da certe tematiche, anche perché le riviste che affrontavano certi argomenti con reportage illustrati andavano scomparendo in Italia.

Chiara Samugheo ha iniziato ad avvicinarsi al mondo del cinema nel 1955, quando Aristarco le ha chiesto di realizzare due servizi sui costi della Biennale di Venezia. In “Quanto costa la mostra”, la fotografa si è dedicata ai luoghi della rassegna, riprendendone le sale vuote, gli schermi, i macchinari, mentre in “I padroni del cinema italiano” si è soffermata sui volti dei potenti della settima arte, ritraendo produttori, dirigenti delle case di distribuzione, critici e politici, durante i loro incontri nei saloni del Grand Hotel al Lido. Quell’ambiente non lascia indifferente la Samugheo: la prima stella del cinema a essere ritratta e a finire sulla copertina di “Cinema Nuovo” è Maria Schell nel 1957. L’immagine dell’attrice ha un immediato successo e trascina le vendite della rivista: da quel momento la carriera di Chiara Samugheo come ritrattista delle dive prende il largo. Le sue foto sono pubblicate dapprima in Italia, sul “Tempo Illustrato”, “La settimana Incom”, “L’Europeo”, “Epoca”, e poi sui maggiori periodici internazionali, come “Stern”, “Paris Match”, “Esquire”, “Life”, permettendole di lavorare anche a Hollywood, in Giappone, in Russia e in Spagna, oltre che di essere ospite dello Scià di Persia e del produttore cinematografico Joe Pasternak.

In quegli anni, nell’epoca della “Dolce Vita” e del boom economico, le riviste si occupano delle dive, documentando la nascita, l’esplosione e spesso anche la fine di un’attrice, raffigurata come un oggetto del desiderio. La Samugheo ha rivoluzionato il linguaggio di questo racconto, passando da una rappresentazione veloce, eseguita in bianco e nero, al ritratto posato in studio, che segue i canoni utilizzati per le immagini di moda. Al posto delle tradizionali foto di scena, la fotografa ha iniziato a decidere la posa, scegliendo costumi eleganti, acconciature sontuose e accessori ricercati, attraverso immagini che citano la pittura manierista, con colori decisi, luminosi e saturi. A volte le interpreti sono immortalate in primo piano, senza imperfezioni, in un’eterna parvenza di giovinezza; tuttavia anche negli scatti dove le protagoniste non sembrano truccate o in posa, la loro bellezza è rappresentata come irraggiungibile. Eppure, secondo la critica, le fotografie della Samugheo restituiscono alle stelle qualcosa di intimo, grazie all’empatia che si crea con le donne ritratte: una femminilità reale, che va a contrapporsi con l’ambiente effimero del cinema e allo stesso tempo ne alimenta la mitologia. Per queste ragioni il suo stile è diventato un modello per la successiva fotografia di moda e cinema degli anni ’80.

Sono tante le attrici passate davanti all’obiettivo della Samugheo a partire dagli anni ’50: Sophia Loren, Gina Lollobrigida, Liz Taylor, Shirley MacLaine, Florinda Bolkan, Brigitte Bardot, Ursula Andress; anche divi come Marlon Brando o Marcello Mastroianni non si sono sottratti ai suoi set. Inoltre con alcune interpreti, come ad esempio Monica Vitti e Claudia Cardinale, ha intrecciato nel corso degli anni una relazione d’amicizia. Spesso i suoi ritratti citano determinati archetipi femminili: l’innocenza di Stefania Sandrelli, la giovinezza sbarazzina della Cardinale, per arrivare negli anni ’70 a Maria Schneider, adagiata su una poltrona, come per interpretare una moderna “bella addormentata”.

Nel corso del tempo si è cercato un legame tra i diversi lavori della fotografa, partendo dalle rappresentazioni delle dive come donne inaccessibili, il cui corpo è ostentato al culto e all’adorazione del pubblico: si tratta quasi di un nuovo mondo magico, che si ricollega a quello delle tarantate. Di certo l’attività per il cinema, che permette alla Samugheo di conquistare le copertine internazionali, ha una radice nei lavori di impronta più sociale: ne è un esempio il reportage dulla “Taumaturga” di Putignano, una guaritrice vestita di bianco, dallo sguardo spiritato, che si muove in un ambiente simile a quello delle foto di Galatina, ma che ricorda le star del cinema per gli atteggiamenti, lo sguardo e la fisicità. La Samugheo la ritrae con un’aura simile a quella delle dive, tanto che, come ha scritto Paolo Barbaro, «sembra recitare un ruolo ben sceneggiato».

Va inoltre ricordato il forte legame della Samugheo con la Sardegna, scoperta grazie al compagno Pasquale Prunas: a partire dai primi anni ‘80 la fotografa ha realizzato una serie di libri illustrati su alcuni aspetti della cultura e delle usanze sarde. In uno dei suoi viaggi ha conosciuto l’artigiana della tessitura Grazia Pitzalis, con la quale ha iniziato ad approfondire il tema degli abiti tradizionali: per l’occasione Chiara è riuscita a produrre centinaia di scatti in soli sei mesi, recuperando gli abiti più belli e utilizzando inizialmente come modelle le ragazze che lavoravano nel laboratorio della Pitzalis. In seguito, per trovare i vestiti, la Samugheo contattava i parroci dei paesi che intendeva visitare per il suo reportage: i sacerdoti, alla fine della messa, invitavano chi possedeva un abito tradizionale a presentarsi a un incontro con lei per le fotografie. Per questi lavori si sceglie una rappresentazione originale, lontana dalla classica sfilata delle sagre popolari: i modelli sono immersi nella natura, in modo che i colori dei vestiti si incontrino o contrastino col paesaggio, in un gioco di linee e tonalità. Tutti i set sono stati interamente ideati e realizzati dall’artista: appare quindi evidente lo stile della Samugheo in tutte queste fotografie, riproposte nella mostra“La mia Sardegna” al Museo Murats di Samugheo nel 2013.

All’opera di Chiara Samugheo sono state dedicate nel corso del tempo numerose esposizioni in contesti internazionali prestigiosi come il Guggenheim di New York, il Museo d’Arte Moderna di San Paolo del Brasile, il Palais de l’Europe di Mentone, e in occasione delle più importanti rassegne dedicate allo spettacolo, come la Biennale di Venezia, il Festival di Cannes, il Festival della Televisione di Montecarlo e il Festival di Avignone. Diverse anche le mostre in Italia, tra le quali ricordiamo quelle alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna, alla Pinacoteca di Bari, negli studi di Cinecittà a Roma e alla Gelleria Comunale di Cagliari. Infine l’ultima esposizione, tenutasi ad Avellino nell’autunno 2021, è interamente dedicata agli scatti con protagonista Raffaella Carrà, che dal 1966 al 1979 aveva scelto la Samugheo come fotografa personale.

Sono tanti i riconoscimenti alla carriera della fotografa, come l’Oscar dei Due Mondi di Spoleto, la Medaglia d’oro di Cinecittà, il Premio della Ferrania, il Premio stampa di Sanremo, il Premio Minerva e il Premio internazionale Venere d’argento. Inoltre, dopo la sua permanenza a Nizza, l’artista ha ottenuto la cittadinanza onoraria francese, mentre il 2 giugno 2003 è stata insignita del titolo di Cavaliere della Repubblica Italiana.

Chiara Samugheo ha realizzato più di 165.000 scatti in oltre quarant’anni di carriera: l’imponente raccolta fotografica è conservata presso il Centro studi e archivio della comunicazione (CSAC) dell’Università di Parma, mentre un’altra piccola parte del suo fondo, composto da 487 foto, si trova presso la Fondazione 3M a Pioltello.

Dopo aver vissuto a lungo a Roma, nel 1987 la fotografa si è trasferita a Nizza, dove ha aperto un suo atelier in Rue Droite, la strada degli artisti. Negli ultimi anni ha deciso di tornare in Puglia: è morta il 13 gennaio 2022 a Modugno, vicino a Bari, in una residenza per anziani, dove si era stabilita da qualche tempo. Più volte aveva espresso il desiderio che la sua terra la ricordasse, dopo la mostra realizzata molti anni prima nella Pinacoteca di Bari. «Ho un sacco di materiale, anche inedito – aveva raccontato – sarei felice se trovasse una casa proprio nella mia città». Tuttavia uno dei suoi ultimi lavori l’aveva riportata nei luoghi d’origine della sua famiglia, per fototografare la Settimana Santa a Ruvo di Puglia, quasi a chiudere il cerchio di un’esistenza vissuta lontana da casa per potersi affermare nella professione.

Vincenzo Camaggio

FAMOSA PER

 

Pioniera del reportage fotografico femminile in Italia, è stata considerata “fotografa delle dive”, anche se la sua opera non ha tralasciato aspetti sociali, con la narrazione attraverso le immagini di alcune realtà locali del Paese. Una delle sue caratteristiche distintive rispetto ai colleghi è la capacità di riuscire a creare con il suo soggetto un dialogo e una profonda empatia, che poi trapelano nel risultato finale. Inoltre ha rinnovato profondamente il ritratto di studio, creando un modello per la fotografia di moda e cinema degli anni ’80: nei suoi scatti ha spesso giocato sull’essenzialità delle linee, utilizzando decisi contrasti cromatici e valorizzando le sontuose acconciature delle donne ritratte.

Chiara Samugheo, la fotografa delle dive in mostra a Bologna, Serena Viola, Il Fatto Quotidiano, 30 gennaio 2013:

Chiara Paparella, chi era costei? Nasce a Bari nel 1935, ma vi resta poco. Se ne perdono le tracce già nel 1953 quando, di lì a poco, c’è la svolta. A prendere il suo posto, in effetti, è Chiara Samugheo, colei che diventerà la fotografa delle dive, catturando col suo obiettivo le star degli anni ’50 e ’60. E a poco vale ricordare nomi come Sofia Loren, Silvana Mangano, Claudia Cardinale o Monica Vitti perché non c’è star che non sia stata immortalata da Chiara Samugheo, la prima donna in Italia a diventare fotografa professionista.

Ma chi era, invece, Chiara Paparella? Una ragazza che si era stufata di vivere a Bari, “dove ai tempi – rivela – se non ti sposavi, eri emarginata dalla società che ti bollava col marchio di zitella. Per tacere delle libertà negate: la mia famiglia mi proibiva anche di giocare a tennis, visto che l’ambiente era soprattutto maschile. Finché con la scusa di andare a trovare due zii paterni, a Varese e Como, a Bari non ci sono più tornata”.

“Scappai a Milano, dove mi ha cambiato la vita – racconta – l’incontro con quello che sarebbe diventato poi il mio compagno: Pasquale Prunas, fondatore della rivista Sud sulla quale scrivevano Domenico Rea e Francesco Rosi. Ci conoscemmo a casa di amici, in un salotto frequentato dall’entourage culturale milanese, e fu Pasquale a suggerirmi di provarmi come fotografa. Avevo bisogno di un lavoro, visto che i miei genitori, pur di farmi tornare a Bari, mi avevano tagliato i viveri. Finché a Prunas, nel 1953, non viene affidata la direzione di nuovo giornale diviso fra cronache cinematografiche, attualità e politica. Si chiamava Le Ore e sulle sue pagine vi scrivevano personaggi come Salvatore Quasimodo e Anna Maria Ortese”.

“Accettai così di provarmi fotografa e – ricorda – il primo servizio che mi venne affidato fu un reportage a Predappio sulla famiglia di Mussolini e poi, ancora, le baraccate di Napoli e le invasate di Galatina. Ho fotografato il tarantismo, insomma, ben prima che De Martino lo scoprisse”.

E il cambio di cognome? “Paparella suonava male e con Pasquale, che era peraltro sardo, confida – ci ritrovammo, giocando con la cartina della Sardegna, a scegliere il nome di un paese, Samugheo appunto. Il resto è storia. Dopo aver fotografato Maria Schell nel ’57 al festival di Venezia per Cinema Nuovo, che ne fece la copertina, diventai, mio malgrado fotografa delle star. Tanto che ho pubblicato circa un migliaio di copertine per riviste come Stern, Paris Match, Epoca, Life, Vanity Fair, Vogue. Mi hanno dato da vivere, certo, ma il mio sogno era fare la fotoreporter”.

Ma tant’è. Fino al 21 febbraio 2013 lo Studio d’arte Interno 11 di Bologna ospita la personale “Divini – Lo scatto che rende immortali. Fotografie dei protagonisti del cinema internazionale dagli anni Cinquanta ad oggi”. Mentre a Bari? È singolare la vicenda di questa signora della fotografia che pure ha esposto al Guggenheim di New York o al palazzo del festival di Cannes, in quella stessa Francia dove ha eletto dimora da una quindicina d’anni a Nizza. “Non mi hanno mai cercato da Bari e – dice Samugheo, che di fotografare non vuole saperne di smettere – “ho esposto le mie foto solo una volta, una vita fa in Pinacoteca e grazie ai buoni uffici di Stefano Romanazzi. Ho un sacco di materiale, anche inedito, e sarei felice se trovasse una casa proprio nella mia città. Non mi dispiacerebbe, anzi, aprire una fondazione a Bari ma, da sola, non ne sarei mai capace”.

V.C.

DICONO DI LEI

 

«Nella metà degli anni ’90 Chiara Samugheo fu messa in contatto con il Csac e donò tutto l’archivio, per metterlo al sicuro. Pensava di comprare un camper e continuare ad andare in giro a fotografare, avendo comunque accesso libero alla raccolta. […] Una donna bellissima, una persona molto intensa e faticosa, che ha sempre mantenuto una chiave di rapporto personale quotidiano e normale, nel nome della qualità e della percezione della bellezza».

Paolo Barbaro, responsabile degli archivi fotografici contemporanei del Centro studi e archivio della comunicazione (CSAC) dell’Università di Parma.

OPERE

Tra i vari libri fotografici realizzati da Chiara Samugheo ricordiamo:

 

Al cinema con le stelle, con Arturo Carlo Quintavalle e Gian Luigi Rondi, Ilisso Edizioni, Nuoro, 1995.

Bacco in Sardegna, 1990.

Carnaval, Prunas Editore, 1980.

Cento dive. Cento anni di cinema, con i testi di AA VV, Centro Sperimentale di Cinematografia, Roma, 1995.

Costumi di Sardegna, Vallecchi – L’unione Sarda, Cagliari, 1981.

I Nebrodi, Multeditor, 1992.

Il reale e l’effimero, Eri – Edizioni Rai, Torino, 1986.

Le corti del verde, con Pietro Marino, Edisud, 1993.

Lucchesia: Lucca vista dai viaggiatori, a cura di Isa Belli Barsali, Eri Edizioni Rai, Torino, 1986.

Natura magica della Sardegna, Pieraldo, Roma, 1993.

O dolce mio, Max Felchlin, 1985.

Sardegna nel Sinis, con Giuseppe Pau, L’unione Sarda, Cagliari, 1983.

Sardegna, quasi un continente, con Marcello Serra, Editrice Sarda – Fossataro, 1958 (seconda edizione nel 1970).

Sardegna, quasi un continente – Trent’anni dopo, con Marcello Serra, Maga, Cagliari, 1989.

Stelle di carta. Fotografie di Chiara Samugheo, Edizioni Oberon, Roma, 1984.

Vanità sarda. Eleganze sacre e profane, Franco Maria Ricci, Milano, 1986.

Vicenza e Palladio, testi di Franco Barbieri, Gian Antonio Golin, Fernando Rigon, Remo Schiavo, Nuova Eri – Edizioni Rai, Torino, 1987.

V. C.

FONTI BIOGRAFICHE, SITI WEB E VIDEO

Addio a Chiara Samugheo, la fotografa eclettica e ribelle della Dolce Vita, Simona Sirianni, Io Donna, 14 gennaio 2022.

Addio alla fotografa Chiara Samugheo, Paolo Curreli, La Nuova Sardegna, 15 gennaio 2022.

Chiara Samugheo, a cura di C. Patrone e R. Longo, Fiaf, 2014.

Chiara Samugheo, eros e magia, Silvia Mazzucchelli, Doppiozero, 26 gennaio 2022

Chiara Samugheo, la fotografa delle dive in mostra a Bologna, Serena Viola, Il Fatto Quotidiano, 30 gennaio 2013.

Chiara Samugheo, un’amazzone della fotografia, a cura di Daniela Ciriello, Germana Ciriello, Pietro Fabris e Renato Longo, Les Flâneurs Edizioni, 2017.

È morta Chiara Samugheo, la fotografa del Sud e delle dive: da Monica Vitti a Claudia Cardinale, i suoi ritratti sono passati alla storia, Anna Puricella, La Repubblica, 14 gennaio 2022.

Fuori dal set. Chiara Samugheo – Photos for Cinema, a cura di Mauro Raffini, Silvana Editoriale, 2012.

Morta Chiara Samugheo: la fotografa barese che umanizz le dive, Giuseppe Di Bisceglie, Corriere del Mezzogiorno, 14 gennaio 2022.

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Chiara_Samugheo

www.craf-fvg.it/premio-232-chiara-samugheo

www.fondazione3m.it/page_collezione.php?fondo=FONDO%20CHIARA%20SAMUGHEO

 

Chiara Samugheo e la Sardegna, intervista di Valentina Orgiu: https://www.youtube.com/watch?v=johrXB-hy0k%20

https://www.youtube.com/embed/johrXB-hy0k

Intervista di Alessandra Benvenuto a Chiara Samugheo: https://www.youtube.com/watch?v=3W22f3YLgFc

https://www.youtube.com/embed/3W22f3YLgFc

Raffaella Carrà negli scatti di Chiara Samugheo (il curatore della mostra del 2021 ad Avellino, Gianluca Marziani, presenta l’opera della Samugheo a Tv2000): https://www.youtube.com/watch?v=H5hYn4rwwhE

https://www.youtube.com/embed/H5hYn4rwwhE

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