VIOLANTE ALFREDO

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VIOLANTE ALFREDO

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Martire della Resistenza.

Bisogna che qualcuno si muova, anche se si rischia la vita; se stiamo tutti fermi non si uscirà mai dal fango nel quale siamo caduti.
Alfredo Violante ad Achille d’Arpe, Milano novembre 1943

Nasce a Rutigliano, un grosso centro agricolo in provincia di Bari il 25 ottobre 1888. Alfredo è figlio di Michele e Elisabetta Colamussi una delle poche famiglie borghesi dell’allora piccola cittadina di 8.500 abitanti che vivono di prodotti agricoli, soprattutto viticoltura.
Il ragazzo frequenta le scuole elementari del paese poi, i genitori, gli fanno frequentare gli studi superiori, il ginnasio, in parte a Bari, in parte in un collegio di Monopoli e, dopo gli studi ginnasiali, si iscrive all’Università di Macerata, nelle Marche, dove nel 1908 si laurea in Giurisprudenza.
Ma non era l’avvocato che voleva fare Alfredo. Forse era una legittima aspirazione della famiglia e, all’inizio del secolo scorso, mai i ragazzi si sarebbero sognati di contraddire i genitori. Eppure, molti anni dopo, quando la vita lo metterà di fronte a scelte drammatiche, quella laurea gli tornerà utile.
Ci conoscemmo sui banchi del Ginnasio – scrive Achille d’Arpe – e subito fraternizzammo. Egli non era uguale agli altri nostri coetanei. A 15 anni sognava di fondare giornali e d’incantare folli tumultuanti onde condurle a traguardi di redenzione economica e morale; sognava un’Italia libera dalle vergogne e dal malcostume, un’Europa federale pacificamente unificata dalle concorde democrazie di tutti i Paesi continentali; il suo spirito precoce e sensibile andava oltre i limitati orizzonti delle conoscenze scolastiche per riscaldarsi al calore della predicazione civica e politica di Giuseppe Mazzini.
Alfredo, dunque, aveva già deciso cosa voleva fare fin dal 1904: il giornalista. Aveva una predisposizione naturale per quella professione. Il ragazzo era di una intelligenza viva, una mente fertile, brillante e molte cose da dire. Prima fra tutte, gridare al mondo il suo viscerale anticlericalismo; aveva una necessità impellente di condividere con altri la sua avversione per i sacerdoti che considerava ‘una minaccia per il Paese’.
Ma come farlo? Quale quotidiano, quale foglio o periodico locale avrebbe ospitato un articolo ferocemente anticlericale in una regione altrettanto diffusamente bigotta? Nessuno. E perché poi il ragazzo aveva una così violenta avversione verso i sacerdoti? Forse un’amara esperienza nel collegio di Monopoli e un sacerdote in famiglia. Alfredo, aveva infatti uno zio canonico e la casa dei suoi genitori era spesso frequentata da ecclesiastici.
Ecco allora che Alfredo, incurante dei rifiuti e dei consigli alla cautela, appena sedicenne, realizza un proprio ‘giornale’, un numero unico, che pubblica in occasione dell’anniversario della morte sul rogo di Giordano Bruno nel lontano 1600.
È un lucido, fondamentale saggio che racchiude parte dei suoi ideali politici e religiosi e che condizioneranno tutta la sua vita professionale, un violento libello contro i clericali della chiesa cattolica. Un invito a riflettere sull’eccesiva libertà che essi godono sotto tutte le bandiere.
Ci rivolgiamo a tutti voi amici dell’associazione anticlericale di Bari e alla gioventù anticlericale italiana, noi che siamo delle regioni tutte i più colpiti dai clericali, gettiamo un grido d’allarme…per troppo tempo siamo stati indulgenti o ciechi o inerti… non nutriamo rancori, né odii, non partiamo da idee preconcette: abbiamo la massima tolleranza per i sentimenti e per le idee opposte alle nostre, ma quando la tolleranza nostra produce l’intolleranza negli avversari, e la lealtà l’ipocrisia, e la nostra fede la violenza, e la libertà l’impunità; allora crediamo essere giunto il momento in cui si debba lottare contro chi ci attacca e con noi vilipende una pagina di storia gloriosa e il sentimento e l’onore della gran parte del Paese…. quasi ché l’autorità sacerdotale sia sufficiente a rendere prospero e felice un Paese.
Né combattendo il clericalismo si potrà dire che noi combattemmo la religione cattolica. Noi la apprezziamo altamente in tutto quanto essa abbia di sano, di buono, di elevato, di cristiano, ma ne avversiamo i suoi ministri se ed in quanto essi se ne servano ignobilmente.
Combattiamo gli uomini ed i sistemi appunto perché a noi, come a qualunque altro, cattolico o meno, non può non dispiacere che l’influenza spirituale si sfrutti in così volgare maniera.
Due anni dopo, Violante pubblica alcuni opuscoli e componimenti poetici. Poi, di seguito, sempre nel 1906, edita Bucaneve, un numero di saggio che si presenta ricco e ambizioso per lo scopo che si prefigge… rendere questo foglio una palestra letteraria-artistica in cui potranno esercitarsi lettori, abbonati e il mondo femminile… ma non ci saranno né lettori, né abbonati,né mondo femminile e quel numero di saggio… rimane un saggio.
Ma Alfredo non è un amante che si arrende alla prima delusione. Il 23 dicembre dello stesso anno, torna in edicola con un’altra pubblicazione, ancora un numero unico e ancora rabbiosamente anticlericale La Scure che aveva come sotto titolo, una citazione dello scrittore Lorenzo Stecchetti, pseudonimo di Olindo Guerrini… avanti, avanti, avanti con la fiaccola in pugno e con la scure.

L’anticlericalismo

Guerrini era un noto scrittore e poeta romagnolo vissuto a cavallo fra l’Ottocento e l’inizio del Novecento. Culturalmente si era formato, come Violante, in un collegio religioso sviluppando, lui pure, un violento sentimento anticlericale. Solo che, diversamente dal giovane Alfredo, Guerrini derideva i sacerdoti avvalendosi anche del dialetto e della satira, armi notevolmente più efficaci e a larga diffusione, per schernire e denunciare l’ingerenza del clero nella vita politica e sociale del Paese.
Nel 1907 Violante vara un terzo giornale, ancora un numero unico, per celebrare Giuseppe Garibaldi nel 25° anniversario della sua morte. La nuova pubblicazione,che aveva per titolo Fra sogni e speranze,voleva essere un inno all’Eroe dei due mondi e sottolineare il suo noto anticlericalismo, esplicitato in una lettera alla Guardia Nazionale di Napoli, in cui raccomandava… di far sparire dalla luce del sole che offuscano, quei cappelloni multiformi, simboli per l’Italia delle miserie e delle vergogne di 18 secoli… dunque un pretesto per lanciare ancora invettive contro il clero.
Non solo, ma avendo ottenuto qualche successo con le sue iniziative, il nuovo numero unico è ricco di firme note nel giornalismo provinciale come Ercole Accolti Gil, Vincenzo Ricchioni, Alfredo Porcelli, Nicola Pascazio, Filippo Susca e altri ancora già collaboratori del Corriere delle Puglie.
La nuova creatura di Violante dunque torna sul suo tema preferito:l’anticlericalismo… Giuseppe Garibaldi non è il fortunato avventuriero volutoci far intravvedere da chi si trascina all’ombra nelle pieghe di un abito talare; non è il feroce brigante dannato alle bolge infernali da chi nei bazar di santi e madonne mente, inganna, ruba, uccide… Giuseppe Garibaldi è l’anima italiana venutasi formando dalla sonnolenza greca, dalla forza e severità romana… Garibaldi è l’uomo reale, è il pensatore ardito, il fulmine di guerra, il poeta-patriota, l’amante romantico, il sentimentalista, lo scrittore audace che chiama il prete il maggior nemico dell’umanità.
Commemorare Garibaldi è ribellarsi alla piovra odiosa che tresca con ladri e malfattori… ci chiameranno ridicoli, sognatori, utopisti, ci sorrideranno di compassione, di scherno, ma dietro i vili, nella turba degli incoscienti e dei parrucconi, porteremo una bandiera col motto latino: Excelsior.
Eppure, Violante non è ateo, un miscredente come si potrebbe immaginare. Anzi, è uomo di fede, ma la sua avversione per il clero è così radicata che fino al 1909 sarà l’unico suo tema preferito: è lui l’animatore dell’Associazione Anticlericale provinciale, lui organizza conferenze e dibattiti, sollecita interventi su opuscoli come Pispigli d’ala e fogli come Delusioni e verità annunciato, quest’ultimo, per il 20 settembre 1909, data storica per il Paese che celebra la presa di Porta Pia del 1870 e completa l’Unità d’Italia.
Il 20 settembre segna la fine del potere temporale della Chiesa e l’inizio del mondo moderno risorgimentale, specie per gli italiani, rimasti fuori dalla rivoluzione industriale e sociale a causa della Chiesa che condannava il progresso scientifico, la libertà di pensiero, di stampa, di coscienza e di culto della personalità.
A conferma del suo grande impegno sociale, il 29 dicembre 1908 il giovane Alfredo Violante è fra i soccorritori volontari del disastroso terremoto di Reggio e Messina che provoca un’ecatombe di quasi centomila vittime e la distruzione totale di Messina.
Nel maggio successivo, segnato probabilmente dalla tremenda esperienza vissuta in Sicilia, mostra segni di discontinuità nei suoi interessi culturali e nel 1909, insieme a Michele Viterbo – un’altra promessa del giornalismo e della cultura meridionale di due anni più giovane di lui – fonda e dirige la rivista illustrata Puglia Giovane, una pubblicazione ancora una volta senza seguito.
Puglia Giovane – ricorda Michele Viterbo il 24 ottobre 1965 in un articolo sulla Gazzetta del Mezzogiorno – fu pubblicato con un fondo di cassa di ben trecento lire, ma riuscimmo a mandare in stampa solo tre numeri. La rivista fu tenuta a battesimo in una trattoria ubicata in via Cairoli, di fronte all’allora Banca d’Italia, dove si servivano gustosi pranzetti a novanta centesimi a testa che insieme alla doverosa mancia di dieci centesimi faceva una lira… di vero argento.
Della redazione facevano parte lo storico e poeta Armando Perotti, Paolo Tria e il giovane promettente poeta Luigi Fallacara che tutti chiamavamo Gigino. Erano gli anni in cui la vita di noi ragazzi si svolgeva tra il caffè Stoppani, il corso Cavour, via Sparano e la stazione. A scoprire Fallacara fu Armando Perotti. Un giorno gli portammo i versi di Gigino e Don Armando, tra una boccata e l’altra della sua pipetta odorosa, ci disse: questo ragazzo ha stoffa di poeta. E noi, che allora ridevamo di tutto e di tutti, lo circondammo subito di affettuoso rispetto.
Fallacara, come Viterbo e Perotti, avrà presto un posto d’onore nella vita culturale del primo Novecento pugliese. Era dunque in quell’ambiente,insieme a quei personaggi che Violante trascorreva i suoi anni giovanili e si completava culturalmente.

Editore impenitente

Dimenticato Puglia giovane, verso i primi di maggio del 1909, Alfredo Violante vara il Gazzettino delle Puglie, giornale di vita e di battaglie, si legge nel sottotitolo…un bisettimanale temuto da tutti i pavidi legati alle camarille dominanti nella provincia di Bari – scrive Achille d’Arpe il 10 settembre 1945, ricordando l’amico, sulla Gazzetta del Mezzogiorno – un foglio che riuscì a consolidarsi dopo vari esperimenti falliti. In questo giornale tutti i giovani pugliesi bramosi di elevazione intellettuale o morale trovarono la loro palestra feconda di bene per le nostre popolazioni schiave di oppressioni classistiche e di pregiudizi annosi.Questo giornale, ove trovammo anche noi la nostra trincea di combattimento e dove avemmo modo di rafforzare le nostre ossa, rivelò la versatile cultura di Violante che dalle conoscenze storiche, filosofiche e letterarie andava fino ai pettegolezzi della cronaca politica del tempo.
Il giovanotto, ormai ventunenne, era di un attivismo frenetico, tanto che nel 1910 assume anche la direzione del Gazzettino di Puglia uscito nel 1908 ma non editato da Violante e, contemporaneamente, inizia a collaborare con la rivista culturale Humanitas, diretta dal molese Piero Delfino Pesce; poi,ancora, vara un nuovo periodico, questa volta umoristico: Pss… Pss,con lo pseudonimo ‘Vantelio’, un suo anagramma.
Violante ama e privilegia giornali o periodici umoristico-caricaturali perché brillanti e sovente,nelle redazioni, veniva a crearsi un diffuso vezzo anticlericale che egli,ovviamente, non cercava di osteggiare.
La maggior parte dei disegni di Pss… Pss, sono del ritrattista NICMAC e di altri disegnatori… il giornale, come le versioni diverse della testata, già lascia intendere le proprie intenzioni – scrive Annamaria Suppa – vuole essere un richiamo discreto, un invito a raccogliere la verità essenziale dietro l’orpello della facciata… prevale ovviamente lo scherzo e l’umorismo, dilatato in ogni direzione e particolarmente pungente sulle disfunzioni della città, sulle crisi politiche… accanto ai consueti ‘trafiletti’ su notizie e notiziole locali. Ma la sua penna, i suoi editoriali non avevano lo stesso tono canzonatorio dei suoi umoristi.
L’anno dopo vara la Domenica del Gazzettino, un settimanale, una versione più elegante di Pss… Pss dove NICMAC, al secolo Nicola Macina… rivela una efficacia umoristica e una capacità ritrattistica di tutto rilievo – scrive ancora Annamaria Suppa – la sua grafica lascia spazio a favole e cronache di vita cittadina, con storielle a metà fra il quadretto di genere e il ricordo dello spirito popolare cittadino. Né manca la critica canzonatoria all’amministrazione pubblica.
Non è chiaro se Violante fonda e successivamente abbandona tutti questi periodici in altre mani pur conservandone la direzione, il controllo; resta il fatto che nello stesso periodo inizia una proficua collaborazione con Il Quotidiano, edito a Trani e diretto da Filippo Tempera, che si riconosceva nel Partito Socialista.
Nondimeno la sua pervicacia, il suo vagabondare giovanile, la sua continua lotta per un giornalismo libero e indipendente, per affermare e diffondere le sue idee, lo ‘costringono’ a stampare e chiudere tanti giornali che NICMAC, collaboratore fisso di tutte le pubblicazioni di Violante, ricamò sul suo editore due curiose quartine:

Ecco qui Violante Alfredo
del ‘Carlin’ corrispondente
fondatore impenitente
di giornali in quantità.

Ma allorquando li ha fondati
con amore e con coraggio
dopo un mese o due di saggio
te li ammazza lì per lì.

Eppure sembrava che l’impegno giornalistico non fosse ancora abbastanza per Violante che dal 1913/14 comincerà a peregrinare per le campagne ed i paesi di Puglia e divulgare, con discorsi e comizi, l’idea di socialismo federalista cara a Gaetano Salvemini – l’unica possibilità, secondo il professore di Molfetta, di risolvere la questione meridionale – e denunciare le misere condizioni di lavoro dei braccianti, i bassi salari, il caporalato,sollecitare le riforme sociali… tenendo sempre fede a sé stesso – scrive Enrico Sbisà – mai scrisse su comando o su indicazione di altri; sempre con libertà di pensiero e di coscienza del dovere che aveva verso la comunità; anche nel periodo in cui si andavano maturando, nel nostro Paese, difficoltà di espressione e comunicativa per gli uomini liberi.
Intanto, proprio nel 1914, ombre lunghe di guerra si affacciavano sui cieli d’Europa.
La mattina del 28 giugno l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono dell’Impero austriaco, e sua moglie, scesero dal treno che li aveva portati a Sarajevo, capitale della Bosnia, per recarsi in visita ufficiale dal Borgomastro. Salirono sull’auto scoperta, fra ali di folla inneggianti al futuro successore di Francesco Giuseppe e,giunti all’ingresso del municipio, l’arciduca si vede arrivare una bomba in grembo. Ferdinando, che aveva trascorso tutta la vita in caserma, ebbe una reazione istintiva: la prese tra le mani e la gettò fuori dall’auto. Il micidiale ordigno scoppiò fra la folla ferendo decine di persone e colpendo anche un suo aiutante di campo. Salito poi dal Borgomastro di Sarajevo protestò: ma come, io sono venuto in pace e voi mi accogliete con le bombe!
Finita la cerimonia la coppia regale volle recarsi a visitare un ospedale, ma quando l’auto s’inoltra per la strada che, ironia della sorte si chiamava Francesco Giuseppe, uscì dalla folla il giovane studente serbo Gavrilo Princip con in mano una pistola e sparò contro i sovrani due soli colpi: il primo colpì l’arciduchessa all’addome, il secondo troncò di netto la vena aorta dell’arciduca uccidendolo.
Il giorno dopo, l’Austria consegna alla Serbia un ultimatum ritenuto inaccettabile e, il 27 luglio 1914, le truppe austriache varcarono il Danubio.

Il primo conflitto mondiale

L’apertura delle ostilità avrebbe dovuto avere, una di fronte all’altra, due grandi alleanze: la Triplice contro l’Intesa. La Triplice comprendeva l’Austria, la Germania e l’Italia. L’Intesa, la Francia, l’Inghilterra e la Russia. Ma quando l’Austria dichiara guerra alla Serbia, il presidente del Consiglio, Antonio Salandra, si affretta a chiarire la posizione dell’Italia: il patto di alleanza con la Germania e l’Austria prevede l’entrata in guerra dell’Italia soltanto se l’Austria o la Germania fossero state aggredite. Essendo invece evidente il contrario, l’Italia manterrà un atteggiamento di ‘neutralità controllata’.
Alla fine, però, verso i primi di maggio del 1915, il governo di Antonio Salandra decide di passare alla ‘neutralità armata’, si schiera per l’Intesa e il 22 maggio 1915 dichiara guerra alla Germania.
Convinto interventista, come lo stesso Salvemini che definiva gli ‘imperi’ anacronistici, Violante si arruola nell’esercito, frequenta a Bari il corso allievi ufficiali di complemento e, nominato sottotenente, è assegnato al 19° Reggimento fanteria per essere ‘spedito’ quasi subito al fronte,sul Carso, in prima linea sulle cime del Monte San Michele.
Nel luglio del 1916,dal fronte, scrive al giornale tranese Il Quotidiano una lettere in cui raccontagli orrori della guerra con l’uso dei gas asfissianti e l’eroismo di uomini senza nome… tre dei reggimenti con mostrine di vario colore sono formati per la massima parte di meridionali: baresi, leccesi, calabresi e… lo confesso, anche quassù sono regionalista. Il Mezzogiorno, quello dimenticato dai governanti, quello noto per l’analfabetismo della Calabria, per la ‘mafia’ della Sicilia, per la malavita barese, quello noto per l’emigrazione, ha scritto e scrive la pagina più bella della nostra guerra.
Amici giornalisti, ditelo in Puglia: il popolo nostro sa morire e saper morire e più difficile di saper vivere. Ditelo a quelli che sono in Patria: siano superbi di noi che combattiamo, per noi che abbiamo cuore per la mamma lontana, braccio e occhio per il nemico vicino, per noi che alto portiamo, accanto alle bandiere della Patria, il nome delle nostre regioni.
Sullo stesso monte, Violante sarà ferito al gomito del braccio sinistro. Dopo l’intervento chirurgico, che lo lascerà comunque invalido, e la convalescenza, all’inizio del 1917 viene mandato a casa. La sua guerra, quella con le armi in pugno e le maschere antigas, è finita, ma non quella dell’impegno sociale.
Neppure il tempo di mettere piede sulla sua terra natia, ch’è già in azione. A partire dal mese di maggio del 1917, inizia una serie di conferenze dal tema Fede e miracoli in tempo di guerra. La prima è svolta nel salone centrale del Circolo Unione… divenuto ritrovo della élite barese – si legge nel comunicato – e dove a seguito della conferenza… vi sarà una scelta di musiche e verranno cantate delle romanze del maestro Giannini.
Quanti, invece, non appartengono all’élite, la gente della strada, deve accontentarsi della cassarmonica stabile in corso Vittorio Emanuele, quasi sotto la Prefettura, dove il maestro Sabino Rubino, della banda presidiaria, suona arie liriche dei grandi compositori italiani… e la guerra continua!
All’inizio di giugno troviamo Violante a Castellana, al Circolo studentesco ‘Pro Patria’ insieme a Giuseppe Di Vagno, per celebrare il secondo anniversario della guerra. Il 10 giugno 1917 affida al settimanale L’Oriente un articolo in cui fa appello ai suoi colleghi giornalisti per tentare di sollevare le sorti della Puglia… le cui necessità sono state finora mal discusse. Le materie da trattare sono così vaste e complesse che un periodico, il quale ponga come suo programma cose e problemi, compie un’opera di bene.
Forse è una fatalità per la Puglia, ma le necessità nostre sono così mal conosciute, così traviate dal mal costume giornalistico che gli interessi nostri si trascinano ancora ricercando una sempre sfuggevole soluzione.
Tutta una politica nuova di trasporti e di tariffe, un nuovo orientamento alle nostre importazioni e nuovi studi per l’esportazione, il problema e la politica agraria, oltre che la questione culturale per Bari, formano tanta materia di studio da rendere interessante e giovevole quest’altro periodico.
Ho fede che scrittori e giornalisti competenti non negheranno la loro collaborazione… non v’è maggior patriottismo di quello che vuole rialzare le sorti di una intera popolazione mediante assennate riforme legislative.
E conclude: il giornalismo vuoto, declamatorio, la mania delle aggressioni e delle vituperazioni, la smania di costruire nuovi idoli devono cedere il posto dinanzi all’esame sereno dei fatti, delle necessità presenti e future.
Nello stesso periodo e nello stesso anno edita il settimanale Uomini e Cose da lui diretto. Subito dopo, organizza e presiede,a Bari, la sezione dell’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di guerra fondata a Milano nell’aprile del 1917; promuove e inaugura una serie di sottosezioni, in tutta la provincia di Bari, a partire da Rutigliano, Terlizzi e Santeramo interessandosi personalmente delle necessità organizzative per renderle funzionali.

Attivista nell’Associazione Combattenti

A fine novembre, infine, apre le sottosezioni di Conversano e Bisceglie, sottolineando in un discorso retorico, tipico dell’epoca… il sentimento della Patria che deve essere più forte dei partiti e delle teorie sociologiche esaltando la nuova virtù italica di fronte alla guerra.
Nello stesso mese, su invito di Giuseppe Dragone, segretario della Camera del Lavoro di Bari, Violante torna a glorificare… la grandezza e la tristezza insieme dell’ora che volge ed eleva un inno agli atti di valore che i contadini e gli operai, indossando la divisa grigio-verde, hanno compiuti in tanti fatti d’armi, esortando i convenuti a mantenere alta la fede nei destini dell’Italia affidata ai figli che fronteggiano il nemico.
Finito il conflitto e l’impegno sociale per l’Associazione, Violante torna alla sua attività preferita: al giornalismo, a fondare e dirigere giornali. Nel 1919 esce un nuovo settimanale politico del Mezzogiorno, Il Giornale del Sud la cui direzione è affidata a Violante.
Nello stesso anno nasce a Milano, l’Associazione Nazionale Combattenti, un organismo diverso da quello dei Mutilati e Invalidi, in cui Violante si accolla ogni incombenza: l’ANC a Bari è senza sede, senza iscritti e senza fondi e Violante non solo apre una sede provinciale ma vara un settimanale, Il Rinnovamento della Puglia che mette a disposizione dell’ANC facendone un organismo vitale… di eredità risorgimentale e di stretta osservanza salveminiana… scrive Antonio Fanizzi in un prezioso opuscolo del 1995 dedicato alla memoria di Alfredo Violante che, con il settimanale, difende strenuamente l’impegno e l’opera del professore di Molfetta.
Intanto, sempre e ancora nel 1919, mentre dirige Il Giornale del Sud, apre sedi e sottosezioni locali dell’Associazione Mutilati e Invalidi, dell’Associazione dei Combattenti, che in Puglia è quasi interamente composta da contadini e gira l’intera provincia per conferenze e dibattiti portando parole di conforto… propugnando i diritti morali ed economici dell’umile e generosa classe dei lavoratori della terra; inoltre, dal 17 dicembre 1919, inizia un rapporto di lavoro giornalistico stabile con il Corriere delle Puglie, il quotidiano pugliese fondato e diretto da Martino Cassano.
Il direttore del Corriere, che lo segue e ne conosce il valore professionale, lo invia in Capitanata per una serie di servizi giornalistici sulla sventurata provincia che Violante definisce… la più dimenticata, povera e disastrata delle tre province pugliesi, che all’epoca erano tre: la provincia salentina, la barese e la Capitanata o Daunia.
La Capitanata è quella che maggiormente ha bisogno di urgenti provvedimenti e, il più urgente di tutti, è quello delle comunicazioni. Nelle province di Bari e Lecce c’è un sistema di comunicazione vecchio, occorrono per l’una e per l’altra provincia trasformazioni di linee ferrate, locomotive e vetture più moderne ed in maggior numero, ma nessun paese si sente separato dalle altre consorelle. Nella provincia di Foggia, invece, lo stato delle comunicazioni ferroviarie e stradali, è addirittura preadamitico.
Città fiorenti, città ricche di vita e di industrie, stendentesi sul mare Adriatico o sul golfo di Manfredonia, piccoli alveari umani inerpicati sui monti del Gargano, non sentono pulsare dintorno la vita delle altre città vicine… sono sperdute nel nulla e i prodotti del suolo marciscono o si perdono per mancanza di trasporti.
Il tavoliere di Puglia che potrebbe essere la ricchezza d’Italia non basta neppure a se stesso: i grandi boschi, a perdita d’occhio, non portano nessuna ricchezza al Paese; i laghi danno la malaria. La popolazione abbandonata a se stessa, diventa apatica, inerte e senza entusiasmi sente inaridire nella propria anima ogni slancio di attività e di progresso.
Oltre duecentoventimila cittadini di ben quaranta comuni su 53 della provincia di Foggia, non hanno strade ferrate. Soltanto 14 comuni sono percorsi dalla vaporiera. Per raggiungere gli altri occorre il camion, la vettura, il carro, il mulo ed ore e ore di cammino a piedi. È incredibile, ma è dolorosa verità di questa provincia.

L’idealista

Violante sostiene, inoltre, che la situazione è peggiorata, invece di migliorare, da quando… l’esperimento di direzione amministrativa della vita pubblica in gran parte dei comuni, fatto in periodo di guerra dalle forze proletarie, rappresentano un completo fallimento. Deficienza di uomini o errori di metodi, non so: il fatto oramai indiscutibile è la cattiva riuscita di queste forze nuove che volevano rigenerare e salvare i comuni e che invece hanno contribuito alla sfacelo della cosa pubblica con la solita e sterile lotta personale per la conquista del potere.
Fintanto che i partiti borghesi non si rifanno un’anima ed una fede e andare coraggiosamente incontro a radicali riforme e a nuovi sistemi organizzativi e politici, la Capitanata rimarrà sotto le bandiere del bolscevismo.
Nonostante l’impegno cospicuo e continuativo con il quotidiano di Cassano, Violante non si smentisce: il 4 febbraio 1920 lo stesso Corriere delle Puglie annuncia che il professor Tommaso Fiore, il giornalista Michele Viterbo e Alfredo Violante intendono formare un nuovo soggetto politico, il Partito del Rinnovamento che si propone, sostiene Fiore… un programma politico di lotta e rinnovamento provinciale amministrativo; dove Michele Viterbo si sarebbe occupato di politica economica della Provincia e del movimento cooperativistico dei combattenti e Violante dell’organizzazione del Partito nelle sezioni e nella sede centrale…il gruppo dei combattenti che finora ha esplicato la sua opera nella lotta politica e la va esplicando in quella economica – si legge nell’annuncio – intende con ciò prendere gli accordi con le sezioni su come allargare le proprie fila tra i non combattenti accogliendo nel proprio seno le energie più giovani e più sane nel Paese.
Quale l’orientamento del nuovo Partito?
In un articolo del 12 agosto 1920, riportato anche nella pubblicazione di Fanizzi, Alfredo Violante si riferisce a Salvemini come al… rivendicatore di un popolo… la Puglia ha trovato finalmente il suo uomo… in questo momento è bene stringersi sempre più intorno a Gaetano Salvemini e battersi senza infingimenti contro chi assalta l’uomo, lo storico, il cittadino… definendolo deputato della steppa di Bari… chi, da Imbriani a noi, ha mai parlato con tanta sincerità, con tanto affetto, con tanto coraggio delle nostre condizioni alla Camera dei Deputati?
I suoi denigratori non troveranno in Salvemini il loro uomo, i giornali avversari gridano ed esultano e credono vilipendere… il pensiero di Salvemini è boicottato dall’alta stampa, ma si diffonde egualmente, si propaga, guadagna cuori e coscienze e i nostri lavoratori, le donne del nostro popolo, gli umili lavoratori del braccio e dell’intelletto vedranno in Salvemini colui che sa ricordare a noi stessi e all’Italia che v’è una Puglia forse non più assetata d’acqua, ma sempre aspettante giustizia.
Un giornale, dunque, di netto indirizzo socialista,ma la strenua difesa di Salvemini, notoriamente inviso al nascente fascismo, gli procurarono non poche inimicizie.
Del nuovo giornale e del nuovo Partito non si avranno più notizie. Del resto, i ‘tempi nuovi’ corrono velocemente e l’ingresso di Violante nella redazione del Corriere, dove regna un’atmosfera pregna di nazionalismo dannunziano, avrà una grande influenza su Alfredo che si lascia trascinare dai suoi coetanei e nuovi colleghi, quali Leonardo Azzarita, Araldo Di Crollalanza, Michele Viterbo e Wanda Bruschi, tanto per citare solo alcuni fra i più esuberanti, affascinati dalla personalità magnetica di Mussolini che faceva perno su parole di grande impatto emotivo come onore, patria e dignità, il cui significato si era perso da tempo evocando, insieme, storia e cultura che nessun altro Paese al mondo poteva vantare.
Erano parole che facevano presa non solo sul ‘popolo minuto’, ma anche e specialmente sulla borghesia agraria, perfino su molti intellettuali del calibro di Benedetto Croce, Giovanni Gentile e Gabriele D’Annunzio. Soltanto in seguito il fascismo mostrerà il suo vero volto: l’uso della forza e della violenza, con le ‘squadracce’ dei fasci di combattimento, col pretesto di affrancare il Paese dal caos del mefitico liberalismo giolittiano, dalla destra, dalla sinistra storica e dal bolscevismo.
Alfredo Violante, dunque, comincerà a condividere l’entusiasmo dei colleghi per quei partiti e circoli che si riconoscono nel ‘fascio dei partiti dell’ordine’e, in una corrispondenza da Foggia nel dicembre del 1919 sostiene che al fine di fermare il bolscevismo imperante, l’adesione ai fasci da parte dei Combattenti, diventa necessaria e aggiunge… quando vi è la casa che brucia occorre che una sola sia la volontà di salvezza.
I fascisti oramai spadroneggiano impunemente nelle piazze di tutto il Paese, distribuendo manganellate e olio di ricino grazie alla debolezza dei governi di Giovanni Giolitti e Ivanoe Bonomi e, proprio durante il governo di Ivanoe Bonomi i fascisti si macchiano del primo delitto politico in Puglia.

Abbagliato dal fascismo

Il 15 luglio 1921, lo stesso mese in cui Giolitti passa il testimone a Bonomi, Alfredo Violante vara l’ennesimo settimanale, L’Elmetto, un organo dell’Associazione Nazionale Combattenti di terra di Bari.
Il 25 settembre, un gruppo di giovani fascisti uccidevano a Mola di Bari il deputato socialista di Conversano Giuseppe Di Vagno e, qualche mese dopo, Violante scrive un commovente opuscolo commemorativo alla memoria dell’amico: Perché l’hanno ucciso?… aveva turbato la pace della sua città, aveva chiamato il ladro col suo vero nome, aveva sollevato, contro l’oligarchia facinorosa, tutto il paese, aveva ricordato ai contadini ch’essi dalla Rivoluzione francese in poi rappresentavano uno stato sociale nella società borghese.
Non era questo un delitto di lesa Patria? E la Patria, per i suoi avversari, non era forse il potere del comune e della provincia, l’arbitrio del comando?
Le sue denunce, i suoi interventi, i suoi pacati discorsi di pace… avevano creato attorno alla vittima un cerchio di odio prima che i 19 suoi concittadini gli stringessero attorno il cerchio terribile della morte… i giovanetti della tragica spedizione sono stati gli esecutori: gli autori restano dispersi tra coloro che nelle farmacie, nei circoli, nelle famiglie, inoculavano il veleno e l’odio sotto forma di necessità, di sbarazzarsi del nemico.
L’articolo è, in pratica, una dichiarazione di fede, un pronunciamento politico di Violante nei confronti del socialismo, ma come le altre sue iniziative editoriali, non avrà seguito. Egli infatti, non solo resta nel direttivo dell’Associazione Nazionale Combattenti, affiancato ad Araldo Di Crollalanza, dichiaratamente fascista e sempre più influente nella provincia di Bari, ma continua a credere che l’uccisione di Di Vagno è stato un disgraziato episodio, un delitto di bassa criminalità da imputare a pochi giovani scriteriati, continua ad avere fiducia nel fascismo…forza risanatrice del Paese e che il partito delle camice nere fosse ordine e non caos come i governi giolittiani.
Ma il Fascismo non aveva ingannato il direttore-proprietario del Corriere delle Puglie, ormai sessantenne e non più in grado di tenere a freno i suoi giovani, scalpitanti redattori. Così, nel gennaio del 1921, lascia e affida la direzione del giornale a Leonardo Azzarita e Raffaele Gorjux il quale, in disaccordo con l’indirizzo politico assunto da Azzarita, cinque mesi dopo si dimette e annuncia il varo di un nuovo quotidiano.
Dopo l’assassinio di Giuseppe Di Vagno, anche Azzarita si rende conto che i propositi dei fascisti sono altri… devono rientrare nelle righe con disciplina, con lealtà, addimostrando un alto senso di civica e nazionale responsabilità… il fascismo sorse e fu salutato con simpatia appunto perché era reazione contro il disordine, contro la disciplina, contro le negazioni nazionali, contro le follie e l’anarchia massimalista… ma se abbiamo sinora deplorato più di una volta le esagerazioni e le intemperanze del movimento fascista… riteniamo sia giunto il momento di parlare chiaro e forte ai fasci ed ai fascisti: non tollereremo oltre le violenze selvagge cui assistevamo e che non trovavano giustificazione alcuna.
Era una dichiarazione di guerra e, dal momento che i fascisti erano più forti, Azzarita perde il Corriere delle Puglie. Gli fanno il vuoto intorno e lasciato solo, senza mezzi e senza pubblicità, il giornale muore per consunzione.
Il 26 febbraio 1922 esce l’annunciato quotidiano de La Gazzetta di Puglia, fondato da Raffaele Gorjux, che si avvale di quasi tutto il corpo redazionale del Corriere, compreso Alfredo Violante.
Nell’agosto del 1923 Violante viene in possesso di una circolare della sezione socialista di Bari contro il governo fascista e di violenta protesta per l’omicidio di Giuseppe Di Vagno. La circolare è firmata ‘Alfredo Violante’, ma è falsa, sostiene Violante, che in una lettera al suo stesso direttore, pubblicata sulla Gazzetta del 1° settembre, sostiene… che la firma in calce è un ignobile tentativo di screditarmi. Questo gruppo di avversari, non sapendo che altro inventare contro di me va favoleggiando di un mio socialismo rosso di marca bolscevica… un’affermazione falsa e in mala fede… il trucco è così carognesco e così idiota da dispensarmi di qualsiasi commento.
Nello stesso anno Alfredo impalma la signorina Irma Bolla. Successivamente, accompagnato da Araldo Di Crollalanza, l’8 dicembre 1923 chiude la campagna elettorale per le elezioni amministrative del 9 dicembre a Sammichele di Bari e, quel giorno stesso, il corrispondente della Gazzetta del piccolo centro provinciale, invia una nota con il resoconto del comizio… Araldo Di Crollalanza, intervenendo dopo un imponentissimo corteo ha detto che il fascismo è libertà e fierezza ed è riuscito ad elevare la nostra nazione nel novero delle nazioni più potenti e più stimate del mondo. Pur tuttavia la marcia del fascismo non è ancora compiuta: tentano infatti di risorgere i vecchi uomini che hanno fatto tanto male alla Puglia e che si collegano ad un movimento di opposizione in tutto il Paese.
Importante e interessante – scrive il corrispondente – il comizio di Violante che così ha esordito: mi rivolgo a voi con lo stesso cuore, la stessa fede e le stesse parole pronunciate in questa piazza nel 1919 dopo la lotta allora ingaggiata contro i socialisti; ma nello stesso tempo contro coloro che tradendo gli interessi del popolo avevano fatto perdere la fede nei migliori destini della Patria.
Il fascismo è anche, e specialmente, il partito dei più umili dei più valorosi e dei più volenterosi. La popolazione dei nostri lavoratori è patriottica, ma non tollera l’ingiustizia: il partito fascista è sulla stessa via. I combattenti che sognarono nel 1919 una Italia più grande, più forte, più orgogliosa e più fiera ora, per merito delle camice nere, vedono realizzato il loro sogno. L’oratore ha quindi esortato a gridare l’evviva al Duce che ha saputo cogliere questo miracolo.
Con il 1923 Violante pone fine al suo impegno professionale con La Gazzetta di Puglia. Corrispondente da tempo del Giornale d’Italia, all’inizio di dicembre l’autorevole quotidiano romano decide di affidare a lui l’incarico di responsabile della redazione regionale del giornale diretto per 22 anni da Alberto Bergamini.
La cerimonia della consegna della sede pugliese a Violante avviene il 6 gennaio 1924: brindisi, saluti, auguri, complimenti da parte dei colleghi e da Raffaele Gorjux presidente dell’Assostampa di Puglia. Ma Alberto Bergamini aveva fatto piani per il futuro del suo giornale senza l’oste. Senza cioè tener conto delle ‘aspirazioni’ egemoniche dei fascisti, i quali, non avevano nulla contro la stampa libera, purché non fosse portatrice di idee liberali, socialiste o radicali.
Era una condizione che non poteva soddisfare un liberale come Alberto Bergamini il quale, per evitare di finire in rotta di collisione con il fascismo, nel dicembre del 1923 si dimette. Appena qualche mese dopo la libertà di stampa diventa un pallido ricordo per gli italiani.
Negli stessi giorni, Violante entra in polemica con Vincenzo Bavaro, delegato provinciale dell’Associazione dei Combattenti, il quale sosteneva di voler conservare… una cordialità d’intesa con la federazione fascista, ma fermezza di propositi…nelle questioni sindacali. Dobbiamo rimanere impassibili al nostro posto, né abbiamo compiuto atto che possa autorizzare chicchessia ad insinuare che i combattenti si siano comunque schierati in favore dell’una o dell’altra parte. In breve, l’Associazione deve restare fuori dalle questioni sindacali.
Alfredo Violante non era dello stesso parere… poco o nulla aveva fatto il sindacato fascista per migliorare le condizioni di vita dei contadini di Puglia – aveva scritto sul Giornale d’Italia giorni prima – se la concordia tra i capi del movimento dei Combattenti è completa, sincera, indiscutibile e, l’intesa col movimento fascista è cordiale e necessaria… perché i grigio-verde e le camice nere che rappresentano l’ondata nuova, tutta fremiti di giovinezza, tenacemente decisa a mutare in bene la mala politica che ha fatto finora d’Italia il regno della baldoria e del Paese della cuccagna… perché, il movimento sindacale fascista della nostra provincia si preoccupa enormemente della caccia alla tessera e poco dell’ assistenza e tutela? Perché, noi, i combattenti, che abbiamo masse di lavoratori nelle nostre sezioni dobbiamo assumere la maschera dell’impassibilità e fare i Ponzio Pilato della situazione?
Va bene, non facciamo azione sindacale, demandiamo l’organizzazione e l’assistenza anche dei nostri consociati al sindacato fascista, ma se il movimento sindacale fascista non risponde allo scopo perché i capi dei combattenti non devono avere il diritto di richiamare alla realtà gli amici sindacalisti?
Se non si cambia sistema il movimento sindacale è già bello e spacciato… e a me sembra che il sindacalismo barese voglia coprire sotto una valanga di tessere un’anima che si va sempre più allontanando dal fascismo facendo della tessera l’abito e l’etichetta.
C’erano molte anime nell’Associazione Nazionale Combattenti, socialisti, liberali, radicali di destra e di sinistra, ma i valori riconosciuti nell’ambito dell’Associazione, erano nazionalistici e patriottici. La maggior parte aveva fatto la Grande Guerra, alcuni come volontari altri, emigrati, erano tornati in Patria, avevano preso parte… alla sanguinosa mischia e, in pace, sentivano questo pulsare di nuove idealità… e volevano contribuire a costruire un’Italia migliore.
Violante era un inguaribile idealista, dei peggiori, senza speranza… si batteva per la democrazia in senso ampio, a volte trovandosi sullo stesso piano dei socialisti, altre volte da essi dissentendo nel metodo e nell’impostazione dottrinale – scrive ancora Achille d’Arpe – di qui, polemiche sempre improntate a grande signorilità; di qui articoli di sottile ironia e scritti a periodi guizzanti e penetranti; di qui discorsi all’aperto in cui non sapevi se più ammirare il vigore dell’elogio, l’originalità degli argomenti… fu allora che scoprimmo in lui l’angelicale bontà, l’austerità del carattere, la nativa fierezza, la irrefrenabile protesta contro qualsiasi sopruso.

Onestà intellettuale

Si entusiasmava per le grandi cause, per il benessere comune, specie dei contadini, e cadeva nello sconforto quando il concetto di libertà diventava riduttivo, quando si accorgeva che gli ideali venivano sacrificati per la… insoddisfatta brama di potere di omuncoli rissanti.
Ma ancora, per tutto il 1923 e parte del 1924, si batte come un leone. Nutriva la speranza che il popolo si sarebbe redento e,per onestà intellettuale, credeva che la fonte di quella speranza, lo strumento, la forza redentrice fosse il fascismo.
Ma il fascismo era tutt’altra cosa e presto mostrerà il suo vero volto.
Molti erano come lui. Forse non erano idealisti, forse era gente in buona fede, gente semplice e uomini di cultura, che al fascismo si erano avvicinati credendo veramente che potesse cancellare le differenze sociali, le discriminazioni, lo strapotere dei grandi latifondisti, della borghesia.
Il 25 novembre del 1923, il poeta e scrittore Sem Benelli,viene in visita a Bari per una conferenza al teatro Petruzzelli, gremito fino all’inverosimile, sul tema: la missione dell’Italia e della Puglia nell’Adriatico. Violante fu affascinato dalla sua eloquenza:il Maestro, lo scrittore del famoso dramma La cena delle beffe,condivideva con lui gli stessi valori di giustizia sociale ed egli voleva conoscere meglio il pensiero del Poeta.
Così, quattro mesi dopo, nel febbraio del 1924, Violante, inviato dalla Gazzetta,parte per la Liguria, per la fastosa residenza di Benelli – un castello a picco sul mare -per una intervista. Durante l’incontro scopre che Benelli, nonostante le sue molteplici attività e interessi, era una persona semplice, amava la terra, l’aria aperta, la campagna e come lui, non disdegnava intrattenersi a discorrere con i contadini… che avevano conservato la loro individualità- disse il poeta – vedete,il sindacalismo socialista per la difesa dei lavoratori aveva costruito le categorie di mestiere e ciò facendo aveva distrutto l’individualità dell’operaio; aveva negato la gioia del lavoro, aveva livellato tutte le intelligenze, tutte le operosità, tutte le volontà. Questo indirizzo è in pieno contrasto con lo spirito italico che ha la genialità della creazione e che afferma nel lavoro materiale, come in quello intellettuale la più squisita forma dell’individualismo.
L’affermazione, il concetto dell’individualismo del Maestro crea in Violante un certo sconcerto poiché tale pensiero è tipico del liberalismo. Poi, però, Benelli cambia atteggiamento, diventa più conciliante e porta la conversazione sul piano morale… l’uomo nasce buono, l’educazione, l’istruzione, la politica e l’economia sociale devono tendere a completare questo senso della bontà. Solo così le leggi degli uomini risponderanno alla legge generale del progresso umano.
A chiusura dell’intervista Violante aggiunge… la più grande rivolta ideale sarà tentata per un alto bisogno di spiritualità, per un grande dovere di cittadini: a tentarla saranno le camice nere e i combattenti, perché solo così sarà esaltata la rivoluzione vissuta dal Duce che sa reggere le fortune della Patria grande.
Violante, dunque, era tornato alla Gazzetta. Il 4 aprile farà anche la recensione del dramma patriottico I Volontari, di Gino Calza-Bini, scrivendo che… l’opera non è soltanto l’esaltazione del fascismo, ma del lavoro, dell’umanità, che solo nell’accordo sincero e sentito deve trovare la sua via, la sua pace e la sua gloria. Era perciò evidente che le dimissioni di Alberto Bergamini dal Giornale d’Italia aveva prodotto un ridimensionamento dei programmi d’espansione del quotidiano romano.
Il 6 aprile 1924 si torna alle urne. E questa volta, con una legge elettorale appropriata allo scopo, insieme a brogli e intimidazioni, i fascisti ottengono la maggioranza parlamentare assoluta: 374 deputati su 535.
Il 30 maggio, il deputato socialista, Giacomo Matteotti, contesta la validità delle elezioni inficiate, sostiene, dalla totale assenza di libertà del cittadino che… se solo avesse osato affermare, il contrario dei risultati ottenuti… una forza a disposizione del governo avrebbe annullato il suo voto e il suo responso.
Il 10 giugno, Giacomo Matteotti, scompare dalla circolazione. Parenti, amici personali e di partito, giornalisti e pubblica sicurezza, lo cercano per giorni, ma è tutto inutile: Matteotti non si trova. La stampa nazionale, non ancora del tutto asservita, accusa il governo, anzi Mussolini in persona, di essere l’artefice della scomparsa del parlamentare socialista.
Il Duce reagisce a modo suo. L’8 luglio riunisce il Consiglio dei Ministri e fa varare un decreto legge che da facoltà ai prefetti d’intervenire in modo censorio sulla stampa, elencando un’ampia serie di casi fino alla soppressione temporanea, in questa prima fase, delle pubblicazioni di quei quotidiani ‘colpevoli’ di pubblicare ‘notizie false o diffamatorie’.
Il 18 luglio, a Bari, si riunisce l’Associazione della Stampa non per discutere il decreto ma per designare un rappresentante dei giornalisti in seno alla Commissione di ‘diffida’ istituita presso la prefettura. L’associazione, si legge in un comunicato… riaffermando la sua apoliticità, viste le disposizioni impartite dalla Federazione Nazionale della Stampa; vista la richiesta fatta dal Prefetto… delibera di non procedere alla nomina di un proprio rappresentante presso la Prefettura.
Nessuno, insomma, vuole essere il censore dei colleghi. Araldo Di Crollalanza, appena eletto deputato, abbandona l’assemblea notevolmente contrariato; Alfredo Violante chiede, invece, un dibattito ma gli viene impedito da una mozione d’ordine che chiude la discussione.
Il corpo di Giacomo Matteotti viene trovato la mattina del 16 agosto 1924, in avanzato stato di decomposizione, nella macchia della Quartarella, nel comune di Riano, a pochi chilometri da Roma. Non più di un mese dopo, il poeta combattente Sem Benellisi dissocia dal fascismo e, nel maggio del 1925, firma il manifesto degli intellettuali antifascisti redatto da Benedetto Croce.

L’ultima avventura editoriale

Poi, dal 1924, la misura diventa colma anche per Alfredo Violante.
In una lettera al direttore de La gazzetta di Puglia, datata 15 luglio 1924, Violante denuncia l’arroganza dei dirigenti della Federazione Sindacale fascista i quali, in una assemblea degli impiegati comunali, hanno semplicemente ignorato un ordine del giorno presentato da non iscritti al sindacato ma soci della sezione combattenti presieduta da Violante… ci addolora profondamente quanto si è verificato nella suddetta assemblea e ciò dimostra come ogni tentativo per procedere in comune accordo con gli organizzati del fascio sia completamente inutile… tutto lo svolgimento della riunione ha avuto un carattere di opposizione alla nostra organizzazione, inspiegabile ed inspiegato, che non ci può profondamente addolorare, perché dimostra la mentalità dei locali dirigenti.
I nostri soci chiedevano l’applicazione dell’indennità di caro vita e la sistemazione del personale avventizio. Cosa ci sia di tanto dinamitardo in queste richieste per aver trovato la violenta opposizione del segretario generale del sindacato Ettore Lo Vecchio Musti, non sappiamo… già da parecchio i sindacati fascisti usano ai danni dei combattenti un sistema che non è né logico né decoroso e mentre i combattenti si affannano a chiedere, quanto non li lasci morire di fame, i fascisti si affannano a negare e a far negare ai reduci della trincea i diritti conquistati come cittadini e come combattenti.
Ma noi continueremo a far opera di pacificazione sperando che prima o dopo questi balordi sistemi sindacali e politici siano dimenticati per il bene del Paese.
Era la prima volta che Violante contestava i metodi del fascismo e, com’era suo costume, lo faceva con schiettezza e con estrema dignità.
Infine, il 10 febbraio 1925, in una lettera al presidente della Federazione Provinciale Combattenti, Vincenzo Bavaro, annuncia le sue dimissioni dalla Federazione e dalla sezione di Bari da lui presieduta… la riunione del consiglio della mia sezione ha deliberato la massima fedeltà alle gerarchie delle organizzazioni e manifestato il desiderio e la volontà di mantenere la nostra Associazione al di fuori e al di sopra dei partiti politici per una collaborazione dignitosa, fiera e contro ogni asservimento. Mi si dice,invece, che tutte le sezioni della provincia ardono dal desiderio della volontà di votare collaborazione e plauso al governo e al partito fascista.
È evidente che non diverso desiderio e diversa volontà hanno tutti i membri della Federazione così che la mia sezione, io continuerei ad essere voce discordante e noiosa in questo magnifico coro di esultanze.
Tu sai come penso avrebbe potuto attuarsi la collaborazione dei combattenti col movimento fascista…ma credo che nell’attuale momento non possa realizzarsi… perciò, sono lieto se il mio allontanamento potrà essere utile al movimento dei reduci. Mi illudo di aver compiuto il mio dovere. Ho spesso discusso e polemizzato sicuro che nel nostro movimento vi era e vi è ancora il rispetto a quel divino dono che è il pensiero.
Dunque è finita. Violante si è finalmente reso conto che non può esserci dialogo con chi non accetta il contraddittorio, con chi rifiuta il pensiero dell’altro. Era come se non fosse più se stesso, si sentiva in gabbia e non riusciva a rassegnarsi. Perciò, reagisce nell’unico modo in cui poteva e sapeva reagire: editare un giornale suo, un quotidiano, ed esprimere liberamente, insieme ad altri che avevano il suo stesso concetto di libertà, la loro diversità, un pensiero altro. Ma era già troppo tardi.
Il Nuovo Corriere, l’ennesimo quotidiano varato da Violante, è nelle edicole cittadine dal 1° luglio 1925. Purtroppo non è stato possibile reperire qualche copia, ma possiamo capire il tenore degli articoli del giornale attraverso le proteste dell’Ufficio Stampa della Federazione provinciale fascista inviate alla Gazzetta di Puglia… nel numero dell’11 agosto di un quotidiano locale che ha fatto anticamera alla Federazione fascista fino a ieri per avere aiuti e protezione dal Partito, si leggono i seguenti periodi.
Nell’articolo ‘incriminato’ del Nuovo Corriere dalla Federazione si dice che la… insensibilità morale e costituzionale si è incallita, l’abulia di un popolo sta raggiungendo estremi di soggezione e di abiezione che gli italiani conobbero solo nei tempi più bui della loro storia… le dimissioni in massa delle opposizioni sarebbe un fatto dinamico, un fatto che noi andiamo sollevando da un pezzo, un revulsivo di cui la pavida anima italiana ha bisogno per risorgere… dimettersi in massa vuol dire elezioni generali politiche anticipate e senza elezioni vuol dire dittatura… siamo ormai giunti ad un punto oltre il quale non ci sono che due vie: o la soggezione, la rinuncia, l’abiezione o la lotta politica impostata coraggiosamente e coraggiosamente condotta… e il pubblico, che ci appare pavido, assente disorientato, non tarderebbe a far sentire tutto il valore della sua adesione, della sua collaborazione… quello che nuoce, perché ammorba e uccide, è il pantano. Bisogna andare oltre il pantano con fede, con coraggio, con tenacia.
Ma, ancora una volta, era troppo tardi.
Ecco cosa risponde la Federazione fascista: i cafoni di quel quotidiano in un mese di tempo hanno fatto capriole che non possono non fare nausea alla gioventù pugliese dimostrando una insensibilità non soltanto morale. Oggi si permettono balorde ingiurie, volgari apprezzamenti e perfino, con una incoscienza che non ha limiti, eccitamenti all’insurrezione.
La Federazione prende atto, raccoglie la provocazione, attende i fatti e promette a nome di tutto il fascismo barese di far rientrare rapidamente in se stessi questi elementi avariati o deteriorati della borghesia i quali, ad onta dello sforzo compiuto fermamente dal fascismo, si mostrano tuttavia inetti a comprendere che l’Italia non è più e non ritornerà mai più preda della loro degenerazione politica la quale appunto animò nella risorsa ideale e tutt’ora anima la giovinezza fascista.
Se per compiere basse vendette personali e per appagare ridicole ambizioni si osa ancora gettare fra gli italiani il seme dell’odio e della ribellione, dell’indisciplina, intendano, quelli che un’opera così nefasta compiono, la posizione in cui si pongono e siano pronti a subire tutte le conseguenze. Firmato: prof. Leonardo D’Addabbo.
Il Nuovo Corriere gode dell’appoggio amichevole di Raffaele Gorjux e il favore dell’Agenzia di distribuzione di quotidiani Nicola Lobuono, ma i due nulla possono contro i ciechi servi e i ciechi ribelli.
Alle 4 del mattino di sabato 15 agosto il furgoncino contenente i pacchi del giornale di Alfredo Violante, veniva fermato da un gruppo di giovani nei pressi della stazione centrale e dato alle fiamme… il conducente e l’operaio che lo accompagnava, si dettero alla fuga per il contegno minaccioso del gruppo. Il prefetto generale Raffaele de Vita – si legge nel comunicato stampa – ha assicurato un energico procedimento dell’autorità di pubblica sicurezza.
Il ‘procedimento’ risulterà così energico che pochi giorni dopo ci sarà un secondo avvertimento… ancora più inquietante del primo – scrive alcuni anni dopo il secondo figlio di Violante, Paolo – gli squadristi, armi in pugno, fecero irruzione nella sede della testata… mio padre affrontò la marmaglia con grande determinazione e riuscì ad evitare il peggio. In quei mesi, il fascismo stava dilagando.
All’irruzione degli squadristi era presente anche la moglie di Alfredo, la signora Irma, al settimo mese di gravidanza e, nonostante lo spavento, due mesi dopo darà alla luce il suo primogenito Ugo.

La malvagia dittatura

Il 15 settembre Il Nuovo Corriere cessa le pubblicazioni…sorto per spezzare il chiuso cerchio di un equivoco politico e giornalistico della nostra città e nella regione pugliese – scrive Violante – questo giornale soccombe per la stretta, inesorabile pressione di una situazione locale gretta e chiusa.
Deluso dall’ambiente e dai suoi stessi colleghi, Violante è costretto a lasciare la sua città, la sua terra, nei primi mesi del 1926. Approda a Milano ‘seguito’ da una segnalazione della questura di Bari che lo definisce ‘soggetto sovversivo socialista’. Nel capoluogo lombardo Violante si propone di voltare pagina. Ha assicurato amici e parenti che intende stare lontano dalla carta stampata, che vuole dedicarsi a quella professione per cui si era laureato, ha deciso di spolverare l’abilitazione per esercitare la professione legale e, ottenuto il passaggio d’iscrizione all’albo di Milano, si associa con due colleghi, in uno studio legale in città.
E il giornalismo? Solo qualche articolo, qualche collaborazione a tempo perso, assicura in una lettera al cugino Fabrizio Colamussi…si, insomma, faccio un po’ il giornalista e molto l’avvocato.
Ma non era vero, anzi, era esattamente il contrario.
L’amore per la sua terra – ha ancora nelle narici gli odori, i sapori, i profumi della terra di Puglia – lo porta in modo naturale verso l’unico luogo in cui può sentirsi a casa, nel locale dell’Associazione Pugliese di Milano, dove s’iscrive e, per il suo innato, inesauribile attivismo propositivo, Alfredo è una fucina di iniziative e idee, viene eletto segretario. Nel corso del 1926 ha già in cantiere una pubblicazione, un quindicinale dal titolo La Puglia che diventa organo dell’Associazione. L’intento è di riallacciare quei legami umani, e tradizionali tipici dei pugliesi, fra le migliaia di emigrati sparsi per tutta la Lombardia.
Accetta, poi, collaborazioni giornalistiche con periodici e opuscoli, scrive monografie illustrate sulla Puglia per la casa editrice milanese Sonzogno, collabora saltuariamente al mensile Terra d’Italia; organizza, presso la stessa l’Associazione,che trasloca e trova in via Torino locali più ampi, incontri e dibatti culturali, mostre d’arte e di artigianato pugliese, qualche festa da ballo e, tanto per distrarsi dal suo ‘gravoso’ lavoro di avvocato, torna a scrivere per La Gazzetta di Puglia.
Dal 22 gennaio 1927 il direttore del giornale pugliese, Raffaele Gorjux, sfidando l’ira dei gerarchi locali, affida ad Alfredo Violante una rubrica settimanale dal titolo Lettere Milanesi. La rubrica è pubblicata regolarmente nelle pagine della Gazzetta per cinque anni e mezzo, fino al 7 maggio 1932.
Non era difficile per un professionista come lui mantenersi all’interno dei limiti posti dal fascismo alla stampa nazionale: bastava non fare politica d’opposizione, lodare le opere del fascismo, che fino al 1934 furono tante, e lasciare fuori dalla porta le misere condizioni di vita della metà della popolazione nazionale. Erano note in cui egli usava con perizia la tecnica del colpo al cerchio e l’altro alla botte. Qualche volta elogiava l’eloquenza del Duce, altre volte accennava alle difficoltà urbanistiche di Milano, città modello del fascismo. Violante, che poteva contare su una solida esperienza, non ebbe difficoltà a fare della sua rubrica un osservatorio e serbatoio di cultura scrivendo di arte, lirica, cinema, teatro, danza, società ed emigrazione, con velati cenni sull’emarginazione sociale dei meridionali,nella tanto evoluta società meneghina.
La rubrica sulla Gazzetta era, per Violante, un modo per conservare legami professionali e culturali con amici baresi che la leggevano in molti e, in tanti gli scrivevano. Poi, anche l’Associazione Pugliese si tinse dei colori dell’orbace fascista. Violante se ne allontana e fonda un Circolo Culturale Riccardo Barbera dove, fra un dibattito e l’altro, Violante si fa più audace e comincia a parlare di libertà e democrazia finendo per farsi stringere ancora di più nel cerchio dei dissidenti da tenere sotto stretto controllo.
Dopo il Patto d’Acciaio con la Germania di Hitler e l’invio di uomini e mezzi in Spagna nella guerra civile scatenata da Franco, in Italia si comincia, sottovoce e in privato, ad azzardare qualche commento, qualche parola di dissenso, e Violante non se ne starà in disparte anche e nonostante la nascita del suo secondogenito, Paolo, nell’agosto del 1934.
Nel suo studio – ricorda Enrico Sbisà – si facevano riunioni, si discutevano e si approntavano programmi di fattiva operosità per la rinascita del Paese. Lo studio legale era diventato meta di pellegrinaggio, un andirivieni di oppositori, di amici ribelli alla tirannia del Regime a cui l’Avvocato consegnava opuscoli e volantini di propaganda. Ma l’ufficio politico fascista di Milano era molto efficiente, aveva delatori ovunque, sempre a caccia di antifascisti, e Violante finì per cadere nella loro rete. Ormai l’OVRA controllava non solo le persone che frequentavano lo studio, ma anche la posta personale.
Il 12 agosto 1943, Alfredo Violante scrive a Tommaso Fiore, subito dopo la liberazione del Professore rinchiuso nelle carceri di Bari come prigioniero politico,una lettera che viene intercettata… verrà tempo – si legge – in cui un più vasto processo sarà fatto a quanti, forti di una malvagia dittatura, passavano alle carceri chi rivendicava l’elementare diritto di liberamente pensare.
Ecco, in sintesi, il credo dell’uomo: pensare liberamente. Violante non aveva alcuna etichetta politica e nessuna bandiera che non fosse quella italiana! Amava la libertà in tutte le sue espressioni e non intendeva scendere a compromessi. Egli fu sempre guidato da intensa passione civile volta alla ricerca della verità e del bene comune.
Nel settembre successivo i tedeschi occuparono anche Milano e cominciò l’epopea della congiura. L’avvento della Repubblica di Salò – ricorda il figlio Paolo -fece emergere il suo spirito di combattente democratico. Pubblicò il foglio clandestino Il Progresso, organo del Movimento Democrazia del lavoro e stabilì contatti con i gruppi partigiani del bresciano. Erano azioni che non potevano sfuggire alle indagini incessantemente condotte dall’ufficio politico della questura di Milano.
Un vilissimo delatore – scrive Achille d’Arpe – rivelò agli scherani delle S.S. i nomi dei frequentatori dello studio di Violante. Alcuni furono avvertiti tempestivamente e si diedero alla macchia, Alfredo fu sorpreso nel suo studio mentre con calma coraggiosa si fermò per distruggere ogni elemento di prova che potesse compromettere altri.
Era il 1° dicembre 1943, Violante venne arrestato per ‘partecipazione attiva alla resistenza’e condotto nel carcere milanese di S. Vittore dove divenne un numero. Il 27 aprile 1944 fu trasferito nel campo di concentramento di Fossoli, in provincia di Modena, in cui venivano ammassati i prigionieri politici. Due mesi dopo inizia il suo vero calvario: rinchiuso in un vagone bestiame insieme ad altre 50 persone, venne trasferito al campo di sterminio di Mauthausen dove, il 24 aprile 1945 verrà fatto entrare in una ‘doccia’ per non uscirne mai più.
Il giorno dopo, il 25 aprile, i partigiani liberarono Milano.
Il 15 settembre 1945, il poeta armeno Hrand Nazariantz, che con Violante aveva un forte legame d’amicizia, così lo ricorda… fu superbamente l’uomo che si appaga di compiere nella vita il suo dovere e ha, della sua coscienza intemerata, il dono inestimabile di sorridere serenamente delle umane miserie e del proprio destino.
Saper morire, aveva scritto ai suoi colleghi dai campi di battaglia, è più difficile di saper vivere!

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